NAZIONALE
FONDO
DORI A
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IL MARINO
OPERE SCELTE
DALLA STAMPERIA DI CRAPELET
ni'E DE VAI'GIRARD, 9
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4
A
L’ADONE
POEILI
DEL CiVALlER GIAMBATTISTA MARINO >
CON GLI ANGOMENTI DI FOKTDNIANO SANVITALE
E LI ALLECOklE DI DON LODENIO SCOTO
LA STRAGE DEGL’INNOCENTI
ED UNA SCELTA DI POESIE LIRICHE
NUOVA EDIZIONE COMPLETA
CON I N DISCORSO PRELIMINARE
DI
eiUSEPPE ZIBARDIil
PARIGI
UmTLSSSLtA SimOPEA
« J
3, OVAI MALAQDAIS, PEAS LE PONT DES ARTE
1849
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DI
GIAMBATTISTA MARINO
E DEL SUO STILE
Varie sono le vicende, alle quali siccome le arli hanno a servire
le lelterc, la bellezza delle quali non così tiene presi gli occhi e le
menti degli uomini che non si lascino tirare da ombre che han faccia
di vero, e non si stanchino de’ cibi i più succosi e i più squisiti, per
pascersi di grossi e privi d’ogni virtù nutritiva. A nissuno è ignoto
che dopo Cicerone c Virgilio, fiumi d'eloquenza, vennero Seneca e
Lucano, impuri torrenti , dopo Dante e Petrarca , i secentisti ; dopo
Alfieri e Byron, dai quali verri questo secolo nominarsi, un’in-
finita schiera di versificatori vuoti di sapienza e d’ affetto. Questi
esempi ci paiono utilissimi alla storia del Buono e del Bello, e però
non shrà vano il parlare d’ un Poeta, fattosi per abbondanza d’inge-
gno capo di corruzione, c della quale, per istrana vicenda, abbiam
pur ora vive l’immagini.
GiAMnATTisTA .Mari>o nacquo a Napoli nel 15G9 di padre giurecon-
sulto. Veduto il figliuolo nemico a quegli studj tanto cari e pei quali
aspettava in lui un erede di quel po’ di gloria venutagli dalla giu-
risprudenza, sdegnalo di saperlo volto all’arte povera del poeta,
cacciollo di casa, c gli fu avaro di pane. .\t duca, di Bovino »
ed al principe di Conca, grande ammiraglio del regno di Napoli,
venne fatto di leggere alcuni versi del giovane, e scorgendolo di fe-
condissima vena, furongli generosi di conforto ed aiuto. Chiaro era
l’ammiraglio per l’amor suo a’ letterati di che gloriavasi, e però le
amicizie de’ migliori ingegni non mancarono al Mari.no, e così
'crebbe in lui dottrina ed amore alla poesia per la quale aveva avuto
a vile le discipline civili e canoniche^ Nò picciolo vanto fu a lui di
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II
DI GIAMBATTISTA MARINO
vedere ed ammirar vivo Torquato Tasso che nella dolce aria na-
tiva ristoravasi allora dalle molte ingiurie di Fortuna. Forse più
che non dovesse fu il Marivo vago d’ amori, anzi disse alla sua
maniera :
Quelle catene In eh' lo son preso e vinto
Insieme colle fasce mi legaro.
E tanto se ne compiacque da farsi istrumento alla pericolosa tresca
d’ un amico, ma squarciato quel velo e condotti tutti e due prigioni,
non potè uscire che morto improvvisamente il compagno. Kè la
bellezza di Napoli potò vincere in lui il dolore della sciagura, al
quale sperò un refrigerio partendosi precipitoso. Pietro Aldobran-
dino , cardinale , avutolo a se in Roma, il condusse a Ravenna c
poi a Torino. I versi del giovane non cranvi ignoti e il duca
Carlo Emmanuele, letto il panegirico che di lui avea fatto il Poeta ,
cbbclo a segretario c lo decorò della croce di San Maurizio. Gasparo
Mortola , poeta e familiare pur egli a quel principe , invidioso delle
grazie onde il padrone era cosi largo al forestiero, s’ argomentò vin-
cere il rivale svillaneggiandolo. 11 Marino allora non potè tenersi di
farsi bcITe in un sonetto di quel poema del Mondo creato, onde il
Muntola menava tanto rumore. Rispose questi con una satira intito-
lala : Compendio della vita delcavalier Marino. Nè fini qui il furore
letterato, chè il primo scrisse la Marineide , Risate del Murtola, e
r altro la Murtoleide, Fischiate del Marino. Questa non fu solo guerra
d’inchiostro, perchè il Mortola troppo vedutosi inferiore a quella
lotta, perdutone il senno daddovero , appostato un dì il Marino, la
rabbia fece errar la mano, chè in quella vece ferì d’archibugiata
un compagno al Poeta e amico al duca. Parlò il Marino di quella
vendetta, e l’ antitesi campeggia nella descrizione di quel colpo
che pur non era una baia :
Girò l' infausta chiave, e le sue strane
Volgendo intorno e spaventose rote.
Abbassar fe’ la testa al fero cane
Che In bocca tien la formidabii cote.
Sicché toccò le macchine inumane
Onde avvampa il baien che altrui perente,
E con fragore orribile e rinihonibo
Avventò contro me globi di piombo.
E qui viene a rallegrarci una virtù del Marino. Fatto prigione
l' uccisore del cortigiano, avrebbe della lesta pagalo il fio di quella
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E DEL SUO STILE.
Ili
malia vernicila, se il Pocla non avesse avulo il cbieslo perdono.
Quesle furono le grazie rendulegli dal Murlola, clic parlilo per
Roma, Irovalo il poemclio della Cuccagna, scritto dal Makho in
gioventù, e venutegli scoperte alcune ottave in cui potessi far per-
suaso il duca, che in esse il Poeta avesse voluto larlo segno ad in-
giuria, mandolle a Torino, e godè di saper prigione I’ emulo gene-
roso. Corta fu la difesa, nè lunga la prigionia del Mabivo. Invitato
dalla regina Margherita, rifuggiossi in Francia, parutagli più sicuro
porto.
Maria de’ Medici non gli fu meno cortese della morta regina; chè
anzi l'apoteosi fattane nel poemetto il Tempio, foco montare la
pensione del Poeta a dieci mila franchi incirca. Il re c la corte
furono larghi di grazie al Marino. Compilo il Poema dell’ bi-
done ogni copia manoscritta di questo, dicesi, fosse venduta cin-
quanta scudi d’oro. Stampalo in Parigi nel 1623, le lodi toccaron le
stelle. •> Questi amici che lo hanno sentilo, scriveva egli, ne vanno
'])azzi. •
Nè del Poema dell’ilrfone avvisiam noi dover lacere senza biasimo,
e perchè è la prova di quel che potesse l'ingegno del Marino c per-
chè fu delizia d’un secolo. E non è forse senza pericolo il parlarne ;
se si pensi, aver egli in quello, siccome in molte sue liriclie, falla
strumento d’infido diletto quella Poesia il cui ufficio è dilettare
giovando, ed il vero, assai volte amaro, render soave. Noi afl'er-
miamo perù che la vaghezza e la novità delle descrizioni d’ogni
genere c la fecondità , più presto inaudita che rara, onde i versi
paiono nati fatti, e che non viene mai meno per ben venti lunghi
Canti, induce anche adesso maraviglia. Ma di questa fecondità
grave è la noia, perchè oltre le bizzarrie, arguzie e bisticci, ha
tale con lei una schiera di metafore e di similitudini , da parere
assai volte un vocabolario di figure rcttoriche. Chi avesse ta-
lento di vederne un saggio, getti gli occhi in sulle [irime ottave del
Canto IV, ov’è parlalo della virtù che più è oppressa, più in alto si
leva, e in quelle del Canto XII, ove gridasi contro la gelosia. Ma
chi leggerà il canto X le Maraviglie, c nel quale Mercurio dimostra
a Venere salila in cielo con Adone, tutto che contiene il mondo
nostro, vedrà quanto fosse l’altezza e la dottrina del Marino, dio
in questo Canto non si lasciò governare da quella prepotente fan-
tasia che troppo spesso trasportollo in altri a voli infelici. Del quale
errore più presto che il Poeta debbono accagionarsi le smisurate
Iodiche di lui risuonarono in Italia ed in Francia. «Or quanto, dice il
Crescimbeni nella sua Storia della volgar Poesia, fosse apfilaudita e
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IV DI GIAMBATTISTA MARINO
Stimata una sì smoderata licenza non sarebbe agcvol cosa riferire e
dare altrui a comprendere, se la vicinanza del tempo non ne avesse
trasportato intero il grido anche alle nostre orecchie e fattici udire
appianai di quella sorta chè nè Dante, nè Petrarca, nè il Tasso in lor
vita, e per avventura ninno degli antichi Greci e Latini ebbe fortuna
vivendo di guadagnarsi. »
Claudio AchHIini che Luigi XIII premiò dì oltre cinquemila
franchi per una Canzone, scriveva di Bologna al Mìrivo ; « Nella
più pura parte dell’ anima mia sta viva questa opinione, che voi
siate il maggior Poeta di quanti ne nascessero o tra’ Toscani, o
tra’ Latini, o tra’ Greci, o tra gli Egizi, o tra gli Arabi, o tra’ Caldei,
o tra gli Ebrei... lusomma Tapi di Pindo non sanno stillar favi piu
dolci di quelli che fabbricano nella vostra bocca e la fama poetica
non sa volar con altre penne che con la vostra. L’ invidia poi de’
vostri detrattori non sente i suoi funerali più risoluti che nelle mie
parole. » Nè il Marino ebbe solamente maravigliose lodi da poveri
ingegni, c ne piace rapportar quello che il cardinale Bcntivoglio
scrivevagli a Parigi, perchè l’esempio d’ un ottimo faccia meno
strano Terror de' mediocri :
« Se non ho potuto goder la vostra conversazione, ho goduto al-
meno quella de’ vostri versi nell’ armonia della vostra dolce Sampo-
gna. Per istrada questo è stato il mio gusto, ed ora che sto ferroo'
questa è la maggior ricreazione eh’ io abbia. Oh che vena ! oh che
purità! oh che pellegrini concetti ! Ma di tant’altri vostri componi-
menti, che sono di già o finiti o in termine di finirsi, che risolu-
zione piglierete ? (Iran torlo in vero fareste alla gloria di voi mede-
simo, alla liberalità d’un re così grande , alla Francia ed all’ Italia ,
cospiranti in un volo stesso , o più tosto emule nella participazione
de’ vostri ap[ilausi, se ne dilVeriste più lungamente la stampa. So-
prattutto ricordatevi, il mio caroCavìilicre,di grazia, come tante volte
v’ ho detto, di purgar V Adone dalle lascivie in maniera, ch’egli non
abbia da temere la sferza delle nostre censure d’ Italia , e da morir
più infelicemente al line la seconda volta con queste ferite, che non
fece la prima con quelle altre che favolosamente da voi saranno
cantate. Confido però che non vorrete essere omicida voi stesso de”
vostri parli. Fra tanto goderemo il suono di questa soave
in fronte della quale, perchè avete voluto voi porre quella lunga lei-
tera, o più tosto apologia, aU’Acbillini ed al Preti ? Troppo aveteab-
bassata la vostra virtù, e troppo onorato il livore de’ vostri malevoli.
All’invidia il maggiore castigo è il disprezzo, e mai saetta non ferì
il cielo. Chi è giunto alla vostra eminenm, non deve fhr caso alcuno
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V
E DEL SUO STILE.
di quattro o sei ombre vane, che non concorrono a’ comuni ap-
plausi di tutto il teatro. »
A meglio conoscere il Makino e le intenzioni del suo stile, assai più
delle nostre parole e di quelle d’altrui, giovano le sue. Però |mre
a noi non inutile opera il porre innanzi al Lettore la lettera so-
praddetta dove si vedrà come il concerto di lodi che gli risuo-
navan d’intorno, avesse tanta forza nel Poeta da impedire la mo-
destia :
Il Cavalier Marino a Claudio Achillini.
« In un medesimo punto e per una medesima mano ho ricevuto
insieme due lettere a me carissime, l'una vostra, l’altra del signor
Preti ; care dico , perchè mi vengono da due de’ più cari amici ,
ch’io mi abbia al mondo; e care anche, perchè caramente mi lo-
dano c mi lusingano. Risponderò a voi, ma parlerò con l’uno e con
l’altro, perchè voglio, che siccome ad amenduc è comune una
istessa patria ed una istessa affezione, così eia ancora ad amendue
comune una mia sola risposta. Ma piano di grazia , piano con
tanti encomi, chè se l'Invidia vi sente, voi le farete scoppiare il
fiele. So che siete troppo teneri dell’ onor mio, e che soverchio
amore vi fa smoderare. Lasciarsi però tanto trasportar dall’siletto,
che si trabocchi in iperboli, lodandomi in guisa, ch’io conosca la
loda trapassar di gran lunga la capacità de’ meriti miei , questo mi
fa doppiamente vergognar di me stesso. Forse il fate per dimostrar
l’altezza del vostro spirito, il qual siccome in tutte l’ al tre -operazioni
tenta sempre l’eminenza e cerca la sovranità, cosi ancora lodando,
non contento delle lodi ordinarie, trascende i gradi mezzani e si
difionde negli eccessi. Certo io debbo prenderle senza alcun so-
spetto d’adulazione, sì perchè da animi così candidi, come sonoi
vostri, eziandio quando si lasciano cadere in passione di parzialità,
non si può sperare altro, che gìudicio sìncero, sì perchè essendo la
loda frutto della virtù, non deve stare in su i termini della Irivialì'.à.
Anzi (se mi è lecito dirne con libertà la mìa opinione ) io per me
stimo migliori e più tollerabili le detrazioni gravi , che le ludi me-
diocri. Colui che biasima, quanto il fa con maggiofi^eroenza ,
tanto meno è creduto , perciocché quanto i biasimi sottcrflù acerbi ,
più il fanno conoscere per nemico del biasimato. MaJBohùsche loda
.lindamente ed a bocca secca, discopre o malignità db^orc in
occupare quelle qualità dell’ amico, che non si deono lacere, o pe-
nuria d’ingeguoin non saper ritrovare invenzione da lodar con effi-
cacia, nè parte alcuna nel lodato, che possa meritar l’altrui loda.
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VI
DI GIAMBATTISTA MARINO
Per questo ragioni tutte quSnte le lodi , che dalle vostre penne, «
dalle vostre lingue mi sono attribuite, si riflettono in voi stessi, per-
chè lodando sì bene, date ad intendere a chi legge ed a chi ode,
che sapete eccellentemente lodare anche coloro che non sono
lodevoli. Comunque sia, s’ìo dicessi, che Tesser lodato non mi
piace, senza dubbio mentirci, che la loda è una musica che diletta
a lutti ed un incanto, ch'agli aspidi istcssi per ascoltarlo, farebbe
cavar la coda dell' orecchio. Che sarà poi , quando la loda esce di
bocca di persone lodale? Quella invero si può chiamar loda glo-
riosa, e l’ambizione del gloriarsene è ragionevole , laddove al con-
trario i lodatori indegni allora commendano quando vituperano , ed
allora avviliscono quando esaltano, perciocché ne’ lodati da cotali
uomini si presume conformità di costumi, e negl’ ingiuriali contra-
rietà. 1 veri- onori e le vere glorie si derivano da’ par vostri , c
s’ alcun di voi dicesse mal di me, allora non potrei fare di non af-
fliggermi, e restarne morliKcalo, perchè crederei fermamente, che i
mici difetti avessero sussistenza , per essermi accusali da chi ha in
se la dottrina uguale alla integrità. Voglio adunque, che la fede, che
voi avete fatta del mio picciolo valore, sia autenticata dalle slampe,
e che a guisa d’un privilegio immortale sia posta in su ’l fronte-
spizio dell’ opere mie, si perchè a lutto il mondo sia palese T ono-
rcvolezza che mi viene da testimoni sì grandi ; sì per obbligami in
un jnedesìmo tempo a sostentare, quando occorra il bisogno, quel
che avete di me una volta scritto. Più mi glorio io, che TAchillini
intelletto mirabile, la cui feconda miniera produce sempre nuove
ricchezze di concetti preziosi ; e il Preti spirito dilicalissimo, nel cui
stile Geriscono tutte le delizie c tutte le grazie delle Muse, mi ab-
biano celebralo nelle lor carte, che non mi turbo de’ cicalecci di
mille balordi, che mi vanno lacerando la fama. Più mi pregio, che
il conte Ridolfo Campeggi, una delle più franche penne , che oggidì
volino per lo cielo italiano, nel suo Poema delle Lagrime della Ver-
gine abbia fatta onorata menzione di me, che non mi tribolo,
clT alcun moderno Archimede, fabbricatore di mondi nuovi ne’ suoi
stracciumi indiani , abbia motteggiato sopra il mio nome con vili-
pendio. mi piace di vedere nella Primavera di monsig. Giovanni
Bolero, nomo consumato nelle lettere ; e nelTi4Mt«nno del conto
Lodoviflp d’Agliè, suggello compiuto in tutte quelle condizioni, che
si riebti^ono a cavaliere e a letterato, vivere registrata la mia
memoria, che non mi attrista T avermi sentito traflggerc con acute
punture dalle schìcchcralrici delle Scanderheidì. Più mi giova, che
prima dal conte Lodovico Tesauro , tesoro veramente non meno
E DEL SUO STILE. VII
d’incomparabil gentilezza, che di scelta e peregrina erudizione; e
poi dal Capponi, dal Dolci, dal Forteguerra e dal Valesio, cime e
fiori degl’ingegDi elevati, sia stata abbracciata la mia difesa contro
l’altrui opposizioni con si dotte risposte, che non mi nuoce l’essere
stato sindicato con oltraggiose e mordaci esumine dai fiscali della
Poesia, Amo meglio, che in molte famose Accademie d’Italia, c
principalmente in quella degli Umoristi di Roma , paragone dove
s’affina l’oro del vero sapere, si sieno più volte avute pubbliche le-
zioni sopra i miei componimenti, privilegio a nìuno altro degli scrit-
tori vivi conceduto, eccetto a me , che se fossi stato buccinato per
divino dalle rauche trombe d’ infiniti ignoranti. Non darei l’ onor
fattomi da Filippo di Portes, dal marchese d’Urfè, da mons. il Sec-
chi, da mona, di Vaugelà , da monsig. di Brussin, da altri nobilis-
simi ingegni, che si sono compiaciuti di tradurre gran parte delle
mie composizioni in francese, per quanto mi potesse dar di grido la
garrula voce di tutta la turba volgare. Non vorrei non ritrovarmi
appoggiato all’ autorità del P. Giulio Mazzarini, torrente d’eloquenza
e specchio di bontà , che nell’ ultima parte del suo Miierere si è ab-
bassalo a comprovare molle sue proposizioni con le sentenze de’
miei versi , per centomila vane acclamazioni , che potessero fare in
mia loda le bocche di tutto il resto de’ goffi. Mi basta, eh’ un Cardinal
di Perona , oracolo e miracolo di sapienza , un cavalier Battista
Guarini , un conte Pomponio Torelli , un conte Guidobaldo Bona-
relli, un Ascanio Pignatellì , un Gio. Battista Attendolo, un Ca-
millo Pellegrino, un Celio Magno, un Orsatto Giustiniano, un Ber-
nardino Baldi, un Filippo Alberti, un Scipione della Cella, lumi
del secol nostro tra’ morti; e mi basta, eh’ un cardinale Ubaldini,
ornamento delle porpore e splendore delle scienze, un monsig. An-
tonio Castano , un monsig. Antonio Querenghi , un monsig. Por-
firio Feliciani , un monsig. Scipione Pasquali , un abate D. Angelo
Grillo, un Gabriello Cbiabrera, un Guido Casoni, un Gio. Battista
Stroast, un Ottavio Rinuccini, un Giulio Cesare Bagnoli, un Pier
Francesco Paoli , simulacri della immortalità tra’ vivi, parte con
vive voci in diverse corone di virtuose ragunanze , e parte con pri*
vale lettere scrittemi di lor proprio pugno , abbiano testificato
quello istesso, che ora mi viene ratificato da voi. Questi sì , che son
personaggi, i quali possono o parlando, o scrivendo recare altrui
onore, o disonore; e quando costoro mormorassero di me, avrei
ben giusta cagione di rammaricarmi. Ma ciò non può essere, perchè
i savi e i buoni non sanno dir se non bene, siccome gli sciocchi c i
malvagi non possono dir se non male. Poco ho io a temere sotto lo
vili DI GIAMBATTISTA MARINO
scudo di campioni siflalli le saette spuntate degli avversari male-
dici; e poco debbo curare con la guardia di tal patrocinio le vele-
nose zanne de' cagnacci arrabbiati. Il meglio è lasciar quelli bravare
al vento finché si stanchino , e questi abbaiare alla luna tanto che
crepino. Che m’ importa , avendo io meco (oltre l’ universale ap-
plauso della moltitudine) la favorevole protezione di chi più sa,
1’ essere maltrattato no’ Poemazzi pasquineschi dagl’ imitatori di
Bovo e di Brusiano ! Lodato pure il Cielo, che almeno non hanno
avute altre armi da pungermi , che titoli gloriosi , onde in vece di
piccarmi , mi hanno più tosto onorato. Ch’ io mi sia figliuolo della
Sirena , noi nego, anzi me ne vanto ; ma coloro, che ciò mi rinfac-
ciano per obbrobrio, vengono tacitamente a dichiarare, eh’ essi noi
sono. La somiglianza della scimia non so come mi possa ben conve-
nire, poich’io non mi son giammai piegato a contraffar loro, come
eglino hanno contraffatto me. Così fanno appunto alcune buone fem-
mine, che quando talvolta vengono a garrire con donne oneste ,
prima che sieno ingiuriate di puttane , le prevengono col proprio
nome. Mi hanno contraffatto dico, imitandomi non con emulazione,
ma con isfacciataggine, non solo nel soggetto d’ alcun poemetto fa-
voloso, giada me disteso in sonetti, e con ogni co4tdcnza comunicato
loro a penna in Napoli prima che si stampasse ; non solo nella
divisione delle rime liriche in capi, ordine da ninno altro osservato
prima che da me, c poi seguito da essi ; non solo nella forma de’ pane-
girici in sesta rima, nella quale con l’ occasione del natale di qualche
principe hanno traccialo il mio stile, ma ne’ concetti particolari
de’lor canzonieri ; e non solo in quelli de’ canzonieri , ma in quelli
delle lor colombaie ; e non solo ne’ concetti, ma ne’ versi ; e non solo
ne’ versi , ma ne’ nomi istessi delle persone, che vi sono introdotte,
ancorché ad altri poeti non ben conosciuti ne sieno stati parimente
tolti parecchi di peso. Ma non è tempo ora da spianar queste ciferc.
Se per l’innànzi sarò irritalo d’ avantaggio, dimostrerò senza alcun
rispetto più distintamente queste ed altre cose, le quali non piace-
ranno punto a chi prende ardimento di stuzzicarmi. Farò» veder le
bassezze innumcrabili, le sciapitezze inenarrabili, le durezze iusop-
portabili , gli storcimenti del buon parlare , le conlradizioni delle
sentenze, i barbarismi delle frasi, gli storpj della lingua, le freddure
degli aggiunti, le meschinità delle rime, infino alle falsità delle de-
sinenze , scappate che non si possono scusare , perciocché non son
notale nel registro degli altri errori. Allora chiaro vedrassi ehi sia
la bertuccia del mare, e chi il babbuino della terra, o io, Che (la Dio
mercé) son pur lodato da voi , o altri , che per voler fare un saltcUo
f
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IX
E DEL SUO STILE,
dietro al Tasso , discoprendo il tondo pelato con quanto di vergo-
gnoso s’ appiatta , sotto la coda , ha data assai piacevo! materia al
riso popolare. Hanno procurato di-giustificarsi meco , afiiaticandosi
inutilmente intorno a certe interpretazioni ridicole e puerili ; come
se noi non sapessimo assai meglio di loro, che quando si vuol mor-
dere , si ricorro all’ equivoco , e si scherza col doppio , acciocché
possa in ogni caso il poeta lasciare il senso metaforico, c salvarsi
nella ritirata del proprio , giuocando come i zingari a eh’ eli’ è den-
tro, e ch’eli’ è fuora. lo per mene rimango quieto, se non soddisfatto,
e siccome non curo altra giustificazione all’ altrui perfidia, che il giu-
dicio del mondo, così non cerco altra vendetta alla mia offesa, che
quella istessa che ne fa il caso , o che ne fanno più tosto i propri
libri loro, ì quali o non essendo letti, o essendo letti con irrisione,
terranno per sempre sepolte insieine con le glorie loro l’ ingiurie
mie. Altro ci vuole per illustrarsi, che con discorsi spccolalivi pre-
sumere di far paralelli e riscontri tra i suoi scartabelli, e la Gerusa-
lemme liberala, se poi alla j)rova le misure riescono corte , e si fa
come il gallo, che canta bene, ma ruspa male, romanzando in uno
Btilaccio sì sciagurato, che pare appreso dagl’ improvvisanti di Pu-
glia, 0 da’ pitocchi di Spoleto. L’importanza consiste nell’alto pra-
tico, c non nelle parole; bisogna sapere operare e porre ad effetto
quel che si predica , perché molli conoscono il buono , ma pochi
r attingono ; e chi non é nato a questo , rivolgasi ad altri studj, ché
il moitdo può ben passarsela senza un poeta. Vaglia però a dire il
vero, egli non si può negare, che costoro, de’ quali io parlo, sebben
mancano nella felicità dello slil poetico (ch’alia fiqc é dono più di
natura, che d’arte) sono per altro nondimeno dolati di buona cogni-
zione di belle lettere e di finezza di giudicio ; e se questo talora
s’ inganna, se ne può recar la colpa all’ affezione delle cose proprie.
Il peggio è , che vi ha certi giovanotti , i quali appena spoppali dal
latte de’ primi elementi , vorrebbono subito esser maestri ; e per
aver dato fuora un quinternuzzo di sonetlini c di madrigalelli, quasi
tutti scroccati 4alle mie cose , mi fanno il concorrente addosso ^ c
perciocché sono stati loro rimproverati i furti, si sono ingegnati di
levargli via ristampando il libretto in altra forma ; ma hanno con
tutto ciò saltato meno in camicia, che in farsetto. Oltre che nelle lor
pistolesse a’ lettori (dove non ha però streccio di grammatica) vanno
ombreggiaudoja mia persona, e tra’ denti cinguettando del fatto
mk). Mostrano sdegno e rimordimento, si lamentano ed arrabbiano,'
che nel proemio fatto dai Claretti nell’ ultima parte deHa mia Lira si •
iusse parlato troppo alla libera intorno a certe Arpiette dall’ ugne
X
DI GIAMBATTISTA MARINO
uncinute, che vanno rapinando i concetti altrui. Quando si riprende
un vizio in generale, ed altri appropria a sè stesso solo quel che si
può intendere di molti, è segno eh’ egli non baia coscienza ben
netta. Aggiungasi di più, che per discolpar sè stessi e difendersi dalle
imputazioni apposte loro, si sforzano di discreditar me, rovesciando '
in me il medesimo fallo. Se confessasscr» con modestia di ricono-
scere il bene da chi ’l ricevono, c’ si potrebbe pure farne passaggio ;
ma il volere abbellirsi del mio, e di più nascondendo la fraudo, cer-
care ingratamente d’ intaccar la mia riputazione, questo mi fa rom-
pere ogni freno di sofferenza. Perchè par loro strano , eh’ io abbia
tanta varietà di cose composta, nò sanno comprendere da qual
fontana scaturisca una si larga vena, dicono, che ho tolte anch’io
delle poesie dal latino c dallo spagnuolo. Permettetemi (vi priego)
eh’ io con una breve digressionetia mi vada alquanto dilatando
intorno a questo punto. 1.’ incontrarsi con altri scrittori può ad-
divenire in due modi, o per caso, o per arte. A caso non solo
è impossibile, ma è facile essermi accaduto, c non pur con Latini,
o Spagnuoli, ma eziandio d’altre lìngue, perciocché chi scrive
mollo non può far di non servirsi d’ alcuni luoghi topici comuni,
che possono di leggieri essere stati investigali da altri. Le cose
bello son poche, o lutti gl’ intelletti acuti quando entrano nella
specolazione d’ un suggello, corrono dietro alla traccia del me-
glio, onde non è maraviglia, se talora s’abbattono nel medesimo;
nè mi par poco in questo secolo , dove si ritrova occupala la
maggior parte dello bellezze principali , quando tra molte cose ordi-
narie si reca in mezzo qualche dilicatura gentile. Ad arte c a bello
studio si può fare altresì per uno di questi tre capi , o a fine di tra-
durre, 0 a fine d’imitare, o a fine di rubare. 11 tradurre (quando
però non sìa secondo l’ usanza pedantesca) merita anzi loda, che ri-
prensione; nò vi mancano esempi di mollissimi uomini egregi , ì
quali comcchò per sò stessi fussero fertilissimi ritrovatori, non
hanno con tutto ciò lasciato aneli' essi d’ cscrcitarvisi. Tradurre in-
tendo, non già vulgarizzarc da parola a parola, ma con modo pa-
rafrastico mutando le circostanze della ipotesi, ed alterando gli
accidenti senza guastar la sostanza del sentimento originale. Ho tra-
dotto senza dubbio aneti’ io talora per proprio passatempo c talora
per compiacerne altrui ; ma le mie traduzioni sono state solo dal
latino, o pur dal greco passalo nella latinità, e non da altro idioma,
e sempre con le mentovate condizioni ; sebbene ancor questo sov-
viemmi aver fatto pochissime volle, c queste poche le riduco sola-
mente a due canzoncine trasportale da due elegie d’Ovidio, e stam-
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E DEL SCO STILE. ' \l
paté nella terza parte della mia Lira, cioè a dire i Trastulli estivi, c
V Incostanza d' Amore. Qualora si prende da autori noli, non si può
dubitare di ladroneccio, perciocché son luoghi pubblici, ed esposti a
tutti gli occhi , che non aien ciechi, onde si concedono a chi prima
gli occupa , come le gemme sparse nel lido del mare. E siccome
Virgilio non arrossi di rramettcre nella sua- Eneade i versi intieri
d’ Ennio e di Catullo; nè altri lirici ed epici toscani si hanno re-
cato ad onta di servirsi di quelli di Dante e del Petrarca ; così chiun-
que da essi, o da altri piglia a volgere in diversa lingua alcun pas-
saggio più lungo, presuppone che si sappia da coloro , che son
versati tra’ poeti , nò deve esserne chiamato usurpalore.<SLnche tra
gl’idillj della mia Sampogna un ve h’ha, il qualea pripia visla potrà
forse parer Iraslato da altro linguàggio straniero, tuttoché il primo
ed antico Tonte, da cui procedono amendue i nostri ruscelli , sia
Ovidio, e forse prima d’ Ovidio alcun altro Greco. Io l’ho poi (se non
in’ inganno) aiutalo, illustrato ed ampliScato con diversi episodietti
e descrizioni , onde quel che v’ è rimaso del suo primiero autore, é
sì poco, che si può dir quasi nulla, né so s’ egli stesso così travestito
il riconoscerebbe per suo. Or avvengaché per esser le suddette coso
(come dissi) da me accresciute ed arricchite di molti lumi, che per «
l’addietro non avevano , io possa dire d’aver sopra di esse qualche
giusta giuridizione , e d’ essermene non senza ragionevole autorità
insignorito, non voglio con tutto ciò esserne tenuto legittimo pos-
sessore. Sìcnsi traduzioni , per tali si smaltiscano , spcndansi per
quel che vagliono,' non le vendo come mie, né pretendo di esse altra
loda, che di fatica. Ma che diranno questi tali, s’io farò loro toccar
chiaramente con mano, che que’met^esimi componimenti, de’ quali
essi mi appellano traduttore, sono stati dal mio esemplare tradotti?
Adunque tante mie poesie, che da’ sopraccennali e da altri begli
ingegni sono stale messe in favella forastiera, e che poi sono parte
uscite alla pubblica stampa e parte vanno in volta a penna, si dovrà
dire di qua a qualche anni, che non sieno originariamente mie? Lo
mio rime prima che impresse fussero, e specialmente quelle della
detta ultima parto, sono ile un gran tempo attorno per tutte quante
le mani , e dopo l’ impressiono per molle reiterate edizioni hanno
avuto tanto di dispaccio, che chiunque ha voluto o tradurne, o car-
pirne qa^IBlé^jtQ , ha ben potuto scapricciarsi a sua volontà. Or
se così è, pércne^questi malignetli avanti che detrarre alla mia i ^
fama, seminando sì fatto menzogne per le stampe, non si sonP.^pJ|
formali del vero? Ha poniamo anche, che vero fosse, ch’io peMn^^K
stallo avessi due o tre sonetti tolti alla Spagna, o alla Francia, e dati ^ ■
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XII
DI GIAMBATTISTA MARINO
all’ Italia, perchè con fare alla lor madre questo torto, la quale di
simili frutti è altrctlanlo feconda, quanto quell’ altre due pra;vincic
ne sono sterili, defraudandomi iniquamente della loda in quella
parte che mi si deve, ne tacciono le migliaia fatte di mia propria ed
assoluta inveazionc? Vengo dal tradurre aU’imitare; nè parlo di
quella imitazione , la qual dice Aristotele esser propria del poeta ,
quella che si confà con la natura , e da cui nasce il verisimile e per
conseguenza il dilettevole: ma di quella, che c'insegna a seguir le
vestigia de’ maestri più celebri, che prima di noi hanno scritto.
Tutti gli uomini sogliono esser tirati dalla propria inclinazione na-
turalmente ad imitare ; onde l’ immaginative feconde e gl’ intelleUi
inventivi ricevendo in se a guisa di semi i fantasmi d’ una lettm»
gioconda, entrano in cupidità di partorire il concetto chen’a))-
prendono, e vanno subito macchinando dal simile altre fantasie, c
spesso per avventura più belle di quelle, che son lor suggerite dalle
parole altrui , ritraendo sovente da un conciso e semplice molto
d’ un poeta cose, alle quali l’islesso poeta non pensò mai, ancorch’
egli ne porga l’occasione e uc sia il primo promotore. Questa imi-
tazione può essere o negli universali, o ne’ particolari. L’universale
consiste nella invenzione e nelle cose; la particolare nella sentenza,
e“T)elle parole; l’una è propria dell’eroico, l’altra s’appartiene più
al lirico; quella ha più del poetico e si può meglio dell’altra nascon-
dere, questa è più sfacciata e manco lodevole. Tralascio inhniii
esempi amichi , e tocco solamente i due epici eminenti dell’ età più
vicina a noi. L’ Ariosto ha (secondo il mio giudicio) assai meglio, che
il Tasso non ha fatto, imitali i poeti greci e latini e dissimulala
. r imitazione. Chi direbbe mai, che Astolfo con l’ippogrifo sia imi-
tato da Perseo? lo scudo d’ Atlante dal teschio di Medusa? Isabella
uccisa da Rodomonte, da Medea con le sorelle di Giasone? l’Orco
con Norandino, da Polifemo con Ulisse? Orrilo dall’Idra? fi vero,
che talvolta non ha saputo nel celare esser tanto accorto, che non
si sìa discovcrta la ragia. Ondo all’incontro chi non direbbe subito,
che Olimpia abbandonala da Direno, sia imitala da Arianna abban-
.^hmata da Teseo? Angelica esposta al mostro marino, da Andromeda
condannata ad esser divorala dalla balena? Rodomonte nell’ assedio
di Parigi, da Capaneo in Tebe? Cloridano e Medoro, da Niso ed Eu-
rialo? Sobrino, da Nestore? l' Arpie, dall’Arpie di Virgilio? l’ Amaz-
zoni, dall’ Amazzoni di Stazio? il cerchio della luna, dal cerchio
della luna di Luciano? Il Tasso all' incontro è stato nilggiore e più
manifesto imitatore delle particolarità , perciecchc senza velo al-
cuno frapporla ciò ebe #itole imitare, usando assai forme di dire
> E DEL SUO STILE. XIH
ed elocuzioni latine, delle quali troppo evidentemente si serve; sic-
come poco piu destro parmi che dimostrato si sia nelle universalità.
Onde il nascimento di Clorinda ci fa subito ricordare del nascimento
di Cariclia in Eliodoro; lo sdegno di Rinaldo, dell’ira d'Achille
in Omero ; l' inferno e ’l consiglio de’ demoni, dell’ uno c del-
l’altro in Claudiauo e nel Trissino; la battaglia tra i diavoli e gli
angioli nella espugnazione di Gerusalemme, del contrasto degl’ Iddii
presso Omero nella distruzione di Troia; la sete del campo, della sete
in Lucano; Tancredi, ch’uccide Clorinda, dì Cefalo, che saetta Pro-
cri; la Furia che stimola Solimano, della Furia, ch’irrita Turno;
Rinaldo quando parte da Armida, d’Enea quando lascia Didonc;
Armida che fuggo nella rotta dcU’escrcito egizio, seguita ed abbrac-
ciata da Rinaldo, d'Abra sconfìtta, ed appunto nel medesimo modo
^disperata perLisvarte. Nell’ una e nell’ altra foggia mi sono ingegnalo
anch’io d’osservar l’imttazione. Per quel che tocca agli universali,
s’io abbia bene, o male imitato, ancora non si può giudicare dal
mondo, poiché ancora alcuni mici poemi narrativi non sono esposti
al giudicio suo. Per quel che concerne i particolari, non nego d’a-
vere imitato alle volle, anzi sempre in quello istesso modo (se non
erro) che hanno fatto i migliori antichi c i più famosi moderni,
dando nuova forma alle cose vecchie, o vestendo di vecchia maniera
le cose nuove. E s’ io questa sorto d’ imitazione mi abbia male
0 bene asseguita , me ne riporto al parere di chi più di me sa,
purché legga con occhio puro e con animo B)>assìonato quanl’ io ho
scritto. Ora discendo al terzo ed ultimo capo del rubare , sehbcn di
questo, e della differenza eh’ è tra il furto c l’imitazione e della
regola da tenersi nell’ uno e nell’ altra, panni esserne stato ab-
bastanza discorso nel sopradello preambulo della Lira. E qui che
posso, o che debbo io dire? Dirò con ogni ingenuità non esser pun-
to da dubitare, eh’ io similmente rubalo non abbia più di qualsivoglia
altro poeta. Sappia lutto il mondo, che infin dal primo dì eh’ io
incominciai a studiar lettere, imparai sempre a leggere col rampino,
tirando al mio proposito ciò eh’ io ritrovava di buono, notandolo
nel mio zibaldone, e serv endomene a suo tempo ; che insomma
questo è il frutto che si cava dalla lezione de’ libri. Così fanno tulli
1 valenti uomini che scrivono , e chi cosi non fa, non può giammai
per mia stima pervenire a capo di scrittura eccellente, perché la
nostra memoria è debole e mancante, e senza questo aiuto di rado
ci somministra perfettamente le cose vedute quando 1’ opportunità
il richiede. Vero é, che colai repertorio ciascuno se 1’ ha a fare a suo
capriccio e con quel metodo ordinario, che può più facilmente
D ^
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XIV
DI GIAMBATTISTA MARINO
■l
improntargli le materie quando le cerca. Gl’ intelletti aon diversi e
diversissimi gli umori degli uomini, onde ad uno piacerà tal cosa,
che dispiacerà ad un altro; e taluno sceglierà qualche sentenza
d’ un autore, che da un altro sarà riGutata. Le statue antiche e le
reliquie de’ marmi distrutti, poste in buon sito e collocate con
bell’ arliGcio, accrescono ornamento e maestà alle fabbriche nuove.
Perciò se, secondo i precetti e le circostanze nel sopraccitato di-
scorso contemité , razzolando col detto ronciglio, ho pur commesso
qualche povero furtarello, me ne accuso e me ne scuso insieme,
poiché la mia povertà è tanta, che mi bisogna accattar delle ricchezze
da chi n’ è piu di me dovizioso. Assicurinsi nondimeno cotesti
ladroncelli, che nel mare., dove io pesco e dove io traffico, essi non
vengono a navigare, nè mi sapranno ritrovar addosso la preda,
s’ io stesso non la rivelo. Ed almene non mi potranno querelare,
eh’ io abbia loro involato nulla, com’ eglino hanno a me fatto ; onde
si possono ben vantare d’ aver rubato a’ Napoletani, che sono
avvezzi a saper farlo altrui con sottilità e con grazia. Stentino adun-
que col malanno, tanto, che svanisca loro il cervello nel capo, e
crcpino le vene nel petto, se hanno disiderio di gloria, e vogliono
farsi onore. E se non hanno spirito atto a sapere inventar novità,
nè dottrina da potere scrivere con fondamento, riveriscano ed am-
mirino coloro che l’hanno ; nè credano per chiudere un sonettuzzo
con una bella punta ( il che pure alla Gne hanno da me imparato)
d'esser divenuti immortali ; o per istrappazzare il mio nome dopo le
spalle, di deprimer me ed avantaggiar sù stessi nella opinione del
mondo. Ma io debbo di tutto ciò ridermi e dissimularlo, perchè sou
fanciullacci più tosto da scudisciar per burla a colpi di sonetti co-
duti, che da confondere con salde ragioni ; se non eh’ io mi ritrovo
già un pezzo fa avere appeso all' arpione lo slaffii della satira, nè ho
volontà di ripigliarlo , se non son provocato più che villanamente.
Quanto poi alla caterva dozzinale de’ pedanti muffi, de’ critici falliti,
c degli altri correttori delle stampe, che non sapendo giammai per
sè medesimi produrre cosa di buono, fanno tuttavia professione di
Gccare il grifo per tutto crivellando gli scritti e tassando gli scrit-
tori, non ce ue dobbiamo dolere, essendo questo il contrassegno
della virtù e il tocco del paragone. Non deve chi cammina al monte
della Gloria, per la stitichezza di quattro linguacciuti nasuti, a cui
anche le rose putono, tralasciare il corso delle onorate fatiche, che
lo conducono alla Eternità. Siccome i legni hanno i tarli, che gli
rodono, cosi i poeti hanno i censori, che gli flagellano; e siccome il
vento australe è contrario alla serenità , cosi della gloria è stato
D
. E DEL SUO STILB. XV
sempre nemico il livore. Ditemi* furono fors’ eglino nel biasimare
gli altrui sudori, o nel condannargli con perverso giudiuio più mo-
desti gli antichi di quel che si sieno i nostri? L’Orazioni di Demo-
stene ad alcuni parevano smunte ed asciutte, ad Eschine barbare, a
Demadc che olissero di lucerna. Quelle di Cicerone da Calvo erano
stimate trite ed esangui , da Bruto dirotte e dislombate , da altri
aride e secche. Altri al contrario giudicavano il suo dire troppo tur-
gido e gonfio, altri troppo lubrico e Quido, altri molle e ricercato,
altri superstizioso, freddo negli scherzi e poco osservatore dell’ an-
tichità. Didimo grammatico alessandrino scrisse volumi contro di
lui, così parimente Gallo Asinio c Larzio Licinio. Contro Teofrasto
scrisse una certa meretrice, la qual si racconta avergli data grandis-
sima noia. Pollionc not(^n Livio, istorico di tanta eccellenza,
alquante parole padovane. Ed il medesimo poi riprese Sallustio,
principe delle romane istorie , per avere usato un vocabolo in altra
signi&canza, che non portava la sua etimologia. Lucilio, che fu il
primo (secondo che dicono) a fare il punteruolo ed il postillatore
dell’ altrui fatiche, quanto acerbamente lacerò Euripide, Accio,
Ennio, Pacuvio ed altri poeti classici del primo secolo? E pure
Orazio riprende lui, notandolo d’impurità. Or come può mai chi
scrive soddisfare a tanti appetiti, se non ha i sapori della manna,
che si affaceva con tutti i gusti? o come guardarsi da simili zanzare
fastidiosette, che senza perdonare a chi che sia pungono rabbiosa-
mente? Non ha dubbio, che ciò per lo più non d’altro fonte suol
nascere, che d’invidia, |>crchè pensano costoro col censurare gli
uomini illustri di rischiarare i lor nomi rugginosi ed acquistarsi
qualche grido, chò altrimenti sempre abbietti c sconosciuti se no
slarebbono ; in quella guisa istessa, eh’ Erostrato con l’incendio del
tempio di Diana si fece famoso, e Pilato per la scelleraggino della sua
ingiusta sentenza si canta ogni giorno nel simbolo per le chiese.
Certo colui, che fu il primo a porre il nome a questo vizio, con gran
ragione chiamollo invidia, poiché l’invido par che non vegga l’altrui
bene, ma osserva solamente il male, e tutte quelle cose lasciando
da parte, che in una scrittura sarebbono per avventura lodevoli,
volge gli occhi solo a que’ pochi mancamenti, che potrebbono essere
riprensibili. Orazio, quantunque fusse giudice de' poemi molto severo,
sapendo nondimeno le difficoltà, che nel comporre si passano, si
contentava di rimetter loro molti falli, che gli parevano degni di
perdono ;
c Sunt delieta tamen, quibus ignovisse velimi»,
€ Naai nec corda sonum reddit, quem vult manus et mena.
TSXl
DI GIAMBATTISTA MARINO
■ V.
• PosceMiquc graveui, perucpc remluU acutum,
« Ncc sctnpcr fcrict quodcunque oiirabilur arcua. >
E conoscendo egli oltimamenle, che non tutte le palle (come dir si
suole) riescono ri tonde, c che in un bel corpo si può tollerare qual-
che neo, qualche pedo, o qualche picciola ruga, senza prcgiudicio del
resto, scusava molte colpe leggiere no’ componimenti in quegli altri
versi :
c Veruni ubi plura nitcìU in carminc, non ego paucis
€ Uffemlar oiacuìis. •
Veramente soverchio rigore gli parera voler guastare l’integrità del
lutto per una particella, e dannare a morte un’opera di chiaro au-
tore per un mimmo peccatuzzo. Che se nello cose di coloro, che
furono in maggior credito ne’ tempi addietro, vorremo incrudelire
con tanta austerità, che non s’ammettano se non gl’ immacolati, si
verranno ad escludere forse tutti senza riraanerue pur uno. Perciò
diceva il medesimo nel primo de’ Sermoni.
€ Agc quaeso,
« Tu niliil ili magno doctus dcprasliendis Ilonicro?
• Nil Coniis tragici mutai Lucilius Acci?
Le quali parole (come voi meglio di me sapete) hanno a pronun-
ciarsi interrogativamente con irorria, volendo quasi dire il contrario,
cioè non esser poeta, in cui alcuna cosella da emendare non si ri-
trovi. Vi sovviene di ciò che dice Quintiliano nel decimo libro al
capitolo de fmilatione? tn magnis quoque aucloribus incidunt ali-
qua vitiosa, et a doctis inter ipsos etiam mutuo reprxhensa. E
ristesso nel medesimo libro al capitolo primo : tSeque id stativi.
legenti persuasum sit, omnia qvx omnes auctores dixerunt esse
per/ecta, navi et labant aliquando, et oneri cedunt, et indulgent
genioruni suorum voluptati. non semper intendunt animum, non-
nunquam fatigantur, nam Ciceroni dormitare interdum non solum
Demosthenis oratio, verum etiam Homerus ipse videatur. Non
deono dunque i signori sindici di Parnaso e gabbellieri degl' im-
pacci esser tanto importuni, che vadano ricercando sottilmente nelle
poesie col fuscellino ogni scropolctto, nè dobbiamo noi quando
altri ciò faccia alterarci punto, nè risentirci ; ma sforzandoci d’appa-
gare il disidei io di Fiacco, ci basterà, che se pure ne’ nostri scritti
si troverà qualch’ emenda di poco momento, almeno le parti princi-
pali abbiano in sè tanto di bello, che ricuopra qualsivoglia difetto.
Chi ha giammai più di me soUerti i latrali di questi mastini, e i zuR'o-
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E DEL SUO STfLE-
xvir
liuncnti di queste serpi ? Io non dico già di non potere errare, poiché
uiuno scrittore può esser tanto occhiuto, quantunque Argo sia,
eh’ alle volte non inciampi senza avvedersene, massime io, che mi
stimo più d’ogni altro degno di correzione, e nelle cui cose è vcrisi-
mile, che delle imperfezioni non manchino. Dovrebbono però con-
tentarsi questi, non dirò ZoHi ed Aristarchi, ma piu tosto Momi e
Pasquini, di disfogar contro l’operc sole la rabbia, manifestando le
mie sciocchezze, senza pregiudicarmi in cose, che rilevano molto
più. 11 continovo corso de’ miei varj e fortunevoli accidenti crederei
oggimai, che bastasse a farmi degno d’essere più compatito, che in-
vidiato. E sarebbe pietà il considerare, che se fra tanti nroti, peri-
coli 0 travagli qualche cosa bo pur fatta, ho fatto oltre il possibile
del poter mio. Nò il vulgo de’ poeti correnti dovrebbe con tante
persecuzioni calunniarmi, avendo più tosto occasione d' amarmi, se
non per altro, almeno per aver io portate le Muse toscane di qua dal-
l’Alpi, ed introdottele nelle camere reali ; e per aver fatto oltracciò al
lauro, eh’ è pianta infeconda, in vece di coccole produrrò scudi del
Sole, che ben del Solo meritano il nome, poiché a sostentamento
de’ seguaci d' Apollo si dispensano. Conviene pertanto darsene pace,
e soggiacere con pazienza a sì falla infelicità, ringraziando tntlavia
la divina Provvidenza, eh’ almeno non diede a costoro le forze pari
all’orgoglio ed all’ arroganza, sicché ci possano nuocere, l’na delle
grazie principali, che ci abbia falle la Natura, fu per mio avviso il
non aver dati i denti ai ranocchi, perciocché |>oco ci gioverebbe il
|M)8sedero le delizie di questo mondo, se ci fosse bisogno al passar
de’ fossati armar le gambe di borsaechini di ferro per difenderci
da’ morsi loro. Buon per noi, eh’ essi abbiano la bocea sdentata, chè
altrimenti la darebbono in barba agli aspidi cd allo vipere ; là dove
essendo tali, quali sono, basterà che noi siamo più tosto ben forniti
d’ orecchi, che d’ altre armature. Craechino pure c garriscano a
posta loro, chè il vero antidoto di questo veleno si ò il tacere c pro-
curar d’avanzarsi ogni giorno di bene in meglio. Così si confonde
l’ignoranza, s’abbatto l’invidia, si conculca la calunnia, sì calpesta la
per6dia, s’abbassa la superbia’, si sotterra la presunzione, e si sub-
bissa la temerità. Chiuderò questa lettera salutandovi di vivo cuore,
abbracciandovi con tutta l’anima, e ringraziandovi di nuovo del
vostro cortese affetto in lodarmi tanto ; del che non posso non sentir-
mivi forte obbligalo. Obbligato dico di tutte l’ altre lodi mi vi con-
fe»o, salvo solo di quella, che mi date aifcoverandomi tra gli Ebrei,
poiché ben sapete, eh’ io non mi diletto punto di risprangar cwppe
vecchie. E senza più alla vostra buona grazia mi raccomando, pr^.
Oiqiii'HC by Cooglfc
XVllI
DI GIAMBATTISTA MARINO
gando il Signore, che abbia voi perpetuamente nella sua. Di Ps>
rigi. » .
Noi avvisiamo che nessuno ci accuserà d’aver voluto ristampare
tutta quanta questa lettera del Maeino , perchè è un buon saggio
della sua prosa libera dagli errori in che si lasciò così spesso cadere
quando scrisse poeticamente. E poi nella lunghezza di essa lettera
potè il Poeta sfogando l’ ira contro i censori , far chiaro come le
lodi sperticate gli avessero offeso siffattamente l’ intelletto da te-
nere per fermo che la sua gloria non verrebbe oscurata per volger
di secoli , c da giudicare che le considerazioni di chi avea per guida
gli esemplari di Roma ed Alene , fossero argomento d’ invidia e
d’ ignoranza. Ma chi non vede come il suo lamentare andasse a
vuoto? Troppo era lo splendore dello stile del Mabino da non abba-
gliare le moltitudini. E può affermarsi senza tema d’ errare che anche
adesso, V Adone, la Strage degt Innocenti , il canto VII della Geru-
salemme distrutta, e le alcune poche liriche scelte in questo vo-
lume, offrono bellissimi csempj di fecondità e grazia di concetti,
di purità e franchezza di parole. Che se assai bello è misto a strane
fantasie, ne troviam chiara l’ intenzione nella sua sentenza della
Murtoleide :
È del poeta II fin la maraviglia ;
Parlo dell’ eccellente e non del goffo j
Chi non sa far stupir vada alla striglia.
Questa fu, a dir così, l’insegna del secento, e da questa deriva-
rono le puerilità che adesso muovono a riso chi non sappia di
scemo; questa faceva scrivere in sul serio al cavaliero Ciro di Pers,
che pativa di pietra :
Io so che in queste pietre arrota I' armi
La Morte, e clié, a formar la sepoltura
Nelle viscere mie nascono I marmi.
Discorso del Makivo, non possiam tenerci di toccare un poco del
vivente Victor Hugo , fallosi in Francia rinnovatore di quella in-
sensata scuola de’ secentisti italiani, ed alcuna volta dolce e potente
di queir affetto che troppo spesso affoga in ua mar di metafore c
di similitudini. E a dir vero le slrapezze di che va bruttando le
odi alla Colonna di Napoleone, all'Arco di trionfo, e non poche delle
sue liriche, son più vergognose delle antiche , e perchè l’ essere
quegli errori divenuti favola di tutta Europa, avrebbe avuto a ren-
derne impossibile il rinnovamento , e perchè le glorie francesi son
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E DEL SUO STILE. XIX
più presto alte ad innalzare gli spiriti che abbassarli a fanciulleschi
concetti, de’ quali ne piace dare un esempio fra i molli, tolio
alla seconda delle Odi sopraddette nella quale il poeta fa una così
strana pittura di Parigi :
< Oh! Paris est la ci té mòre,
< Paris est le licu solennci
t Où le tourbillon épliémère ^ ,
« Toume sur un centre étemel !
« Paris, Teu sombre ou pure étoilc,
• Morne Isis couverte d'un voile!
s Araignée i rimmense lolle,
• Où se prennent Ics naiions!
< Fontalnc d'urnes obsédée ,
« Mamplle sans cesse iiiondée
• Où pour se nourrir de l’Idée
€ Viennent Ics générations.,..
< C’est elle , hélasi <pj| nuit et Jour
« Réveille le géant Europe
• Avec sa cloche et son tambour ! >
Legga le opere poetiche di Victor Hugo chi avesse voglia di sapere
se questi errori, scelti a dimostrare il mal gusto di quel poeta,
siano l’abito, a dir così, della sua mente e del suo stile, oppure un
accidentale impelo di falsi e puerili concetti |"A noi duole che sic-
come il Marixo ebbe colpa del corrotto gusto del suo secolo,
debba pure apporsi a Victor Hugo il peccato de’ molti sconsigliati
che, tirali dall’ imitazion dell’ immaginoso maestro, si lasciano por-
tare dalla fantasia senza un pensiero al mondo della bella natura,
dell’importanza del decoro, della castità dello stile, e avendo in non
cale il nobilissimo fine del poeta, la correzion de’ costumi; alle
quali cose chi non ponga mente, formerà parole, somiglianti a
bolle di sapone che splendono un poco, c poi com’ellc svaniscono.
Ma quasi a conforto di tanta licenza vive ancora quel dolcissimo Bé-
ranger, il quale o canti il valor della Francia, o mediti sulle danze
fanciullesche, è sempre sublime di spontanei canti che Amore gli
dettò, e che ne’ poveri tetti cosi spesso risuonano. Nè questo è il
solo premio; un altro e maggiore s’aspetta al virtuoso poeta, chè
l’inesorabile vecchio non lascerà cader nell’ onda dell’obblio iiis-
suna sua nota.
Gicseppe ZIRARDIM.
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ALLA UAESTA CRISTIANISSIMA
DI MARIA DE’ MEDICI,
REINA DI FRANaA E DI NAYARRA.
La Grecia di tulle le bell’ arti inventrice, la qual sotto velo di favolose Tinzioni
soleva ricoprire la maggior parie de’ suoi misteri, non senza ailegorico senti-
mento chiamava Ercole Musagete, quasi duce e capitano dette Muse. Il che non
con altra signilìcazione (s’io non m’inganno) bassi da interpretare, die per la
vicendevole corrispondenza che passa Ira la. forza e l'ingegno. Ira 'I valore e ’l
sapere, tra l’armi e le lettere; c per la reciproca scambievolezza, che lega in-
sieme i principi e i poeti , gli scettri e le penne , le corone dcU’oro e quelle del-
l’alloro. Perciocebè siccome alla quiete degli sludj è necessario il patrocinio
de’ Grandi, perchè gli conservi nella loro tranquillità; così all’incontro, la glo-
ria delle operazioni inclite ba bisogno dell'aiulo degli scrittori, perchè le sot-
traggano alla obblivione. E siccome questi offrono versi e componimenti, che
possono a quelli recare insieme col dHctIo l'immorlalilh ; così ancora quelli
donano ricompense di favori e premj di ricchezze, con cui possono questi me-
nare comodamente la vita. Quinci, senza alcun dubbio, è nato ne’ signori il
nobilissimo costume del nutrire i cigni famosi, acciocché illustrando essi col
canto la memoria de’ laro onori , la rapiscano alla voracilà del Tempo. Quinci
d’altra parte parimente si è derivata in coloro che scrivono, l'antica usanza del
dedicare i libri ai gran macsiri , a' quali , per non altra cagione sogliono indiriz-
zargli, se non per procacciarsi, sotto il ricovero di tale scudo, sicura difesa dal-
l’altrui malignità e dalla propria necessità. Questi rispetti mossero Virgilio ad
intitolare il suo poema a Cesare, Lucano a Nerone, Claudiano ad Onorio, ed ai
nostri tempi, i’Ariosto c 'I Tasso, alla serenissima casa da Kstc. Questi islessi,
dall’altro lato mossero Mecenate a sovvenire alla povertà d’ Orazio, Domiziano
a promevere Stazio e Silio Italico a gradi onorevoli, Antonino a conlracc.ainbiare
con allreltanto oro le fatiche d'Oppiano; ed ultimamente (per tralasciare gli
altri stranieri) i c.incc'co il primo, re di Francia, a remunerare con effetti di
profusa liberalità le scritture dell’Alamanni , del Tolomei , del Dclininio, del-
l’Arclino e d'altri molti letterati ilatiani; Carlo il nono, a stimare, onorare e
riconoscere oltrcinodo la virtù cd eccellenza di Piero Ronsardo ; Arrigo il terzo,
ad accrescere con largite entrale le fortune di Filippo di Portes, aliale di Ti-
rone ; ed Arrigo il quarto, dopo inulti altri segni d' affezione parziale, ad esaltare
alla sacra dignità della porpora i meriti del Cardinal di Perona. Non mossero già
(per mio credere) questi rispelli la maestà cristianissima di Lodovico il tredi-
cesimo, quando con tante dimostrazioni di generosità prese a tratlener me
nella sua corte, sì perchè airedilicio della sua gloria, non fa mestieri di sì falli
puntelli, sì anche perch’io non son tale, che basti a sostenere con la debolezza
del min stile il grave peso del suo nome. Nè muovono ora similmente me a con-
sacrare a Sua Maestà il mio Adone, come fo, sì perchè l’animo mio è tanto lon-
tano dall’interesse, quanto il suo dall’ambizione, sì anche perchè sono sialo
prevenuto co’ benelici, ed ho licevuli guiderdoni niaggioriidel desiderine della
speranza , non che del merito. Ma quanlunqae i fmi principali della sua prole-
I
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s DEDICAZIONE.
zione e della mia dedicazione non slenn questi , conlulloeiò tanto per la parte,
che concerne i debili della obliligazion mia, quanto per quella, che s'apparliene
ai meriti della grandezza sua , con ragione panni che si dehha il presente libro
al nostro re, c che da me al noslro re sia, buon tempo fa, giuslamenle dovuto.
Deresi a lui, come degno di qualsivoglia onore; e devesi da me, come onorato
(benché indegnamente) del titolo della regia servitù. Per quel che tocca a
Sua Maestà dico, ch’è proporzionalo questo tributo, essendosi già col sopraccen-
nato esempio d’Krcole dimostralo, ch'a’ prineipi grandi non disconvengono
poesie. E mi vaglio della somiglianza d’Èrcole, meritando egli appunto ad esso
Ercole d'essere per le sue azioni paragonalo. Poiché se l'uno ne’ principj della
sua infanzia ebbe forza di strangolare due fieri dragoni, il che fu preso per
infallibile indizio dell’ altre prove future; l’altro ne’ primordj, c della sua età,
e del suo governo, conculcò nè |iiù nè meno due ferocissime c velenosissime
serpi , diéo le guerre intestine di Francia e le straniere d’ Italia , superale l’ una
con la mano del valore, l’altra con quella dcH’autnrilà; dal <|ual allo si può far
certissimo giudicio dell’allrc imprese segnalale, che ci promellono gli anni suoi
più fermi. Havvi però di più tanto di differenza, che quel che l’uno operò già
adulto e robiisln, l'allro ha operato ancor lenero fanciullo, eslirpandn dal suo
regno un mostro ros'i pestifero, com’era l’idra della discordia civile, le cui leste
pareva che d’ora in ora molliplicassern in iniìnito. E sebbene al presente guer-
reggia tuttavia co’ suoi sudditi , il che par che repugni alla pubblica pace e con-
trafaccia alla concordia dello Stalo, vedesi nondimeno chiaramente, die dopo
l’onordi Dio, cli’è il suo primo riguardo, il tutto è inteso a quel medesimo
scopo, cioè di passare alla quiete per lo mezzo de’ travagli; nè altro pretende,
che con la dovuta ubbidienza de’ pn|ioli tranquillando le continue tempeste del
suo reame, stabilirsi nella paterna monarchia. Gran cosa certo è il mirare i mi-
racolosi progressi che fa questo mirahile giovane in età s'i acerba con s'i maturo
consiglio, che più di grave non si desidera nella prudenza de’ più canuti. Ecco
appena uscito della fanciullezza, mosso dal senno, spinto dalla virtù, guidalo
dalla Fortuna, accompagnalo dalla lode, ascende a gran passi co' piedi del va-
lore le sc ile della immorlalilà, e va crescendo in tanta grandezza di pregio,
che oggiinai i suoi falli peregrini sono ammirabili, m» non imilabili. Si arma
per l’onor di l'.risto, comballe per la verità evangelica, vendica l’iiigiurie della
corona gallica, ristora i riti del cullo callolico, fa inviolabili le leggi della luiona
religione, l.e sue forze, le sue armi , le sue genti, i suoi tesori, e lulli i concetti
alli del suo animo reale, non ad altro line si rivolgono, che alla gloria del Cielo.
Fassi esecutore della divina disposizione, difensore della regia dignità, punitore
della insolenza de’ rubelli; ed in tutte le sue generose azioni si dimostra amico
de’ buoni, compagno de’ soldati, fratello de’ servi, padre de’ vassalli, e degno
llgliuol primogenito della Chiesa aposlolica. Risarcisce I quasi dislriilli onori
della milizia , i disagi gli sono ozj , i sudori delizie, le faliclie rijinsi. Fa stupire
e tremare, vince prima che coinballa, ollicne più Irionli, che non dà assalti, e
signoreggia più animi, che non acquisla terre. Il suo petto è nido deNa fortezza,
il suo cuore rofiigio della clemenza , la sua fronte paragone della maestà , it suo
scniliiante specchio dcll'arfaliililà , il suo braccio colonna della giustizia, la sua
■nano fontana della lilicralilà. l a sua spada infocala di zelo par la spada del
serafino, che discaccia dalla sua rasa i conliimaci di Dio. Onde il mondo, che
gli applaude, e che lia delle sue magnanime opere incredibile aspellazione, con
voce universale lo chiama intelligenza della F'rancia, virtù del trono e dello
scettro, angelo lulelare della vera Fede, poiché angelico veramente è Usuo
aspello, angelico il suo iniellcito, ed angelica la sua innocenza. Cos'i la somma
pietà di <|ucl Dio, il qinle lo regge, ed il quale egli difende, guardi la sua vita,
ed allonlani dalla sua sacra persona la violenza del ferro, la fraudo del veleno e
la perfidia del tradimento; come in lui si adempiranno appieno tutte le condi-
zioni di perfezione, che mancarono negli antichi ('.esari. E trattandosi in questa
guerra santa deH’interesse pur di Dio, non mancheranno a quella infinita sa-
pienza modi da terminarla a gloria sua, e con riputazione d'un re sì giusto.
■gle
ed D 'i
DEDICAZIONE. 3
Quanto poi alla parte, che tocca a me, itebila ancora, non che ragionevole
stimo io questa iledicatura, acciocché se ncll'iino aMimida cortesia , ncirallro
non manchi graliliidine. Ma con qual cambio o con qual elTelIn condegno, cor-
risponderò io a tanti eccessi d' umanità , i quali soprafaiino tanto di gran lunga
ogni mio potere ? Orto non so con altro pagargli , che con parole e con lodi , in
quella guisa istessa che si pagano le divine grazie. Ben vorrei die la mia virtù
fusse pari alla sua bontà , per potere attrettanto celebrar lui , quanto egli giova
a me; perciocebè siccome i suoi gesti egregi, quasi stelle del rie! della gloria,
inOuiscono al mio ingegno soggetti degni d’eterna lode , cos'i i lavori , ch’io ne
ricevo, quasi rivoli del fonte della magnilieenza, innaffiano l’aridilà della mia
fortuna con tanta larghezza, che fanno arrossire la mia villa, onde rimango
confuso di non aver Un qui falla opera alcuna, per la quale appaia il merito di
SI falla mercede. Potevano per avventura da questa ohiazinne dislormi due
circostanze, cioè la bassezza della oITcrla dal canto mio, e l’eminenza del per-
sonaggio dal canto suo. Ma era legge de’ Persiani (come Kliaiio racconta) che
ciascuno tribulasse il re loro di qualche donativo conforme alle proprie facoltà ,
qualunque si fusse. E Licurgo voleva che si offerissero agl’lddj cose, ancorché
minime, per non cessar giammai d’ onorargli. Queste ragioni scusano in parte il
mancamento del donatore. Ma per appagare la grandezza di colui , a cui si dona,
dirò solo, che qiiell’iste'-so Ercole di cui parliamo, per dar alle sue lunKhe faliche
qualche sollazzevole intervallo, deposla lalvolla la clava, soleva pure scher-
zando favoleggiare con gli amori. Achille, mentrechi nella sua prima età viveva
tra le selve del monte Pelia sotto la disciplina di Chimne, soleva (secondo che
scrìve Omero] dilettarsi del .suono della celerà, nè sdegnava di toccar talvolta
rumll plettro, e di tasteggiar le tenere corde con quella m.inn islessa che do-
veva poi con somma prodezza vibrar la lancia, trallar la spada, domare dcslricri
indomili e vincere guerrieri invincihllì. Per la qual cosa in non diihilo punto,
che tra l’allre eroiche virtù, che adornano gli anni giovanili di Sua Micsià in
tanta sublimità di stato, in tanta vivacità di spirito ed in tanta severità d’eitura-
zinne, non debba anche aver luogo l’onesto e piacevole trasliilln della poesia.
E se il medesimo eroe pargoletto (come narra Viloslralo), quando ritornava
dall’esercizio della caccia stanco per la uccisione delle fiere, non prendeva a
schifo d'accellarc dal suo maestro le poma c i favi, in premio della fatica con
quell’istesso animo grande, con cui poi aveva da ricevere te palme e le spoglie
delle sue vittorie ; perché non deldio io sperare . che Sua Maestà , non dico dopo
le cacce, nelle quali suole alle volle nobilmente esercitarsi, ma dopo le guerre,
le quali con troppo dure disirazinni l’incominciano ad occupare, alibia con be-
nignità a gradire questo picciolo e povero dono presentato da un suo devoto, il
quale appunto altro non c, che frullo di rozzo intelletto, e miele romposlo di
fiori poetici, quasi lieto e sicuro presagio de’ rìrclii Iriliuli e de' trionfali onori,
che in più maturo tempo saranno al suo valore offerti? l’armi veramente la
figura biforme di quel misterioso scmlcavallo ben confarevole al mio saggcilo,
come molto espressiva delle due necessarie c principali condizioni del principe,
dinotando per la parte umana il reggiuenlo delia pace, e per la ferina l'amini-
nislrazionc della guerra. La qual significanza sì allemle, che deliba perfettamente
verificarsi in Sua Maestà, rome degno figlio di si gran padre, ed erede non
meno delle paterne virtù, che de’ regni; la cui generosa ìndole precorre Tela
e vince l’altrui speranze. E già gli effetti ne fanno fede , poiché non cos'i tosto
prese in mano le redine dell'Imperio, clic slaliilì per sempre la devozione nei
popoli; ed appena assunto al possesso dello scettro, gli fu commesso rarhiirìo
del mondo. Egli è lien vero, che se il Centauro (come finge il medesimo scrillnrc)
per rendersi uguale alla statura del giovanetto, quando le delle cose nel greiiilio
gli sporgeva, piegando le gambe dinanzi sì chinava, chiunque volesse con dono
conforme pareggiare gli eccelsi pregi di Sua Maestà, che ancor crescente si sol-
leva a pensieri tanto sohiimi, bisogiierehbe per contrario, in vece d’ abbassarsi,
innalzar più tosto sé stesso a quel grado d’eccellenza , die nella mia persona e
nel mio ingegno, manca del lutto. l’er riparare adunque alla disccnvfeiievolcrza
«
4 DEDICAZIONE.
di colale sproporzione, io mi sono ingegnato di ritrovare un mezzo potente, c
questo si è introdurre il mio dono per la porla del favore di Vostra Maestà, anzi
aU'una ed all’altra Maestà farlo comune, acciocché siccome ella è per tutti una
fontana, anzi un mare, onde scaturiscono agli altri Tacque della vena regia,
COSI sia per me una miniera, onde passando quelle del mio tributario ruscello,
piglino altro sapore e qualità , che non dispiaccia a gusto sì nobile. E siccome
ella è fatta (si può dire), lo Spirilo assistente del regno suo, avendolo tanto
tempo governato con sì giusto e provvido reggimento, così si faccia anche il
Genio custode dell’opera mia, rendendola in virtù del suo glorioso nome e
della sua favorevole autorità più cara e più dilettevole. Veramente, che la ma-
dre abbia a partecipare delle glorie e delle lodi che si danno al figlio, è dovere
di legge umana c divina; e che in particolare deliba ella aver parte in quelle,
che si contengono in questo volume , è cosa giusta sì per rispetto suo, come per
rispetto mio. Per rispetto suo, poicIT essendo Vostra Maestà, la terra, che ha
prodotta sì bella pianta , e la pianta , che ha partorito sì nohii frutto, si debbono
tutti gli onori attribuire non meno a lei, come a cagione, che a lui, come ad
effetto. Per rispetto mio, pei ciocché essendo io sua fattura, e dependendo tutto
il mio presente stato da lei , per la cui ufficiosa bontà mi ritrovo collocato nel-
Tattual servigio di questa corte, siccome dalla sua protezione riconosco gli
accrescimenti della mia fortuna, così mi sento tenulo a riconoscere le ricevute
cortesie con tutti quegli osseqiij di grata devozione, che possono nascere dalla
mia bassezza. Oltre che per essere il componimento, ch’io le reco, quasi un re-
gistro delle sue opere magnanime , delle quali una parte (ancorché minima) mi
sono ingegnato d’esprimere in esso; e per avere io ridotto il suggello, che tratta
(come per T allegorie si dimostra) ad un segno di moralità la maggiore, che
per avventura si ritrovi fra tutte Tantiche favole, contro l’opinione di coloro,
che il contrario si persuadevano, giudico, che ben si confaccia alla modesta
gravità d’una principessa tanto discreta. Or piaccia a Vostra Maestà con quella
benignità islessa, con cui si compiacque di farmi degno della sua buona grazia,
accettare e far accettare la presente fatica; onde si vegga, che sebbene il mio
ingegno é mendico ed infecondo, ed il poema , che porta , è tardo frullo della
sua sterilità, vorrei pur almeno in qualche parte pagar con gli scritti quel che
non mi è possibile soddisfar con le forze. Se ciò farà (per chiudere il mio scri-
vere con l’incomincialo paralello d’ Ercole) ricevendo ella per sé stessa, e rap-
presentando a Sua Maestà composizioni di poeta, come non indegne di re
guerriero, nè disconvenevoli a reiiia grande, conseguirà la medesima lode,
che conseguì già Fulvio, quando delle spoglie già conquistale in Ambracia
trasportò nel tempio dello stesso Ercole da lui edificato i simulacri delle Muse.
E senza più augurando a Vostra Maestà il colmo d'ogni felicità, le inchino con
reverenza la fronte , e le sollevo con devozione il cuore.
Di farigi, li 30 giugno 1633.
Di Vostra Maestà
Umilissimo e devotissimo Servitore
Il cavalikb MARINO.
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ADONE.
L’
CANTO PRIMO.
LA FORTUNA.
ALLEGORIA.
Nella sfcria di rose e di spine, con cui Venere batic ii IÌ!?lio, .si fifcura la qnaiità
.degli amorosi piaceri, non giainniai di.sconipagnali da' dolori. In Amore, clic com-
niovc prima Apollo, poi Voli ano, e linalinenlc Nettuno, si dimostra quanto questa
Aera passione sia polente per tutto, eziandio negli animi de’ Grandi, in Adone, che
con la scorta della Korluna, dal pae.se di Arabia sua patria, passa all' isola di Cipro,
si signilica la gioventù, clic .sotto il favore della prusperitù, corre volentieri agli
amori. Sotto la persotia di Clizio s' intende il sig. Già. Vincenzo Imperiali, gentil-
uomo genovese di belle Intere, che questo nome si ha approprialo nelle sue poesie.
Nelle lodi della vita pastorale si adombra il poema dello Sialo HusIìco, dal mede-
simo leggiadramente composto.
ARGOMENTO.
Passa in pieciol legnctlo a Cipro Adnno
Dalle sp’.aggie <!' Arabia, ov’egli nacque.
Amor gl) lui ba inbirnu i venli e t'aojue;
Cliziu paslur l’ accoglie in sua niagiuiio.
Io chiamo tc, per cui si volge e move
La più benigna c mansueta sfera.
Santa madre d'Amur, figlia di Giove,
Bella Bea d' Amatunta c di Citerà,
Te, la cui stella, ond’ ogni grazia piove.
Della notte e del giorno c inessaggicra,
Tc, lo cui raggio lucido c fcconilo
Serena il ciclo ed innamora il mondo.
Tu dar puoi sola altrui godere in terra
Di paclQco stalo ozio sereno.
Per te Giano placato il tempio serra,
Addolcito il furor ticii l’ ire a freno;
Poiebò lo Dio dell' armi e della guerra
Spesso suol prigionicr languirli in seno,
E con armi di gioia e di diletto
Guerreggia in pace, ed ( steccato il letto.
Dettami tu del giovinetto amalo
Le venture e le glorie alle c superbe ;
Qual leco in prima visse, indi qual fato
L' estinse, c tinse 'lei suo sangue l’ erbe.
E tu m’ insegna del tuo cor piagalo
A dir le pene dolcemente acerbe,
K le dolci querele, e il dolce pianto,
E tu de' cigni tuoi m'impetra il canto
Ma mente' lo tento pur. Diva cortese.
D'ordir testura ingiuriosa agli anni.
Prendendo a dir del foco, che t’accese,
I pria si grati e poi si gravi alTanni;
Amor con grazie alnien pari all’ offese
Lievi mi presti a si gran volo I vanni ;
E con la face sua (a’ io ne son degno)
Dia quant’ arsura al cor, luce all’ ingegno.
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U MAnlNO.
E te, Ch’Adone Stesso, o gran Luigi,
Di beltà \ ilici, c di splendore abbagli,
E seguendo ancor tenero i vestigi
Del morto genitor, quasi I' agguagli;
Per cui suda Vulcano, a cui Parigi
Convicn clic palme colga c statue intagli.
Prego intanto in’ascolti, c sostici! ch'io
Intrecci il giglio tuo col lauro mio.
Se muovo ad agguagliar l' allo concetto
La penna, che per sÈ tanto non saie,
FaccioI per ottener dal gran soggetto
Col favor, che mi regge, ed aure ed ale.
Privo di queste, il debile intelletto.
Ch’ai cìci degli oiior tuoi volar non vaie.
Teme airardiir di sì lucente sfera
Stemprar l'audace e teinoraria cera.
[avaiua
Ma quando quell’ ardir, ch’or gli anni
Sciogliendo al vento la paterna insegna.
Per domar la superbia c la possanza
Del tiranno criidel, che in Asia regna.
Vinta col suo valor l’altrui speranza,
Fia che in sul (inre a maturar si vegna,
Allorcon sparla al fianco c cetra al collo
L’un di noi sarà Marte c l'altro Apollo.
Cosi la Dea del sempre verde alloro,
Parca immortal de’ nomi e ilegli stili.
Alle fatiche mie con fuso d'oro
Di stame adamnntin la vita fili,
E dia per fama a questo umil lavoro
Viver fra le pregiate opre gentili.
Come farrS, che fulminar tra l’armi
S'odan co' tuoi metalli anco i mici carmi.
La donna, che rial mare il nume ha tolto
Dove nacrjutr la Dea. che adombro in carte.
Quella, che ben a lei conforme molto
Produsse un novo amor d'un novo Marte,
Quella, che tanta forza ha nel bel volto,
Qiiant' egli ebbe nell' armi arilire ed arte.
Forse ni' udrà, nè sdegnerà che scriva
Tenerezze d' amor penna Usciva.
Ombreggia il ver Parnaso, c non rivela
Gli alti misteri ai semplici profani.
Ma con scorza mentila a.scond<t e cela
(Quasi in rozzo Silen) cidesii arcani.
Perù dal vel, clic tes.se or la mia tela
In molli versi, c favolosi e vani.
Questo sen.so verace altri raecoglia :
Smoderato piacer tcroiiua in duglia.
Amor pur dianzi, il ranciullln crudele,
Giove di nova fiamma acceso avea.
Arse di silegno, c '1 cor d’ amaro fiele
Sparso, gelo la sua gelosa Dea,
E incontro a lui con llebili querele
RicliUmossi del torto a Cilerca,
Onde il garzon sovra l'elade astuto
Dalla materna man pianse battuto.
Oimè, possibil fia, dicca Ciprigna,
Cli’io mai per te di pace ora non abbia?
Qual cerasta più livida e maligna
Nutre nel Nilo la deserta s.d)bia?
Qual furia insana o (piai arpia sanguigna
Là negli antri di Slige ha tanta rabbia?
Dimmi, quel tosco, ond' ogni core appesti.
Aspe di paradiso, onde traesti?
Vuol tu più mai contaminar di Gitmo
Le legittime gioie c i casti amori?
l'drò di te mai più ricliianio alcuno,
Ministro di follie, falibro d'errori?
Sollecito avoltor, verme importuno.
Morbo de’ sensi, ebrietà de' cori.
Di fraude nato c di furor nutrito.
Omicida del senno, empio appetito?
Ira mi vien di romperti que’ lacci
E queir arco clic fa piaghe si grandi ;
Nè so chi mi ritien ch’or or non stracci
Quante reti malvagie ordisci e .spandi;
Clic per sempre dal ciel non li discacci ,
Che in esilio perpetuo io non ti mandi
Su i gioghi ircani e tra le caspie selve.
Arder villano, a saettarle belve.
Clic tu fra gli egri e languidi mortali ,
DI cui s'odono ognor gridi c lanicnti.
Semini colaggiù marlirj e mali,
Cunv ien, malgrado mio, eli’ in mi rontenti,
Masolfiiró che in Ciel vibri i tuoi strali.
Non perdonando alle beale genti?
Clic sostengali per te strazj si rei ,
Serpentello orgoglio.so, anco gli Dei?
Clic più? fin delle stelle il sommo Duce
Questo malnato di sforzarsi vanta,
E spesso.! stato tale anco il riduce, [cinta.
Che or in niandra,nriiiiiido,orniugghia,or
I n pestifero mostro orlwi di luce
Avrà dunque fra noi baldanza tanta?
Un, die la lingua ancor tinta lia di latte,.
Cotanto ardisce? E ciò dicendo, il balte.
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L’ ADOiNK.
Con flagello di rose insieme attorte ,
Ch'avea groppi di spine, ella ii percosse,
E de’ bid niembri , onde si dolse forte ,
Fe’ le > il aci porpore più rosse.
Tremaro i poli , e la stellata corte
A quel liero vagir tutta si innsse.
Mossesi il CicI , clic più d’Ainor infante
Teme il furor, ebe di Tifeo gigante.
Della reggia materna il figlio uscito.
Con quello sdegno allorse n'allontana,
Con cui soffiar per l' arenoso lito
Calcala suol la vipera alTricana
0 l'orso ravernier, quando ferito
Si sraglia fuor della sassosa tatui
E va fremendo per gli orror più cupi
Delle valli liicauc c delle rupi.
Sferzalo e pien di dispettosa doglia
Fuggi piangendo alla vlriiia sfera.
Là dove cinto di purpurea spoglia
(Gran uinnarca de' tempi} il Sole imiterà ;
E in su l'oiitrar della durata soglia
Stella nuiizia del giorno e eondotticra,
Lucìfero inrontrò che in Oriente
Apria con chiave d'or l'uscio lucente.
E il crepuscolo seco a poco a poco
Uscito per la lucida contrada
Sovra un rorsìer di teiicliroso foco.
Spumante il freii d'tunbrosia edi rugiada,
Di fresco giglio e di vivace croco,
Foricr del iiel niatlin, spargea la stiada;
E con sferza di rose c <ii viole
Affrettava il cajumiuo intiatul al Sole.
La bella luce ch'in su l’aurea porta
Aspettava del Sul la prima uscita.
Era di (aterea ministra e scorta
D'amoroso splendor luna erliiita.
Per varcar l’oiiihre innanzi tempo sorta
Già la biga rolaiile avea spedila,
E '1 venir della Dea slava attendendo.
Quando il fier pargoletto entrò piangendo.
Pianse al pianger d’.àmor la mattutina
Del re de’ lumi ainhascladrke stella,
E di pioggia argeiilala e cristallina
Rigò la faccia rugiaiiosa e bella ,
Onde di vive perle accolte in brina
Potè l'urna colmar l' Alita novella,
L’Allia, che rasciugò col vel verniìgUo
L' umido raggio al lagrimoso ciglio.
Ricoverato al ricco albergo Amore
Trovò, che posto a' corridori il monto.
Già s’era accinto il principe dell'Ore
Con la verga gemmala al novo cono ;
K ì focosi destrier slmlTuMdo ardore
I.’ altere ìiibc sì sroiean sul dorso,
K sdegnosi d’indugio, il pavimento
Feriali cu’ calci, c co’ nitriti il vento.
Sta quivi l’Anno sovra l’ali accorto
Clic sempre il fin col suo prinripìu annoda,
K in fonna d'angue Inn.vnellalo e torto
Morde l’estremo alla voliihii coda;
E qual Anteo ratliitoe poi risorto
('arca nova materia ond' egli roda;
Vi ha la serie de’ mesi e i dì lucenti ,
1 lunghi e i hrev i , i fervidi e gli algeiiU.
L’aurea corona, onde scintilla il giorno,
Del Tempo gli ponean le quattro figlie.
Due schiere avea d'alate ancelle intorno.
Dodici brune e dodici vermiglie.
Mentre arcoppiav an q tieste al carro adorno
Gli aurati gioglii c le rosate briglie.
Gii ocelli di foco il Sol rivolse, c il pianto
Vide d'Amor, che gli languiva accanto.
Era Apollo di Venere nemicn,
E tcnoa l’odio ancor nel petto vivo,
Daccliè lassù dell’adulterio antico
Pubblicò lo spettacolo lascivo.
Quando accusò del talamo impudico
Al fahuro adusto il predator furtivo,
E con vergogna invidiala in Ciclo
Ai suoi dolci legami aperse il velo.
Orche gii espone .Imorsua grave salma,
F. clic sciocchi dolor, dice, son questi?
Sei tu colui die litigar la palma
In riva di Penco meco volesti?
Tu, tu niente del mondo, alma d’ogni alma,
Vincilor de’ mortali e de' celesti.
Or con strale arrotalo c face accesa
Vendicar non ti sai di lanla oITcsa?
Quanto fora il miglior, siccome afllUo
Di lagrime infantili il volto or bagni.
Volgere il duolo in ira, c il dardo invitto
Aguzzar nell' ingiuria onde ti lagni?
Fa che con petto lacero e trafitto
Per te pianga colei per cui tu piagni ;
Che , se vorrai , non senza giuria e nome
Scguiramie l’elTetlo; ascolta come:
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MARINO.
Là nella region ricca e felice
D'Arabia beila. Adone il giovinetto,
Quasi compeliior della fenice.
Senza pari in beltà , vive soletto.
Adon nato di lei, cui la nutrice
Col proprio genitor giunse in un letto ;
Di lei, che volta in pianta, i suoi dolori
Ancor distilla in lagrimosi odori.
Scherni la scellerata il re mal saggio
Accesa il cor di sozzo foco indegjio,
Ond' egli po; per cosi grave oltraggio,
Quant'clia già d’amore, arse di sdegno;
E le convenne in loco eniio c selvaggio
Cime ad esporre il mal concetto pegno;
Pegno furtivo, a cui la propria madre
Ku sorella in un punto, avolo il padre.
Fattezze mal si signorili c belle
Non vide l’occhio mio lucido e cliiaro.
Sventurato fanciullo, a cui le stélle
Prima il rigor, che lo splendor mostraro.
Contro gli armò crude influenze c felle
Ancor ila Itd non v isto, il Cielo avaro :
Poiché mentre l’ un sorse c l’altra giac(|uc.
Al morir della madre il figlio nacque.
Qual trofeo più famoso? e qual altronde
Spoglia attendi più ricca o più superba.
Se per costui ch’or prende a solcar Tonde,
Il cor le ferirai di piaga acerba?
Dolci le piaghe flati , ma si profonde ,
Ch’ arte non vi varrà di pietra o d'erba.
Questa Ila del tuo mal degna vendetta;
Spirito di profezia cosi mi detta.
Più oltre io ti dirò. Mira là, dove
A caratteri egizj in note oscure
Intagliati vedrai per man di Giove
I vaticinj dell' età future.
Havvi quante il Destino al mondo piove
Da’ canali del del sorti c venture.
Che de' pianeti al numero costrutte,
Sono in sette metalli incise tulle.
Quiti ciò che seguir deggia di questo
Legger potrai quasi in vergate carte.
Prole tal nascerà del bell’ innesto
Che non li pentirai d’ avervi parte.
In lei , pur come gettintc in bel contesto,
Saran tutte del Ciel le grazie sparto;
E questa [oli per tal nozze a pioti beato ! )
Al tiranno del mar prumettc il Fato.
Se ciò farai, non pur n’andrà in obblio
La memoria tra noi de' gran contrasti , '
Ma tal premio n’avrai d’ un dono mio,
Cile in mercédi tant’opra io vo’ che basti.
Lira nel mio Parnaso aurea scrb’io
Che ha <T or le corde c di rubino I tasti.
Fu d’ Armonia tua suora , ed io di lei ,
Con questa celebrai gli alti imeuci.
Questa fla tua. Cosi qualor ti stai
DI cuore e d’anni alleggerito e scarco.
Musico com’arder trattar potrai
Il plettro a pardi me non nien die l’arco ;
Che T armonia unii sol ristora assai
Qiialuiiqiie sia più faticoso incarco,
.Ma mollo può co’ numeri sonori
Ad eccitare ed incitar gli amori.
Ftir queste eflicacissiine parole
Folli, ch’ai folle cor sofllaro orgoglio,
Ond’ irritato abbandonò del Sole,
Senza far inolio, il lanipeggianie soglio,
E riiinaiido dali’elerea mole
Invcrle piagge del materno scoglio.
Corse col tratto delle penne ardenti
Più che vento leggier le vie de’ venti.
Come prodigiosa acuta stella.
Armata il volto di scintille e lampi.
Fende dell' aria, orribii si, ma bella
Passeggierà lucente, I larghi campi.
Mira il noccliier da questa riva e quella.
Con qual purpureo piè la nebbia stampi,
FI con qual penna d’or scriva e disegni
Le morti ai regi e le radute ai regni.
Cosi mentre di’ Amor dal ciel disceso
Scorremlo va la region |iiù bassa.
Con la face impugnala c l’arco te.so
Gran traccia di splendor dietro si lassa.
D’ mi solco ardenlee d’auree fiamme acce-
Riga intorno le nubi nv inique passa, [so,
E trae per lunga linea in ogni loco
Striscia di luce, impression di foco.
Su il mar si cala, esicrom'ira il punge.
Sé stesso avventa impetuoso a piombo.
Circonda i lidi quasi niergo, c liiiige
Fa dclTali stridenti udire il rombo.
Né grifagno falcon quando raggiunge
Col fiero artiglio il semplice coloinlio
F'assi lieto rosi, corn ei diventa
Quando il leggiadro Adon gli si presenta.
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L’ADONE.
Era Adon nell' eli chela favella
Sente d’Auior più vigorosa e viva.
Ed avca dispusiczza alla novella
Acerbili degli anni iiileiiipcstiva.
Ni sulle rose della guancia bella
Alcun germoglio ancor d' oro lìoriva ;
0 seppur vi spuntava ombra di pelo.
Era qual Ilare in prato o stella in cielo.
In blonde anclla di flnor lucente
Tutto si torce e si rìncrespa il crine.
Dell’ ampia fronte in maestà ridente .
Sotto gli sorge il candido conrine.
Un dolce minio , un dolce foco ardente
Sparso tra vivo latte c vive brine ,
Gli tinge il viso in quel rossor che suole
Prender la rosa infra l' Aurora c il Sole.
Ma chi ritrae dell’ uno e l’ altro ciglio
Può le due stelle lucide, serene?
Cbi delle dolci lal)bra il bel veriniglio.
Che di vivi lesor son ricche e piene?
0 qual candor d’avorio, oqiial di giglio
La gola pareggiar, eh’ erge e sostiene
Quasi colonna adamantina , accollo
Un del di meraviglie in quel bel volto?
Qoalor feroce c faretrato arderò
Di qnadrella pungenti armalo e carco
AITronla o segue in un leggiadro e fiero,
0 fere attende fuggitive ai varco,
E in alto dolce cacciator guerriero.
Saettando la morte incurva l’arco.
Somiglia in tutto Amor, se non che solo
Mancano a farlo tale il velo e ’l volo.
Egli tanto tesoro In lui raccolto
Di natura e d’ amor par che abitia a vile,
E cerca del bel ciglio e del bei volto
Turbar il Sole, inorridir l’ aprile.
Ma minacci cruccioso o vada incollo.
Esser però non sa se non gentile;
E rustico quantniu|uc e sdegnoselto, [tCL
Convien pur eh’ altrui piaccia a suodispct-
Or mentre per l’ arabiche fores’c,
Dov’ei nacque e menù l'età primiera,
L’orme seguia perquelle macchie e queste
D’ alcuna vaga e timidetia fera.
Errore II tra.sse, nppiir destiti celeste ,
Dalla terra deserta alla costiera ,
Colà dove fa lido alla marina
Del lembo ultimo suo la Palestina.
Giunto alla sacra e gloriosa riva.
Che con boschi di palme illustra Iduuie,
Dietro una cerva lieve e fuggitiva
Stancando il piè, siccom’avea costume.
Trovò di guardia e di governo priva.
Ritratta in secco appo te salse spume
Da’ pescatori abbandonata , e cacca
D’ogni arredo mariti, picclola barca.
Ed ecco varia d’abito e di volto
Strania douna venir vede per l’otide.
Ch'ha sulla fronte il biondo crine accollo
Tultu in uit glubo, e quel eh’ è calvo ascoii-
\ ermiglioe bianco ilvesiimetitOsciollo[ile
Con lieve tremolio l’aura confonde.
Lubrico è il IcnilK), e quasi un acr vano,
Che sempre a chi lo stringe esce di mano.
Nell'ampio grembo ha della copia il cor-
E nella destra una volubii palla. [tio,
Fogge ratto sovente, c fa ritorno
Per le liquide vie scherzando a galla.
Alato Ita il piede , e più leggiera intorno
Che foglia al veiitn, si raggira e balla;
E mentre move al ballo il piò veloce.
In si fatto cantar scioglie la voce :
Chi cerca in terra divenir beato.
Goder tesori e possedere Imperi ,
Stenda la destra in questo crine aurato ,
.Ma non ittdugi a cogliere i piaceri ;
Citò se si tituta poi slagiont e stalo.
Perduto ben di raci|ubtar non speri.
Cosi cangia lenor l'Oihe rotante,
Nell’ incostanza sua sempre costante.
Cosi cantava, indi arrestando il canto.
Con lieto sguardo al bel garzone arrise.
Ed allo scoglio avvicinata intanto
Spalmò quel legno e iti sul tiinon s’Sssise :
A'Ion , segnimi , disse , c vedrai quanto
Cortese stella al nascer tuo promise. .
Prendi la treccia d’or che in man U porgo,
Nè temer di venirne òv’io ti scorgo.
Benché volgare opinione antica
Mi stimi un iilol falso, un’ ombra vana ,
E cieca e .stolta , c di viriti nemica
M’ appelli, inslabii sempre, e sempre insa-
E tiranna iinpotenlc altri mi dica, [na;
Vinta lalor dalla prudenza umana;
Pur son fata, c son diva, e son rcina ,
M’ubbidisce Natura, il,Ciel m’inclilna.
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IO MARINO.
Chiunque Amore o Marte a aexnlr prende,
Convieu che il nome miocclebriechiaini.
Chi solca l'acqua , e chi la terra fende ,
0 s’ alcun v' ha , che onore e gloria brami ,
Porge pregili al min Nume e voti appende,
Ed io dispenso altrui scellri e reami.
Toglier jmsso e donar tulio ad un cenno,
E quanto £ sotto il Sul reggo a mio senno.
Me dunque adora, e in su l’ eccelsa cima
Della mia rota ascenderai di corto.
Per me nel trono, onde ti trasse in prima
L'empio iiigaiiuo ma terno, or sarai scorto;
Sol che poi dove il Fato or ti sublima
Sajipi nel conservarli essere accorto ;
Che spesso suol con preveder periglio
Romper Fortuna rea cauto consiglio.
Tace ciò detto, ed egli vago allora
Di costeggiar quel dilellnso loro.
Entra nel it‘gno, e drll' angusta prora,
1 due rami a trattar prende per gioco.
Ed ecco al sospirar d'agevoi ora
S'alluniana l'arena a porca poco.
Sicché mente ei dal mar si volge ad essa,
Pgr che navighi ancor la terra istessa.
Scorrendo va piaccvolmenlo II lido,
Menlr’è plarJilo c piano il molle argento,
E da principio del suo patrio nnin
Rade la riva a passo tardo e lento.
Indi all' insialiit fé ilei flutto inlido.
Sé stesso crede, e si coiiiinetle al vento
Liinge di la dove a morir va l'onda,
E con roco latrar morde la sponda.
Trasparean si le IveHesplaggie ondose,
Che si puleaiideir umide spelonche
Nelle profonde visrere arenose
Ad una ad una annoverai: le conche.
ZeBìri destri al volo, aure vezzose
L' ali seotean, ma tosto lor fiir tronche.
Il roar cangiossi , il Elei ruppe la fede :
O mairaiito colui ch’ai venti crede!
0 slolto qiianln indiistre, o troppo ati-
Fahbrojvriniier del temerà rio legno, [dace
Clic osasti la tranquilla antica pace
Romper del rendo e procelloso regno!
I‘li'i ehe aspro scoglio c piò che mar vnra-
Rigido avesti il cor, fiero l’ Ingegno, [ce
Quando sprezzando l' impeto marino,
flisU a sfidar la morte in fragii pino.
Per far una leggiadra sua vendetta
Amor fu solo autor di si gran molo.
Amor fu , eh’ a pugnar con tanta fretta
Trasse lurbiiii e nembi , Affrico e Nolo.
Ma della stanca c misera barchetla
Fu sempr’egli il poppiero, egli il piloto.
Fece vela del vel , vento con l’ ali ,
E fur r arco timon , remi gli strali.
Dalla madre fuggendo ita il figliuolo
Quasi banilito e contumace intorno,
Perché, coni’ io dicca, vinto dal duolo
Di fanciullesca slizza arse c di scorno ,
Né perché poscia il richiamasse, il volo
Fermar volse giammai, né far ritorno;
E In tal uispetto, in tanl’ orgoglio salse.
Che di vezzo, o pregar nulla gli calse.
Per gli spazi sen già dell’ aria molle
Sriorrheggiamio rmi l’ aure Amor v olantc,
F! detlava talor raliliioso c folle
Tragiche rime a più d’ un mesto amante.
Talor lungo un riisrello , n sovra im culle
Piegava l’ali c raccogliea le piante,
F. dovunque ne giva il snperbelto
Rubava uii core, o trapassava uu petto.
Non é questo lo strai possente c fiero,
Cli’ al Rcltor delle slclle il fiaiicu olTcsc?
Per cui piò volte dal celeste iiiqiero
L'aureo srettro deposto. in terra scese.’
Quel eh’ al quinto del riel Nume guerriero
Spezzò, passò raiianiantìiiu arnese?
Qiielche punse in Tessaglia il biondo Dio,
Superbo sprczzalor del valor mio?
Questa la face é pur, cu! sola adori
(Non che la terra eli C.ieljSlige c Caveito;
Clic strugger fc’, che fe’ languir talora
11 signor delle fiamme incenerito.
Quella , da cui non si difese ancora
Di Tuti il freddo cd umido niarilo;
Che tra gelidi umori ìnfiamnial fonti.
Trai’ ombre I boschi, etra le nevi i monti.
Ed or costei, da cui con biasnio derno
Miti’ onte gravi io mi sofl'crsi c tacqui,
Percljè dee le mie forze aver a scherno,
Seblven dal ventre suo ronrclto io nacqui?
Dunque andrò daque’lacci II cor materno
Libero acuì (non eh’ altri) aneli’ lo soggiac-
[qui?
Arse per Marte, è ver; ma questo é poco.
Lieve piaga fu quella, e debii foco.
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L’ ADONE. 1 1
Altro arder più penare, altra ferita
Vo’ciie più forte ai cor senta pnr anco.
Si redrù ch'ella {stessa ha partorita
La vipera cruilel che le apre il Uaiicn.
Degg'io sempre onorar chi più in’ irrita?
Forse (>er tema il mio valor vien manco?
No DO , segua die può. tinsi dicea
L’implacabil figliuol di Cllerca.
Mentre chequinci c qidndi, or basso or
Vola e risola il prrdalor fellnnc, [alto.
Come prima lontan dal verde sm.ilto
Vede in piccioi legnelto il vago Adone;
Subitamente al disegii.uo assalto
L'arnii appareccliia e l’ animo dispone;
E tutto inteso a triliolarla madre,
Vasscnc in Lenno alla luagion del padre.
Nella fiiliginosa, atra fucina,
Dove il zoppo Vulran suo genitore
De' Numi eterni i varj arnesi aflilna
Tinto di rumo c molle di siiilore,
Entra per falibricar tempra divina
D' un aureo strale, iiH|ieriosn Amore;
Strai, di' ellicaee e peiictrante e ioi te
Possa un |ietto iuiitiortal ferire a morie.
Libero 1' uscio al cieco arderò aperse
La gran ferriera del divino artista,
Parte di già polite opre diverse,
Parte ini|>erfette ancor, confusa e mista.
Colà fan ranni laiiipeggiaiiti c terse
(Del celeste giicrrier superba vista).
(fui la folgur Haninieggia alala e rossa
Del gran 1 uimiualor d'Uliiiipo e d'Ossa.
•
Vi C (li Pallade ancor lo .scudo c l' asta.
Il castello di Cerere e il bidente;
L’ acuto spiedo (li Diana casta.
La gross,! mazza d'Èrcole possente.
La falce. Onde Saturno il tutto guasta;
L’arco, oiid’ Apollo uccise il flcr serpente.
Di Nettuno il traliero, e di Plutone
(à>n due punta d' acebio havvi il forcone.
Le trombe vi ha, con cui vobndo suona
La F ama,e gli altrui fatti or biasnia or loda,
Vi hai ceppi, tra'ciii ferri Eolo imprigiona
I Venti insani , e le Tempeste inchioda.
Vi ha te catene, onde talor Bellona
li Furor lega , e la Discordia annoda.
Evi ha le chiavi, onde a dar pacco guerra
Giano il gran tempio suo serra o disserra.
Preiso al focon di mille ordigni onaslo
Travaglia II nero fabbro entro la grotta.
Più d' un callo ha la man forle.e robusto,
Alle fatiche esercitala e dotta.
RiigglAosa la fronte, il volto adusto.
Crespa la pelle cil abbronzata e cotta
.Sparso II gremhial di mille avanzi e nilllo
Di limature, c ceneri, c faville.
•
Quando orIì srnrfcr H ntiUo pargoletto,
La forbici* c U niartel lasria, c ^osponde,
E cur\o, c chino entro il lanoso petto
Con un riso vlll.m da terra il pmuic. *
Tra le ruvide braccia avvinto c stretto *
L* ispido labbro per baciarlo stende,
E la sudicia barba ed incuninosU
Al molle viso c delicato accosta.
Ma mentre ch*eRÌi Taccarezza e stringe,
Raccolto in braccio con paterno zelo,
Amor, perchè bai iatido il piitiRe e Unge,
La faccia arretra dall’ irsuto pelo,
K con quel sozzo liii , che il sen gii cinge,
per non iiiaccbiarsi di carline il velo,
All’aspra guancia d’mia in altra ruga,
Deir immondo sudur le stille asciuga.
Padre, dalla tua man, poscia gli dice.
Voglio or or sopraffina mia saetta,
Lhe Ha de’ torti tuoi vendicatrice,
! ascia la cura a me della vendetta.*^
Il come appalesar nè vo’, nè lice,
Basti soltanto, spacciati, chè ho fretta.
Non porta indugio il caso, altroor non puoi
Da me saper, l' lulcndciai ben poi.
•
Il quadrcl, eli* io ti cltiegglo, esser <^n- *
Di pcrfeUoarlificio^obeii condoUo, [viene *
di' esserne lin nelle più iuterne vene
Deve nn petto divin foralo c rotto.
Se iMò mai sforzo ad iiiipiegHr si bene
Il tuo braccio, il iQuscimo esfierto e dolU«
Fa, prego. In cosa ov’iui umo interesse.
Del gf«n saper le meraviglie esprc^.
«
«
Sfarò c|Dj foco a mliiisirarii Intento -
Sotio la rocca del camniin, clic fuma;
Acciocché il foco non rimanga spento.
Mantice li farò dell'aurea piuma.
E s'rgii avverrà pur, che manchi il vonlo
Al tulle, che raccende, e che raìlmna,
Promcuo aacunnilar Ira qiiostl ardori
In un toflio I so.vpii' di mille cori.
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12 MARINO.
Non pon Vulcano in quell’ affardimori^ I Veggendo aUerhaoiente arsicci e néri
Ma sceglie la miglior tra cento zolle, [pestar ferro con ferro I tre gran mostri, ^
E pria che iti su l'incudine sonora
Ei la castighi , al focolar la bolle ;
E non la balte, e non la tratta ancora
Fiifchè ben non rosseggia, e non vlen
Uivcnuta poi tenera c vermiglia, [molle.
Con la morsa tenace ei la ripiglia.
Amor^resente ed assistente all' opra"
Come l'aliliia a temprar, come I' aguzzi
Gli mostra, accioeeliò poi quando l’adopra
Non si rompa, o si pieglii, o si rintuzzi;
E di sua propria nian li sparge sopra
Dell’umord'un' ampolla alquanti spruzzi,
Piena di stille di dogliosi pianti
I>i sfortunati c disperati amanti.
Mentr’ è caldo il metallo, I tre fratelli.
Che un sol oce Ino hanno In fronte, e son gi-
Con vicende di tiiorn i gran martelli [ganti.
Muovono a grandinar botte pesanti;
E il dolio inaslro al martellar di quelli.
Che fan tremar le vidle arse e fumanti.
Per dar effetto a quel die ha nel disegno,
Pon gli stroiiicnli in opera e l’ ingegno,
Toslochi il ferro éralTrftddalo, in prima
Sbozza il suo lavorio rozzo ed informe.
Poi .sotto piùsoltil ininiitn filila
Con iBdnstria maggior gli dà le forme;
L’arrota intorno, e lo forbisce in cima.
Applicando al pensier .studio conforme.
Col fuoco allìn l' indora e col mordente,
E fa r acciaio e l’or terso e lucente.
Poicliè l'egregio .irlellce allo strale
Per tutto il liscio e II lusl(obadatnappirho.
N’arma il fanchillo un’asiirciuolafralc,
Ma che Irarigee ogni più duro seno.
Gl’ impenna li calce di due plcciol ale
EH tinge di ilolcissimo teleno;
E tutto pìen iP una superbia stolta ,
Pon la caverna e I lavoranti in volli.
Va della Dea, che generalo l llutli.
Il baldanzoso e temerario figlio
Spiando intorno, c i’ ferraniciui lutti ‘
Della scola fabhril mette In scnnipìglio.
Or de’ Ciclopi nioslriiosi e brutti
La difforme pupilla e il vasto ciglio.
Or il cotto lallon del piò paterno
Prende con risi e con disprezzi a scherno.
Troppo son, dice, deboli c leggieri
A librar le percosse i polsi vostri.
Ornai con colpi assai più forti e fieri
Questa mano a ferir v’ Insegni e mostri.
Impari ogiiuo dalla mia man, rhe-spczza
Qualunque Si diamante aspra durezza. ^
Volto a colui, che ha fabbricato 11 telo.
Soggiunge poscia : In questa tua fornace
Le fiamme son più gelide che gelo :
Altro ardor più cocente ha la mia face.
Tulio indi in mano il fiilmioe del Cielo,
E sciolto il freno all’ insolenza audace.
In colai guisa, mentre il vibra e more.
Prende le forze a beffeggiar di Giove.
Deh quanto, oTonator, che dalleslclle
Fai sdegnoso scoppiar le nubi orrende.
Più della tua. clic a spaventar Babelle
Dal del con fiero strepito discende.
Alla sola a domar gemi riilielle
Senza romor la mia saetta olfcnde.
Tu de' monti , io de’ cori abhiam le palme,
L’ una fulmina i corpi e l’altra Palme.
Depon P arme tonante, c riccreando
Di qua di là Paffumiralo albergo,
Trota di Marte il niiiiaerioso brando.
Il fin brncchier, P avantaggiato usiicrgo.
Or la prova vedrem, dice sclicrzando,
Sca difendersoiiltuoiiì il fianco c il tergo.
Lo strale in questa uscir dall’ arco las.sa.
Falsa lo scudo, e la lorica passa.
Di si falle follie sorridea seco
Lo Din distorto, die il mirava intanto.
Tu ridi, disse il farcitalo ticco,
Nòs:d,elic l'altrui risolo cangio in pianto,
E più che la fumea di questo speco
Farli d' angoscia lacrimar mi vanto.
CIA dello al gran Nellun soia leggiero, [ro.
Cbenel mondd ddPacquc liaéonimo impe-
Vcloeemcnte a Tcnaro sen viene,
E l'aria scos.sa al suo volar fiammeggia.
Abiialnr ilellc più basse arene
Quivi Ita Neliiin la cristallina reggia.
Clic ilall’iimor, di cui le sponde Ita piene
Ilatliila sempre e fiagellala ondeggia.
Rende dagli antri cavi rcn-prnfonda
Rauco muggito allo sferzar dell’ onda.
Digilized jy G- ui^le
L’ADONE.
Airarrltod’AinordatopironU [ca,
Sgorga, c crespo di spama il mar s' imblan-
Ouioci e quiiid i gli estremi in duo gran inon-
Sos|>cndec Inmezzosiditideeinanca; [ti
E scoverti del fondo asciutti i ponti ,
Del gran paI.vgio i cardini spalanca.
Passa el nel regno, ove la madre nacque.
Patria de' pesci e reglon dell’ dOque.
Passa, e sei) va Ira I' una c r altra roccia
Quasi per stretta e discoscesa valle.
L’onda noi bagna, e il mar nonché gli noc-
Ritira Indlcii'o il piè, volge le spalle, [eia,
Filano incuto gelo a goccia a goccia
Ambe le rupi del profondo calle,
E tra questo e (|neli’ argine pendente
Appena ci scorger può l’ aria lucente.
Nè gli, mentre varcava i calli ondosi.
La faretra 0 la face in ozio tenne,
^ Ma con acuti stimoli amorosi
* Faville e piaghe a seminar vi venne;
E laddove dell' acqua auge! squamosi
Spiegano i pesci l’argentate penne.
Tra gl’ infiniti eserciti guizzanti
Sparse mill’ esche di sospiri e pianti.
Strana di quella casa è la struttura.
Strano il lavoro e strano è l' ornamento.
Ha di ruvidi pomici le mura ,
E di tenere spugne il pavimento.
Di lubrico zalTiro è la scnltura
Della scala maggior, l’uscio è d'argento.
Variato di pietre e di conchiglie
Azzurre, e verdi, e candide, e vermiglie.
Nell'antro istesso è la magion di Teti,
E gran famiglia ili Nereidi ha seco.
Che in varj uOicI ed esercizi lieti
Occupale si slan nel cavo speco.
Queste con passi incogniti e secret) ,
E per setilier caliginoso e cieco
Van dell' arida terra irrigatrici
A nutrir piante e fiori, erbe e radici.
Intorno c dentro all’umida spelonca
Chi danzando di lor le piante vibra, [conca,
Chi sceglie o gemma in sabliia, o perla in
Chi fila l'oro, e chi l’ainna o cribra;
Qual do' germi purpurei i rami tronca.
Qual degli ostri sanguigni i pesi libra;
E sotto il piè d' Amor v’ha molle Ninfe,
Che van di musco ad infiorar le linfe.
Belle son tutte s), madilTerenlI t
Altra ceruleo, ed altra ha verde il crine.
Altra r accoglie, altra lo Icloglie ai venti.
Altra inirecctando II va d' alghe marine ;
E di manti diafani e lucenti
Velan le membra 'pure e cristalline.
Simili al viso, ed agili e leggiadre
Mostran che figlie son d' un stesso padre.
Pasce Proteo pastor mandra di foche ,
Orche, pistri, balene ed altri mostri.
Delle cui voci mormoranti e roclie
Fremon per tutto i cavernosi chiostri;
E le guarda e le conta, c non son poche,
E scagliose han le terga, e curvi i rostri.
Glauchi ha gli occhi lo Dio, cllestro II volto,
E di teneri giunchi il crine involto.
Giunto alla vasta c spaziosa corte
Stupisco Amor da tutti (pianti I lati :
Polcliè per cento vie, per cento porle
Cento vi scorge entrar fiumi onorati.
Che quindi poi con piante oblique e torte
Tornan per Invisibili meati
Fuor del gransen, che gli concepe e serra,
Con chiare vene ad innaOiar la terra.
Vede l'Eufrale divisor del mondo.
Che I bei cristalli suoi rompendo piange.
Vede r originai fonte profondo ' ■
Del MI, che il marron sette bocche frapge.
K vede in letto rilucente c liiondo •
Del più fino melai corcarsi If Gange,
Il Gange, onde trae l'or, di cui si suole
Vestir quaud' esce in sul mattino il Sole.
Vede pallido II Tago in su la riva.
Non mcn ricchi sputar vomiti d’oro;
E trac groppi di gel nell’ <Mida vNa
Il Reno, l'Istro, e il Rodano aonoro.
Di salce il Mincio, l'Adige d’oliva,
L'Arno al par del Penco cinto d'alloro,
Di pampini il Meandro, e d’edre l’ Ebro,
E d’auree palme incoronato il Tebro.
Vedo di verdi pioppo ombrar le corna
L' Eridano superbo e trionfale.
Gl)' ove il rettor del pelago soggiorna *
Vien dall’ Alpi a volar l'urna reale; .
E mercè de' suoi duci, il ciglio adorna
Di splendor glorioso ed immortale; ,
Onde quel cb’ènelcieldilume agguaglia,
E con froqte di Luna il Sole abbaglia.
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14
Poi di guido minor ne vede moiU,
Che con rami divUi in varie parti
Per i’ Italia rHioe errano sciolti
Del gran padre Appennin coiiretlieparti.
E quaidi canna, e quai di mir to avvolti
Le tempie, e (|uai di rosa ornati e sparti,
Sonitninistran con l'acr|uc in lunga schiera
Sempiterno aiimetUo a pr itnavera.
Traqticsti, umil tìgliuol del bel Tirreno,
Il mìo Sebeto ancor Tacque cunlonde :
Picciolo si, ma ili delizie pieno,
Qnaitto ricco d' onor, povero d' onde.
Giriti intoniu il ciel sempre sereno.
Nè sfìuri aspra stagron le belle sponde,
Nè mai la Uree dei tuo vivo argento
Turbi con sozzo piè fetido armento.
Giacque In le la Sirena, e per te poi
Sorger vir tude, e fiorir gloria io veggio.
Trono di Giove, c di pregiati croi
Felice albergo c fot tuiiaur seggio;
Dolce urlo porlo, agli aiutanti tuoi, [gio,
Ne’ cui petti Irò II min nido, ctcrnoiodeg-
Padro di cigni, c lor ricovro eletto,
E de’ fratelli uiioi lido ricetto.
Con questi encomj alTcltiiosi Amore
Del patrio finmc mio le lodi spande,
Cliè il riconosce al limpido splendrrrc.
Che fra milTaltri èsegnalalo e grande,
E de’ celil i fioriti al grato odore.
Di cui s’ inles.se al crin verdi gbirlande.
Intanto nella gelida caverna ,
Dove siede Nettuno, i passi iiiteroa.
Seggio di terso orientai cristallo
Preme de’ (lutti il regnator canuto.
Clic da colonne d’ oro e di corallo
Con basi di diamanle è sostenuto.
Echi d' una lestndinea cavallo,
Chid'un deliin, chi d’ un vitel cornuto,
Cento altri Dei minor. Numi vulgari.
Cedono a lui la monarchia de’ mari.
MARINO.
Tu vedi U, dove di Siria siede
La spiaggia estrema, che col marconfiiù.
Vago fanciul del mio bel regno erode
Col remo esercitar Tonda marina.
Questo, che di bellezza ogni altro eccede.
Alla mia bella madre il Ciel destina.
Onde frutto uscir dee di beiti tanta.
Clic sia simile io tutto alla sua pianta.
Se deriva da te l’origin mia.
Se a chi mi generò desti la cuna.
Se il tuo desir, quando d’ainor Ungula ,
Ottenne uiiqiia da me doleezza alcuna,
Acrincch’ io pos.sa per più farii via
Condili io a posseder lauta fortuna, ■
Mercè di quanto feci, o a far ini resta.
Siavi nel regno tuo breve tempesta.
Di questa immensa tua liquida sfera
Turbar la bella c plarbla quiete
Piacciati tanto sol, eh' innanzi sera
Venga Auone a cader m-lla mìa rete.
E fia tulio a suo prò, perchè non pera
Si ricca merce in mal sicuro abete.
Il cui navigio con incerta legge
Più il timor clic il limongoveriia e regge.
Sai clic quando Ciprigna in novi amori
Occupala non è, come ha per uso,
l'surpando a .Minori a i suoi lavori
Non sa, se non trattar lasfiola, o il fuso,
Onde iniilil letargo opprime i cori ,
Torpe .spento il mìo foco, il dardo ottuso.
Manca il .seme alla vita, ed infecondo
A rischio va di spopolarsi il mondo.
Oltre qiiasic ragion, per cui dovrei
Impetrar qnalcITcITeilo alle mie voci,
Dee Tiitil proprio almeno a’preghi miei
Far pili le voglie lue pronte e veloci.
Da questi felicissimi imenei
Corteggiala da mille e mille Proci
Dituc uscirà, che più iT ogni altra bella
Fia delle Grazie T ultima sorella.
Non pensar che per ira. Amor gli disse,
Gran padre delle cose, a le ne veglia ;
Gilè non può Dìo di pace amar le risse,
E nel petto d' Amore odio non regna;
Ma perchè iiuovanienic il Ciel prefisse
Impresa all' an o mio nobile e degna,
Per render l'opra agevole e spedita
Di cortese favor U cliieggio aita.
Costei, siccome mi mnsiraro in delo
I.' adamantine tavole immortali,
Dove nel cerchio del signor di Deio
Giove scolpi gli oracoli fatali,
Concede al re del lit|ucratlo gelo
L’ allo lenor di quegli eterni annali ,
Perchè venga a scaldar eoi dolce lume
Del freddo letto tuo T umide piume.
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L’ADONE.
Ma quando aneorda quel, di’ ivi scolpio
Chi«iotc il lutto, il fato altro volgesse,
Scbbcii di Tube il giovinetto Dio
Fia tuo rivai nelle bellcuc istc»c,
A dispetto del Ciel tei promelt' io :
Scritte in diamante sicn le mie promesse.
IO| clic Gioie o destili punto non curo,
Per l’ acque sacre, e per uic stesso il giuro.
Cosi parlava, c il re deli’ onde intanto
A lui si tolse con tranquilla faccia:
0 domatore indomito di quanto
Il ciel ciiTOnda c l’Oceano abbraccia,
A dii può dare altrui leliaia e pianto [eia.
Ragione è l>en, ebe appieno orsi coinpiac-
Spendl roniunque vuoi quanto po.ss’ io.
Pende dal cenno tuo l'arbitrio mìo,
E qual onda fla mai , die a tuo talento
Qui non si remiao torbida o tranquilla.
Se ardon nel niullc e mobile elemento
Per Cimoloe Tritoli, Glauco per Scilla?
Collie lia lardo ad ubbidirti ti Vento,
Se il re de’ Venti ancor per le sfai illa?
E ricettali l'ardor ne’ freddi cori.
Borea d'Orizia, c Zcliiro di Giuri 7
Tu virtù somma de’supcrni giri,
Dispi nsier di ile gioie c de' piaceri ,
Imperator de' nobili desiri,
llluslralor de’ torbidi pensieri.
Dolce requie de' pianti c dc’sos|iiri ,
Dolce Union de' curi e de’ voleri.
Da cui Natura trae gli ordini suoi,
Dio delie meraviglie, c die non puoi?
Siccome tanti qui numi die vedi,
Del mio reame trìbntarj sono ,
Cosi signor, die l' aiifmc pus.sicdi ,
Tributario son io del tuo gran trono.
Ond' a quaiit uggì brami c quanto cliicdi
Do questo scettro a te devoto in ilono,
0 gioia, o vita uiiiversal dei mondo.
Altro clic l' eseguir più rispondo.
Cosi dice Nettuno, c cosi detto
Crolla r asta trisulca , c il mar scoscende ,
D’alpi spiiiiiose oltre If ceruleo letto
Cumulo vasto inver le stelle ascende;
Urtansi i Venti in minaccioso aspetto,
Delle concave nubi aninic orrende ;
E par clic rotto , o distemprato in gelo
Voglia nel mar prccipUarc il deio.
IS
Borea d’ aspra tenzon tromba guerr'icra
Sfida il turbo a battaglia, e la procella.
Curva l'arco dipinto Iride arciera,
K scocca lampi invece di quadreila.
Vibra la s;iada sanguinosa e fiera
Il superbo Orion torbida stella,
K il ciel minaccia, ed alle nubi piene
D’acqua insieme e di foco, apre le vene.
Fuor del confln prescritto in allo poggia
T umido il mar di gran siqiei iiia, e cresce.
Bninosa nel mar scende la pioggia.
Il ni.ir col cielo , il ciel col mar si mesce.
In novo stile, in disnsiila foggia
L’augello il iiiioio impara, il volo ilpesce.
Oppoogonsi eieinenli ad elementi, [li.
Nubi a nubi, acque ad acque, evenUaven-
Potè (tant’alto quasi il fluito sorse)
I a sua sete ainniorzar la Cagna esliyj.
K di uova leinpesia a riseliio torse
Non ben si cura in ciel la Nave argiva.
E voi fuor d'ogni legge, o gelid'Oi'se,
Malgrado ancor della gelnsa Diva,
Nel inar vietato i Inniinosi velli
Lavaste pur delle su Hate pelli.
Dell die farai dal patrio suol lontano.
Misero Adone, a navigar mal alto?
Vagliezza pnei il tanto pian piano
II novi guidato palischermo lia tratto,
Clic la terra natia sospiri invano
Dal gran riseliio confiisu c sopralTatlo.
Tardi ti pentì, c sbigultito c smorto
Ornai cominci a disperar del porto.
Giù giù convien, ebe il timido nocchiero
All’ arbitrio ilel'caso s’ abbandoni.
Fremono per lo ciel torbido e nero
Fra baleni ondeggianti i ranclii tuoni.
E tuono aneli’ egli il re deH’ acque altero,
Cli’a suoli d'austri soflìaiiti c d’aquiloni
Col fulniiiic dentato (emulo a Giove)
Tormentaudo la terra , il mar commove.
Corre la navicdia, e ratta c lieve
La corrente del mar seco la porla.
Piega l' orlo talvolta, e I’ onda beve
Assai vicina a riniaiicrnc assorta.
Più pallida c più gelido die neve
Vnigesi Aduli, nò scorge più la KOrU,
E di morte si vasta il licro aspetn
Coufonde gli occhi suoi, spaventa il petto.
*
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IS MARINO.
Ha menirc privo dì terreno aiuto
L’agitalo battei vacilla cd erra, '
Ambo I lianchi sdrucito e combattuto
Da queir ondosa e tempestosa guerra.
Quando il ranciiil più si tcnea perduto,
Ecco rapidamente approda In terra,
K tra giunchi palustri in su la rena
Vomitato dall’ acque , il corso alTrena.
Oltre l’ Egeo, là donde spunta in prima
Il pianeta maggior, che II di rimena ,
Sotto benigno c tem|ierato clima
Stende le falde un’ isoletta amena.
Quindi il superbo lauro erge la cima,
Quinci il famoso Nil fende l’arena.
Ha Rodo incontro , e di Sorta t icinl
E di Cilicia i fertili confini.
Questa à la terra, che alla Dea clic nacque
Dall’ onde con miracolo notello.
Tanto fu rara un tenipo, c tanto piacque,
Che disprc/7.ato |l suo ditino ostello.
Qui sovente godea fra 1’ ombre c I’ acque
Con invidia dell’ altro un ciel più bello ;
E v’ ebbe cretto all’ immortale esemplo
Della sua diva imago aitare c tempio.
Scende quivi II garzon salvo all’ asciutto.
Ma pur dubbioso e di suo stato incerto,
Chi ancor gli par dell’ orgoglioso flutto
Veder r abisso orribilmente aperto.
Volgesi intorno , c scorge esser per tutto
Circondato dal mar, bosco c deserto.
Ma quella solitudine che tede.
Gioconda i si, che altro piacer non chiede.
Quivi si spiega in un sereno eterno
L’aria in ogni stagion tepida e pura,
Cui nel più fosco e più cruccioso terno
Pioggia non turba mai, nè turbo oscura;
Va preudendo di par l’inglurie a sclierno
Del gelo estremo c dell’ estrema arsura ,
Lieto vi ride, nè mai varia stile
Un sempre verde e giovinetto aprile,
I discordi animali in pace accoppia
Amor, nè l’im dall’ altro offeso geme.
Va con r aquila II cigno in una coppia,
Ma col falcon la tortorella insieme.
Nè della volpe insidiosa e doppia
Il semplicetto pollo inganno teme.
Fede all’amica agnella il lupo osserva,
B secura Col veltro erra la cerva.
Da’ molli campi , I cui bennati fiori
Nutre di puro umor vena vivace, •
E dolce confosion di mille odori
Sparge e Invola volando aura predace.
Aura che non pur là con lievi crrort
Suol tra rami scherzar spirto fugace.
Ma per gran tratto d'acque anco da lunge
Peregrinando I naviganti aggiunge.
Va oltre Adone, e Filomena e Progne
Garrir ode per tutto, ovunque vanne,
E di stridule pive , c rauche brogne
Sonar foreste e risonar capanne.
Di villane sordine e dì sampogne,
Dì boscherecci zufoli e di canne ,
E con alterno suon da tutti I lati
Doppiar muggiti, c replicar belati.
Solitario garzon posarsi stanco
Vede all’ ombra d’ un lauro in rozza pietra;
Ha l’arco a’ piedi, e gli attraversali fianco
D’un bel cuoio linceo strania faretra.
Veste por di cerviero a negro e bianco
Macchiata spoglia, e tiene in man la cetra.
Dolce con questa al mugolar de’ tori
Accorda il suon de' suoi selvaggi amori.
Di dorato coturno ha il piè vestito ,
Eburneo corno a verde fascia'appende.
Ride il labivro vivace c colorito.
Sereno lampo il plarid’ occhio accende.
Ha fiorita la guancia, il rrin fiorito,
E fiorita è l’età, clic bello il rende.
Tutto in somma dì fiori è sparso e pieno.
Fior le man, fior la chioma, e fiori il seno,
FormidabiI mastin dal destro Iato
In un gruppo giacer presso egli scorse.
Clic con rabliioso ed orrido latrato
Quando il vide apparir contro gli corse;
Ma posto II plettro in su l’ erboso prato
Il corte.se villan subito sorse,
E l’ indomito can , percliè ristesse ,
Fugù col grido c col baston corresse.
Ulibidìscc il superbo , a piè gli piega
L’irsuta testa, c l’irta coda abbassa.
Quegli alla gola intorno allor gli lega
Con tenace cordon serica lassa.
Poscia il reai donzello invita e prega,
Cile oltre vada seciiro, ed egli passa.
Passa colà , dove raccoglie umile .
Famiglia pastoral rustico ovUe.
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f
L’ADONE.
Stas-sene aicnn su le florilc ri re
D’ una sorgente cristallina e Tresca.
Altri per l' elei folte all' ombre estive
I vaghi augelli inskiinso innesca..
Altri ne' verdi Tagel Intaglia e scrive
0’ aaior tutto soh lto il Toco e l’ esca.
Altri rintraci'in di sua MiiTa roriiie,
Altri salta, altri siede, ed altri dorme.
Quei con versi d'amor i’aiire addolcisce
Al susurrar de’ lubrici crislalli. [disce.
Questi ai tauro, al inonton , die gli ubbi-
Insegna al siioii della siringa i balli.
Qual liscelle d’ibisco, e (piai ordisce
Serti di fiori o piirpiirini o gialli.
Chi torce all’ agile le feconde poppe ,
Chi di latte empie i giuiiclil,ccbi le coppe.
Col bel fanciullo, ove gran d'ombra Sten-
Pergolato di mirti, il p.astnr siede, [de
Quivi Adon sue fortune a narrar prende.
Della contrada e di lui stesso chiede.
L’ un gli risponde , e l’altro intaniopendc
Dal parlar, che d’amore il cor gli fiede.
Strani, gli dice, olir’ ogni creder quasi.
Peregrino gentil , sono I tuoi casi.
Ha cangiar patria ornai deh non ti spiac-
Con si bel loro, e rasserena il ciglio, [eia
Cbh se pur (come mostri) ami la caccia.
Qui fere avrai senr-’ira e seni' artiglio.
Nè creder vo', che indarno il Ciel li faccia
Campar da tanto e sì mortai periglio,
0 sena’ alta ragion per via si lunga
Perduto legno a ipiestc rive giunga.
Cosi compia i tuoi voti amico Cielo,
E secondi i desir destra forinna ,
Come fra quanti col suo piè di gelo
Paesi inferior scorre la Luna ,
Non potea più conforme a si bel velo
Terra trovarsi , o regione alcuna.
Certo con lei, che con Amor c|ui regna,
Sol di regnar tanta bellezza è degna.
L’ isola , dove sei , Cipro s’ appella ,
Che del mar di Panfilia in mezzo è posta.
I.a gran reggia di Amor, vedila, è quella.
Che io U ti addito In ver la destra costa.
Nè (se non quanto il vuol la Dea più bella)
Colè giammai profano piè s'accosta.
Scender di elei qui spesso ella ha por uso;
,ln altro tempo il ricco albergo è chiuso.
17
Vi ha poi templi ed altari, havv i Amor se-
Simulacri , olocausti e sacerdoti , [ co
Dove in segno di onor del popol greco
Pendono allissi in lunga serie i voti. ‘
Offrono al .Nume faretrato e cieco
Vittime elette i supplici devoti,
E gli spargono ugnor tra roghi e lumi
Di ghirlande e d'incensi odori e fumi.
Qui perelezion, non per ventura.
Già di Llgnria ad abitar venn’ io.
Pasco per i’ odorifera verdura
I bianchi armenti , e Clìzio è ii nome mio ;
Del suo bel parco la custodia in cura
Dieinmi la madre deH’ .alato Dio,
Doi’ entrar, fuor che a Venere, non lice.
Ed alla Dea selvaggia c cacciatrice.
Trovato ho in (pieste selve ai finiti amari
Di ogni umano travaglio il vero porto.
Qui cibile guerre de’ civili alTari,
Quasi in sicuro asilo , il Ciel mi ha scorto.
Serici drappi non mi fur si cari ,
Come l’arnese ruvido clic io porto;
Ed amo meglio le .spelonche e i prati.
Che le logge marmoree c i palchi aurati.
Oh quanto qui più volentieri ascolto
I susurri dell’ acipie e delle fronde.
Che quei del foro strepitoso e stollo.
Che il fremilo vnlgar ranco confondcl
Ln’ erba , un pomo, e di foriima un volto
Quanto più di quiete in .sè nasconde
Di quel che avaro principe dispensa
Sudato pane in mal comlita mensa!
Questa felice e semplicetta gente,
Che qui meco si spazia c si trastulla.
Gode quel lien , che b nero c nascente
Ebbe a godersi poro il mondo io culla:
Lecita libertà, vita innocente.
Appo il cui basso stalo II regio è nulla.
Gilè sprezzare i lesor, nè curar l'oro
Questo è secolo d’ or, questo è tesoro.
Non cibo, o pasto prezioso e lauto
II mio povero desco orna e compone.
Or damma errante , or capriolo incauto
L' empie, or frullo maturo in sua stagione.
Dello talora a suon d' avena, o flauto
Ai discepoli boschi umil canzone;
Serva no, ma compagna amala greggia;
Questa mandra malculia è la mia reggia.
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MARINO.
Lungi da' Casti ambiziosi e ram
Miè&cettro il niioba&ton, porpora il vello.
Ambrosia il latte, a cui le proprie mani
Servon di coppa, e nettare il ruscello.
Snn ministri i biColcbi, aiuiri i cani.
Sergente il toro, c cortigian l’ agnello.
Musici gli augelletti c I’ aure c l'onde.
Piume i'crbcltc, e padiglion le fronde.
Cede a quest* ombre ogni più eli iara luce,
Al lor silenzi i più canori accenti;
Ostro qui non fiainineggia or nou riluce ,
Di cui sangue c pallor son gli oruainenli.
Se non baslano i lìor,clic il suol produce.
Di più bell’ ostro e più bell’ or lucenti ,
Con seccuo splendor spiegar vi suole
Pompe d’ostro l’ Aurora c d’oro il Sole.
Altro mnrmnrator non è che si oda
Qui mormorar, che il mormorio del rivo.
Adulator non mi lusinga o loda,
Fuor che lo specchio suo limpido cvivo.
Livida invidia, chg altrui strugga e roda
Loco non v 1 ha, poichù ogni cor n’ èschivo.
Se non sol quandoinquestirami einquclli
Gareggiano tra lor gli emuli augelli.
Hanno colà tra mille insidie in corte
Tradimento c calunnia albergo c sede.
Dal rui morso crudel tralitta a morte
È rinuorenza e lacera, la fede.
Qui non regna perfidia , e se per sorte
Pirriol ape lalor ti punge e fiede.
Piede senza veleno , e le ferite
Con usure di iiiel son risarcite.
Non sugge qui crudo tiranno il sangue,
tla discreto bifolco il latte coglie.
Non mano avara al poverellu esangue
La pelle scarna , o le sostante toglie.
Solo all’agnel, che non però iielanguc,
llavvi chi tonde le lanose sjtoglie.
Punge stimolo acuto il fianco a’ buoi ,
Non destre iimuodesto il petto a noi.
Non si tratta fra noi del fiero Marte
Sanguinoso c mol lai ferro piingeiilc.
Ma di (àirere si, la cui bell’arte
Snsiieii la vita, il voiiicre c il bidente,
Nù mai di guerra in (|uestau in quella par-
Furore insano o strepito si sente, [te
Salvo di quella, che lalor fra loro
Fan con cozzi amorosi il capro c il toro.
Con landa o brando mal non ai contrasta
In queste beatissime contrade.
Sol di Bacco talor si vibra l’asta.
Onde vino e non sangtie in terra cade.
Sol quel presidio ai nostri campi basta
Di teiicrelle e verdeggianti spade ,
Che nate là su le vicine sponde
Stausi tremando a guerreggiar con l’ande.
Borea con soffi orribili ben potè
Cndlar la selva e batter la foresta.
Pacifici pensicr non turba o scote.
Di cure vigilanti aspra tempesta.
K se Giove lalor fiacca e porcole
Di ll'alle querce la superba testa.
In noi non avvicii mai clic scocchi mandi
Fulmini di furor l’ ira de’ grandi.
Cosi tra verdi c solitari bosclii
Consolali ne meno i giorni e gli anni.
Quel Sul, cliescaci ia i tristi orrori c foschi.
Serena anco i ponsier, sgombra gli affanni.
Non temo , o d’orso , o d’angue artigli, o
Non di rapace lupo iusidie odamij; [lascili.
Citi non mitre il Icrrcn fere o serpenti,
0 se tic nutre pur, sono iuiioccnti.
Se cosa è che talor turbi ed annoi
1 miei riposi placidi e tranquilli.
Altro non ò clic Amor. l.asso, dappoi
Che mi giunse a veder la lidia Filli ,
Perici languisco, e sol per gli occhi suoi
Cuiiv idi die ipiaiit' io viva, arda c sfavilli;
K vo’ che cbiiida una niedesma fossa
Del foco insidile il cenere c ddi' ossa.
Ma cosi son d’ .\mor dolci gli strali,.
Si la sua fiaiiiiiia e la catena è lieve.
Che mille strazj rigidi e mortali
Non vagliono un piacer, clic si riceve.
Anzi pur vaga de’ suoi propri mali.
Conosciuto vden 1’ aniiiia beve;
E ili qiiegii ordii, ov ’ allierga il suo dolore.
Volontaria prigion procaccia il core.
Curi dunque dii vuol delizie ed agi,
lo sol piacer di villa apprezzo ed amo.
Cu’ tuguri cangiar voglio i palagi ,
Altro lesor, dir povertà non bramo.
Sazio de’ vezzi perfidi c malvagi.
Che han sntto I' csea dolce amaro l’amo.
Qui sol quella ottener gioia mi giova.
Clic ciascun va cercando e nessun trova.
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L’ ADONE.
Non ti maravigliar, ciic la selvaggia
Vita tanlo da me pregiata sia ,
Gilè ancor di Giano in su la patria spiaggia
Ne cantai già con rustica armonia;
Onde vanto immortai d’ arguta e saggia
Concesse Apollo alla sampogiia mia,
De' cui versi lodali in Elicona
li ligustico mar tutto risona.
Del maestro d’amor gli amori ascolta
Stupido Ailoiie , ed a’ bei detti intento.
Colui, polcli’ aUrenó la lingua sciolta,
Fe’ da' rozzi valletti in nn moini nto
Recar copia di cibi , a cui la molla
Fame accrebbe sapore e condimento.
Mei di diletto e nellarc d' amore ,
Soave al gusto e velenoso al core.
Nò mai di loto abbominabil frutto
Di secreta possanza ebbe cotanto ,
Nò fu giammai con tal virtù costrutto
Di bcvand.1 circea magico incanto,
Qic non perdesse, e non cedesse in tutto
Al pasto del pastor la forza c il vanto.
Liquor insidioso , e.sca fallace,
Dolce vclcn, eh' uccide e non dispiace.
Nel giardin del Piacer le poma colse
Clizin amoroso, c qnimii il vino espresse,
Ond' ebbro in seno il giovinetto accolse
Fiamme sottili, indi s’accese in esse.
Non perù le conobbe e non .si dolse, [se.
Che fincli’ uopo non fii,gìacquer snppres-
Qual serpe ascosa in agghiacciala falda ,
Che non prende vigor, se non si scalda.
Sen te un novo desir, ch’ai cor gl i scende,
E serpendo gli va per entro il petto.
Ama, nò sa d’amar, nò ben intende
Quel suo dolce d’amor non notoelTello. [de
Ben crede, e v uole amar, ma non compren-
Qual esser deggia poi l’ amato oggetto ;
E pria si sente incenerito il core ,
Che s’ accorga il suo male essere amore.
Amor ch’alzò la vela, e mosse i remi
Ouando pria tragHtollo al bel paese.
Vasetto l’ali fomentando i semi
Della flamnia, di’ ancor non ò palese.
Fa su la mensa intanto addur gli estremi
Della vivanda il cuntadin cortese.
Adon solve il digiuno, e i vasi liba,
E quei segue il parlar, mcnlr'ei si ciba.
Signor, tu vedi il Sol, ch’avventa i rai
Di mezzo l'arco, onde saetta il giorno.
Perù qui ripo.sar meco potrai
Tanto che il novo di f.iccia ritorno.
Ben da sincero cor, prometto, avrai
In albergo villan lieto soggiorno;
Avrai con parca mensa e rozzo letto.
Accoglienze cortesi c puro affetto.
Tosto chesusiirrartra il mirto e il faggio
Io sentirò l'auretta mattutina,
Ti eo risorgerò, per far passaggio
Alla casa d'Ainor, di' è qui vicina.
Tu poi quindi prendendo altro viaggio.
Potrai forse saldar l’alta mina.
Conosciuto che sii l'unico e vero
Successor della reggia c dell’ impero.
Benché non tema il folgorar del Sole
Tra fatiche e disagi Adon nutrito.
Di queir oste geiilil non però vole
Sprezzar l’ offerta, o ricusar l’ invito.
Risposto al grato dir grate parole,
filivi di dimorar prende partilo;
E ringrazia il di stili, che lasso e rotto
A si cara niagion l’ahhia condotto.
Sceso in tanto nel mar Febo a colearsi
lasciò le piagge scolorite e meste,
E pascendo I destrìer fiinianti c arsi'
Nel presepe del del biada celeste.
Di sudore e di foco umidi e sparsi
Nel vicino Ocenii lavar le leste;
E l’un e l’altro Sol stanco si giacque,
Adon tra’huri. Apollo ili grembo all'acque.
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20
MARINO.
, CANTO SECONDO.
IL PALAGIO D’ AMORE.
ALLEGORIA.
Le riccliczzc della casa d’Amnre c le sciiluirc della porla di cssa^contcncnll ra-
zioni di (lerere c di Bacco, ci danno a conoscere le delizie delia sensualità e quanto
l’uno c l’altra concorrano al nutriniento della lascivia. Le cinque torri comprese
nel dello palazzo son poste per esempio de’ cinque sentimenti umani , che sono
ministri delle dolcezze amorose, e la torre principale, eh’ è più elevata dell’altro
quattro, dinota in particolare il senso del tatto in cui consiste l’estremo e l’eccesso
di simili dilettazioni. La soavità del pomo puslato da Aliene ci insegna, che per lo
più sogliono sempre 1 frulli d’ Amore essere nel prinripio dolci c piacevoli, il giudizio
di Paride è simbolo della vita dell’ uomo, a cui si rai>preseiitano innanzi tre Dee,
cioè l’attiva, la contemplativa e la volutlaria; la prima sotto nome di Giunone, la
seconda di Minerva e la terza di Venere. Questo giudizio si commette all’uomo, a
cui è dato libero l’arbitrio della elezione, perchè dclermini qual di esse più gli piac-
cia di seguitare. Ed egli per ordinario più volentieri si piega alia libidine c al pia-
cere, che al guadagno, o alia virtù.
ARCOXEtITO.
Al palagio, nv’Amor chinile ogni gioia.
Ne van Clìzio ed Adone in compagnia;
Clizìugh prende a raccontar (atr via.
Il gran giudteiu del paslur di Troia.
Giùnto a elici passo il giovinetto Alcide
Glie fa rapo al rammin di nostra vita.
Trovò dubbio e sospeso infra due guide
Una via, che ’n due strade era parlila.
Facile c piana la sinistra ei vide,
Di delizie c piacer tutta fiorita ;
L’altra vestia l’ ispide balze alpine
Di duri sassi c di pungenti spine.
Stette lung’ora irresoluto in forse
Tra’ duo sentieri il giovane inesperto,
AIflnc il piè ben consiglialo ci torse
Lungc dal calle morbido ed allerto;
E dietro a lei, eli’ a vero onor lo scorse,
Scelse da destra il faticoso cd erto.
Onde per gravi rischi c strane imprese
Di somma gloria in su la cima ascese.
E cosi va chi con giiidido sano
Di virtù segue l' onorala Irarcia.
Ma chiunque credendo al vizio vano
Cerc.vil mal, di’ Ila di ben sembianza c fac-
Giungc per molle c .spazioso piano [eia.
Dove in mille ealeno il piede aliacela, [modi
Quante il perfido, ahi quante, c’n quanti
N’ ordisce astute insidie, occulte frodi. .
Per l’arringo mortai, nova Alalanta
L'anima peregrina c semplicetta.
Coree veloce, c con .spedita pianta
Del gran viaggio al termine s’ affretta.
Ma spesso il corso suo stornar si vanta
Il scuso adiilalor, di’ a sè l’alletta
Coll r oggetto piacevole c giocondo
Di questo pomo d’ or, che nome ha Mondo.
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L’ ADONE.
Curi lo scampo suo, fugga e disprezzi
Le dolci oDcrte, i dilettosi inganni,
Nè perchè la lusinghi c l' accarezzi.
Disperda in fiore il verdeggiar degli anni.
Mille ognor le propon con finti vezzi
Per disviarla da’ lodali afianni
Gioie amorose, amabili diporti.
Che poi fruttano altrui mine e morti.
Da si fatte dolcezze ella Invagliita
Di farsi esca al focile, e segno all'arco.
Nella cruda magion passa tradita
Di mille pene a sostener l' incarco;
Gabbia senz' uscio, e career senza uscita.
Mar senza riva, c selva senza varco,
l.abirinlo ingannevole d'errore.
Tal è il palagio ov’ ha ricetto Amore.
Gièl'augcl mattutin battendo intorno
L’ all, a bandir la luce ecco s' appresta,
E '1 capo e '1 piè superbamente adorno
D'aurato sprone e di purpurea cresta.
Della villa oriuol, tromba del giorno.
Con garriti iterali il mondo desta,
K sollecito assai più che non suole.
Gii licenzia le stelle e chiama il Sole.
Quando di li, dove posò pur dianzi
Dal suo sonno riscosso. Aduli risorge.
Che veder vuol pria che 'I calor s’avanzi.
Se 'I ciel di caccia occasion gli porge.
Glizio paslor con la sua greggia innanzi
Al vicin bosco rarcomp.igna e scorge.
Li dove a suon di ruslira sambuca
Gonvien sul mezzodì, eh’ ci la riduca.
Disegna Adon, se pur Ira via s'abbatte
In dannila, in damo, o in altra fera alcuna.
Errando ancor per quell' ombrose fratte
Torcer dell’ arco la cornuta Luna.
Quest’ armi avea (come non so) ritratte
In salvo dal furor della Fortuna;
Nè so qual tolto avria fra le tempeste
Più tosto abbandonar, la vita o queste.
•
Cosi, mentre vagante e peregrino
Scorre l’ antico suo paterno regno.
Del crudo arcicr, del perfido destino
Affretta l'opra, agevola il disegno.
Ma stimando fatale il suo cammino.
Poiché campò gran rischio in piccini legno.
Spera, quando alcun di quivi soggiorni.
Che lo scettro perduto in man gli tomi.
Veggendo come per si strania via
Dalla terra odorifera salica
Mirabilmeptc all’ isola natia
Pietà d’amico del scorto l'area,
E che del loco, ond’ ebbe origin pria.
Il leggittimo stalo in lui cadea,
NeUavor di Fortuna ancor confida.
Che de' suoi casi a' bei progressi arrida.
Appunto il Sol su la cornice allora
Della finestra d’ or levava il ciglio.
Forse per risguardar, s'avesse ancora
Nulla eseguito Amor del suo consiglio.
Quando di lei, che ’l terzo giro onora,
Dolente pur del fuggitivo figlio.
Vieppiù da lui, che dal pastor guidato.
Giunse presso all' ostello avventurato.
Ancorché chi usa sla, com' ognor suole.
L'entrata principal della magione.
Tanta è però di si superba mole
La luce estcrior, ch'abbaglia Adone.
I j reggia famosissima del Sole
De' suoi chiari splendori al paragone
Fora vile ed oscura, e '1 giovinetto
D' infinito stupor ne colma il petto.
Sorge il palagio, ov’ ha la Dea soggiorno.
Tutto d’ un muro adamantino c forte, [no
I gran chiostri, igranpalchiinvidiacscor-
Fanno alle logge dell'enipirca corte.
Ilaqualtrofrontiequattro fianchi intorno;
Quattro torri custodi e quattro porte ;
E piantata ha nel mezzo un' altra torre.
Che vieti di cinque il numero a comporre.
Nc’^uattro angoli suoi quasi a compasso
Poste le torri son tutte egualmente.
Quella di mezzo è del medesmo sasso,
Ma dell’ altre maggiore, c più eminente.
L' una all'altra risponde, e s'apre il passo
Per più d' un ponte eccelso c risplendente;
G con arte assai liella e ben distinta,
Ciascuna delle quattro esce alla quinta.
Si alto e si sottile è ciascun arco.
Che sotto ciascun puntesi distende.
Che ben si par, che quel sublime iucarco
Per miracul divino in aria pende.
L’incurvatura, ond' ogni ponte ha varco.
Di unte gemme variala splende.
Ch’ogni arco ai twni ed ai color che veste.
Somiglia in terra un’ iride celeste.
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n MARINO.
Le quattro torri Inani eantoncostni ite
Son fatte in qnadr», c aon d’ egual misura,
Tranne la piincipal fra l’altra tutte,
Ch’è fabbricata In sferica lifpira.
Son distanti del pari, e son cnndutte
Le linee a fil con vana arcbitetlura,
Esalvo la maiptior, che ’n grembo il tiene,
Per ogni torre in un giardin si viene.
Non di porfidi ornaro, o serpentini
Quello strano ediflxlo i dotti mastri,
Ma fer di sassi orientali e Ani
Comignoli e comici, ardii e pilastri.
PreriosI crisoliti e rubini
Segar di mamii in vece e d’ alabastri,
E tutte qui dell’ indiche spelonche,
E de’ lidi eritrei votar le conche.
balle vene del Gange il fabbro scelse
Il più pregiato e lucido metallo,
E dalle rupi dell’ Arabia svelse
Il diamante purissimo c ’l cristallo.
Onde compose le colonne eccelse
Con ben dritta misura ed intervallo.
Che su diaspro rìloeente e saldo
Fcrman le basi, e i capi han di smeraldo.
Tra colonna e colonna al peso altero
Sommessi i busti smisurati e grossi,
Sen'on d’appoggio al grave magistero
In fonna di giganti alti colossi.
Son fabbricati eT un berillo intero,
E d’ardente piropo han gli occhi rossi.
Ciascun regge un feston distinto e misto
Di zafBr, di topazio e d’ ametisto.
Splende intagliata di fabbrii lavoro
I.a maggior porla del mirabii tetto.
Sovra gangheri d'or spigoli d’oro
Volge e serragli ha d’ oc limpido e schietto.
R sostegno e non fregio al gran tesoro
Del ricco ingresso il calcidonio eletto.
Soggiace al piè, quasi sprezzato sasso.
Nella lubrica soglia il fin Salasso.
Quel di mezzoè <T argentoe milleln esso
Illustri forme indnstre mano incise;
E di lor col rilievo e col commesso
Gli atti e i volti distìnse in varie guise.
Vero il finto dirà vero ed espresso
Uom, che T*abbla le luci intente e Use.
L’ opra, eh’ opra è dell’ arte, e quasi spira.
Com’opra di sna man, Natura ammira.
In nna parte del superbo e bello
Uscio, ch’ai vìvo ogni figura esprime.
Scolpi Vnican col sno divin scarpello
L’alma Inventrice delle biade prime.
Fumar Etna si vede, e Mongibello
Fiamme eruttar dalie nevose cime.
Ben sepp’cgli imitar del patrio loco
Con rubini e carbonchi II fumo e ’l foco,
Vedesi là per la campagna aprica.
Tutta vestita di novella messe.
Biondeggiar d’oro ed ondeggiar la spica.
Sparsa pim or dalle sue mani ìstesse.
Scoglio gentil fpar che tacendo dica.
Si lien le voci ha nel silenzio espresse)
Siami fido custode il tno terreno
Del raro pegno, eh’ k> ti lascio in seno.
Ecco ne vlen con le compagne elette
La vergin bior della materna soglia,
E per ordir monili e ghirlandctte
De’ suol freg] più vaghi II prato spoglia.
Già par che i fior tra le ridenti erbette
Apra con gli occhi, c con le man raccoglia.
Ritrae non sapria meglio Aprile o Zeus!
La bella figlia della Dea d’ Éleusl.
Ed ecco aperte le sulfuree grotte.
Mentre ch'iella compon gigli e viole.
Dal fondo fuor della tartarea notte
Il rettor delle Furie uscire al Sole.
Fuggon le Ninfe, e con querele rotte
|j rapila Proserpina si dole.
Spuman tepido sangue, e sbulfao neri
Aliti di caligine i destrieri.
Ecco Cerere in Fiegra aRlìtta riede.
Ecco gemino pin snccidè^e svelle,
E per cercarla, fattone due tede,
l.e leva In alto ad uso di facelle.
Simile al vero il gran carro si vede
Ricco di gemme sfavillanti e belle.
Van con Incido tratto H dei fendenti
L’ ali verdi battendo I duo serpenti.
DalF altro lato mirasi scolpito
Il giovinetto Dio, che ’l Gange adora,
Come immaturo ancor, non partorito
Giove dal sen materno H tragge flora,
Come gii è madre il padre, indi nutrito
Dalle Ninfè di Nisa, I bosebi onora.
Stranio parto e mirabile, che fne
Una rolla concetto, e nacque due.
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I/ADOIW:.
Ib on carro di palmiti sedere
Vedilo altrove, e gir sublime e lieve.
Tiraao il carrtt rapide e leggiere
Quattro d* Ircania grneroic allieve.
Leccano ialinlo il freni' orride fere
Del buon Ucor, che fa gioir chi '1 beve.
Egli tra i plausi della vaga plebe
Paesa fastoso e trionfante a Tebe.
Il non mai sobrio e vecchiarel Sileno
Sovra pigro asinel vicn sonnacchioso.
Tinto lutto di mosto il viso e ’l seno.
Verdeggiante le chiome e pampinoso.
Già già vacilla, e per cader vlen meno,
Reggon Satiri e Fauni il corpo annoso;
Gravi porta le ciglia e le palpebre
Di vino e di stupor inmide ed ebre.
Volgo dal destro lato e dai sinistro
Di fanciulli e di Ninfe si confonde,
E par rh’ a suon di crotalo e di sislro
Vibria tirsi e corimbi e frasche e fronde ;
Inghirlandan di Hocco ogni ministro
Verdi viticci, ove vermiglie e bionde ;
E son le vili di smeraldo Ano,
L’ ave son di giacinto e di rubino.
Quinci e quindi d’ hilomo ondeggia e
La turba deile vergini Baccanti, [bolle
E corre e salla Infuriato e folle
Lo strepitoso stuoi de’ Cnribanti.
Par già tulio tremar iàcriano il colle
Buccine e comi e cembali sonanti.
Pien di lant’arte è quel laror sublime,
Cbe nel muto metallo in suono esprime.
Quanto Adon più d’appressoal loco Tassi ,
Più la mente gl’ ingombra allo stupore.
Questo è il del della terra e quinci vassi
Alle beatitudini d’ Amore.
Così colà volgendo I guardi e I passi,
In fronte gli nrirò scrìtto di fuore.
Tatto d'incise gemme era lo scritto.
Tarsiato a caratteri d’ Egitlow
Ecco il palagio, ove Ciprigna alberga.
Disse aliar Clialo, e dos ’ Amor dhnora.
Io quando avvim cbe ’l Sol pi ù alto s’erga,
Menar qoi la mia greggia uso talora.
Nè Bnc hè poi nell’ Ocean s’ immerga,
La richiama all’ ovil canna sonora.
Ma pokliè Sirie latra, io vo ben oggi
Miglior ombra cercar tra que’ duo poggi.
Tra que’ duo poggi, che non lungo vedi,
Teco verrù per solitarie vie.
Poi da te presi I debiti congedi,
T attenderò sul tramontar del die,
E recberoinmi a gran mercè, se risA
A ricovrar nelle capanne mie.
Forse iiilantoii tuo le gno esposto aU’ onda
Fia cbe guidi a buon porto aura seconda.
Adon disposto di seguir sua sorte,
Cortesemente al conladin rispose.
In questo mentre Innanzi alle gran porte
Estraiiie vide e dfaius.'ile cose.
In mezzo nn largo pian, che vi fa corte,
Stende tronco gentil braccia ramooe.
Di cui non verdeggiò mai sotto il cielo
Più raro germe o più leggiadre stelo,
C.edan le ricche e fortunale piante ,
Che dispiegare la pomposa chioma
Nel bel giardin dei libico gigante.
Che il tergo incurva alla stellata soma.
Non so se là nelle contrade sante,
Carica i rami di vietate poma,
Arbor nutrì si preziosa e bella
Quel cbe suo Paradiso il mondo appella.
Ila di diamante la radice e il fusto.
Di smeraldo le fronde, i Bor d’ argento.
Son d’ orci fruiti, ood’ è mai sempre onu-
K la porpora all'or cresce ornamento, [sto.
Di contentar dopo la vista il gusto
AI rurioso Adon venne talento.
Onde un ne colse , e come appunto grate
Fusse d’ ambrosia , il ritrovò soave.
E tutto colmo d’ un piacer neveSa
Al pastor diaiandò : Clie frutto è qnestel
Il frutto di quel nobile arboseello
Non è, rispose, di terreno innesto ;
E se è dolce alla becca, agli occhi beile.
Ben di gran lunga è più perfetto ii resi».
Per la virtù, che asconde il suo sapore ,
S’accresce grazia, e si raddoppia amore.
Udito hai ragionar del perno ithto.
Che in premio di beltà Venere ottenne.
Per cui con tanto sangue' il ferro acheo
Fe’ li ratto dell’ adultera solenne.
Questo poiché di lei resiò trofeo ,
La Dea qui di sua mano a piantar veBiie;
E piantato che fu , volse dotarlo
Della proprielù di cui ti parlo.
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■2\ MARINO.
Deb, gtisoRglnnse Adon,senon U pesa,
Narra l’orlgin prima, e in qual maniera
Nacque fra le tre Dee l' alla contesa,
Com'ella andò di si bel pomo altera.
Dalle Niiire saltee n’ho parte intesa.
Ma bramo udir di ciò l’ istoria intera.
Cosi men malagevole ne Ila
I.'aspro rigor della nialtagia via.
Poich’ebbe Amor con tanti lacci e tanti.
Il pastor coniiiiciù, tese le reti ,
Che alfin pur strinse dopo lunghi pianti
In nodo maritai Peleo con Teli ;
Le nozze illustri di si tiegni amanti
Vennero ad onorar festosi e lieti
Quanti son Numi in elei, quanti ne serra
Il gran cerchio del mare e della terra.
Fu di Tessaglia avventuroso il monte,
Dove si celelirar quest’ imenei.
Di mirti e lauri gli fiori la fronte.
Del trionfo d’ Amor fregj e trofei;
E le stelle gli fiir propizie e pronte,
E le genti mortali c gli alti Dei,
Se non spargea dissension crudele
Tra le dolci \ivande amaro fiele.
Senza invidia non è gioia sincera ,
Nè molto dura aletin felice stato.
Quel gran piacer della discordia fiera ,
Madre d’ire e di liti, ecco è turbato;
Chè esclusa fuor della divina schiera,
E dal convita splendirlo e beato.
Gli alti diletti c I' allegrezze immenso
Venne a contaminar di quelle mense.
Air arti sue ricorre , e col consiglio
Di quella rabbia, chela punge e rode.
Corre al giardin d’ Esperia, e dò di piglio
Alle piante, che il drago eblter custode.
Quindi un pomo rapisce aureo c vermi-
De’cui rai sena’ offesa il guardo gode [glio.
Di minio c d’oro un fulgido lialeno
Vibra, c gemme per semi accoglie ilseno.
Nella scorza lucente c colorita.
Il cui folgore lieto I lumi abliaglia ,
I.a Disa di disdegno imiperìla.
Cui nulla furia in fellonia si agguaglia.
Di propila mau (come il furor l’ irrita)
Parole poi siulizio.se intaglia.
Dice il mollo da lei scolpilo in quella:
Diati questo bel dono alla più bella.
Torna ove la richiama aita vendetta
Dell’alta ingiuria la memoria dura,
E d' astio accesa, e di veleno Infetta ,
Nel velo ascosa d'iina nube oscura.
Con la sinistra mau sul desco getta
Dell’esca d' or la perfiila scrittura.
Questo magico don Ira tante feste
Gettò nel mezzo all’ assemblea celeste,
Lasciaro i cibi , e da’ fumanti vasi
Le destre sollevar tutti coloro ,
E^di stupore atloni li rimasi.
Presero a contemplar quel si bell’oro.
Donde si segna non san dir, ma quasi
Un presente del Fato ei sembra loro.
E si di sè gli alleila al bel possesso.
Che par che Amor si sia nascosto in esso.
Ma sovra quanti il videro, e il bramaro
Le tre cupide Dee , n’ebbcr diletto ,
E stimolate da destre avaro.
Che di quel sesso è naturai difetto ,
La sollecita man steser di paro
Alla rapina del leggi.idro oggetto,
E con gara tra lor non ben concorde.
Se ne mostraro a meraviglia ingorde.
Quando lo Din, che del signor d'.Anfriso
Guardò gli armonli, e che conduce il gior-
Meglio in e.sso drizzando il guardo fiso,[no.
Vide le lettre cli’avea scritte intorno;
E lampeggiando in un gentil sorriso.
Di purpuree scintille II volto adorno,
Fe’ delle note peregrine e nove
Scullc sulla corteccia accorger Giove.
Letta l'iscrizinn di quella scorza.
Le troppo avide Dee cessare alquanto ,
E cangiar volto, e in su la mensa a forza
Il depo.sito d’or lasciaro intanto.
Ode il merlo al desio, ma non s’ ammorza
l.’ambizioue che as|iira al primo vanto.
•San , che averlo non può, se non sol una ,
Il voglion tutte, c noi possiede alcuna.
Degli assistenti l’immorlal corona
Nova coufiision turba e scompiglia.
0>n vario disparcr ciascun ragiona.
Chi di qua, cid di lì freme e bisbiglia.
Sovra ciò si contende e si tenzona.
Ornai tutta sossopra è la famiglia.
Tutta ri|viena è gii d’alto contrasto
La gran solennità del nobii pasto.
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L’ADONE.
Giunon superba t si di sua grandezza,
Che più deir altre due degna s'appella,
Nè sè cotanto Paliadc disprrzza ,
Che non pretenda la vittoria anch’ella.
Vencr, che è madre e Dea della bellezza,
E sa che è destinato alla più bella,
Ridendosi fra sèdi tutte loro.
Spera senz’altro al mirto unir l’alloro.
Tutti gli Dei nel caso hanno interesse ,
E SOI! divisi a favorir le Dee.
Marte vuol sostener con l’ armi istesse
Che II ricco pomo a CItereasi dee ,
Apollo di Minerva in campo ha messe
Le lodi, e chiama l’ altre invide e ree.
Giove , poic|i’ ascoltato ha ben ciascuno.
Parziale della moglie, applaude a Giuno.
Aifln, perchè alcnnmal pur non seguisse
In quel drappel, eh' al paragon concorre.
Bramoso di placar tumulti e risse,
E querele e litigi in un comporrò.
Le cose bellc(alor rivolto disse)
Son sempre amate, ognun v’ anela e corre ;
Haquantoaltrui più piaceillKlIoeiIbcne
Con vie maggior diflicolU s’ ottiene.
(Jbbidirsia gran senno, ed è ben dritto.
Ch’alia ragion la passion soggiaccia,
E che a quanto si vuole ed è prescritto
Dalla necessità si soddisfaccia.
Che sebbrn di chi regna alcun editto
Talor troppo severo, avvien che spiaccia.
Non ostante il rigor con cui si regge,
Giusto non è di violar la legge.
Parlo a voi, belle mie , tutte rivolte
Alla pretension d’ un pregio istesso.
Pur non può (|uesto pomo esser di molte :
Sapete ad una sola esser promesso.
Or se beilezze eguali in voi raccolte
Ponno egualmente aver ragione in esso.
Nè vogiion r altre due dirsi più bruite.
Come possibii sia conteutar tutte?
Giudice delegar dunque conviensi ,
Saggio conoscitor del vostro merlo,
A cui conforme il guiderdon dispensi
Con occhio sano c con giudizio certo.
A lui quanto di bello ascoso tiensi
Vuoisi senz' alcun vel mostrar aperto.
Perchè le differenze, onde garrite.
Distinguer sappia, e terminar la lite.
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10 rinunzio all’ arbitrio; esser tra vel
Arbitro idoneo in quanto a me non posso,
Chè se ad una aderisco, io non vo’poi
L’odio dell' altre due tirarmi addosso.
Amo di par ciascuna , i casi suol
Pariselo a curar sempre mi ha mosso.
Putess’lo trionfanti e vincitrici
Veder cosi di par tutte felici.
Pastor vive tra’ boschi in Frigia nato,
Mal sol nel nome, c nell’ uOlcio è tale.
Che se ancor non tenesse invido fato
Chiuso tra rozze spoglie II gran natale,
Al mondo tutto il suo sublime stato
Conto fora , e il lignaggio alto e reale.
Di Priamo è Oglio, impcrador troiano.
Di Ganimede mio maggior germano.
Paride ha nome, e non è forse indegno
Ch’ egli tra voi la qiiestion decida,
Poirh’htr integrità pari all’ingegno
Da poter acquietar tanta disfida.
Sconosciuto si sta nel patrio regno
Dove il Gargara alticr s'estolle In Ida.
Itene dunque là ; colui che porla
L’ ambasciate del del , vi sarà scorta.
Cosi diss’egli, e con .applauso i detti
Raccolti fur dal gran Hettor superno,
E scritti per man d' Atropo fur letti
Nel bel diamante del destino eterno,
E le Dive a quel dir sedar gli affetti.
Pur di vento pascendo il fasto interno
Già s’ apprestano a prova al gran viaggio,
E ciascuna s' adorna a suo vantaggio.
L’altera Dea, chedel gran rege è moglie
Dell' usato s’ainniaiita abito regio.
Di doppie fila d’or soti quelle spoglie
Tramate ttttte, e d’ oro Itati doppio fregio
Sparse di soli, c folgorando toglie
Ogni sole al Sol vero il liiinc c il pregio.
Di stellante diadema il capo cinge,
E io scettro gemmato in man si stringe.
Quella, che Atene adora, ha dì Ivei slami
Di schietto argento, e semplice la vesta
Ricamata di tronchi c di fogliami
Di verde olivo, e di sua man contesta
Tien d’iina treccia degl'istessi rami
11 llmpid’elmo Incoronalo In testa.
Sostieni’ astala dcslrà,c il braccio ntanoo
DI scudo adamantin ricopre il Sanco.
3
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28
MARINO.
L'altra, ch’ita ne’begliotchl II focoell
D’ artiOcio fahhril pompa non volse, [telo,
Ma tl’uii serico appena aazurro velo
La nudili de’ bianchi membri involset
Color dd mare, anzi color del cielo.
Quello la generò , questo l’ aeculsc ;
Leggler leggiero, e cliiaramcote oscuro.
Che Iacea Irasparer l’ avorio puro.
Prende Mercurio il pomo, agili c presti
Ponsi alle tempie I vanni ed ai talloni,
E la verga fatai , battendo questi ,
Si reca in man, che attorti ha due dragoni.
Per ben seguirlo l' emiile celesti
Lasciai) colombe, e notlule, c pavoni.
Ed è lor carro un nnvuletto aurato
Lievemente da Seffiro portato.
Dipinge un bel seTen l’aria ridente
Di vermiglie flammellc e d'aurei lampi,
E qual Sul, che calando in occidente
Di rosali splemlori iiitonio avvampi.
Segnando il tratto del scntier lucente
Indora c inostra I suoi ci'rulei campi.
Mentre condotta dalla saggia guida
La superbia del ciel discende in Ida.
Slassenc inida alle fresche ombre estive
Paride assiso a pasturar le gregge.
Laddove intorno in mille scorze vive
Il bel nome d' Enon scritto si legge.
Misera Knon, se delle belle Dive
Giudice eletto ri la più bella elegge,
Di te che sia, ch’hai da restar senz'alma?
Ahi che]>erdila tua fìa l'altrui palma!
Voglion costor la tua delizia cara
Las a, rapirli, c il tuo tcsor di braccio.
Vanne dunque infelice, e pria che avara
Fgrtuiiaim tantoardorconverla in ghiac-
Qiiaiilo gioir sapesti, or tanto impara i^cio,
A dolerli di luì, che seioglie il laccio;
E mentre puoi, dentro il suo grembo accol-
Dacia Paride tuo P ultima volta. [la
A piè d' un antro nel più denso e chiuso
Siede il pastor, della s<dinga valle, [so)
La mitra ha hi fronte, e (qual dè'Frigi è l' u-
Darbaro drappo annoda insule spalle.
Lungo il chiaro Scamaudrocra diCuso
L’armento fuor delle sbarrate stalle;
E il verde prato gli nutrisce e serba
Di rugiada condili I fiori e l’erba.
Egli gonfiando la cerata canna.
V’accorda al dolce suon canto confomw.
Per gran dolcezza le palpebre appanna
Il Odo cane, e non lontan gli dorme.
Tacciono inieute a piè della capanna
Ad ascoltarlo le lanose torme.
Cinti le corna di fiorite bacche
Obbliano II pascolar giovcncfaieTacehe.
Quand'ceeirdeclinar la nubeei vede.
Clic il fior d’ogni bellezza in grembo serra,
E rotando colà, dov' egli siede.
Di giro in giro avvicinarsi a terra.
Ecco alla volta sua drizzano il piede
Acdntc a nova e dilettosa guerra
Le tre belle netnlcbe a’ cui splendori
lUscbiara il bosco i suol selvaggi arreri.
In rimirando si mìrabii cosa
Stringe le labbra allor, carva le ciglia,
E su la fronte crespa e spaventosa
Scolpisce col terror la meraviglia.
Sovra II tronco vicin la testa posa,
F.d al tronco vicin ai rassomiglia.
Lacanzon rompe, e lascia intanto muta
Cadérsi a piè la garrula cicuta.
Fortunato pastor, giovane illustre,
II messaggio divìn disscgli allora.
Il cui gran lume ascoso in vel |>alnstre
Lo stesso Ciel , non che la terra onora ;
Degno ti fa la tua prudenza indusUe
Dì venture a mortai non date ancora.
A te con queste Dee Giove mi manda,
E che tu sta lor giudice comanda.
Vedi questo bel pomo ? alla contesa
Questo , che fu soggetto, or premio fia.
l'.oleì l’avrà, che in cosi lidia impresa
Di bellezza maggior dotata sia.
Donalo pur senza temere ollcsa
A chi il merita più, clic a chi il desia.
Iten sopir saprai tu discordie tante
Come bel, coni’ esperto , e come amante.
Tanto die’ egli, e l’ aureo pomo sporto
Conseguaair altro, il qùalfra gioiacteiaa
In udir quel parlar facondo e scorto,
E in risguardar quella beltà suprema.
Il prende, c tace, c sbigottito e smorto
Fuor di sè stesso Impallidisce e trrnn.
Pur fra tanto stupor, ebe lo confonde,
Moderando i suoi moti , alfia risponde-.
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27
L’^VDONE.
La conosceiua , che ho dell* esser mio,
•O delle stelle ainbasrlador felice,
Questa gran novIlA, che qui vegg'lo.
Al mio basso pensler creder disdice;
Gloria , di cui godere ad alcun Dio
Maggior forse lassù gloria non lice;
Che dal Clcl venga a povero pastore
Tanto bene insperato e tanto onore.
Ma che abbia a proITcrir lingua mortalo
Decreto in quel che ogni intelletto eccede.
Quanto allo stato mio si diseguale
Più mi rivolgo, e tanto meno il crede.
Nulla degnarmi può di grado tale.
Se non l'alto favor che mel concede.
Pur se ragion di merito mi manca.
Grazia celeste ogni vlltA rinfranca.
Può ben d' umane cose ingegno umano
Talor deliberar senza periglio.
Trattar cause divine ardisce invano
Senz'aiuto disin saggio consiglio.
Come dunque poss'to rozzo e villano
Non che le labbra aprir, volgere II ciglio
Dose ristessa ancor somqia scienza
Non seppe in del pronunziar sentenza 7
Com' esser può, che l'csquislta epiena
Perfezion della beltik conosca
Uom , che oltre la caligine terrena.
Tra queste verdi tenebre s'imbosca,
Dove altro mai di sua luce serena
Non n' è dato mirar, che un' omisra fosca?
Certo inabil mi sento e mi confesso
Di tali estremi a misurar l'eccesso.
Se avessi a giudicar fra toro c toro ,
0 decretar fra l' una c l'altra agnella,
Disccrner saprei ben forse di loro
Qual si fusse il migliore e la più bella.
Ma cosi belle son tutte costoro.
Che distinguer non so questa da quella.
Tutte egualmente ammiro , c tutto sono
Degne di laude eguale c di egual dono,
Dogllomi, cbè tre pomi aver torrcl.
Qual è quest' un , cli'a litigar l' ha mosse,
Chi allor giusto il giudizio lo crederei.
Quando cumulila lur vittoria fosse.
Aggiungo poi , che degli eterni Dei
Paventar deggio pur l'ire e le posse,
Poichi di questa schiera avventurosa
Due son ligUe di Giove, e rallra.i sposa.
Ma da che tali son gli ordini suoi.
Forza immortalte il mio difetto scusi,
Piirrlii delle due vinte alcuna poi
Non sia, che irata il troppo ardire accusi,
Intanto, 0 belle Dee, se pura voi
Place, ch'il peso imposto io non ricusi.
Quel chiaro Sol, che tanta giuria adduce.
Ritenga il morso alla sfrenala luce.
Qui GUeuio s’ apparta, ed ei restando
Chiama tulli a consiglio i suoi pensieri,
E gli spirti al gran caso assottigliando
Comincia ad aguzzar gli occhi severi.
Giù s' apparecchia alla bell' opra, (|uanda
Con atti gravi, e portamenti alteri
Di reai maestà, gli s' avvicina,
E gU prende a parlar la Dea Liiciua :
Poiché al giudizio uman si soltumctie.
Dalla giustizia tua fatta sicura
La ragion, che le prime e più perfette
Meraviglie del del vince ed oscura ;
Della beltà, eh' eletta è fra l'elette,
Dei conoscer, pastor, la dismisura.
Ma conosciuta poi, riconosciuta
Convicnchc sia con la mercè dovuta.
E s'egli é ver, che l'eccellenza prima
Possa sol limitar la tua speranza
DI mal meglio veder, vista la cima,
E il colmo di quel bel eh' ogni altro avanza.
Acciocché l' occhio tuo, clic or ai sublima
Sovra r umana e naturai usanza.
Non curi Citerca più, né Minerva,
In me rimira, c mie fattezze osserva.
Tu discerni colei, se me di:ceriii ,
Cui cede ogni altro Nume i primi onori,
Imperadricc degli croi superni.
Consorte al gran Motor, re do' .Motori.
Vedi II più degno infra i soggetti eterni.
Che il Ciclo ammiri o che la terra adori;
Innanzi ai raggi della cui beltade.
Lo slupor di slupur stupido cade.
L' istesso Sol d' Idolatrarmi apprese.
Di scorno spesso c ili vergogna tinto;
E il mio più volte il suo splendore accasa,
L’estinse pria, poi ravvivano estinto.
Negar dunque non p- ui di far paleait
Qiieiimiie altrui, che II maggior lume Ita
Senza accusar di cecità la luce [ vinto,
Di colui, che per tutto il di couduce.
28 'MARINO.
Rompe allorall silenzio, ed apre il varco
Alla voce il pastorron questo dire;
Poiché a’ suoi cenni col commesso incarco,
Legge di (ilei mi sforza ad ubbidire,
Mon Ila ritroso ad onorarvi o parco.
Gloriosa relna, il mio desire,
Del cui pronto voler vi fari noto
IJd schietto favellar libero il volo.
lo vi giudico già tanto perfetl*,
Che più nulla mirar spero dì raro,
T alchè il merlo di quel die a voi s' aspetta.
Contentar ben vi puù, ché a tutti è chiaro,
Senza bisogno alcun , eh’ io vi prometta
Ciò che tor non vi dee giudice avaro.
Onde cosi la speme abbia a donarvi,
Cile in effetto il dover non può negarvi.
Ben volonlier [se senza ingiuria altrui
Cosi determinar fosse in mia mano)
Concederei questo bel pomo a voi.
Nè dal dritto giudizio andrei lontano.
Ma mi convien (com'ammonito fui
Dal facondo corrler del Re sovrano)
Darlo a colei, eli’ alle altre il pregio invola,
E voi scesa dal del non siete soia.
L'orgogliosa moglier del gran Tonante,
Si fatte lodi udir non si scompiacque,
E senza trionfar, già trionfante.
Attese il fin di quel cerfame, e tacque.
Ed ecco alior colei trattasi avante.
Clic senza madre del gran Giove nacque.
D’onestà virginal sparsa le gote.
Chiede il pomo al pastor con ijuestc note :
Tutti i mortali, egrimmorlaliinqnesto
Sospetti a mio favor sarrebbon forse.
Paride sol, che amico è dell’ onesto,
E dal giusto, e dal ver giammai non torse.
Degno è d’ ufiicìo tale, ed io ben resto
Paga d’ un tanto oiior, che il Od gli porse,
Poidié non so da chi più certo or io
Ui potessi ottener quanto desio.
Tu, die Iiinie cotanto hai nella mente.
Ed apprezzi valore e cortesia.
Rivolgerai nell’ animo prudente
Tutto dòdi’ lo mi. vaglia, e ciò eh’ io sia,
Ond’ oggi crederò, clic facilmente
Vincitrice farai la beltà mia, [gcndo.
Ondi’ ossequio, e quel dritto a me por-
che merito, clic bramo e che pretendo.
Non son, non son qual credi In me vedere :
Di Vener forse, o di Giunon pensasti
Lusinglie false, ed apparenze altere,
I risi e i vezzi, c le superbie e i fasti T
Cose tu vedi essenziali e vere.
Vedi Minerva, e tanto sol ti basti,
Senza cui nulla vai regno, o rirchezza,
Fuor del cui bel difforme è la bellezza.
Virtù son lo, di cui non altro mai
Vide uoni mortai, che una li gora, un’orma.
A te però con i.isvclali rai
Ne rappresento la coriiorea forma.
Da cui, se saggio sei, prender potrai
Della vera beltà la vera norma,
E conoscer quaggiù fuor d’ ogni nebbia
Quel che seguir, quel che adorar si debbia.
Forse mentre tu miri, ed lo ragiono.
Per troppo meritar mi stimi indegna,
E la vergogna di si piedui dono
Ti fa parer, clic poco a me convegna.
Ha io mi scorderò di quel che sono.
Sol chela palma di tua mano ottegna;
Purcli’clla oggi da te mi sia concessa.
Per amor tuo sconoscerò me stessa.
Dalla virtù di quel parlar ferito
Paride parer cangia, e pensier muta,
E dal presente oggetto istupidito
La memoria dell’ altro ha già perduta.
Diva, risponde, il merito inlìiillo
Di cotanta beltà non più veduta [za
Dona al mio cieco ingegno occhi abbastan-
Da potere ammirar vostra sembianza.
10 ben conosco die quel che oggi appare
In quest’ ombroso e solitario chiostro,
È puro specchio, e lucido esemplare
Della divinità, clic a me s’ è mostro.
Ma se viltinie c voti, incensi ed are
Consacra il mondo al simulacro vostro.
Qual sacrilicio or v’offerisco e porgo
lo, che vivo, c non finto il ver ne scorgo?
11 presentarvi dò clic vi conviene,
È dover necessario e giiisia cosa;
E 1’ istcssa ragion, che vi appartiene,
Vi fa senza il mio dir vittoriosa.
La speranza del ben polote bene
Concepire ornai lieta c baldanzosa.
Intanto in aspettandone l'effetto.
Purghi la grazia vostra il mio difetto.
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L’ADONE.
Queste oITerte cortesi assai possenti
Furo nei cor della più saggia Dea.
E qual più cerio ornai di tali accenti *
Pegno i suoi duhiij assecurar potea?
Da parole sì dolci e si eloquenti,
Con cui quasi ii trofeo pruiiiettea,
Presa rimase e fu delusa aiicir essa
La sapienza e i’ eloquenza istessa. '
Ha la madre d'Amor, nel cui bel viso
Ogni delizia lor le Grazie lian posta,
Quei ciglio, clic apre in terra il paradiso.
Verso il garzon volgendo a lui s’ accosta:
E la sereuilù del dolce riso
D* lina gioconda altaliiliù composta.
La favella de’ cori iiieantatrlee
Lusingiicvole scioglie, e cosi dice :
Paride, io niison tal, die nell'acquisto
Del drs alo o conibat'u o pomo.
Senza temer d' alcun successo tristo
Rifiutar non saprei giudice Homo.
Te quanto meno, in cui sovente ho visto
Accortezza e bontà più che in altr'uomo,
Quanto più voleiitier senza spavento
Al foro tuo di soggiacer consento.
lu terra, o in del tra’ più tenaci aflcttl
Qual cosa più sensibile d’ amore?
Qual possanza, o virtù, dicabbia ne’ petti
Più delle forze sue forza e valore?
Orche pensi? che fai? che dunque aspetti?
Dove, dove ò il tuo ardir? dove il tuo corei
Dimmi come avrai core, e come ardire
Da poterti difendere, o fuggire ?
Se il pomo, per cui noi stiam qui pu-
Coniesciiso non ha potesse averlo,[gnando.
Tu lo vedresti a me correr volando.
Nè fora in tua balia di rltoiierlo,
Poicliè venir non potè, io tei dimando
Siccome degna sol di possederlo.
Qualunque don la mia beltà riceve
È tributo d’ onor che le si deve.
La vista, il veggio ben, del mio bei volto
Ti ha dolcemente I’ anima rapita.
Or riprendi gli spirti, e in te raccolto
Il cor rinfranca, e la virtù smarrita.
Quei clic mirabii è, mirato hai molto.
Comprender non si può luce inlìnlla.
Gli ocelli tuol,chevcdutooggi iropp’han-
Ad ogni altro splendor cicclii saranno, [no.
;■!)
Facclan prima però di quanto ban scor-
Testimoni del ver, fede alla bocca, [to,
Acclncchè poi sentenziando il torto
Nons'aliliia a dimostrar maligna, o sciocca.
E s’ è dover di giudicante accorto
A ciascun compartir ciò clic gli tocca.
Bella colei dichiara infra le belle.
Che di beltà sovrasta all' altre stelle.
Poiciiè r istesso dono a sè mi chiama,
Il dritto il chiede, c la ragion il vuole ;
Poiché del senno tuo la cliiara fama
T' obbliga ad eseguir quel eh' egli suole-.
Se a quaiit’ oggi da me si spera c brama
Non corrisponderan le tue parole.
La giustizia dirò che ingiusta sia,
E chela verità dica bugia.
Vinto il pastor da parolette tali,
E da tanta lieltà legato e preso,
A que' novi miracoli iininortali.
Senza sjiirito, o polso, è tutto inteso.
Amor gli Ila punto il cor di dolci strali,
E di dolci faville il pelto acceso.
Onde con sospirar profondo e rotto
Geme, languc, stupisce, e non fa motto.
Paride, a che sospiri 7 o percliè taci?
Dove bisogna nien, più ti confondi.
Tu desti all' altre due pegni efficaci
Di tua promessa; aquesta orche rispondi?
Sono i silenzi tuoi nunzi loquaci
D' elfellì favorevoli c secondi.
Dunque del tacer tuo s’ appaghi e goda.
Se di ciò la cagion le torna in loda.
Pensa, nè sa dì quella schiera eterna
Qual beltà con più forza il cor gli mova.
Gilè mentre gli ocelli trasportando alterna
Or a questa, or a quella, egual la trova.
I.à dove pria s' affi-a e il guardo interna,
I vi si ferma, e quel che ha innanzi apprnv a,
Volgesi all' una, e bella appìcii la stima ;
PosciaaH'altra passando, obblia la prima.
Cella è Giiinone,c il suo candore intatto
Di perla orientai luce somiglia.
Ila leggiadro ogni molo, accorto ogni atto
Del maggior D.o la bellicosa figlia.
Ha ticn della bellezza il ver ritratto
I.a Dea d' amor nel volto e nelle ciglia ;
E tutta, ovunque a risguardarla prenda,
Dalle chiome alle piante è senza emenda.
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JO MACINO.
Un Tossor dal candor non ben distìnto
Varia la guancia c la confonde e mesce.
Il ligustro di porpora è dipinto,
I.a dove manca I’ un, 1’ altra s'accresce.
Or vinto il giglio è dalla rosa, or vinto
L’ostro a par dall’avorio,or fogge, or esce.
Alla neve colà la flamnia cetle.
Qui la grana col latte in un si vede.
D' un nnhll fpiadro dì diamante altera
La fronte e chiara al par del elei lampeggia.
Quivi Amor si trastulla, e <piindi impera
Qitasi in sublime e spaziosa reggia.
Gli albori 1’ alba, i raggi ogni altra sfera
Da lei sol prende, e in lei sol sì vagheg-
II cui cristallo limpido tiliice [già,
D' una serena e temperata luce.
Le Urei vaghe a meraviglia e belle
Senza alcun paragone uniclic e sole,
Scorno insieme e splendor fanno alle stelle,
In lor si speccliia, anzi s'alibaglia il Sole.
Dall’ Interne radici i cori svelle
Qualar volger iram|uiIlo II ciglio stiólc.
Nel tremulo seren che in lor scintilla
Umido di lascivia il guarda brilla.
Per dritta riga da’ begli orchi scende
li fiio d' un c.vtial fatto a misura.
Da cui lior che s’ appressi, inv ola e prende
Più che tion porge aura odorata e pura.
Sotto, ove 1’ uscio si disserra e fendo
Dell’ erario d' amore e di natura.
Apre un corallo In due parli diviso
Angusto varco alle parole, al riso.
Nò ili si fresche rose in del sereno
Ambiziosa Aurora il crin s’ asperse,
Medi si ruii smalli il giemlio pieno
Iride procellosa al Side olfersc.
Né di si vive perle ornalo il seno
Rugiailosa conchiglia all’ alba aperse.
Clic la bocca pareggi ov’ lia ridente
Di ricchezze e d’ oduri un oriente.
Seminate in più sferze e sparse in fiocchi
Seti vati le fila innanellaie e biande
De’capci d’or che a hello studio sciocchi
La.sciva Irascuraggìne confonde.
Or su gli omeri vaghi, or fia’begìiocclii
Divisati e dispersi errano in onde;
E crescon grazia alle bellezze illustri
Arti neglette e sprezzaturc industri.
Delle Ninfe del del gli occhi e le guance
^Considerate, e le proposte udite,
Mentre ancor vacillante in tlubbia lance-
Del concorso divìn pende la lite.
Più non vuole il paslor favole o ciancc ,
Più non cura mirar membra vestile.
Ma più dentro a spiar di lor liclladc
La sua curiosità gli persuade.
Poirlié del pari in quest’ agon si giostra.
Più oltre, dice, esaminar bisogna.
Nè diilinir la controversia vostra
Si può, se il vel non s’apre alla vergogna;
Perchè tal nel di fuor bella si illustra,
Che senza favellar dice metizogiia.
Pompa di spoglie altrui sovetile iiigatina,
K d’un bel corpo i maiicaincuti appanna.
Ciascuna dunque sì discìnga e spogli
De’ ricchi drappi ogni ornamento, ogni
Perchè la vanità di tali invogli [arte.
Nelle bellezze sue non abbia parte.
Giuiion s’ oppone c coti superbi orgogli
Ciò far ricusa e traggesi In disparte.
Minerva ad alto tal non ben sì piega,
Tion gli occhi bassi c per modestia il nega
Ma la prole del mar che ne’ cortesi
Gesti Ila grazia, ed ardir qiiaiit’avcr poto.
Esser vogl' io la prima a scior gli arnesi.
Prorompe, ed a scoprir le parli ignote.
Onde cliiarosi voggìa e si palesi.
Che non solo ho begli ocelli c belle gote.
Ma che è conforme ancora e corrisponda
Al bello estcrìur quel che si asconde.
Orsù, Palla .soggiunse, ecco mi svesto.
Ma pria che scinte aliiiia le gonne c i manti,
Ka tu paslor, di’ ella deponga il cesto.
Se non vuoi pur che per magia l ineanti.
Replicò l’altra: lo non repugno a questo.
Ma tu, che di beltà vincer li vanti.
Perchè non lasci il tuo guerriero eliucllo,
F. lo spaventi con feroce aspetto?
Forse che in le sì noli e si riprenda[no?
Degli ocelli glauchi il torvo lume liaiscor-
Inipun Paride allor, che si contenda
Senza celala e senza cinto intorno.
Resto r aspetta lor, tolta ogni lieiida,
senz' alcuna ornatura ass.vi più adorno.
Si di sè stesse e non d’allr'arini altere
Nel grand' arringo entrarle tre guerriere.
é
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L’ADONE. li
Quando le vaili aliti qua* tre modani
Dalla perfezione ebber dcpoite,
E de’ lor corpi iminortaliiieiile belli
Fur le parti più chiuse al guardo esposte,
Videe tra l' ombre lor lumi novelli
Le caverne più chiiise e più riposte ;
Nè presente 1 1 fu creata cosa.
Che non sentisse- in sè forza amorosa.
Il Sol ritenne il corso al gran viaggio,
Inutil fatto ad illustrare il Mondo,
Pcrclièiidc offuscato ogni suo raggio
Da splendiir più sereno e più giocondo.
Yolca scendere in terra a fargli omaggio.
Ambizioso pur d’ esser secondo;
Poi tra sè si pentì dell' ardimento,
E d’ammìrario sol restò contento.
Onorata la Terra e fatta degna
Di abitatrici si beate e sante.
Con bella gratitudine s’ ingegna
Di rispondere in parte a grazie tante.
Di bei semi d’amor gravida Impregna,
E partorisce a que’ begli occhi avente.
RiugiovenI Natura e primavera
Germogliò d’ ogn’ intorno, ove non era.
Contro lor naturali aspri costumi
Generar dolci poma i pini irsuti.
Nacquer viole da’ pungenti dumi.
Fiorir narcisi in su i ginebri acuti.
Scaturir mele c corser latte i fiumi.
Eli mar n’ebbe più ricchi I suoi tributi.
Sparscrzallìro i rivi, argento i fonti,
Fur d’ ostro i prati e di smeraldo I luouti.
Lascia il canto ogni augel della foresta
Per pascer gli occhi di si lieto oggetto.
L’acque loquaci in quella rupe e in questa
Ferniaro il morinoi io per gran diletto.
L’acre, confuso di dolcezza, arresta
I susurrì dell’ ac(|ue al lor cospetto.
Trema al dolce spettacolo ogni belva,
E con atteiuion tace la selva.
Tacca, se non che gli arbori felici
Allievi della prossima palude.
Mossi talor da venticelli amici
Bisbigliavano sol di' erano ignuda,
E voi di tanta glor-a spettatrici
Sentiste altro veien, vi|iere crude;
Onde tornando ai vostri duid amori.
Vi saettaste con le lingue 1 cori.
Le Naiadi lascive, I Fauni osceni
Abbandonano gli antri, escon dell’ onde.
Ciascu H per far con gl i occhi ai bla neh i scn i
Qualche furto gentil, presso s'asconde.
Vegeta amor ne’ rozzi sterpi e pieni
D’ amor ridono i fior, l' erbe e le fronde.
Ai sassi esdusi dal piacere immenso
Spiace sol non avere anima e senso.
Paride istesao In quelle gioie estreme
Non vive no, se non per glroccliisoii.
Tanto eccesso di luce, il niiser tenie
Non la vista e la vita In un gl’ involi.
Sguardo non ha per tanii r.iggi insieme,
Nè cor bastante a sostener tre Soli,
Triplicalo lialeno il cor gli serra.
Un Solo in cielo, e tre ne vede in terra.
Ob Dei , dirca, che meravigMc veggio T
Citi deirullimo a trami’ insegna il meglio?
Son prodigi del Ciel? sogno o vaneggio?
Qual di lor lascìo?oqiial fral'altre sceglie?
Deh poiché in van per far ciò clic far deggio,
1 sensi afiiiio c riiUollctto sveglio.
In tanto dubbio, alcun de' r.vggi vostri,
0 bellezze divine, il ver mi mostri.
Perchè non son colui , che d’occhi pieno.
La giovenca di Giove in guardia tenue?
Avessi in fronte, avessi intorno almeno
Quante luci la Fama ha nelle penne.
Fossi la notte, o fossi il ciel sereno.
Poiché dal del lama bellezza venne.
Per poter rimirar cose si belle.
Con tanto vbtc, quante son lo stelle.
Qual di santa onestò pudico liuno
In quella nobil vergine sfavilla?
Quanto di venerando ha l’altro Nume?
Qual d'augusto decoro aria tranquilla?
Ma qual vago fanciul balte le piume
Intorno a questa? e che dolcezza stilla?
Par che rilenga in sé dolce aUrallivo,
Non so ebe (li ridente c di festivo.
Ciò però non mi basta, ancor sospeso
Un ambiguo pensicr m’aggira e move :
Mentre or a questa, or soii a quella inteso.
Bramo il sommo trovar, nè so ben dove.
S’ lo non vo' di sciocebezza esser ripreso,
Conviemnii di veder più ciliare prove.
Fia d’uopo investigar meglio ciascuna,
E mirarle io disparte ad tuia ad una.
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82 MARINO.
Fa, cosi (letto, allontanar le due,
E soletta riticn seco Giunone,
La qual promette a lui , che se le sue
Bellezze alle bcll'cmulc antepone.
Principe alcun giammai non fia nò fuc,
Più di scettri possente e dì corone:
E che ogni gente al giogo suo ridotta,
Il farà possessor deH'Asia tutta.
Spedito di costei , Pallade appella.
Che in aspetto ne vien bravo e Orile,
E patteggiando gli promette anch'ella,
Gloria cui non lia mai gloria simile;
E che se lei dichiarerà più bella,
Farallo Invitto In ogni assalto ostile.
Chiaro neirarmi, c sovra ogni guerriero
Inclito di trofei , di palme altero.
No no, cosa in me mai forza non ebbe
Da poter la ragion metter di sotto.
Tribunal mercenario II mio sarebbe.
Se oggi a venderla (pii fossi condotto.
Giudice giusto patteggiar non debbe.
Nè per prezzo o per premio esser corrotto.
Perdon di vero dono il nome entrambi,
Seavvien che con l'un don l'altro si cambi.
Cosi risponde, e nel medesmo loco
Accenna a Citerea che veglia in campo.
Ella comparve, e di soave foco.
Nel teatro frondoso aperse un lampo.
Da queir oggetto, incontr'a cui vai poco
A qiial più freddo cor difesa o scampo.
Non sa con pena di diletto mista.
L'ingordo spettator sveller la vista.
La qualità di quelle membra intatte.
Qiiai descriver sapt ian pittori imliistri?
Rendono oscuro e l' alabastro e il latte.
Vincono I gigli , eccedono i ligustri.
Piume di cigno, e nevi non disfatte,
Son foschi esempi ai paragoni Illustri.
Vedesi lampeggiar nel bel sembiante,
Candor d’avorio, c luce di diamante.
Eccomi , disse, ornai fa che cominci
A specular con diligenza il lutto,
E dimmi se trovar gli occhi de' linci,
Sapriano in beltà tanta un neo di bruito.
Ma mentre ogni mia parte e quindi e quinci
Rimiri , pur per divenirne iiistrutto,
Vo’ che gli occhi e gli orecchi in me rivolti.
Le fattezze mirando, 1 detti ascolti.
So, che sei tal, che signoria non brami.
Nè di scettri novelli uopo ti face.
Che ad appagar del tuo desir le fami ,
Il gran regno paterno è ben capace.
Da guerreggiar non hai, poiché i reami,
E di Frigia e di Lidia or stanno in pace.
Nè dei tu d' ozj amico e dì riposi ,
Altri conflitti amar, che gli amorosi.
Le battaglie d' Amor non son mortali ,
Nè s'esercita in lor ferro omicida.
Dolci son r armi sue, son dolci I mali ,
Senza sangue le piaghe, c senza strida.
Ma non pertanto ad imenei reali,
Denno aspirar le villanelle d’ Ida,
Nè dee povera ninfa ardere il core
A chi poli obbligarla Dea d’amore.
A d uom , chg d' alta stirpe origin traggo.
Sposa non si convicn di bassa sorte.
Nulla icco lianiio a far nozze selvagge.
Nulla confassi a te rozza consorte.
Cedano a tetti illustri Incolte piagge.
Ceda l’umil tugurio all'ampia corte.
Curar non dee di contadini amori,
Pastor fra regi, e rege Infra pastori.
Tu , fra quanti paslor guardano ov ili ,
Sci per forma il più degno e per etade.
Ma le fortune tue rustiche e vili ,
Mi fan ceno di le prender pleiade.
Peregrini costumi e signorili.
Pregio (li gioventù, lior di bcltade.
Deh che giovano a te, se gt> anni verdi ,
E te medesmo inutilmente perdi?
Perchè tra boschi, e rupl,e piante,esassi.
In questa solitudine romita,
Co.vl senz’ alcun prò corromper lassi ,
La primavera tua lieta e fiorita?
Perchè piuttosto a ben menar non passi
In qualche città nobile la vita ,
Cangiando in letti aurati erbette e fiorì ,
E in donzelle e scudicr, pecore c tori ?
Giovinetta si bella in Grecia vive.
Che di bellezza ogni altra donna eccede ;
Nè sol fra le corintie e fra l’argivc.
Questo pubblico onor le si concede,
àia poco inferior ticnsi alle Dive,
E quasi in nulla a me medesma cede.
Questa agli sludj miei forte inclinala.
Ama, amica d'auor, d’essere amata.
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L' ADONE.
Lasciò Giove di Leda il ventre greve
Di questo novo Sol , di cui favclin,
Quando in aen le volò veloce e lieve.
Trasfigurato in nobii cigno e bello.
Candida e pura è si coni' esser deve
Fanciulla nata d’ un si bianco augello.
Molle c gentil , come nutrita a covo,
Dentro la scorra tenera d'un ovo.
Ha tanta di beltà fama costei,
Tanto poi daircITctlo il grillo è vinto.
Che Teseo il gran raoipion s'armò per lei,
E lascionnc di sangue il campo tinto.
Cliiedcano i relicissinii imenei,
D’Argo ì principi a prova e di Corinto,
Ma Menelao fra gli altri il più gradito,
Parve d' EIcna sol degno marito.
Porse ti cal di conquistarla e vuoi.
Con un pomo mcrcar tanto diletto.
La ricompensa de’ servigi tuoi ,
Eia di donna si beila, il grembo e II letto.
Al primo incontro sol degli occhi suoi.
Farli di lei signore io li prometto.
Farò, che abhandonalo il lido greco,
Dovuni|nc più vorrai , ne venga teco.
lA di I.acedcmonia all’alta reggia
Tu le n'andrai pervia spedila e corta.
Ingegnati sol tu , eh’ ella li reggia ,
Lascia cura del resto alla tua scorta.
In tutto ciò, che un tanto alTar richieggia.
Amor fido ministro, io duce accorta.
Co’ suoi compagni c con le serve mie.
La verremo a disiior per mille vie.
Qui lacquc,c fiamma da’begll occhi uscio.
Atta a mollir del Caucaso l'asprezza,
Ond'egli ogni altro bel posto in obblio,
A queir incomparabile bellezza.
Sforzato dal poter di (|uel gran Dio,
Che ogni cor vince, ogni riparo spezza.
Baciato il pomo, c in lei le luci affisse.
Riverente gliel porse, c cosi disse ;
Sebbene a si gran luce, umil farfalla,
Il più di voi mi laccio e il meli n'accenno.
Audace il dico, e so che in me non falla
Dal senticr drillo traviato il senno.
Perdonimi Ginnon , scusimi Palla,
Gareggiar vosco, o disputar non denno.
Giudico, che voi sola al mondo siate
L' idea, non che la Dea della bellade.
Basta ben, ch’alia gloria avo! concessa.
Fu lor dato poggiar pur col pensiero ;
Nè fu lor poco onor, che fosse messa
La certezza in bilancia, il dubbio in vci u.
Ora di bocca la giustizia istcssa.
Pubblica il suo parer chiaro e sincero.
L’obbligo suo per la mia mano olferlo.
Questo pomo presenta al vostro merlo.
Atteggiala di gioia, ebbra di fasto.
Venere il prende, Imll volgendo 1 lumi ,
Cedetemi l’onor del gran contrasto.
Disse ridente ai duo scornati Numi;
Confessa pur, Giunon, ch’io li sovrasto,
E che a torto pugnar meco presumi.
Nè splaccia a le, liciiona, a vincer usa.
Di chiamarti da me vinta c confusa.
Pensò runa di voi di superarmi,
Per esser forse in ciel somma crina.
G crede l’altra con sue lucid’armi.
Di spaventar la mia beltà divina.
Ma poco vi giovò, per quanto parmi.
Opporsi al ver, eh’ al paragon s’ affina.
E si possenti Dee vieppiù m'aggrada.
Senza scettro aver vinte e senza spada.
Venite, Grazie mie, venite. Amori,
Vigorose mie forze, invitte squadre.
Incoronate de’ più verdi allori ,
La vostra ornai vittoriosa madre.
Ite cantando in versi alti c sonori ,
E rispondano al suon l’ aure leggiadre.
Viv a Amor, viva Amor, che incielo e in ter-
Della pace trionfa e della guerra, [ra.
0 bella olirà le belle, o sovra quante
Ha belle il ciel , licllissima Ciprigna ;
Foco gentil d'ogni felice aniante.
Madre d’ogni piacer, stella benigna.
Soia ben degna, a cui s’ inchini arante
L* invidia stessa , perfida e maligna ;
Se nuU’altra beltà la vostra agguaglia.
Ragion è ben che sua ragion prevaglia.
Mentre intento il pastore ascolta c mira
La bella, acni II bel pregio è tocco in sorte.
Le due sprezzate Dee ver lui cou Ira,
Volgon le luci dispettose e torte.
Orgoglio ogni lor atto c sdegno spira ,
Quasi mina minacciante c morte {
Giunon però dissimular non potè
La rabbia si, che non la sfoghi in note :
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84 MARINO.
Misero, e come del suo proprio velo
Il cieco arder, dicea, gli ocelli t’ involse,
Sicché della ragion perduto il zelo.
Il bel lume del ver scorger ti tolse?
Te dunque scelse il gran rettordei ciclo?
Te deputar per giudice iic volse,
Quasi un uomo il miglior deU’ universo.
Perchè poi si scoprisse il più perverso?
Vieppiù che gloriosa a te funesta
Sarà , sii certo , elezion si fatta.
E sappi pur, che quest’onore c questa
Gloria, che m'ahbi li tuo giudizio tratta,
II vitupero sia delle tue gesta,
Erinfamia Imniortal dcìla tua schiatta.
Qiicirislessa beltà malvagia c ria.
Che fu il tuo premio, il tuo supplizio sia.
Queir impudica c disonesta putta.
Clic dee con dolce incendio arderti il core.
Ancor sarà della tua patria tutta, .
E di tutto il tuo regno, ulliino ardore.
Caduto Ilio per te,Troia d strutta
(Cosi ferisce c cosi scalila Amore),
Sarà dell' armi c delle fiamme gioco.
Campo di sangue, e Mongibcl di fuco.
Tempo verrà , che detestando il Fato,
Pcrch’abhi i rai del Sol goduti e visti.
Il sen bcstcminierai, che t’ha portato,
E l’ora c il punto che alla luce uscisti.
Il rimorso c il dolor dell' esser nato,
Fia il minor mal, che la tua vita attristi.
Dell’ aver sostenuto un si vii pondo.
Sarà sol la memoria infame al mondo.
Le stelle che tal peste hanno concetta,
L’aure,chc al suo natal nutrita l’ hanno.
Quelle congiiircransi alla vendetta ,
Queste, il proprio fallir sospireranno.
Natura, che per te fia maledetta,
T’abirorrirà con rabbia e con affanno ;
E farà , che nel fine albergo e fossa ,
Neghi all' anima il del , la terra all’ ossa.
Dopo la Dea di Samo, a lui si volta,
Con cruccioso parlar l'altra più casta.
Nè la superbia e l’ira in petto accolta.
La modestia del viso a coprir basta.
Lingua bugiarda, temeraria c stolta.
Dice con fiera man crollando l’asta ,
Ben si conforma il tuo decreto iniquo.
Al cor fellone ed al pensiero obliquo.
Ah cosi beo distribuisci I premi ,
Preso a vii esca di fallaci inganni?
Cosi mi paghi i gloriosi semi
Ch’io t’infusi nel cor fin da’ prim’anni T
Che la lascivia esalti, e il valor premi ,
E il vizio abbracci, e la virtù condanni?
E per sozza mercè di molli vezzi.
Gnor rifiuti , c castità disprezzi ?
Ma per codesta tua data in mal punto
Sentenza detestabile e proterva,
Non vico già la mia stima a mancar punto,
Ch’ io per tutto sarò sempre Minerva.
Se perdo il pomo, in un medesmo punto
li merlo e la ragion mi si conserva,
A te il danno col biasmo, e fia ben pronta
L’occaslnn di vcmiicar quest’onta.
Sarà questo tuo pomo empio e nefando.
Seminario di guerre c di riiiiic.
Che farai? che dirai, misero, quando
Colante ti vedrai stragi vicine?
Pentito alfin, piangendo e sospirando.
T’accorgerai con lardo senno alfine,
Quant’ erra quei, che dietro ascorte infide.
La ragion repulsando, al senso arride.
Al parlar della coppia altera e vaga ,
L’infelice paslor trema qual foglia,
E dell’ audacia sua pentito, paga
Il passato piacer con doppia doglia,
La qual ne’ suoi sospir par che presaga ,
Strani infortuni annunziargli voglia.
Ma partite le due. Venere bella,
Soavissimamentc gli favella ;
Paride caro, e qual timor l’assale?
Se è teco Amor, di che temer più dei?
Non sai, che in su la punta del suo strale.
Tutti i trionfi stali, tutti i trofei?
Cheappo il vaIor,clie sopra ogni altro vaie.
Sono Impotenti i più potenti Dei?
E che del fuoco suo l’ invitta forza
Di Giove Istcsso le saette ammorza?
Queir unica beltà, ch'io già ti dissi.
Ti farà fortunato infra le pene.
Le chiome, che indorar potrian gli abissi.
Pian dell’anima tua dolci catene.
Quelle, possenti a rischiarar gli eclissi
(Idoli dei tuo cor), luci serene.
Ti faranno languir di tal ferita,
Che avrai sol per morir cara la vita.
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L’ADORE. M
SI bea d' ogni bellezza In quel bel volto
Epilogato II cumulo s'unisce,
E si perfeltanicnte insieme accolto
Quanto ha di bel la terra, in lei Oorisce,
Che l'istcssa beltà vinta di molto,
Il paraggio ne teme e n’ arrossisce {
E d' aver lavorato un si bel velo,
Pugnan tra loro c la Natura e il Qelo.
Or non può sola immaginata l’ ombra
Della figura, che t’accenno or io.
Con queir idea, che nel pensìer t'adombra.
Felicitar per sempre il tuo desio T
SI si , sostien l' alla speranza, e sgombra
Dal peticr ogni timor, Paride mio.
Sapendo, che d'Araor la genitrice,
Di lutto il suo poter t' è debitrice.
A quest’ ultimo motto, ancelle e paggi,
(irazieed Amori, intorno a lei s’ unirò,
E il carro cinto di purpurei raggi.
Spalmando per lo sferico zaffiro.
La portar da que’ luoghi ermi e selvaggi,
Sovra l’ali de’ cigni al terzo giro,
E di par con gli auge! bianchi e canori,
Scn gir cantando e saettando fiori.
Qual meraviglia poi, che alcuno avvezzo
I piati a giudicar de’ cittadini ,
Reai ministro, per lusinga o prezzo,
Dalla via del dover talor declini ,
Se in virtù sol d’un amoroso vezzo.
Costui trapassa i debiti confini?
E d’un futuro e tragico piacere.
Il promesso guadagno il fa cadere?
Che non potran la face e l’arco d'oro?
Qual cor non Ila dalle lor forze oppresso.
Se il sacro olivo e il sempiterno alloro,
Inducono a sprezzar Paride isiesso?
E l’umil mirto ei preferisce loro.
Anzi piuttosto il fonerai cipresso.
Poiché il suo nome, onde si canta c scrive.
Per tante morti immortalato vive?
Tenea l’ orecchie il bcll’Adone intente,
Le lodi ad ascoltar di Citcrea,
E si già figurando entro la mente.
La bella ancor non conosciuta Dea.
Magiunti al loco, ove del di cocente,
Qizio sottrarsi al gran ralor devea.
Dal benigno pastor tulta licenza.
Con pensicr di tornar, fece partenza.
Tolto appena commiato, un caso estrano
(Mercéd’Ainor che lo scorgea) gli avvenne.
Prese un cervo a seguir, che per quel piano
Parve In fuggendo aver ne’ piè le penne;
E poiché assai seguito cl l’ebbe invano.
Stanco II passo e smarrito alfin ritenne.
Là dove molto da villaggi c case,
E da gregge e pastor lungc rimase.
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3C
MARINO.
«
CANTO TERZO. .
L’INN.AMORAMENTO.
ALLEGORIA.
In Amore, clic ferisce il cuore alla madre, si accenna che questo Irreparahile affetto
min perdona a rhi clic sia. In Venere, che s’innamora d' Adone addormentato si dinota
quanto possa in un animo tenero la licllezza, eziandio quando ella non è coltivala.
Nella medesima, che volendo guadagnarsi i'affezion d' Adone cacciatore, prende la
sembianza della Dea caccialricc e d’impudica si trasforma in casta, s’ inferisce, che
chiunque vuole adescare altrui, si serve di quei mezzi, ai quali conosce essere incli-
nato l'animo di colui che disegna di tirare a sò. E che molle volte la lascivia vien
mascherata di modestia, nè sì trova femmina cosi sfacciata, che almeno in su i prin-
cipj non si ricopra eoi veio dell'onesta. Nella rosa tìnta del sangue di essa Dea cd a
lei dedicata, si dimostra, che i piaceri venerei son fragili e caduchi; c sono il più
delle volte accompagnali da aspre punture, o di passione veemente, o di iicntimcnlo
mordace.
AttCOllESTO.
Mentre che stanco Adon dorme in sul prato
t.a bilia Citcrea n’anie d’amore.
Egli sì desta e pien di pari ardore
Vasscnc seco in ver l' usici bealo.
Perfido è ben Amor, chi n’arde li sente,
a chi è che noi senta, o che non arda I
Eppur la cicca e forsennata gente [guarda
Segue il suo peggio, e il proprio mal non
Fascino dilettoso, onU’uom sovente
Pasce , credulo agnello, esca bugiarda.
Vede tese le reti , e non le fogge,
Nè vorria non voler quel clic lo strugge.
Corre vaga farfalla al chiaro lume.
Solca incauto iiocrliicr le plarid’ondc;
Quella nel fiero incendio arde le piume.
Questo assorbon talor l’ acque profonde.
Spesso arsenico in oro, c per costume
Rigido tra bei fiori angue s’ asconde ;
E spesso in dolce pomo , cd adoralo
Suol putrido abitar verme celato.
Cosi spada lucente, arco dipinto
Con la pittura, e con la luce alletta ;
Ma se r una è trattata , c l’ altro è spinto ,
L’uiia trafigge poi , l’altro saetta.
Così nuvolo ancor di raggi cinto
Fiamme nel seno, c fulmini ricetta;
E con dorato c luminoso crina
Minaccia empia cometa alte ruine.
Sirena, iena, che con falsa voce,
E con canto mortale altrui tradisce;
Foco coverto , che assecura c coce ;
Aspe che donne, c il tosco in sen nutrisce ;
Spietato lusingbier, che alleila e noce;
Pietoso niicidial, eh’ unge e ferisce ;
Cortese carcericr, che a' rei di morte [le.
Quando chiusi gli ha in ceppi , apre le por-
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L'ADONE.
Dura legge, s« legge esser può dorè
Oppressa la ragion, regnala voglia,
E Talitia folle in strane guise e nove
Per vestirsi d' altrui , di s6 si spoglia.
Crudo signor, che a furia i sensi move
A procacciarsi sul tormento c doglia.
Fere come la morte, e non perdona
Senza distinguer mai stalo o persona.
0 del Mondo tiranno c di Natura ,
Se del materno duo! gioisci e godi, [ra
Qiial Oaeiie sclicrino, o scampo alma sccu-
Abbia dalle tue forze, o dalle frodit
Lasso, e di me dio tia, ohe in prigion dura
Vlvo,c scioglier del cor non spero i nudi.
Finché quel nodo ancor non si discluglla.
Che licn legata l'anima alla spoglia 7
Erra nella stagiun, die il can celeste
Fiamme esala latrando, e l’aria IkiIIo, [ste
Ond'arde clangne inquelle parti ein que-
ll fiore, crcrba,c la campagna, c 11 colle,
E II pastur per .s|K'lunche e per foreste
Rifugge all’ ombra ficsca, aU’umla mulic.
Mentre clic Fi Imi all' animai feroce.
Che fu spoglia d' Alcide, il tergo coce.
L’olmo, ilpino, l’abete, il faggine l'orno
Già le braccia, e le eli ionie ombrosi e spcs-
Che dar sul lind,l più cucenle giorno [si.
Agli arinciui s dean grati recessi.
Appena or nudi, e senza fronde intorno
Fanno col proprio l ronco oinbi aasè stessi;
E mal secura dall' eterna face
Ricovra agli antri suoi l’aura fugace;
Già varcala ha del di la mezza terza
Su 11 carro ardente il luminoso Auriga ,
E i volanti corsier, di' ci |iungc e sferza,
Trannoal mezzo delcici l’aurea quadriga.
Tcpidelto sndor, die serpe e scherza,
Al bell' Aduli la bella fronte irriga;
E in vive perle c liquide diseiolto
Crigtallino rusccl stilla dal volto.
Sotto l’arsura dell'estiva lampa,
Che dal più alto punto il suol pcrcotc ,
Tutto andante il garzuiicKo avvampa,
E il grave incendio sostener mai potè.
Purpureo foco gli colora e stampa
Di più dolce rossor le belle gole,
Che il Sol, che secca i fioruu ogni riva,
In quei prati d’Auior vieppiù gli avviva.
Mentre che pur, dov 'egli arresti II passo,
Parte cerca più fresca e meno aprica,'
Ode strepito d’ acque a piò d' un sasso.
Vede chiusa valletta al Sul nemica,
Or questo il corpo a sollevar già lasso,
E travagliato assai dalla fatica.
Seggio si sceglie, c stima util consiglio
Qui depor Farmi, c dar ristoro al ciglio.
Fontana vi ha, cui stende intorno oscura
L’ ombra sua protettrice annosa piopjia.
Dove larga nuli ice empie Natura
Di vivace lieor marmorea coppa.
Latte fresco c soave è Fonda pura.
Un antro il seno ed un camion la poppa.
A ber sugli orli i di '.tillati umori
Aproii 1’ avide labbra erbette c fiori.
L’arco rallenta, c dell’ usato pondo
Al fianco ingiurioso. Il fianco alleggia ,
E il volto acceso, e il criii filmante, o biondo
Lava nel fonte, elicili sul marmo ondeggi.v.
Poi colà dove il rezzo i più profondo,
E d’ umido smeraldo il suol verdeggia .
All’erba in grembo si distende, c l’erba
Ride di talli' onof liclac superba.
Il gorgheggiar de’ garrulelti augelli,
A cui da' cavi alberghi eco risponde;
li mormorar de’ placidi ruscelli.
Che van dolce nel niargoa romper Fonde;
Il vcntillar de’ tremuli ai boscelli,
Dove fan l’aure siblllar le fronde,
L’ allenar si, che in su le sponde erbose
In un tranquillo obblio gli ocelli compose.
Non lungo é un colle, che l’ombrosa fron-
Di uiirli Intreccia e il criii di rose infiora, [te
E del Nilo fecondo il chiuso fonte
Vagheggia, esposto alla nascente Aurora.
E quando rosseggiar fa l'orizzonte
L'aureo carro del Sul, clic i poggi indora.
Sente all’ aprir del mattutino Eoo
D’Eto I primi nitriti, e di Piroo.
A piè di questo I suoi giardini ha Glori,
E qui la Dea d’ Amor sovente riede
A corre I molli e rugiadosi odori
Per far tepidi bagni al bianco piede.
Ed ecco sovra un talamo di fiori
Qui giunta a caso il giovinetto vede.
Ma rncmr’ellain Adon rivolge il guardo.
Amor crudele in lei rivolge il dardo.
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38 «ARINO.
Per placar quel feroce animo Iralo
Venere sua, rlical par degli occhi l'ama,
Con l’esca in man d'un picdoi globo aurato
Gonfiodl verno, a si da Itinge il chiama.
Tosto che vede il vagabondo alato
La palla d'or, di possederla brama.
Per poter poi con essa in chiuso loco
Sfidar Mercurio e Gauhucdc a gioco.
Hovesi ratto , e In spaziosa rota
Gli omeri dibattendo, ondeggia ed erra.
Solca il elei ron le piume, in aria nuota.
Or l’apre e spiega, or le rii>icga c serra. ,
Or il suol rade, or ver la pura e vota
Più alta regiou s'erge da terra.
Alfin colà dove Ciprigna stassi
China rapido l'ali, e drizza I passi.
Ella il richiama, egli rifugge, e poi
Torna, e intorno le scherza alto su i vanni.
Anime incaute e seniplìccUe , o voi ,
Non sia chi creda a rpic' soavi inganni.
Fuggite! oline', gli allcttamenli suoi ,
Insidie i vezzi, c son gli scherzi aOanni,
Sempre là dov’ei ride, è strazio acerbo.
0 Dio quanto i crudcl, quanto i superbo I
Questa dolce magia , che per usanza
L’ anime nostre a vaneggiar sospinge,
Tal in sò di piacer ritien sembianza ,
Chequasi in amo d’orlc prende c stringe.
Or se tanta han d’ Amor forza e possanza
Soli gli elTeili,allor che inganna e finge.
Deh che fora a mirar viva c sincera
Di quel corpo innnortal la forma vera?
Di splendor tanto , c si sereno ognora
Quel bel corpo celeste intorno è sparso.
Che perderebbe ogni altro lume, e fora
(Senza escluderne il Sol) debile e scarso.
Stupor non fia, se Psiche (e chiusi ancora
Area gli occhi dal sonno) il cor n'ebbe arso,
G vide innanzi a quella luce etenia
Vacillando languir l'aurea lucerna.
Oh se nel fosco e torbido intelletto
Di quella luce una scintilla avessi ,
Si che, come scolpito il chiudo lupetto,
Cosi scoprirlo agli occhi altrui potessi)
Farei veder nel suo giocondo aspetto
Di bellezze divine estremi eccessi ;
Onde scorgendo in lui tanta bellezza,
Ragion la madre ha ben, se l'accarezza.
Bionda testa, occhi arzurrl e bruno ci-
Bocca ridente, e faccia ha dllicata,[gllo.
Nè su la guancia, ove rosseggia il giglio.
Spunta ancor la lanugine dorata.
Piume d'oro, di bianco e di vermiglio
Quinci e quindi su gli omeri dilata ;
Ed ha come pavon le penne belle
Tutte fregiate d’occhi di donzelic.
Molli d'ambrosia edi rugiada ha sparte
Le chiome c l' ali, e ingarzoniscc appena.
Bendato, e senza spoglie, il copre in parte
Sol una fascia , che di cori è piena.
Arma la man con infallibil arte .
D’arco, di strai, di face e dì catena.
L’accompagna in ogni atto il rìso, il gioco,
E somiglia al color porpora c foco.
Corre ingordo all’inv ito,e colmo un lem-
Di fioretti, c di fronde in prima coglie, [ho
Poi poggia in aria, e sul materno grembo
in colorila grandine lo scioglie ;
Ed ei nel molle ed odoralo nembo
Chiuso, c tra' fiori involto, c tra le foglie
Piover si lassa leggermente , c sovra
La bellissima Dea posa c ricovva.
Tal di donna rcal delizia e cura
Picciolo can, che le sta sempre innanzi,
E delle dolci labbra ha per ventura
Di ricevere i baci , e ber gli avanzi ,
Se con cenno, o con cibo l'assicura
I.a bella man , che lo scacciò pur dianzi.
Scote la coda, c saltellando riede
Uniilemente a rilanibirle il piede.
Pargoleggiando il bianco collo abbraccia.
Bacia il liel volto, e le mammelle igniide.
Ride per ciancia, e la vermiglia faccia
Dentro il varco del pettoascondeechiuda.
Ella, eh' ancor non sa quai le minaccia
L’ atto vezzoso acerbe piaghe e crude ,
Colma di gioia tutta, e di trastullo
Si stringe in grembo il lusinghier fanciullo.
Stretto in grembo si tlen la Dea ridente
li dolce peso entro le braccia assiso.
Sul ginocchio il solleva, e lievemcnto
L’ agita, il culla, e. se l’accosta al viso.
Or degli ocelli ribacia il raggio ardente ,
Or della bocca il desiato riso ;
Nè sa , thè gonfia di mortai veleno
Una serpe crudel si nutre in seno.
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L’ADON?:. 89
Le colorite piume e le bell' ali ,
Cbc il volo scoinpiglià, l' aura disperse ,
E le chiome lncom])oste c discguali
Polisce colle ma» morbide c terse.
Ha l'arco iradltor, gl'lnlldi strali ,
Onde dure talor plaghe solTersc,
Non s'ari Ischia a toccar, ch( sa ben ella'la.
Qual contagio hanno in si l’asprc qtiadrcl-
Seco però.mentrc che In braccio II tiene,
Oi alquanto divisar pur si compiace.
Figlio, diiniiil, direa, poiché conviene,
Ch’ esser tra noi non deggia altro che pace.
Perchè prendi piacer dell’ altrui pene?
Come sci si protervo c tanto audace.
Che ognor con i’arnii tue turbi e molesti
La quiete del Clcl c de'ccicstn
Bladre, risponde Amor, s’erro talora ,
Ogni error mio per ignoranza arcade.
Tu vedi ben che son ranciullo ancora.
Condona i falli all' immatura etadc.
Tu fanciun replicò Venere allora,
Chi si stolto peusier li persuade?
Coetaneo del tempo, c nato arante
Alle stelle ed al cici, t’ appelli infante?
Forse, perchè non hai canute chiome.
Te stesso in ciò soinpllrrmentc Inganni?
E ti dai pur di pargoletto II nome ,
Quasi l’astuzia poi non vinca gli anni.
Equal mia culpa, Amnrsoggiunse,ocomc
Altri da me riceve oCTese o danni ?
Perchè denno biasmar l’ inique genti.
Sol di gioia ministre, armi innocenti?
In che pecco qualora altrui mostr’lo
Le cose belle? 0 che gran mal commetto?
Non accusi alcun l’arco o il foco mio,
Ma sè mrdesmosol, ch’erra a diletto.
Se il tuo gran padre.o qualunqueallro Dio,
Si lagna alle mie forze esser soggetta.
Di , che il dolce non curi , Il bel non brami ,
E chi d’amor non vuol languir, non ami.
Ed ella : Or tu , che ognor tante e si nove
Spieghi superbo In del palme e trofei,
Tu, che con alte e disusate prove
Puoi tutti a senno tuo domar gli Dei.
Tu , che non pur del sommo istesso Giove
Vittorioso c trionfante sei.
Ma de’ tuoi strali ancor pungenti e duri.
Me , che tl generai , non assecuri.
Dimmi ond’ avvien , che sol pur còme
Abbi la face e la faretra vota , [spenta
Contro Minerva è la tua man si lenta.
Che non l’arda giammai, nè la percola?
Che sul fra tanti un cor piaghe non senta,
Che gli sla la tua flamma In tutto ignota.
Soffrir non posso ; o le facellc e I dardi
Depon per tutti , o lei ferisci ed ardi.
Ed egli ; Oimè , costei di si tremendo
Sembiante arma la fronte e si severo.
Che qualor per ferirla io l’ arco tendo ,
Temo r aspetto suo virile c fiero.
Po! del grand’elmo ad or ad or scotendo
Il minaccioso ed orrido cimiero.
Di si fatto terror suole ingumbrarmi ,
Che alla stupida man fa cader Tarmi.
Ed ella a lui : Pur Marte era più mollo
Feroce c formidabile di questa;
Da’ tuoi lacci però non n’ andò sciolto,
Malgrado ancor della terribil cresta.
Ed egli a lei : Marte, Il ligordcl vulto
Placa sovente, c mi fa gioco c festa.
M’invita ai vezzi , ad abbracciarmi corre;
L’altra sempre mi scaccia e sempre aborre.
Talor, cheosai d’avvicinarmi alquanto.
Giurò per quel Signor che regge il mondo,
0 con Tasta o col piè rotto ed infranto
Precipitarmi all’ Èrebo profondo, [quanto
D'angui chiomato ha poi nel pctlo,ahi.
Squallido in vista, un tescliioe furibondo,
Del cui ciglio uscir suol tanto spavento.
Che in mirarlo agghiacciar tutto mi sento.
jOdI , die' ella , odi sagace scusa ,
Si certo, si: dunque paventi c tremi
Nel sen di Palla a risguardar Medusa,
Eppurdi Giove il folgore non temi?
Ha dimmi, or perchè il cor d’alcuna Musa
Non mal del fuoco tuo riceve i semi?
Queste , sguardo non ban rigido e crudo.
Nè del Gorgone 11 mostruoso scudo.
Tero dirotti , egli ripiglia , lo queste
'Non temo no, ma riverente onoro.
Accompagnata da sembianze oneste
Virginal pudicizia io scorgo In loro.
Poi sempre Intente al bel cantar celeste
0 in studio altro occupalo è il sacro coro;
Talché non mal, se non né’ molli versi.
Da conversar tra lor varco m'apctil.
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MARINO.
" 10
Ed ella allor : Poiché ritieni a freno
Tanto furor, qui zelo, ivi paura ,
Vorrei saper, perchè Diana almeno
Dalle quadrella tue vive sccuraf
Né di costei , risponde , il casto seno
Vaglio a ferir, rivolta ad altra cura,
Fugge per monti , né posar concede
Si eh' ozio mai la signoreggi al piede.
Ben ho quel chiaro Dio, che di Latona
Seco nacque in un parto,arcieroanch’csso,
Dico quel , che <li fuco il crii) corona ,
Piagato, e d' altra fiamma acceso spesso.
Cosi mentre con lei scheiza e ragiona ,
Il tratto stillila , e le si stringe appresso ;
E tuttavia dialogando seco
Coglie il tempo a colpir rocchiulo cicco.
Dal purpureo turcasso.il qual gran parte
Delle canne pungemi in sé ricetta
(Parve caso iiiiprovviso, c fu heU’artc),
La punta usci della fatai saetta.
Punge il fianco alia madre, indi in disparte,
TiiuiJetlo e fugace il voloalTrctta.
In un punto luedesuio il ficr garzone
Ferine il core ed additollc Aduno.
Gira la vista a quel che Amor gii addita,
Chè scorgerlo ben può, si presso eì giace.
Ed oimè, grida, oiiiiè ch’io son tradita !
Figlio ingrato e crudel, figlio fallace.
Ahi, qual sento nel cor dolce ferita ?
Ahi , qual ardor, che mi consuma e piace 1
Qual beltà nova agli occhi miei si mostra?
Addio Marte, addio ciel,non son più vostra.
Pera quell’arco tuo d’ inganni pieno,
Pera, iniquo fanciul, quel crudo dardo.
Tu prole mia? no no, di questo seno.
No che mal non nascesti, empio bastardo ;
Nè mi sovvicu tal foco e tal veleno.
Concetto aver, per cui languisco ed ardo :
Ti generò di Cerbero Megera ,
0 dell’oscuro Caos la notte nera.
Si svelle in questodir con duoloe sdegno
Lo strai, eh’ è nel bel fianco ancor confitto.
E tra Io penne c il ferro in mezzo al legno.
Trova il nome d’Adon segnato e scritto.
Volto alla plaga poi l’ occhio e l’ ingegno.
Vede profondamente il sen trafitto,
E sente per le vene a poco a poco
Serpendo gir licenzioso foco. '
Ben egli é ver, che quella fiamma è tale.
Che non senza piacer langue c sospira ;
E vaga pur del non curato male ,
Mille in sé di pensicr macchine aggira.
Orsi rivolge al velenoso strale.
Or l’esca del suo ardor Itinge rimira;
E in questi accenti alle confuse voglie.
Con un ahi doloroso il gruppo scioglie.
Ahi, ben d’ogni mortai femmina vile
Ornai lo stato invidiar mi deggio :
I Poiché di furto e con insidia ostile.
Da chi meno il dovria, schernirmi veggio.
Mi ferisce il suo strai , m’ arde il fucile ,
Nè delle mie sventure èquestoii peggio;
Chealfin le fidmnic sue son tutte spente.
Se la madre d’Ainorc, amor non sente.
Ma eh' io soggiaccia a si perversa sorte.
Che le bellezze mie sì goda un fabbro?
Un aspro, un rozzo, un ruvido consorte ,
Incolto, irsuto, alfuniicato c scabro?
E che legge ininiorlal, peggior che morte.
Mi costringa a baciar l’ispido labbro?
Labbro, assai più neH'orridc fornaci
Atto a solBar carbon , che a porger bàci ?
Un , che al tro unqua non sa , che col mar-
Tcmpcstando l’ incudini infernali , [teilo
Le caverne assordar di Mongibello
Per temprar del mio padre i fieri strali ,
Che V an cadendo in questo lato e in quello.
Vano spavento ai semplici mortali,
E del maestro lor sembianti espressi ,
Cairn' é torlo il suo piè, son torti anch’essi.
Deh quante volte audacemente accosta
Importuno alla tuia l’adusta faccia,
E quella man , che ha pur allor deposta
La tanaglia c la lima , in sen mi caccia ;
Ed io, malgrado mio, son sottoposta
Ai nodi pur dell’ abborritc braccia ,
Ed asolTrir, che mentre ci mi lusinga.
La fuligiuc e il fumo ognor mi tinga.
Pallade, o saggia lei , quantunque meco
Non s’agguagli in beltà, ne fc’ rifiuto.
Nè Giove il volse in ciel , ma nel più cicco
Fondo il dannò d’iin baratro perduto;
Onde piombando in quel arsiccio speco
L’osso s’infranse, c zoppicò caduto,
E pur zoppo ne venne entro il mio letto
L’altrui pace a turbar col suo difetto.
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L’ ADONE.
Più non mi è gU di mente ancor uscita
La rimembranza ilcll' indegno oITcse.
Altamente nei cor mi sta scoipita
L'insidia che si prrliila mi tese.
Quando alla rete <li diamante ordita,
Questo sozzo villan nuda nd prese,
Follenieiile sropremloai Numi eterni
Delle mie nuuibra i penetrali interni.
Un rabbioso dispetto ancor soni’ io
Del grave oltraggio onde delusa io fui ,
Poìcliòdie consua infamia c biasmo mio.
Vergognosa materia al riso altrui.
Or non si dolga no chi mi schernio.
Se l'onta che mi fé’ ricade in lui.
S’ei volle canrcllar corno con scorno,
lo saprò vendicar scorno con corno.
L'Aurora innanzi dì si cala in terra
Per abbracciar d’Atcnc il cacciatore.
La Luna a niezzanolte il del disserra
Per vagheggiar I' arcadico pastore.
Io percbi'v no? se il mio desir pur erra.
Quella somma beltà scusa ogni errore, [to,
Vo', cheil garzon ch'io colà presso hoscor-
Sla vendetta all’ ingiuria, emenda al torlo.
Qui tace, c poi qual cacciairicc al guado.
Colà correndo all'alta preda anela.
Vesta dì lieve c camlido zendado
Le membra assai più candide le vela,
Cile com' opposto al Sol leggiero c rado
Vapor, le copre si , ma non le cela.
Vola la falda intorno abile e crespa ,
ZetGro la raccorcia c la rincrespa.
Sudala dall' arlencc marito
Sull'omero gemil fdihia di smalto
Con branche d' oro lucido e forbito
Sospende ad un zalTir l’ abito In alto.
L'arco, onde snoie ogni animai ferito,
Merci della man bella ambir l'assalto
Con la faretra, che al bel lìanco scende ,
Ozioso c dimesso al tergo pende.
Sotto il condn della succinta gonna
(Salvoilbel piò, die ammanta aurcocalza-
Dcll’ una e l’altra tenera colonna, [re,
L' alabastro S|)iranlc ignudo appare.
Non vide il mondo mai [se la mia donna
Non l' uguaglia perù forme si care.
Da lodar, da rilrar corpo sì liello,
Tracia canto non ha , Grecia pennello.
4<
Voi, Graxie, voiiclie dolcemente avete
Nel nettare del del le labbra infuse,
E ne’ lavacri più riposti siete
Nude le sue bellezze a mirar use ;
Voi snodar la mia llugiia, c voi potete
Narrar di tei ciò clic non san le Muse,
Intelletto terreno al dd non sale,
Nò fa volo divin pernia mortale.
Paslor di Troia , o te felice allora,
Clic senza vel lama In llà mirasti ;
E saggio le, quanto felice ancora.
Clic il pregio a lei d'ognì beltà donasti.
Beltà, che gli ocelli c gli animi Innamora,
Diva delle bellezze, e tanto basti.
Se non fuss'clla Cilerea, direi
Che Citcrca s'assomigliasse a lei.
Nou osa al lirH'Adon Venere intanto.
Il vero aspetto suo scoprir si tosto,
Ma V noi per tome gioco innanzi alquanto.
Che sia sotto altra immagine nascosto.
Nov’ [io non saprei dir con qual incanto]
.Simulacro nieiililo ha giù composto)
E già sì ben di Qiizìa arnesi c gesti
Finge, clic in tutto lei la crederesti.
Va come Canzia , Inculla ed inomala ,
E veste gonna di color d’erbetta.
Tutta ili un fascio d'or la chioma aurata,
Le cade sovra l’ omero negletta.
Nulla industria però l>en ordinata.
Tanto con l' artilìcio altrui diletta ,
Quanto al bel crin, di’ ogni ornamento
Accresce ngiiidisordiiie bellezza, [sprezza
Tien duo veltri la destra, al lato manco
Pende ad aurea catena indico dente.
D’ argento in fronte imiiiacolalo e bianco
Yedesi sdiulllar luna lucente.
Lasciasi l' arco c la faretra al fianco.
Prende d’acuto acciar spiedo pungente.
Talché al c.inl, agli strali, al cumo, ali asta.
La più lasciva Dea par la più casta.
Non sol per suo diletto ella usar vote,
Ma per infauiar remula quest’ arte.
Perché temendo, se la vede il Sole ,
Non l’ accusi a Vulcano, ovvero a Marte ;
Vuol di’ egli o qualche Satiro, clic suole
Da lui fuggire in quell' ombrosa parte,
A Pan piuttosto il riferisca e dica:
Che ancor Diana sua nou 4 pudica.
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42 MARIffO.
Per piA spedito agCTolarsi H calte
L'aoreo coturno si disfihliia c scalza,
Poi dell'obliqua eil intricata ralle
Premendo va la dì'^cnsccsa balza,
L’erbc dal Sole impallidite e gialle
Verdeggian latte, ogni fior s'apre ed alza.
Sotto il piè peregrìn del bosco incullo,
Ogni sterpo fiorisce , ogni virgulto.
Ed ecco audace c temeraria spina.
Ma quanto temeraria, anco felice,
Che la tenera pianta alabastrina
Punge in passando, e il sangue fuor n’elice,
E vien di quella porpora di» ina
Ad ingemmar la rima impiagati ice;
Ma coloraiulu i fior del proprio stelo.
Scolora i lior della beltà del cielo.
Pallidctia s’arresta c dolorosa
Que’ begli ostri a stagnar col bianco lino,
E Intanto folgorar vede la rosa ,
Già di color di neve, or di rubino.
Ma per doppia ferita ancor non posa.
Nè della traccia sua lascia il cammino.
Vinta la doglia è dal desire, e cede
Alla piaga del cor, quella del piede.
Or giunta sotto il solitario monte.
Dove raro iiman piè stampò mai l’ormc.
Trova colà sul margine del fonte,
Adonclic In braccio ai fior s'adagia c dor-
Ed or die già della serena fronte [me.
Gli ajipanna il sonno le celesti forme,
E tien velato il gemino splendore.
Veracemente egli rassciiibra Amore.
Basscmbra Amor, qnalor deposta e sciol-
La face, c gli aurei strali, c l’arco fido, [la
Stanco di saettar posa taliolia
Su ridalio frondoso o in lal di Guido,
E dentro I mirti, ove tra l’ombra folta,
Han canori augelletti opaco nido.
Appoggia il capo alla faretra, c quivi ,
Carpisce il sonno al mormorar de’ rivi.
Siccome sagacissimo scguso.
Poiché raggiunta lia pur tra fratta e fratta.
Vaga fera talor, col guardo c il muso,
Esplorando il eo»il fermo s’ appiatta j
E in cupa macchia rannicchiato c chiuso.
Par die voce non oda, orclilo non lialta,
Mentre il tacco e la preda, ot’clla sia,
Immobilmente insidioso spia;
Cosi la Bea tP Amor, poiché soletta
Giunge a mirar l’angelica sembianza,
Cdis alle gioie amorose il bosco allctta,
E del suo del le meraviglie avanza,
• Resta immobile c fredda, e in su l’erbetta.
Di stiipor sopraflatla c di speranza ;
Siede tremante, e il bel che l’innamora.
Stupida ammira, e reverente adora.
In alto si gentil prende riposo.
Che tutto leggiadria spira e dolcezza;
E il sonno Istesso in si begli orchi ascoso.
Abbandonar non sa tanta hellezza.
Anzi par che di lor fatto geloso,
DI starsi ivi a diletto abbia vaghezza;
E con nido si bel non le dispiaccia,
Cangiar di Pasitea l'amate braccia.
Placido figlio della Notte bruna.
Il .Sonno ardca d’amor per Pasitea;
E perchè questa delle Grazie er’ una ,
L' ottenne in sposa alfin da Citerca.
Or, mentre che dì lor scn già ciascuna
L’erlie scegliendo per lavar la Dea,
Scherzando Intorno ignudo spirto alato.
Partir non si sapea dal vidn prato.
Vanno, ove Flora i suoi tappeti stende,
I.e Grazie a cor qual più bel fior germoglia.
Qual dalla spina sua rapisce c prende
La rosa, e qual del giglio il gambo spoglia.
Ouelh, al balsamo ebreo la scorza fende,
Questa, all’Indica canna ilcrin disfoglia.
Altra, ove suol vibrar lingue di foco,
Ricerca di Cilicia il biondo croco.
Or, il tranquillo Dio, mentre che move
InvisibiI tra lori' ali sue chete.
Posar veggendo il bcH’Adon là dove,
Tesson notte di fronde ombre secrcte.
Per piacer alla figlia alma di Giove,
Gli pone agli occhi il ramoscel di Lete;
Talché ben potè, oppresso in quella guisa.
Star quanto vuole a contemi>larlo assisa.
Tanta in lei gioia d.vl bel viso fiocca,
E lal da' chiusi lumi incendio appiglia,
Cile tutta sovra lui pende e trabocca.
Di desìr, di piacer, di meraviglia.
E mentre or della guancia, or della bocca.
Rimira pur la porpora vermiglia.
Sospirando un oimè, svelle dal petto.
Che non è di dolor, ma di diletto.
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43
L’ ADONE.
Qiul industre pinor, che intento e fiso
In bel ritratto ad emular natura,
Tutto il Dor, tutto il boi d’un vago viso,
Celatamentr investigando fura ;
Bel dolce sguardo e del soave riso,
i*ria l'ombra ignuda entro il pcnsicr figura.
Poi con la man discepola dell’arte.
Di leggiadri color la veste In carte ;
Tal ella, qtiasi con ponnel furtivo.
L’aria involando dell’oggetto amato.
Bave con occhio cupido e lascivo.
Le bellezze del volto innamorato;
Indi dell' iddi suo verace e vivo.
Forma l’esemplo con lo strale aurato,
E con lo strai niedesinio d’Araore,
Se r Incliioda e configge in mezzo al core.
X piò gli siede, e studia attentamente.
Come la beila imago in sen si stampi.
In liilsi specchia, ed all’incendio ardente.
Traggo nov’ esca, onde più forte avvampi.
Ma delle stelle Ineclissate e spente,
Suscitali veder vorrebbe 1 lampi ;
E consumando va tra lirla e trista,
In quel dolce spettacolo la vista.
Bencliò il favor de’ rami omitrosi e densi,
Dal Sul difenda il giovane clic giace.
Tur l’aria impressa di vapori acccnsi,
E ripercossa dall’estiva face,
E quel die lega didcemente i sensi,
E sopisce i ivensier, sonno tenace.
Il volto insieme ed umidetto ed arso.
Di fiamme tutto e di sudor gli bau sparso.
Onde la Dea pietosa, or della vesta
Il lembo, or un suo vel candido e lieve
In lui scolendo, a lusingar s’appresta
Della fronte c del crin, l’ ambra o la neve.
E mentre l’aria tepida c molesta
Move e scaccia il calor noioso c greve.
Con Paure vane a vaneggiar intesa.
Sfoga in sospir l’Interna fiamma accesa.
Aure, 0 aure, dicea, vaghe e vezzose.
Peregrine dell’ aria, aure odorale.
Voi che di ipicsla selva infra l’ ombrose.
Cime sonore a stiiol a sUnd volale,
Voi, cui de’ miei sospir Paure amorose.
Doppiati forza alle piume, aure beate.
Voi, dalPcsIiv'o ingiuriosa .ardore.
Deb difendete il nostro amato amore.
Cosi di verno mai, cosi di gelo.
Ira nemica non vi oITcnda o torchi;
E quando I monti han più canuto il pelo.
Dolce dalle voslr’ali ambrosia florclil;
E securo vi presti II bosco e il cielo,
Scliernio dal vivo Sol di que’ begli occhi ;
E molle abldatc c di salute piena.
Ombra sempre tranquilla, aria serena.
Indi al fiorito o verdeggiante prato.
Letto di i vago suo, rivolta dice :
Terreno al p.vr del ciel sacro c beato.
Avventurosi fiori, erba felice.
Cui sostener tanta bellezza ò dato.
Cui posseder tanla riceliez/a lice,
Cile di IP Idolo mio languido c stanco.
Siete guanciali al volto, c piume al fianco;
Sla quel raggio d'Anior.chcvi pcrcote.
Di Sole invece a vni, fiori ben nati.
Ma che veggio? che veggio? orche non poto
La virili de’ begli oerhi aiieor serrali?
Dal bel color delle divine gole.
Dal puro odor di que’ celesti fiali.
Vinta la rosa, c vergognoso li giglio,
L’una paliida vicn, l’altro vermiglio.
Volgesi agli occhì.c dice: Un degli ardenti
Vostri lampi, ocelli cari, or mi consoli.
Ordii vagli! c leggiadri, ocelli lucenti.
Ordii de’ miei pensieri, c porti, e poli,
Ocdii dolci c sereni, ocelli ridenti.
Occhi de’ iiilcì desiri, c specdii, c Soli,
Fiiieslrc dell’Aurora, usci del die,
Pussenli arisebiarar le nulli mie.
Ocelli ove Amor soslien Io scettro e il rc-
Ov’egli arrota i più pungenti artigli, [giio,
Voi .sid potete il mio battuto Ingegno,
Campar dallo tempeste c da’ perigli ,
Non nien che stanco e travagliato legno,
Suglian di Leda i due lucenti figli.
Gii parrai in voi veder, veggio pur cerio,
Tra due chiuse palpebre un cielo aperto.
Ma perchè non v’aprile?c 1 dolci ral
Non volgetca costei, clic iimil v’inchina?
Aprili, ncgliilloso, c si vedrai
A qual ventura il Fato or ti destina.
Rendi ai sensi il vigor, ricbiania ornai
L’anima da’ bei membri peregrina.
All non gli aprir, che chiuso anco II bel ci-
Spira l’ arder del miospictalo figlio, [glio.
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MARINO.
Sonno, ma tu, s’ egli t pur ver che sei,
Vivac\cracc immagine di morte,
Anzi di qualità simile a lei,
Suo germano t’appelli, c suo consorte.
Come, come potesti a danni miei.
Entrar del elei nelle beale porte?
Con che licenza oltre l'usato ardila.
Puoi negli occhi abitar delta mia >ita?
E se sci pur dell’ ombre e degli orrori
Oscuro figlio c gelido compagno.
Come i cocenti raggi, c i chiari ardori
Soffri di quel bel viso, orni' io mi lagno?
Kuggi il riscliiu mortai. Semplici cori
Fan tra i vezzi d’ Amor scarso guadagno.
Vanne vanne, lontan , vattene in loco ,
Dove tanto non sia splendore c foco.
Ma se stender vuoi pur le brune piume
Sovra il novello autor de’ miei tormenti.
Deh porgi all’oiiibrc tue tanto di lume.
Clic r immagine mia gli rappresenti.
La qual siccome dolce io mi consume
Gli mostri in atti supplici e dolenti ,
Onde nel pigro cor, mentre giac’egli
Sonnacchioso dormendo, Amor si svegli.
Appena Ila queste note ultime espresse.
Che l’ amico Morfeo, che gli ò vicino.
Fabbrica d’aria e di vapori iiilcsse
Simulacro leggiadro e peregrino.
Di lai rurme si veste, c scopre in esse
Di celeste beltà lume divino.
Donna, eh’ è tutta luce, c fuco spira.
Nel teatro del sonno Adone ammira.
Corona tal, che altrui la vista oflende,
Cerchia la fronte Incida e serena,
E di gcninie stellata avvampa e splende,
E di stelle gemmata arde e balena.
E dal titolo suo ben si comprende.
Che non 6 chi la tien cosa terrena ,
Ilavvi scritto dintorno in lettre aurate :
iladre d'Amore, e Dea della beliate.
Mentre d’alto stupore Adonvien manco
Giàpargli già la bella larva udire.
Che stendendo unaman d’avorio bianco,
Adon, dammi il tnocor,gli prendea dire.
E fu quasi un sol punto aprirgli il fianco.
Dispiccarglielo a forza, e disparire.
Sognando il bel garzon, si dote c geme.
Si che la vera Dea ne laiiguc insieme.
E traendo un sospir piano e sommesso
Tempra il novo martir, che la tormenta,
E languisce c gioisce a un tempo istesso,
Spcra,teme,arde,agghiaccia,osa e paventa.
La mano, eilsen s’empie di fiori, espesso
Sul viso un nembo al bel fanciul neavventa.
Indi (che lui desta non vuol) s’inchina
Dolcemente a baciar 1’ erba vicina.
Poscia il bel riso entro le labbra accollo.
Che in carcere di perle s'imprigiona.
Contempla attentamente, e del bel volto
Vagheggiando la bocca, a lei ragiona :
Urna di gemme, ov’è il mio cor sepolto,
A te medesma II mio fallir perdona,
S’ io troppoardlsco, orche tu taci e dormi,
L’ alma, che mi rapisti, io vo’ ritormi.
Che fo, seco dicea, che non accosto
Volto a volto pian plano, e petto a petto?
Vola il Tempo fugace, e seco tosto
Seguilo dal dolor, logge il diletto.
Ahi quel diletto, a cui non vien risposto
Con bei cambio d' amor, non è perfetto ;
Nè con vero piacer bacio si prende;
Cui l’amata beltà bacio non rende.
Qual dunque tregua attendo a’ miei mar-
Sc occasion si bella oggi Iralasso [tiri
Ma se avvien, che si svegli, e che s’adiri»
Dove rivolgerò confusa il passo?
Moveranno il suo cor pianti e sospiri.
Purché non abbia l’anima di sasso.
Non r avrà, s’egli è bel. Cosi dubbiosa
Per baciarlo s’abbassa, e poi non osa.
Come resta il villan,se alle frcsch’onde
Quando più latra in ciel Sirio rabbioso
Corre per bere, e vede in sidle sponde
La vipera crudel prender riposo;
0 come il caccialor, che fra le fronde
Cerca di Kilumcna II nido ascoso ,
E ficcando la man dentro la cova.
Invece dcli'augcl, i’ aspe vi trova;
Cosi lieta in un punto, e timidetta
Trema costei quanto pur dianzi ardia.
L’allligge la beltà, che la diletta,
li troppo stimolar la fa resila.
Brama <|uel che roCTende, ed 6 costretta
Tutlavolia a temer quel che desia,
Pentesi, che tant’ oltre erri il desire,
E si pente ancor poi del suo pentire.
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L’ADONE.
Tre volte al lievi e dolci flati appressa
La bocca e il bario, e tre si arresta e cede,
E sprone Insieme, e fren fatta a sò stessa
Vuole e disvuole, orsi ritragge, orrieUe.
Amor die pur sollecitar non cessa.
La sforza alflne alle soavi prede.
Si che ardisce liliar le rugiadoso
Di celeste licor purpuree rose.
Al suoli del bacio, ond'ella ambrosia
L’aildormeiitato giovane deslossi, [bebbe
E poicliial(|iiaiito insti rinvenne, cd ebbe
Dal grave sonno i lumi ebbri riscossi ;
Tanto aquel v agooggetio In lui si accrebbe
Stupor, che immuto e tacito restossi;
Indi da lei, che all' improvviso il colse.
Per fuggir sbigottito il piò rivolse.
Ma la Diva importuna II tenne a freno ;
Perchè, disse, mi fuggi? ove nevai?
Mi volgeresti il bel guardo sereno,
Se sapessi di me ciò che non sai.
Ed egli allora abbarbagliato e pieno
D’ Influito diletto a tanti rai ,
A Unti rai, clic un si bel Sol gli offerse.
Chiuse le luci, indi le labbra aperse;
Ed : 0 qual tu ti sia , clic a me tl mostri
Tutu amor, tutta grazia, o donna, o diva
Diva certo iminortal, da sommi chiostri.
Scesa a bear (|uesta selvaggia riva ,
Se van, disse, tant' alto i pivglii nostri,
Se riverente alTelto il Clel iiou schiva.
Spiega la tua cuiidizion, qual sei,
0 fra gli uomini iiau, o fra gli Dei.
Alla madre d'.\mnr,clic altro nonvole.
Clic aver le Inda quelle luci alllsse,
Parve, che aprendo 1’ uno c l'altro sole
De' duo liegll occhi , il paradiso aprisse.
E le calde d'amor dolci parole.
Che a lei tremando c sospirando disse.
Le furo soavissime c vitali
l'iamiuc al cor, lacci all'alma, al petto strali.
Ma pur dell' esser suo celando II vero.
Mentitrice favella inianto forma :
Cosi poro conosci. Incauto arderò,
Lei, che non solo il primo cielo informa,
Che ha nel centro infernal non solo impero,
Mada cui queste sidve han leggccnorma?
Eppur m'imiti e segui a tutte l'oro;
Poco mcn che non dissi, c mi ardi li core.
Io mcn venia, siccome soglio spesso
Quando l'estivo can ferve e sfavilla,
In questo hoseo, a meriggiar là presso
In riva atl'onda lucida e traur|uilla.
Che una bolla vivente anerta in esso.
Di cavernosa pomice distilla,
E forma un fonticel, che alle vicine
Odorifere erbette imperla II crine.
Quando il mlnpiòchcperrcslremaarsu.
Siccome vcdl,òd'ognl spoglia ignudo, [ra.
Con repentina c rigida puntura
Ago trafisse ingiinloso c rruilo.
E bendi’ uopo non sia medica cura
Per farmi Incontro al duol riparo c scudo.
Colsi quest' erbe, il cui vigore affrcua
Il corso al sangue c può saldar la vena.
Ma perchè ogni mia Ninfa erra lontano.
Echi tratti non ho I’ aspra ferita,
Porgimi tu con la cortese mano
(A le ricorro. In te rìcovro) aita.
Qui del trafitto piè, del cor non sano
I.'una piaga nasconde c l'altra addita,
E scioglie, testimon de’ suoi martiri,
Un sospiro diviso in duo sospiri.
Non era Adon di rozza cole alpina ,
Nè di libica serpe al mondo nato.
Ma quando fosse ancor d’ adamantina
Selce c di crudo tosco un petto armato,
Ogni cor duro , ogni anima ferina
Fora da si bel Sol vinto c sicmpralo.
Nè meraviglia fia qualor s’accosta.
Che arda lìamma vorace esca disposta.
Reverenza , picladc, amore c tema
Fan nel dubbioso cor fiera contesa;
Ma perdiè deve ogni fortuna estrema
Subitamenle esser lasciata, o presa.
Non ricusa il favor, ma gela c tema
Mentre s’ appresta a sì soave impresa'.
In quel gesto pietoso, cd attrattivo
Con cui ride languendo occhio lascivo.
Santo Nume, dieea, cui Cinto, c Dclo
Porge voti, offre Incensi, aliarl Infiora,
Vostra grande in abisso. In terra c in ciclo
Virtù, chi non conosce c non adora?
Scusale il cor se con pcrfeiio zelo
Cvdcbrar non vi sa, quanto vi onora,
E r ardir della man prendete In pace.
Che in si degli' opra è d’ ubliidln I audace.
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ts MARINO.
Deh qual ventura mal, qual proprio
D' infelice mortai tanl’ alto giunse 7 [merlo
Ben ho da benedir questo deserto,
Che le fide da voi serve disgiunse,
E quel, per cui mi è tanto bene offerto.
Spinoso stri, che il bianco piè vi punse ;
E to’ segnar per tante glorie mie
Con pietra lesbla un si felice die.
Scintillan tante fiamme e tanti raggi
Nei sembiantecli’ioscorgo, altero e bello.
Che dar potriano invidia c fare oltraggi
Al vostro ardente e lucido fratello.
Onde non giè de’ boschi aspri e selvaggi.
Ma Dea de' cori c degli amor vi appello ;
f^liè s'io mi affiso in voi, di veder parmi
Al volto Ciierea, Diana all' armi.
Con questo ragionar, del piè gentile
Si reca in grembo l’ animato latte,
E poscia che con vel bianco c sottile
N' ha le gelate stille espresse e tratte.
Della destra vi accosta assai simile.
Quasi in bi l paragon, le nevi intatte.
Disse Amor, che non era indi lontano,
Non volea si bel piè mcn bella mano.
Tasta la cicatrice c terge e tocca
Morbidamente I sanguinosi avori ,
E mentre un rio di nettare vi fiocca
Fra cento erbe salubri c cento odori,
Fan con occliio loquace e muta bocca
Eco amorosa i tormentati cori,
Dove invece di voce il vago sguardo
Quinci c quindi risponde, ardi di' io ardo.
Dicea r un fra suo cor: Deh quali io miro
Strani prodigi e meraviglie nove?
Il elei d'anior dal cristallino giro
Di sanguigne rugiade un nomilo piove.
Quando tra gii alaliastri unqiia s’ udirò
Nascer cinabri in colai guisa, o dove?
Da fonte eburneo uscir rivi vermigli.
Dalle nevi coralli, ostri dai gigli?
Sangue puroc divin,che a pocoapoco
Fai sovra il latte scaturir le rose ,
Vorrei da te .saper, sci sangue, o foco,
Che tante accogli in te faville ascose?
0 non mai pivi vedute in alcun loco
Cemme mio peregrine c preziose;
DI si nobil miniera usciste forc.
Che ben si vende a tanto prozio ua core.
E tu candido piede insanguinato
Che di minio si fino asperso sci ,
E ricca pompa fai cosi smaltato
De' tesori d' amore agli occhi miei ;
Quanto più del mio cor sei forlnnato.
Ilei mio cor, che trafitto è da costei?
l-angue ferita e di ferir pur vaga
Impiagato mi ha il cor con la sua piaga.
A te fasciato pur di bianco invoglio
ERlracc licer rimedio serba.
Senza fasce ei si dole, al suo cordòglio
Non giova industria d'arie, ovirtù d’erba.
Consenta pure Amor, che s’io mi doglio.
Trovi ristoro almen la doglia acerba;
E stringendomi II fianco in dolce laccio.
Se mi ferisce il piè , mi sani 11 braccio.
Chi pii'i giammai di me felice lìa,
S'egli avverrà, che questa bella esangue.
Che al cliiudcr della sua la piaga mia
Apre cosi, che il cor ne geme e langue ,
Di omicida crudcl, medica pia, [gue?
Mi asciughi il pianto, ov'io l’asciugo il san-
Sì che tra noie e gioie e guerre e paci
Quante mi dà ferite, io le diabaci?
Lassa , l' altra dicea , die dolce pena ,
Questa che la mia piaga annoda e cinge !
Non è fascia, anzi è ceppo , anzi è catena,
Chomcntre il piè mi lega, il cor mi stringe.
Questo purpureo umor, die in larga vena
Di vivace rossor mi verga e tinge [pressa
Ahi ch’è l’anima mia, die in sangue es-
Vuole a costui sacrificar sè stessa.
Erbe felici , che alle mie ferule
Dolor recale e refrigerio insieme.
Benché d’alto valor, quella virtule
Cile vive in voi, non è virtù di seme.
VIen dalla bella man la mia salute.
Da quella man, che vi distilla c pn-nic.
Emula de’begll occhi e del bel viso.
Che sanandomi il corpo ha il core ucciso.
0 bella mano, orni' è che curar v noi
La piaga delmio piè con tanto affetto?
l'orse sol per poter farmene poi
Mille più larghe e più profonde ai petto?
Forse è destin, che fuor che ai colpi tuoi
Non dee corjio celeste esser soggetto.
La palma che di me mone non ebbe,
A te sol si concede, a le si debbo.
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L’ADONE.
Nache più tardo a disvelar quest’ombra,
Che tiene il mio splendor di nube cinto?
S’or che le mie Itclleazciii parie adombra
Haitica benda, il mio avversario è vinto.
Che fia quando ogni nebbia in tutto sgoni-
Verri die cedaal v ero oggetto il finto! ^bra
Disse e squarciando le fallaci lane
In propria effigie al giovanetto apparve.
Qual vergine talor semplice e pura
Se avvien, die astuta mano alzi e discopra
Drappo, eh' alcuna In sè sacra figura
Effigiala ad arte abbia di sopra,
Ma secreta nasconda altra pittura.
Di lascivo penncl piaccvolopra.
Tingendo il bel caiidor di grana fina.
Dall’ inganno confusa, 1 lumi inchina.
Tal si smarrisce Adon, quando scoverto
Della Dea gli si mostra il lume intero;
E tanto più pur di sognar incerto,
D’ alta coofusion colma il pensiero;
Perchi conosce espressamente aperto
Del sogno suo nella vigilia il vero.
Divedendo colei, che poco dianzi
Rubatrice del cor, gii apparve innanzi.
Al bel garzon, che stupefatto resta
Veduto il primo aspetto in aria sciolto.
La liella Dea discopre e manifesta
In un punto medesmo il core e il voUo.
Benmio, dicca, qual meraviglia è questa,
Che tra diibbj peusierti tiene involto?
Quel traveder, die li fa star dubbioso,
Fu di mia Delti scherzo amoroso.
Or non pi ù m i nasco ndo. Io m i son quella ,
Per cui d’ amore il terzo dei s’ accende.
Quella son io, la cui lucente stella
Innanzi al Sole, emula al Sul rispicnde.
Taccio, che dal mio bel (|ualuiiquc bella
Bella è detta quaggiù, bellezza prende;
Taccio, clic figlia son del sommo Padre,
Dirò sol ch’amo e che d’^Vmor son madre.
Quando ben fosse a tua notizia ignoto
Quel che t' abbaglia insolito splendore.
Qual ò clima si inospito e remoto ,
Alma qual 0, che non conosca Amore?
Che se pur poco agli. altri sensi t nolo,
Halgrailo suo, ne ha conoscenza il core.
Se tl piace d’ Amor dunque il piacere.
Dimmi U tuo stato e dammi 11 tuo volete.
Si disse e Pito 11 persuase e vinsq,.
Ch’entro le labbra della Dea si ascose.
Pito ministra sua d’ambrosia intinse
Quelle faconde ed animate rose.
Pilo in leggiadri articoli distinse
Le note accorte e il liel parlar compose.
Pito dalla dolcissima favella
Sparse catene ed avvento quadrelli.
Fosse la gran soavi tl di queste
Voci, ebe il glovciiil petto percosse,
0 del bel cinto, ond’ella il fianco veste
Pur la virtù miracolosa fosse ;
Dal dolce suon del ragionar celeste
liivagbiiuUfanciiil lutto si mosse; [sanza,
Ma quel ebe in lui più eh’ altro ebbepo»
Fu la divina oltramortal sembianza.
Un diadema Ciprigna avea gemmante ,
Gemme possenti a concitare amore.
V’era la pietra illustre c folgorante,
Cb' Ita dalla Luna il nome e lo splendore.
La calamita, cb’ è dei ferro amante,
E in giacinto, che a Cinzio accese licore;
Ma la virtù de’ lucidi gioielli
Fa nulla appo l’ ardor degli occhi bellL
La destra ella gli stese c il vago lino
Scorcio, clic nascondea la neve pura.
Onde implicalo in un ccrcliictto fino.
Che con mista di gemme aurea scultura
Ficea maniglia al gomito divino
Rigido di barbarica ornatura,
(Fosse arte ocaso] delicato e bianco
Fece il fuso veder del braccio manco.
Tcnea, com’ io dicea, le membra belle
Appannate d’ un voi candido c netto,
E qual d’Adria veggiam donne e donzelle
Infili sotto le poppe ignudo il petto.
Fc’ vista allor tra il seno c le mammelle
Voler gruppo annodar non ben risirello
E più leggiadra c più secreta parte
Fingendo di coprir, scoverse ad arte.
Mentre languii l’ innamorala Dea,
Adon cun fise ciglia in lei rivolto.
Tutto rapito a contemplar gudea
Le meraviglie del celeste volto,
E quivi in vista attonito scorgea
Il bel del bello in breve spazia accolto.
Fra 1 detti intanto e fra gli sguardi amore
Gli entrùper gli occhi eperl’orccchiealcore.
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48 MARINO.
Nell' udir, nel mirar s' accese ed arse
DI non sentite ancor fianiine novelle,
E del foco del cor l’ incendio sparse
Su per le guance delic.ile e belle.
Inchinò a tei ra onesiainentc scarse
Vergognosetto le ridenti stelle.
Poi verso lei con tm sos)>ir le volse,
AIfln lo spirto in queste voci sciolse :
O Dea cortese, o s’ altro i pur fra noi
TUol , eh’ a maestà tanta convegna,
Qual può mai cosa olTrir vii servo a voi ,
La cui pietà di coiai grazia il degna 7
Lo scettro no, poicliò ne’ regni suol
Povero diredato or più non regna.
La vita no , che da voi Dei fatali
Il vivere e il morir pende a’ mortali.
Voi siete tal , eh’ altri non può mirarvi.
Che mirando d' amor non se n’accenda,
Ma non può alcuno accendersi ad amarvi.
Che amando non vi oltraggi e non vi olTen-
Oflesa vi è servirvi ed adorarvi , [da.
VI oltraggia uoni vii, che emani’ alto inten-
Perchò con quel ch'ogni misura passa, [da,
Proporzion non ha scala si bassa.
Non dee tanto avanzarsi umano ardire.
Che presuma d' amar bellezza eterna,
Ma curvar le ginocchia e rcvcrire
Con devotg umiltà chi il del governa.
È ben ver, che qualora entra in desirc
D’Inferior natura alma superna.
Quella bontà , quella virtù sublime
Nell’amato soggetto il merlo imprime.
Quel merlo eh’ esser suol d’ amor cagto-
In noi mortali è in voi relesti cfTetto, [ne
Sicché quando alcun Dio d’amar dispone
Uom terreno e caduco, il fa perfetto;
Che bencliò diseguale sia 1’ unione,
L’un dell' altro però sgombra il difetto;
E d’ogni indignità purgando il vile,
Qò che è per se villan, rende gentile.
Amor di voi m’ Innamorò per fama
Pria che a veder vostra beltà giungessi,
E da lungo vi amai non men che si ama
Oggetto bel, eli’ ingonla vista appressi.
Or che quanto il mio cor sospira c brama
Son condotto a mirar con gli occhi istessl,
E ch’olire il rimirarvi, altro mi è dato,
Vo’ conlcniatido voi , far me bealo.
Quanto darvi mi lice e quanto è mio
Vi sacro c dell’ ardir chiedo perdono.
Se degno son di voi, vostro son io,
E se il cor vi Ila In grado , il cor vi dono.
Se mendica è la man , ricco è il desio ,
Siete donna di me più eh’ io non sono.
Nè fuor che l’anior vostro, amar potrei,
Nè potendo voler, poter vorrei.
Il mio volere al voler vostro è presto
Tanto , che quasi in me ntiUa n’ avanza.
Lo stato mio, se a tutti è manifesto.
Come a voi di celarlo avrei baldanza?
Mirra, dirollo , Il cui nefando Incesto
I.a vergogna ritmnva alla membranza.
Fu la tuia genitrice c da colui.
Che generolla , generato io fui.
Ed or selvaggio rarciator ramingo,
Sagittario di damme e di cervette.
L’arco permio trastulloincoccocslringo.
Ed impenno la fuga alle saette.
Felice error, die per l' orror solingo
Di quest’ omlvre beate e benedette
Fuor di via mi tirò, nè ciò mi dote.
Poiché perdo una fera c trovo un Sole.
Ne'bei vostri occhi, per cui vivo e moro,
L’ anima ornai depositar mi piace;
Ha perchè 11 cor sarriliralo in loro
Già sento già, che in vivo ardor sì sface,
E perchè a quella bocca, ov’è il tesoro
D’Ainor, non è d’avvicinarsi audace;
Ecco con rpiesto bacio, ancovcliè indegno,
A te candida matio , io la consegno.
Ed ella allor ; Clic tu ti sia, mia vita ,
Esperto arcicr, saettatore accorto.
Altra prova non vo’, che la ferita.
Che in mezzo al petto Immedicahii porlo.
Ma d' aver tal beltà mai partorita
Mirra, credilo a me, sì vanta a torto ,
Perchè fra rombre il Sol non si produce.
Nè può la notte generar la luce.
Ella il padre ingannò di notte oscura,
E tu porli negli ordii iin di sereno.
Ella di scorza alpestra il corpo indura ,
E tu più die di latte, hai molle il seno.
Ella amara e spiacente è per natura ,
E tu sei tutto di dolcezza pieno.
Ella distilla lagritnnsi timori,
E tu fai lagrimar l’ anime c i cori.
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L’ADONE.
Sol quello Iim-I tue rapaci e ladre,
Cbe iat dando da’ polii i cori vanno.
Parto furtivo di furtiva madre
’T accuaao nato e con furtivo inganno.
Or se membra si belle e sì leggiadre
Fur concotte di furto e furar sanno.
Non ti maravigliar, se voglio anch’io.
Che chi mi fura il cor, sia furto mio.
N'on pur gli occhi c le mani a tuo talento,
La bocca e il sen li è posseder concesso ,
Ma ti apro il proprio lianco e ti presento
In cambio tl^luocore,il core istesso. [io,
Vedrai, che quell’ amor, che al core ioscn-
Ti ha sculto no , ma irasrormato in esso.
Che sei de' miei pensieri unico oggetto,
E che altro cor che te non ho nel petto.
Con tal lusinghe il lusinghiero amante
La lusinghiera Dea lusinga c prega.
Elia arditetta poi la man tremante
Gli stende al collo e dolcemente il lega.
Qui , mentre Amor superbo e trionfante ,
L’amoroso vessillo in allo spiega,
Strette a groppi di braccia ambe le salme,
Ammutiscon le lingue e parlati l' alme.
Dolce de’ baci 11 fremito rimbomba ,
K furandone parte Imido vento ,
Dogli assalti d' Amor sonora tromba,
Per la selva ne mormora il concento ;
A cui la tortorclla e la colomba
Rispondon pur con cento baci e cento.
Amor de’ fbrti lor dal vìciii S|ieco
Occulto speltator, sorrise seco.
Fu cosi stretto II nodo, onde si avvinse
L’avventurosa coppia, e si tenace.
Che non più forte vite olmo mai strinse,
Smilace spina , o quercia edra seguace.
Vaga nube d’ argento ambo ricinse.
Quivi gli scorse e chiuse Amor sagace,
La cui perfidia vendicando l' onta
l'«n mille piaghe una sferzata sconta.
La bella Dea, che insanguinò la rosa,
Benché trafitta il sen di colpo acerbo ,
Contro il figliuol non si mostrò sdegnosa
Per non farlo più crudo e più superbo.
Ma premchdo nel cor la piaga ascosa ,
Si morse II dito e disse : lo te la serbo.
Per questa volta con l’ altrui cordoglio
Tanta mia gioia Intorbidar non voglio.
Poi le luci girando al vicin colle ,
Dov'era il ces|H>, che il bel piè trafisse,
Fermossi alquanto a rimirarlo e volle
Il suo fior salutar pria che partisse;
K vedutolo ancor stillante emolle
Quivi porporeggiar, cosi gli disse :
Sah ili il del da tutti oltraggi e danni ,
Fatai caglotrdc’ miei felici affanni.
Rosa riso d’ Amor, del Cicl fattura ,
Rosa del sangue mio fatta vermiglia.
Pregio del Mondo e fregio di Natura,
Della Terra e del Sol vergine figlia ,
D'ogni .Ninfa e pastor delizia e cura,
Onor deU’odorìfera famiglia;
Tu tien d’ogni beltà le palme prime,
Sovra II vulgo de’ fior ^nna sublime.
Quasi in bel trono Imperatrice altera
Siedi colà su la nativa sponda.
Turba d' aure v czzosa e lusinghiera
Ti corteggia dintorno e ti feconda;
E di guardie pungenti armata schiera
Ti difende per tutto e ti circonda.
E tu fastosa del tuo regio vanto
Porti d’ or la corona e d’ ostro il manto.
Porpora de’ giardin, pompa de’ prati,
Gemma di primavera , occhio d’ aprile ,
Di te le Grazie e gli Amoretti alati
Fan ghirl.vnda alla chioma , al sen monile.
Tu qualor torna agli alimenti usati
Ape leggiadra, o Zeflìro gentile.
Dai lor da bere in lazza di rubini
Rugiadosi licori e cristallini.
Non superbisca ambizioso il Sole
Dì trionfar fra le minori stelle ,
Che ancor tu fra i ligustri c le viole
Scopri le pompe tue superbe e belle.
Tu sei con lue bellezze uniche e sole
Splendor di queste piagge, egli di quelle.
Egli nel cerchio suo, tu nel tuo stelo.
Tu Soie in terra, ed egli rosa in cielo.
E ben saran tra voi conformi voglie ,
Di te Ila il Sole e tu del Sole amante,
Ei deir insegne tue , delle tue spoglie
L Aurora vestirà nel suo levante.
Tu spiegherai ne’ crini e nelle foglie
La sua livrea dorala e fiammeggiante,
E per ritrarlo ed imitarlo appieno ,
Porterai sempre un piccol Sole in seno.
• l
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MARINO.
SO
E perchè a me d’ nn tal scr\lKÌo ancora
Qualche grata mercè render s' aspetta ,
Tu sarai sol tra quanti Tiorl ha Flora
I.a favorita mia , la mia diletla.
E qual donna più bella il Mondo onora
10 to', che tanto sol bella sia detta ,
Quanto omcrè del tuo color vitace
E le gole e le labirra. E qui si tace.
Il palagio d’ An\or ricco e pomposo
Da quel bosco lontan non era guari ,
Ma di ciò che tenea nel grembo ascoso
Degni giammai non fece occhi viilgari.
Non molto andar, che di fin or squamoso
VIder lampi vibrar fulgidi e chiari
filetto, onde facea mirabilmente
L’ edilizio sublime' ombra lucente.
Quella casa magnifica, che raro
All’ alimi visla I suoi secreti aperse.
Al novo comparir d' oste si caro
Quanto di bello avea , lutto gli oOTerse;
E non sol di quel loco illustre e chiaro
La gloria incomparabile scoperse.
Ma TattulTò nel pelago profondo
Di quante ha gioie e meraviglie il Mondo.
Nella torre primiera a destra inano
Entrando il Ijell’ Adon le piante mosse,
E si trovò dentro un cortile eslrano,
11 più ricco , il più bel, che Kiammai fosse.
Quadro è il cortile, e spazioso e piano.
Ed ha di pietre il suol candide e rosse.
Par che il palese un tavoiicrsoiiugll [gli,
Scaccheggiaio a quartier bianchi c vcrnii-
Torreggiantc nel mezzo ampia c sublime
Sorge lumaca, onde si scende e poggia.
Quatlr’archiclicescon fuor delle succimc
Fanno una croce clic ai balcon s'appoggia,
A cui congiunte senio stanze prime.
Onde scorrer si può di lo ggia in loggia.
SI clic una scala abbraccia c signoreggia
Per quattro corridoi tutta la reggia.
Ne'quattro quarti iniorno.onde ilcortl-
Dalla croce diviso si coniparte, [le
Havvi intagliate da scalpcl fabbrile
Quattro illustri fontane, ima per parte,
DI lavor si stupendo c si sottile.
Clic ben si scorge die dii ina è l'arte.
Due d'alabastro c d'agata scolpite ,
l'uà di ccriii(d.i, 1111.1 d' olile.
Nettuno è in una , In alto cingiate
Di ferir col tridente un scoglio alpino,
E ne fa sraturir per ogni lato
Fiume d’acqua lucente e cristallino.
Sta sovra un nicchio da Delfin tiralo ,
Voniita ancor cristallo ogni Delfino.
Quattro Tritoni iniorno in mille rivi
Yersan per le lor trombe argenti vivi.
Nell’altra entro una pila incisi e scolli,
Cile a colonnetta piccola fa tetto,
Stan tergo a tergo l'un l'altro rivolti
Diramo e Tisbe con la spada al petto;
E spruzzan fuor molti ruscelli e molti
Per la piaga mortai di vino schietto ,
Onde viene a cader per doppia canna
Dentro il vaso maggior piirpiira manna.
Tien l'altra fonie in una conca tondi
Seno a seno congiunto c bocca a bocca
Ermifrodilo in su la fresca sponda.
Che U bella Salniacc abbraccia e tocca;
Ed a questa , ed a quello in guisa d’onda
Dalle membra e da’ crini ambrosia fiocca;
E su I lor capi una grand' urna piena
Piove nettare puro in larga vena.
La quarta esprime Amor, clic sovra un
Quasi dormendo, si riposa in pace, [sasso
Le Grazie .solto lui stan più da basso.
Come per custodir l'arco e la face.
Sparge balsamo fuor per lo turcasso
L’orbo faiicltil, che sonnacchioso giace;
E r amorose sue vaghe donzelle
Slillan l' istesso umor per le mammelle.
Per l’alloggio d’Aclon ira quelle mura
Va in volta la sollecita famiglia;
Ma mentre che la Dea miiiiila cura
Degli alfari domestici si piglia,
Col figlio a rlsgiiardar I' alla slriiltura
111 disparte 11 garzon tratl'ien le ciglia;
F. chi sia della fabbrica, clic vede,
11 posscssor, r abitator gli chiede.
Questo [con un sospiro Amor risponde)
Clic cotante in sò chiude oprcfublimi,
E il mio diletto albergo, cd ho ben donde
Pregiarlo si , che sovra il elei lo stilili.
Qui gii le dolci mie piaghe profonde ,
Qui, lasso. Incominciar gl’inccndj primi.
Qui per colei , clic preso ancor mi tiene ,
Fu il principio fatai delle mie pene.
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61
L’ADONE.
Non creder tu , che libera sen vada
Dalle forze amorose alma divina,
Cbe a bramar quel piacer, clic tanto a^gra-
Forte dcsir naturalinentc Inclina, [da,
Cbè a questa legge sottogiaccia e cada
Anco il Re de’ celesti , il CicI destina.
Ed io, pur io, dalla cui mano istcssa
Piove gioia e dolor, passai per essa.
Non restai di IaDguir,'perch' io possegga
La face eterna, iusupcrabil Dio,
E tratti l'arco onnipotente, c regga
Cli elementi , e io stelle a voler mio.
E se mi ascolterai, vo' che tu vegga.
Clic fui dal proprio stral ferito anch'io,
E che dei proprio foco acceso il coro
Eàl arse e pianse innamorato Amore.
0<»1 i'arcier, die di Ciprigna nacque.
Venia di Mirra al bel Ugliuol parlando;
E perchè assai d' udirlo ei si compiacqiM ,
Alle sue note attenzion mostrando.
Il dir riprese e poiché alquanto tacque.
Non però gii di passeggiar lasciando.
Nel grazioso Adon gli occhi converse,
E in più lungo parlar le labbra aperse.
CINTO QUARTO.
LA NOVELLETTA.
ALLEGORIA.
\
La favola di Psiche rappresenta lo stalo dell' uomo. La diti dove nasce dinota
il Mondo. Il re e la reina che la generano, slgnificana Iddio c la Materia. Questi
hanno tre figliuole, cioè la Carne, la l.iherli dell' arbitrio c l'Anima; la qual uon
per altro si finge per giovane, se non perchè vi si infonde dentro dopo I' organl/za-
mento del corpo. Descrivesi anche più bella, perciocché è più nobile della Carne,
e superiore alla Liberti. Per Venere, che le porta invidia, s' Intende la Libidine.
Costei le manda Cnpidine, cioè la Ciipidit.’i, la quale ama essa Anima e si congiiinge.
a lei, persuadendola a non voler mirar la sua faccia , cioè a non volere attenersi ai
diletti della Concupiscenza, nè consentire agl' incitamenti delle sorelle Carne e Li-
berti. Ma ella a loro instigazinne entra in cm iositi di vederlo e discopre la lucerna
nascosta, cioè a dire palesa la fiamma del desiderio celata nel petto La lucerna, che
sfavillando cuoce Amore, dimostra l' ardore della Concupiscibile, die lascia sempre
stampata nella carne la macchia del peccato. Psiche agitala dalla Fortuna per diversi
pericoli e dopo molle faiiehe e persecuzioni copulata ad Amore, è tipo della Istcssa
Anima, cbe per mezzo di molti travagli arriva finalmente al godimento perfetto.
sneouesTO.
Giunto all' alhcrgn de' vezzosi inganni
Il bell’Atlon laddove Amor s'annida, ^
Gli conta Amor, che lo conduce c guida,
Le fui lune di psiche e i propri affanni.
È di dura battaglia aspro conflitto
Questa che vila ita nome, umana morte.
Dove ognor l' uom con mille mali afllillo
Vlen combqllnto da nemica sode.
Ma fra l'iogliprie.efra i contrasti invitto
Non perA^sbtenlliscc animo forte.
Anzi contro ogni assalto iniquo e crudo
S' arma e difende, e sua virtù gli è scudo.
Taior ne tocca la patema verga, *
Ma il suo giusto rigor non è crudele ;
Anzi perchè la polvere disperga
N'c scote 1 panni e porla in dma li mele.
Non disperi mai si, che si sommerga
Clii per quest' Ocean spiega le vele,
Ma do’ llntll c de’ venti .il fiero orgoglio
Faccia un’ alta costanz.v aner r.i e vceglio,
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MARINO.
52
Sembra il flagri, che correggendo avvisa
Anima neghittosa, amaro In vista,
Ma di salubre pur ralice in guisa [sta.
La purga e giova altrui, nienire che attri-
Yite dal potator tronca e recisa
Fecondità dalle sue piaghe acquista.
Statua dallo scalpcl punta e ferita
Me diventa più bella c più polita.
Selcechc auree scintille in seno asconde.
Il lor chiuso splendor mostrar non potè.
Se dall’ interne sue vene profonde
Non le traggo il focii che la perrotc.
Corda sonora a dotta man risponde
Con arguta armonia di dolci note,
E il vantaggio che trae dì tal offesa.
Quanto battuta C più, viepiù palesa.
Rotta la conca da mordace dente.
La porpora reai si manifesta.
Me del gran, nò del vin si gusta o sente
L'eccellenza e il valor, se non si pesta.
Stuzzicato carbon vien più cocente.
Soffiata fiamma più si accende e desta.
Palla a terra sospinta al cici s' inalza,
E sferzato paleo più forte sbalza.
La fatica c il travaglio è paragone,
Dove provarsi suol nostra finezza;
Kè senz’ affanno e diiol , premj e corone
Può dì gloria ottener vera fortezza.
Dell’ amica d’ Amor tei mostri Adone
La tribolala e misera bellezza.
Or di' egli i tanti suoi strani accidenti
Ti prende a raccontar con tali accenti.
In rcal patria e di parenti regi
Macquer tre figlie d'ogni grazia oniatc.
Matura le arricchì di quanti pregi
Possa in un corpo accumular beltate.
Ma versò de’ suoi doni e de’ suoi fregi
Copia maggior nella minore ctatc,
Perocchi la più giovane sorella
Era dell’ al tre due troppo più bella.
Le prime due quantunque accolta in esse
Fvssc d’alte bellezze, immensa dote,
Tai non eran però che non potesse
Umana lingua esprimerla con note.
Ma l’ultima di loro a cui concesse
Quanto di bello II Cie| conceder potè,
Tanto d’ogni beltà passava i modi.
Che era in tutto maggior del l’altrui lodi.
Per alpestri senticr stampando l’ orme
Mazioni peregrine e genti estrane.
Per veder se era al grido il ver conforme,
VI concorreano da region lontane,
E giunte a contemplar si belle forme
Dico quel fior delle liellczze umane.
Si confessavan poi tutti costoro
Obbligati per sempre agli ocelli loro.
Dal desir mossi e dalla fama tratti
Or quinci , or quindi artefici e pittori ,
Per fabbricarne poi statue e ritratti
Yeniano e con scalpelli c con colori.
E sospesi in mirarla e stupefatti ,
Immobili non men de’ lor lavori.
Dall’ attonita mano e questi e quelli
Si lasciavan cader ferri e pennelli.
Quel di vin raggio di celeste Iiime[strutto
Che avrebbe il ghiaccio stesso arso e di-
Risplendea si, che qual terrestre Nume
Adorala era ornai dal popol lutto;
Il qual della gran Dea, che dalle spume
Prodotta fu del rugiadoso flutto ,
Tutti gli onor, tutte le glorie antiche
Pubblicamente attribuiva a Psiche.
Si di Psiclie la fama Intorno spase
(Tal era il nome suo ) celebre il grido ,
Clic questa opinion si persuase
Di gente in gente in ogni estremo lido.
Pafo d' abiialur vota riinasc.
Restò Citerà abbandonata c Guido ;
Nessun più vi recava ostia, nè voto
Orator fido , o passeggicr devote.
Manca II concorso al frequentati altari.
Mancane i doni alla gian Diva offerti;
Non più di fiamme d’or, lucenti e chiari.
Ma son di fredde ceneri coverti.
Da' simulacri venerati e cari
Ornai non pendoli più corone, o serti.
Lasciando d’ onorar più C.iterca ,
Sacrifica ciascuno a questa Dea.
Crede ciascun , che stupido s' affisa
Di que' begli occhi ai luminosi rai.
Novo germe di stelle in nova guisa
Veder, non piò quaggiù veduto mai ;
E dalla terra e non dal tiiar s' avvisa
Esser più degna e più gentile assai
Pullulala altra Venere novella.
Casta però , modesta e verginella.
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L' ADONE. SJ
La Tara Dea d'amor, che dal del mira
Cotanto insolentir lioniia morule,
E Tede pur, che inilegnamente aspira
A dKin culto una bcllez/a frale;
ImpaziriUc a sostener più l'ira ,
Dessi in preda ai furori in guisa tale,
Che crollando la fronte e il dito insieme,
Questi accenti fra sù mormora e freme :
Or ecco li cM da' confusi abissi
L’ universo costrusse e il del compose;
Per cui distinto in bella serie aprissi
L’antico sennnario delle cose;
Colei, che accende i lumi et ranti e i fissi,
E ne fa sfavillar Qainnie amorose ;
Di quanto è nato e quanto pria non era
La madre prima e la tiulrice vera.
Con la mia detti dunque concorre
Un corpo edificato d’elenicnli?
SolTriró, che ogni tanto a me di torce
Creatura calittra ardisca e tenti?
Che sovra l' are sue vittime a porre
Sprezzando i tetnpj miei, vadati le genti?
Che il sacro nome mio con liti insani
In soggetto mortale or si profani?
SI si solTriam, che con oltraggio indegno
Nostra cnnipagna pur cosici si dica ;
Che comune tibltia meco il Nume e il regno
Lamia vicaria in terra, anzi neinica.
Ancor di più dissitnnliain lo sdegno.
Che slam dette io lasciva, ella pudica ;
Ond'ioceda in tal pugna c far non basti,
Cile non mi v inca ancor, non clic con ti asti.
Dell che mi vai. già figlia al gran T onante.
Posseder d’ogni onor le glorie prime?
E poter della via bianca c stellanlo
A mio senno varcar I' eccelse cime? [lo
Qual prò che ogni al' roDio m'assorga av aii-
Comc a Dea Ira le Dee la più sublime?
E che quantunque il Sol vede e cammina
Mi conosca e confessi alla regina?
I.assa, son purculci, che ottonili in Ida
Titolo di beltà sovra le belle,
E il litigato d'or pomo omicida
Trionfando portai meco alle stelle;
Clic fu principio a cosi lunghe strida;
Ed esca deirargoliche flammcllc;
Onde sorser tant'armi c tanti sdegni,
Per cui già d’Asia incenerirò i regni.
Ed or fia ver, che in temeraria impresa
La palma una vii femmina mi tolga 7
Attenderò, che fino in cielo ascesa
L'orbe mio, la mia stella aggiri e volga?
All di divina macsiade ofiTesa
Giusto fia ben, che ornai si penta e dolga.
Gilè r ingiuria in colui che lempoa-speUi,
Cresce coldilTerir della vcndetla.
Quai qual si sia l' usurpatrice ardila
Del grado allier, di si sublime altezza.
Non molto gioii à, noti impunita
N' andrà lunga stagion disua sciocchezza.
Vo’ che s’ accorga , alfin tardi pentita ,
Che dannosa le fu tanta bellezza.
Stolta dell' alte Dive emula audace,
lo ti farò.... Qui tronca i detti , e tace.
Il carro ascende c d’impiegar disegna
Del figlio inqiicsCnfiar le forzee l'armi,
Maconvien. che i suoi cigni a fren ritegna.
Che dubbiosa non sa dove trovarmi.
Per le belle contrade ov'ella regna.
Di lido in lido invan prei.de a cercarmi ,
Poiché quivi e per tutto in terra c in ch iù
Come e ijuaudu mi piace altrui mi celo.
Prendo qual forma voglio a mio talento,
E con r acque e con l' aure ki mi confondo.
Talor grande cosi mi rappresento.
Che visibil mi faccio a lutto il mondo.
Talvolta poi sì picciolo divento, [coiido.
Cli’ entro il giro d’ un occhio anco m' as-
liifìnson tal, che benché m'abbia insello,
Uii più mi sente mi conosce meno.
Lascia la Grecia e prende alni sentieri.
Vaga d’ udir novelle ov’ io mi sia :
Nè più nell' Asia entro I famosi imperi
Delle vestigia mie la traccia spia;
Ma sllniolauilp i musici corsieri ,
Verso le piagge itaiiche s’invia:
Chè sa ben quanto in qnc' fioriti poggi
Viepiù che altrove io volciitieri alloggi.
Giunge in Adria la bella e quiv i intese,
Chè vi albergava il mio nemico onore,
E beltà cruda ed onestà cortese, _
Nobiltà , maestà , senno e valore.
Passò poscia a l.igurla c vi comprese
Apparenza d’amor viepiù che amore,
Cli' io ne' begli occhi e ne’ leggiadri aspetti
Sol vi sogiio abitar, ma non ne' petti.
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MARINO.
Ville poi laMarrccchla eli .SerclilooIlVaro,
LabrcnU,IIBrenibo, la Uvenza; e llSIle,
Bl’Adda,erOglloell Barchlgllonealparo,
Superbo il Mincio e II picclol Reno umile,
IITanaro,ilTesin,laParmac II Taro,
E la Dora, che d' or riveste aprile,
E Stura e Sesia e di fresche ombre opaco
Da foce aurata scaturir Deliaco,
Quindi al itran trono degli erculei regi
Sul Po volando i bianchi augei rivolse,
Dove ricca sedea d’ Illustri fregi
La città, che dal ferro II nome tolse j
Male fu detto, che fortuna 1 pregi.
Di cui florlT solca , sparse c disciolse.
Mille già v'ebbi un tenipoe paimceprede.
Poi tra Secchia e Panava lo cangiai sede.
Non lunge dal maggior fiume Toscano
Vide r Arbia con l'Ombro, indi il Mctauro,
E con risapi suo minor germano
Presso il Roueo e il Monton correrl’Isauro,
E il Tremiseli, laddove II verde plano
Vermiglio diverrà del sangue mauro,
Edal freddo Appennin disreiidor Trebbia,
tìrnltor di caligine c di nebbia.
Tra 1 campi arrivò poi fcriili e molli.
Dove del Tebro il mormorio risona,
E de’ suoi sette trionfanti colli
il gran capo del Lazio s’ incorona.
Ma seppe quivi furiosi c folli
Piuttosto soggiornar Marte c Bellona ;
E con perfìdia e crudeltà tra loro
Baccar sete di sangue c fame d’ oro.
Posciachà quindi le lombarde arene
Ha tutte scorse c quanto irriga 1’ Arno,
E quinci di Clituuno c d'Aniene,
E d’ altri fratti lor le rive indarno ;
A visitar dal Gariglian ne viene
Grati, LIrl, Volturno, Aufldo e Sarno,
E vede Irne tra lor pomposo c lieto
Degli onori di Bacco il bel Sebeto.
Quivi tra Ninfe amorosetle e belle
Trovommi a conquistar spoglie e trofei,
E sebben tempo fu, cli'lo fui di quelle
Già prlglonìer con mille strazi rei ,
Alme però non lia sotto le stelle,
Che sien più degni oggetti ai colpi mìei;
Nè so trovare altrove In terra loco.
Dove più uobii escile abbia il mìo fuco.
Alior mi stringe entro le braccia e niille-
Groppl mi porge d' infocati baci,
Poi per r oro immortal, per le faville
Delle quadrella mie, delle mìe faci ,
Quanto può mi scongiura, e vive stille
Mesce di pianto a suppliche cIScaci,
Cile senza vendicarla io non sopporti
Più lungamente i suoi dispregi 'e I torti.
Della bella rubella in voce amara
L’orgoglio e li fasto a raccontar mi prende,
E come seco in baldanzosa gara
Contumace beltà pugna e contende.
Distinto alfine in suo desir dichiara,
K quanto brama ad eseguir m’ accende.
Vuol, che di strai villano il cor le punga,
E che a sposo infelice io la congìunga.
Com,che povero d'or, colmo di mali,
E da natura c da fortuna oppresso.
Sia cadavere vivo Infra 1 mortali, [stesso,
Sicch’ abbia invidia ai morti, odio a sò
E senza esemplo di miserie eguali
Tutto voti Pandora il vaso in esso;
Glie a tal consorte, in tal priginn la stringa
Mi comanda, mi prega c mi lusinga.
Scorgemi intanto al loco, ove mi addita
La meravaglla delle cose belle,
Che circondata Intorno e custodita
Da vago stuol di leggiadrette ancelle.
Par tra le spine sue rosa fiorita.
Par la Luna, anzi il Sole infra le stelle.
Mira colà, quella è la rea, mi dice.
Delle bellezze mie compctitrice.
Dal carro, che con morso aureo l’alTre-
Scìoglie, ciò detto, le canute guide, [na,
E d’iin delfino in suirarciita schiena
Solca le vie de’ pesci c il mar divide.
Cosi di Cipro alla nativa arcua
Torna, che lieta al suo ritorno arride.
Ed io rimango a contemplar soletto
Quel sovrunian, sovradivino oggetto.
Veggio doppio oriente o veggio dui
Cieli, che doppio Sol volge e disserra.
Dico quei lumi perfidi, che altrui
liccidon prima e poi bandiscoii guerra,
Siccliè mirando un cor quel lielio, a cui
Paragon di beltà non ha la terra.
Quando pensa al riparo il malaccorto
E vuol chieder mercè, si trova morto.
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56.
L' adoni;.
Nè delle tournee U vrrniiglia aurora
Al sol degli ocelli (li bellezza cede;
I cui candori uii lai rossor coiora,
Quale In non collo ancor pomo si vede.
Ombra soave, clic ogni cor rislora.
Un riiievo vi fa, ciie non eccede,
E con divorzio d'iiilerrailo breve
Distingue in due confln l’ ostro e la neve.
Somiglia intatto flor d’acerba rosa,
Oh* apra le labbra delle fresche foglie
L'odorifera bocca c preziosa, [coglie
Che un tal giardino, un tal gemmalo ac-
che l'India non dirò ricca e famosa, ,
Malici ri nulla ha di bel se. a lei noi toglie.
Se parla, o tace, o se sospira, o ride,
(Che farò poi baciando?) i cori uccide.
In reticella d’or la cliioma involta, [da
nù che ambra uiollccpiiichc elctlrobion-
Ostrctlainnodi,ò in vaghe trecce accolla,
0 sugli omeri sparsa ad onda ad onda ;
Tanto tenace più, quanto più sciolta,
Tra procelle dorate I cori affonda,
L’aurc imprigiona, se talorsi spiega,
E con auree catene i venti lega.
Che dirò poi del candidetto seno.
Morbido letto del mio cor languente?
Che a'bei riposi suoi qualor vicn meno.
Duo guanciali di gigli oOTre sovente ?
Di neve io vista e di prninc è pieno,
Ma nell’ clfelto è foco e fiamma ardente !
E l'incciulio, che in lor si nutre e cria
Le salamandre incenerir poti la.
Quand’ ebbi quel miracolo mirato.
Dissi fra me, da me quasi diviso :
Sono in elei? sono in terra? il elei traslato
É forse in terra? o cielo è quel bel viso?
SI si, son pur lassù, son pur bealo
Tuttavia (come soglio) in paradiso.
Veggio la gloria degli eterni Del.
I.a bella madre mia non è costei?
No che non ò, vaneggio, il ver confesso.
Venere da costei vinta è di molto, [tesso.
Ahi cbeilprcgioailamadrea un punte is-
Ed al figlio egualmente il core ha tolto.
Chi puòseiua morir mirar l'eccesso
Di al begli occhi, oimè, di si bel volte.
Vadane ancora poi, vada e s’ arrischi
A mirar pur sicuro 1 basilischi.
0 macelli de' cori, occhi spietati.
Di dii morir non potè anco omicidi.
Voi voi possenti a soggiogare i fati
Siate le sfere mie, siale i ndei nidi.
In voi l’arco ripongo ei dardi aurati,
Chò se poi contro me saranno infidi.
Più cara (in tali sicilc ò la mia sorte)
Dell' immortalità mi lia la morte.
Veggiola, mentre parlo. In atti mesti
Starsi sola in disparte a Irar sospiri;
Chò quantunque le sue più che celesti
Forme ben degne degli altrui desiri,
Da mille lingue e da quegli occhi e questi
Vagheggiate, e lodale II mondo ammiri.
Alcun non v’ha però di genti tante.
Che dileggia il letto suo, cupido amante.
Le suore, ancor che fussero appo lei
Vie più d'età, che di beltà fornite,
A grandi croi con nobili imenei
Per giogo maritale erano unite.
Ma Psiche, unico sol degli occhi miei,
Parca dall'olmo scompagnata vite,
E oc menava In dolorosi allanoì
Sterili e senza frutto i più vcrd’ami.
Il miser gcnitor, mentre ella geme
L’inulil solitudine che passa,
Perchè l’ ira del Cicl paventa e teme, [sa.
Clic spesso ai maggior re l'orgoglio abbas-
Pcnsoso e tristo infra sospetto e speme,
La cara patria e II dolce albergo lassa,
E va per esplorar questo secreto
Dall’ oracolo antico di Mileto.
Laddove giunto poi, porge umilmente
Incensi c preghi al chiaro Dio crinito.
Da cui supplice cbledc, c reverente
All’ infeconda sua nozze e marito.
Ed ecco intorno riinbonibar si acute
Spaventoso fragor d' alto muggito,
E coi muggito alfiii voce nascosta
Dalie cortine dar questa risposta :
La fànci olla conduci in scoglio Mpino
Cinta d' abito bruno e funerale.
Nò genero sperar dal tuo destino
Generato d'origine mortale;
Ma feroce, crudele e viperhio.
Che arde, uccide, distrugge e balte l’ale,
E sprezza Giove ed ogni Nume eterno.
Temuto in terra, in Cleto e nell' iufeoio.
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M MARINO.
Pensa tu qual rimase, e qual divenne
Il sovra ogni altro addolorato vecchio.
Pensa qual ebbe il cor, quando gli venne
La sentenza tirrlbileairoreceliio.
Torna ne' patri! tetti a far solenne
Di quelle pompe il tragico apparecchio.
Accinto ab ubbidir, quantunque aRIitto,
Del decreto d' Apollo ai sacro editto.
Del vaticinio Infausto, c dell’avversa
Sorte nendea si lamenta e lagna,
E con r amare lagrime che versa.
Delle rughe senili I solchi bagna;
E la stella accusando empia c perversa
L’ antica moglie I gemiti accompagna,
E pietoso non nien piange con loro
Delle liglie dolenti il flebii coro.
Ma del maligno inevitahii fato
Il tenor violento è già maturo.
Dell' influsso criidel già minaccialo
Giunto è l' idui mio caro al passo duro.
Raccoglie già con querulo ululato
La bella Psiche un cataletto osruro.
La qual non sa fra tanti orrendi oggetti
Se 11 talamo, o scii tumulo raspelli.
Di velo avvolti tenebroso c tetro,
E d’arnesi lugubri in veste nera
Vati- padre c madre ilmizial feretro
Accom|>agnando e le sorelle in sclilera.
Segue la bara il parentado, e dietro
Vien la città, vien la provincia intera,
E per tale sciagura ndesi Intanto
Del popol tutto un pubblico compianto.
Ma più d’ ogni altro il re mescliin pian-
Sfortunalo s’appella ed infelice, [gendo
E gli estremi da lei baci cogliendo
La torna ad abbracciar mentre gli lice.
Cosi duntpic da le congedo io prendo?
Cosi, figlia, mi lasci? (egli le ilice)
Son questi I fregi, oiinà, la pompa à questa.
Che al tuo partire il patrio regno ajiprcsta?
- In esequie funebri inique stelle
Cangian le nozze lue liete e festanti?
Le chiare tede in torbide facelle?
Le tibie in squille e l'allegrezze in pianti?
Sono! croia'i tuoi roche tabelle?
Ti son gl’inni e le preci applausi e canti?
E laddove il destiti cinido ti mena
Roggia il lido li Ha, letto l’arena?
0 troppo a te contrarlo, a me nemico,
Implacabil rigor d' avari Cieli I
Te del tuo bel, me del mio ben mendico
Percliè deuno lasciar fati crudeli ?
Qual tua gran colpa, o qual mio fallo antico
Cagion die tn t’ aflligga, io mi quereli.
Te condanna a morire, ed a me serba
In si matura età doglia si acerba ?
Ad eseguir quanto lassù si vole
Dura necessità, lasso, m’alfretta,
E viepiù eh’ altro mi tormenta c dote.
Che a si malvagio sposo lo ti commetta.
Cli’ io deggia in preda dar l’ amata prole
A mostro tal, che l’ universo infetta.
Questo so ben, die il fìl sarà più corto
Che fu da Cloto alla mia vita attorto.
Ma poicliò pur la Maestà superna
Cajst di noi disporre or si compiace.
Cancellar non si può sua legge eterna.
Ma convien, figlia mia, ilarsene pace.
De’ consigli di lui, die ne governa,
E l’ limano saper poco capace,
Poicliù i giudizi suoi santi e divini
Son ordinati a sconosciuti lini.
Denchò a sposar lo struggitor del mondo
Ti danni Apollo in sito parlar confuso.
Chi sa s’ altro di nicglio in quel profondo
Areliivio impenetrabile sta chiuso?
Spesso elTetto sorti lieto e giocondo
Temuto male, ond’ iioin restò deluso.
Servi al Ciel, soffri e taci. E con tal note
Verga di pianto le lanose gote.
La sconsolata c misera donzella
Vede ch'el viva a seppellir la porla,
E tal solennità ben s’accorg’ella,
('.Ile a sposa no, ma si cunviene a morta;
Magnanima però nounien che bella.
L’altrui dnol riconsola e riconforta,
E i dolci umori onde il bel viso asperge.
Col vel purpureo si rasciuga e terge.
Che vai planger?dlcea,cliò più versale
I.agrinie intempestive e senza frullo?
A die battete i petti ed oltraggiate
Di livore e di sangue il viso brutto?
Ah non più, no; di lacerar lasciate
La canirie dei crln con tanto lutto,
Offendeiido con doglia inefficace
E la vostra v ecchiezza e la mia pace.
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L’ADO.NE.
Fu già, quamio U gente • me porgea
(AlCiel doluto) onor profano ed empio,
Quando quasi d'anior più beila Dea
Ebbi (voi pemiettenti) akare e tempio,
Allor.fu da dolersi , allor dovea
Pianger ciascuno il mio mortale scempio.
Or i il pianto a voi tardo, a me molestot
Di mia rana belleua il fine è questo.
L’ inr Id ia rea , che l’aitruibcn.purcome
Suo proprio male, abboire, allor mi vide,
10 so pur ben, rhe l'usurpato iiooM
Della celeste Venere m’ucriile.
Chebado?AniIiaiine pur;que.st'aureecliio-
Con vii ferro troncate, ancelle fide, [ine
Quel si temuto ornai consorte mio.
Già di veder, già d' abbracciar desio.
Qui tace, egià (l’ima montagna alpeslra.
Eccola Inianlo giunta alla radice.
Che al Sol volge le terga, e piega a destra
Sotto il gran giogo l' ispida cervice.
Quindi di sterpi c selci, aspra e silvcstra.
Pende sassosa e rigida pendice.
Rigida si, clic appena si assecura
Di abitarvi l'orrorcon la paura.
Il mar sonante a fronte lia percnnllne
Da’ fianchi acute pietre e sclieggie rotte.
Dirupati macigni c roci he alpine.
Oscure lane e caieruosc grolle.
Precipizi prorondi, alle riiinc.
Dove riluce il di. come la notte.
Dove inospiti scnipre, e sempre foschi,
Dllatan l’ ombre lor baratri e buschi.
Ecco l'iiifaiislo monte ove a fei-marsl
Ne venne il funeral tragico e mesto.
Quivi ha (quanl'ognuncrcde) a consumarsi
11 maritaggio orribile c funesto.
Onde ai fieri Imenei da celebrarsi.
Scelto già per teatro essendo questo,
Dopo lagrime molte al vento sparte.
La mestissima turba alfin si parte.
Partissi alfin , poichà tesor si caro.
Depositò nel destinato loco.
Lasciando nel partir col pianto amaro.
Delle fiaccole sacre estinto il foco.
Ai reg) alberghi I genitor tornaro,
E la luce vita! curando poco,
Dannaro gli occhi a lunga notte oscura,
E li chiusero vivi la sepoltura.
Restò la giovinetta abbandonata
Sulla deserta e solitaria riva ,
Si tremante, si smorta e si gelata.
Che appena avea nel cor l’anima vira.
Veder quivi languir la sventurata.
Quasi di senso e movimento priva,
Deli' onde esposta al tempestoso orgoglio.
Al ITO già non parea, che scoglio in scoglio.
Le man torcendo, e in vermigllelti giri
Dolcemente incurvando i mesti lumi.
Con clic lagrime, o Dio, con che sosjiiri,
SI scioglie in acqua e si dislempra in fumi !
Ma raccogliendo il mar Ira suoi zaOlri,
Delie stille cadenti i vivi fiumi.
Ambizioso e cupida d’averle,^
Le serba in conche, e le trasforma inperle.
Con le man sul ginoccblo.ln terra assisa.
Filando argento da begli occhi fore.
China al petto la fronte, c in colai guisa.
Tra sè stessa consuma il suo dolore.
Poi, mentre ai salsi flutti il guardo alCsa,
Sfoga parlando l'angoscioso core,
E (lerde, apostrofando al mar crudele.
Tra gli strepiti suoi, queste querele :
Deh pIaca.omare,i tuoi furori alquanto.
Pietoso ascoltator dei miei cordogli,
E di que.t’ occhi il tributaria pianto,
Clic in larga vena a le scn corre, accogli.
Teco parlo, or tu m’odi, e fa che intanto
Alibian quest' onde tregua c questi scogli t
Nè sen portino in lutto invidi i venti.
Come fer le speranze, anco i lamenti.
Nacqui agli scettri, c in sui reali scanni ,
Più di me fortunata altra non visse.
Beila fui della, e fui, se senza inganni
1.0 mio speccliio fedele il ver mi disse.
Ora a quel fin sul verdeggiar degli anni
Corro, che il Fato al viver mio prescrisse,
Abliandonando in sull'età fiorita,
La bella luce e la serena vita.
Di ciò non mi dogi’ io, nè mi lamento
Della bugiarda adulatrice speme |
Nè del colpo fatai prendo spavento.
Che mi porti si tosto all’ ore estreme.
Chi sol vive al dolore ed al tormento,
E suol vita abborrir, morte non teme;
A chi mal vive, il viver troppo t greve.
Chi vive lo odio al Ciel , viver non deve.
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MARINO.
I.asM (llqiiolcirio soflVo aspro rtlarliro.
Vie maggiore e più grave 6 il mal che ai-
tenilo,
Ch’Io dcggia entro il mio seno, oinrf, ntlirl-
Un mostro abbomlncvole ed orrendo ; [re
Questo, innanzi al morir, mi fa morire.
Questo, morte sprezzar mi fa morendo.
Deh dammi , pria clic un tanto mal succeda.
Padre Nettuno, alte tue fere in preda.
Se provocò del Ciel l' ira severa
Da ne commesso aicnn peccato immondo,
E da te deve uscir l’ orrida fera
Che me divori c che distrugga il mondo ;
Pia ventura miglior, che assorta lo pera
Da questo ingordo pelago profondo. '
Piuttosto il ventre suo tornila mi fta,
E lavin Tacque tue la maccliia mia.
Ma s’egli t ver, die pure a torlo e senza
Colpa, incolpala e condannata io mora,
E se Nume ù lassù, clic T innocenza
Curi e prego devoto oda talora :
Da lui cliicggio pietà, spero clemenza i
E quando il reo destin Ila fermo ancora,
Venga,cil suonerò strale in mepurscocdii
Morte per sempre a suggellar ([uest’occlii.
Più altro, rITio ridir nò so, nò posso.
Parlava la dolente al sordo Ilio,
Clio avida qual cor più pcriido commosso.
Anzi il porfido stesso intenerito.
Il cavo scoglio mormorar, percosso.
Per gran pietà fu d'ogn' iniorno udito;
E rispondendo in roche voci c basse
Parca clic de’ suoi casi il mar parlasse.
Per risgiiardar chi sla, che si consuma
In note pur si dolorose c meste.
Rompendo in spessi circoli la spuma.
Molte Ninfe e Triloiii alzar le teste.
Ma vinti da quel Sul clic Tacque alluma,
E tocchi il freddo sen d’ardor celeste.
Per fuggir frettolosi, i bei cristalli
Seminaro di perla c di coralli.
Mentre laddove II vertice si estolle
Dell' cria rupe, ò posta in tale stato.
Novo sente spirar di lungo il colle.
Di milTaurc sabre misto odoralo,
Indi d'un aere dilicaloc molle.
Sibilar, snsurrar placido fiato.
Che dolcemente rincrespando Tonde;
Fa tremar T ombre, e sfrascolar le fronde.
Era ZMBrò rpiesll. lo già, che Intento-
Altrove non uvea l’occhio e II pensiero.
Velài far quel benigno amico Vento,
Delle mi* gioie cseeiitor corrièro.
Gonfia lamofail gonna,e piatio fe lento
Col suo tranquillo spirilo leggiero.
Dalla scoscesa e hilnosa balza,
Scnz’alcue danno ei la solleva ed alza.
E colà presso, nve di flor dipinta
Fa sponda al mar qnclla valletta erbosa ,
E di giovani allori Intorno è cinta,
Soavissìmamenle aifin la posa.
Qui da novo stnpor confusa e vinta,
Sul florlto pratel siede pensosa.
Che fresco insieme e morbido le Serba,
Tetto di fronde, e pavimento d’ erba.
Polchò 11 do!or,chc dc’suol Sensi òdObno,
Satollato ha di pianti e di lamenti,
Stanca ornai si , che le palpebre ponno
Appena sostener gli occhi cadenti;
Viensenc 11 sonno a torta in braccio, il snn-
Tranqulllità delle turbate menti. [ilo.
Dal sónno presa al fremilo dell’ acque.
Sul verda smalto addormcntossi c giacque.
Negli epicicli lor duo Soli ascosi,
I begli occhi parcan della mia Psiche,
Dove chiusi tracan dolci riposi,
D.ilT amorose lor lunghe fatiche.
Duo padiglioiii lievemente ombrosi,
I.e vclavan le lucf alme c pudiche.
Le belle luci, onde languisco c moro.
Legate cran dal sonno, ed lo da loro.
Vedesti alla siaglon, qviando le spine
Fioriscon tnttc di novella prole.
Sparso di fresche perle c malintinc.
Piantato in riva al mar, nascosto al Sole,
Spiegare II molle c giovinetto crine,
Giardinetto di gigli c di violò?
Dirai ben tal sembianza assai conforme
Alla leggiadra vergine clic dorme.
Cosi posava, c vidi a un tempo ìstcsso,
LIev'aura, aura vezzosa, anca gentile.
Scherzarlo intorno, e ventilarle spesso
II crespo della chioma, oro sottile.
Per baciarla talor si facca presso
A quella bocca, ov' ò perpetuo aprile.
Ma tlmldcila poi , quanto lasciva,
Da’ respiri respinta, ella fuggiva.
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lo Doa ao gii, se Zeffiro cortese
Fu,cbe spetUcoi dolce aliar lu'oflsrse.
Che la-tremula reste alto sospese,
E delle glorie mie parte m'aperse.
50 ben, che con sua neve il cor m'accesc.
Quando il confin del bianco piè scoversc.
Scoverse 11 piede, c dell' ignuda carne
Quanto a casta bclU lice mostrarne.
Polcbi assai travagliato e poco que to.
In più pezzi ha carpilo un sonno corto,
Destasi, e da quel loco ameno e lieto.
Piover si sente al cor novo conforto.
Sorge dall' odorifero roselo,
E qua ne vicn dove il mio albergo ha scorto.
Questo istesso palagio, ove ora sei,
Canne raccoglie te, raccolse lei.
Nel limlnar della gemmata soglia.
Mette le piante c va mirando intorno.
Mira il bel muro, c di pomposa spoglia
Difulgid'oroiI travamento adorno, [glia),
51 che può far (quantunque il Sol non vo-
Col proprio lume a sè medesmo il giorno.
Mira gli archi, le statue e le altre cose.
Che senza prezzo alcuno son prezioso.
Senza punto incliinar le luci al basso
Del tetto ammira le iniralhl ojirc.
Ma pur del tetlo il riluecnle sasso.
La superbia del suol chiara le si oprc.
Stupisce il guardo, e si tratlieneil passo
Al bel lavor, che il pavimento copre;
Perchè tante ricchezze in terra vede.
Che di calcarle si vergogna il piede.
Ella r.-.pila da si ricriii oggetti.
Entra, c d’alto stupor più si confonde,
Poicli’alla niaestù di tal ricetti.
Ben ia gran suppelletlilc risponde.
Ecco dove al cantar licgli augelletti
Fcrmossi; ivi sttiegò le trecce bionde;
Qui, poiché intorno a spaziarsi mise,
Respirò dolcemente, e qui s' assise.
Quei clic più l'empie il cor di inerav iglia,
£ che negletto è qui quanto si gode.
Casa si signorii non ha famiglia.
Abitante non vede, osticr non ode.
Castaldo alcun di lei cura non piglia.
Nè di tanto tesar trova custode.
Vaga con gli occhi, e il vago piè raggira.
Tutto in somma possiede, c nessun mira.
:,9
Voce Incorporea intanto ode, che-dire :
DI che stupisci 7 o qual timor t'ingombra?
Sappi caiiu esser si, come felice.
Ornai dal petto ogni sospetto sgombra.
Non bramar di «der quel che non lice,
Spirito astratto ed im|ialpabil ombra.
Gli altri beni c piacer tulli son tuoi.
Ciò che qui vedi, o che veder non pool.
Da non veduta man sentesi in questa
D'acque stillale in tepida lavanda
Condur pian piano, indi spogliar la vesta,
E I bei membri mollir per ogni banda.
Dopo i bagni e gli odor, mensa s' appresta
Coverta di finissima vivanda ;
E sempre ad operar pronte e veloci
Son sue serve e ministre ignude voci.
Dato al lungo digitm breve ristoro
I Con cibi, che del del forati ben degni.
Entra pure alla vista occulto coro.
Sceso quaggiù da' miei beali regni.
Concordando lo sili dolce e canoro
Alla facondia degli arguti legni.
Benché nè di cantor, uè di slioraeiili
Scorga immagine alcuna, ode gli accenti.
Già l'Obblio taci tiimo esce di l.ete.
Già la notte si chiude e il di vicn manco,
E le stelle cadenti e l' ombre chele
Persuadono il sonno al mondo stanco.
Onde disposta alfine di dar quiete
Al troppo dianzi ulTatlcato fianco,
Rìcovra a letto hi più secreto cliiostro ,
Piumato d'oro, incortinato d'ostro.
Allor mi movo al dolce assalto e tosto
Cile enlro la stanza, ogni biiniera è spenta.
Invisibile amante, a lei ni'arcuslo.
Che dubbia ancor, ciò che non sa paventa.
Ma se l'aspetto mio tengo nascosto, ,
I.c scopro almen l' ardue clic mi lormciila,
E (la lagrime rotte e da sospiri
Le narro I mici dolcissimi martiri.
Ciò clic al buio tra noi fosse poi fatto,
(Più bel da far clic da contar) mi laccio.
Lei consul.ata aliiii, me soddisfallo, [do.
Basta dir, elle ambeduo iic strinse un lac-
Della vista il difetto adempie il latto.
Quel che cerca con rocchio accoglie in
braccio
S'appaga di toccar quel clic non vede ,
Quanto all' uu senso nega, a)!' altro crede.
L’ADONE.
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co MARINO.
Ma sul bp| farro apprna in oriente
Venne dell’ ombre a trionfar I’ Aurora ,
E isuoi destrier con l'alito lucente
Fugate non avean le stelle ancora,
Quando al bell'idoi nfk> tacitamente
Uscii di braccio e sorsi innanzi l’ ora,
Innanzi che del Sol l’aurato lume
Spandesse I raggi suoi, lasciai le piuma.
Toman da capo alla medesma guisa
L’ascose ancelle ed aprono I balconi,
E della sua rirginiladc Decisa
Motleggian seco, ed cero I canti c I suoni.
Si leva c lava, ed ode a mensa assisa
Epitalami in vece di canzoni ,
E le son pur non conosciute genti
Camerieri, coppier, scalcid c sergenti.
Cosi dall’ uso asseciirata e fatta
rin coraggiosa ornai dalla fidanza.
Già g'S meco e co’niiei conversa e tratta
Con minor pena c con maggior baldanza.
E leggiadra c gentil, sebl.cn s'appiatta.
Immaginando porla mia sembianza.
Dal suono Incerto della voce udita.
Prende irastuilo alla sulinga vita.
Ma qiiant’ ella però contenta vive.
Tanto menano i suoi vita scontenta;
E di tal compagnia vedove c prive
Più d’ogni altro le suore ilduol tormenta.
Vigilando il pensier lor la descrive.
Dormendo il sogno lur la rappresenta ;
Onde alfin per saner ciò che ne sia.
Laddove la lasciar prendon la via.
Io, come soglio, in sulla notte ombrosa
Seco in tal gttrsa il ragionar ripiglio:
Psiche, caro min cor, dolce mia sposa,
Fortuna ti minaccia alto periglio,
Laddove uopo li lia d’arte ingegnosa,
Di cautela sottile e di consiglio.
Ignoranti del ver, le tue sorelle
Di te piangendo ancor ccrcan novelle.
Su quel sassi colà ruvidi ed erti ,
Onde campata sei , son giù tornale.
Io farò, se tu vuoi, per compiacerli ,
Che sieno a le da Zi'Oìro portate.
Ma ben ti esorto, a quanto dico avverti ,
Fuggi le lor parole avvelenate.
Nel resto io li concedo interamente,
Che le lasci da te partir coniente.
Vo’, che del petti lor l'avare fami
Satolli a piena man d’ argento e d’ oro.
Non ti lasciar però,‘se punto m’ami.
Persuader dalle lusinglic loro.
Non le ascoltar; se d'ascoltar le brami.
Pensa ascoltar delle sirene II coro.
Dal cui dolce cantar tenace e forte
Mascherata di vita esce la morte.
E se pur troppo credula vorrai
Prestar fede alla coppia iniqua e rh> ,
In ciò ti prego almen non I’ udir mai ,
In cercar di saper qual io mi sia.
Con un tardo penllr, se ciò non fai ,
TI sovverrò dell’ avvertenza mia.
A me sarai ragion <li grave affanno ,
Ed a te porterai 1’ ultimo danno.
Taccio, ed ella ascoltanto I miei ricordi
Promette d’osservar quanto desio.
DI me stessa, dieea, fia che mi scordi
Pria che gli ordini tuoi ponga in oltblio ;
A’ tuoi fian sempre 1 miei desir concordi;
Tu sei, qualunque sei. In spirto mio;
Abbine di mia fé pegno securo.
Per me, per le, per Giove stesso il giuro.
Già dando volta al bel timon dorato,
E de’ monti indorando ornai le cime.
Il carro di Lucifero rosato
Dalle md)l vermiglie il giorno esprime;
Quando a quel dir svanitole da Iato,
Volo per Tanre e fo portar sublimo
I.’iuilegna coppia Innanzi alla mia vita
Dal bel signor della slagion fiorita.
Le incontra e bacia c in dolci atti amorosi
Fa lor liete accoglienze, osseqnj cari.
Le introduce alla reggia ov’ entro ascosi
Servon senza scoprirsi i famigliarl.
Tra ricclii arnesi e tra tesor pomposi
Trovan cibi c lavacri eletti c rari,
SI eh' elle a tanto cumulo di l>ene
Giò nutriscon l’ invidia entro le vene.
Le dimandan chi sia di cose tante
Signor, di che fattezze è il suo diletto.
Ella fino a (pici punto ancor costaute
Non obldiando II maritai precetto,
S’infinge c dice : Il mio gradito amante
E più ch'altro leggiadro un giovinetto;
Ma l’avete a scusar, che agli occhi vostri
Occupalo alle cacce, or non si nioslrL
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L’ADONE.
Ciò dello le ribacia e le rimanda
Colme di gemme e di monili il aeno.
Ai cari gciiilorsi raccomanda.
Poi le consegna al veiilicel sercno>
Che presto ad eseguir quanto comanda,
Rapido più che strale, o che baleno.
Con vettura innocente in braccio accolte
Le riporta allo scoglio, onde l'ha tolte.
Elle di quel velcn tutte bollenti.
Che sorbito pur dianzi avea ciascuna,
Borboltaran tornando, e in tali accenti
Con l’altra il suo furor sfogara I’ una.
Or guata cicca. Ingiusta e dalie genti
Forsennata a ragion detta Fortuna,
Tal de’ meriti umani ha cura c zelo?
E tu tei vedi e tu tei soffri, o Ciclo P
Figlie d’un ventre isicsso al mondo nate
Perchè dcnno sortir sorti diverse?
Noi le prime e m.'iggior mal furlunate
Tra le sciagure c le miserie immerse ;
Ed or costei, che in sull' estrema etate
Giù stanco io luce il scn materno aperse,
Se fu del nostro ben trista pur dianzi,
Lieta del nostro mal Ila per l’ Innanzi,
Un marito dir in citi nè godere.
Nè conoscer sei sa, gode a sue voglie.
Vedenti tu per qiiel c statizc altere
Quante gemme, quant’ oro equali spoglie?
S’ egli è pur rer, che con egual piacere
Giovane cosi fresco in braccio accoglie ,
E di tanta liellà, quant’ ella dice.
Più non vive di lei donna felice.
Altri certo non può, che Dio celeste
Esser l’ autor di meraviglie tali ;
E s’ ei pur r ama, come apjiar da queste,
La porrò tra le Dee non più mortali.
Non vedi tu che ad ubbidirla preste
Insensibili forme e spiritali
Quasi viliscudier. move a suo senno?
Comanda ai venti, ed è servita a cenno?
Misera me, cui sempre il letto c il fianco
Ingombra inutilmente un freddo gelo.
Impotente fanciullo e vecchio bianco,
Uom, che vetro Ita la lena c neve il pelo.
Ni sposo alcun siccome infenno e stanco,
PIÙ spiacente e geloso è sotto il cielo.
Che custode importun la casa tiene
Sempre di ferri cinta e di catene.
Edio, l’altra soggiunge, un ne sostegno
Impedito dal morbo e quasi attratto,
E calvo e ctino c iiien che sasso, o legno
Al congressi amorosi abile ed atto ;
Cui più serva, che moglie esser convegno.
Con le cui ritrosie sempre combatto ;
Conviemmi ognnr curarlo e in tali affanni
Vedova e maritata lo piango gli anni.
Ma tu , sorella, con ardir ti parlo ,
Con cor troppo servii soffri I tuoi torti.
Io non posso per me dissimularlo.
Nè più oltre sarà che iiiel sopporti.
Mi rode il petto un si mordace tarlo ,
Che non trovo pensier, che mi conforti.
Animo generoso al>borre e sdegna
Tal ventura caduta in donna indegna.
Non ti sovvien con qual superbia e quanto
Fastn.qiianttinque a non curarla av vezze ,
Poiché II’ accolse, ambizioso vanto
Si diè di laute sue glorie e grandezze ?
Eppure a noi, hencbè ii' abbondi tanto.
Poca parte donò di sue ricchezze;
E poiché fastidita ne rimase ,
Subito ne scacciò dalle sue case.
Quando a farla pentir di tanto orgoglio.
Vegli tu, come credo, unirti meco.
Esser detta mai più donna non voglio.
Se a mortai precipizio io non la reco.
Per or, tiirnando al solilario scoglio.
Nulla diciani d’ aver parlato seco.
Non facciam motto del suo lieto stalo.
Per non farlo col dir v iepiù beato.
Assai noi stes.se pur visto n' abbiamo,
E di troppo aver visto anco ne spiace ,
A qtie’ poveri alberglii ornai torniamo.
Dove mal non si gode ora di pace.
Là consiglio miglior vo’ che prendiamo,
A punir di costei l’Infamia audace.
Onde s' accorga alfin d’ aver sorelle.
Suo malgrado più degne, e non ancelle.
Tal accordo conchiuso, a quella parte.
Le scellerate femmine scn vanno,
E con guance graffiate c chiome sparte.
Pur l’ usato lamento a prova fanno.
I ricchi doni lor celano ad arte.
Tra sè ridendo dell’ordito inganno.
Cosi con finti pianti e finti modi,
Van macchinando le spietate frodi.
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62 MARINO.
Tosto che la slagion serena c fotea.
L'aere abbraccia d' intorno, io i'aii sjiiego,
E quai vclcn , queiic due Turic attosca,
Racconto alia mia Psiche, c ia riprego
A voier(benchò appieii non mi conosca]
Contentarsi dei più, se ii nien le nego.
Le scopro il cor, coprendole il sembiante,
E pud veder l' amor, se non l’ amante.
Le mostro, che soverchio è voler poi ,
Investigar la mia vietala faccia ,
Poiché però non crescerà tra noi
Quel grand' amor, che l’ uno e l' al tro allac-
L' esorto che non guasti i piacersuoi [eia.
Per un lieve desio, ma goda, e taccia:
Quanto può' giusto sdegno io le rammento,
E la fede promessa e il giuramento.
Le fo saper, die nel bel seti fecondo.
Un fortunato infante ha già concetto.
Che fia divino ed immorlaleal mondo.
Se s'asterrà dal mio conteso aspetto.
Ma se vorrà mirar quel die le ascondo,
A morte lo farà nascer soggetto.
L’ ammonisca a schivar tanta mina
Al fanciul sovrastante, a lei vicina.
Ella gl ura e scangi lira , e i n somma volc
Pur riveder quella sorella e questa;
E fa con lagrimette c con parole.
Un bacio intcrcessor della licliiesta.
Ed io col proprio crin , mentre si dolc,
Rasciugando le vo la guancia mesta.
Lasso, die non potrà, se in me può tanto.
L'amorosa eloquenza del bel pianto?
Nulla alfin so negarle, c tosto quando
S’apre il del mattutino ai primi albori.
Risorgo, e lieve in sullo scoglio mando
li padre fecondissimo de' fiori.
Già l'empie, die stali purquii i aspettando.
Dello .spirto gentil sentoii gli odori ; |
Ed ci pur quasi a forza in sulle s|)alle
Le ritragitta alla fiorila valle.
Trovan la bella, c sotto liete fronti
Coprono il fìel clic il corfellonc asconde.
Ella con atti pur cortesi c pronti
Alla mentila alTeziun ris|ionde.
Caldi vapori d'odorate fonti
In concile d'oro ai lassi membri infonde,
E in ricclii seggi infra delizie immense.
Degne le fa delle beate mense.
Comanda poscia agli organi sonaati ,
Cliiama al concerto le canore voci ,
E i ministri invisibili volanti
Al primo cenno suo vengoii veloci.
Ma quella melodia di suoni e canti.
Che placherebbe gli aspidi feroci.
Delle serpi Infernali (ancor che dolce)
La perfidia crudel punto non molce.
Anzi con lo stupor tanto più Sera
Cresce l’ invidia , che le morde e lima;
Onde la pregan pur, che chiara e vera
Del vago suo la qualitadc esprima.
La semplicetta garrula e leggiera.
Cui non sovvienciò die ior disse in prima.
Perché accusar del fallo il ver non vaie.
Avviluppa e conipon novelle a fole.
Dice , che ricco d'or per varie strade
Con varie merci a tralDcarc intende ,
E die la neve della fredda ctate
Già già le tempie ad imbiancar gli scende.
Poi , perclié ratto alle natie contrade
la; riconduca, a ZeOiro le rende.
Che , come suole , alle paterne spiagge
DI nuovi doni onuste indi le traggo.
Deh che ti par delle menzogne Insane
(L’nna all'altra dicea) di questa sciocca?
Cacciator dianzi , dalle prime lane
Quel suo non avea pur la guancia tocca.
Or niercaiido .sen va per rive estrane;
E la bruma senii sul crin gli fiocca.
0 che finge , o die mente, o cli'clla stessa
Non sa di ciò la vcritade espressa.
Tempo é (comunque sia) da farcaderc
Tutte le gioie sue dis|icrse c rotte.
Con si fatto pensier vanno a giacere,
E in vigilia crudel passati la notte.
Col favor di Favonio indi leggiere
A Psiche in sul maltiii son ricondotte.
Clic gode pur d'accarezzar le due
(Surdie non dirò) vipere sue.
Giunte, esprimendo a forzain larghe vc-
Lagrinie fuor degli umidctii rai, [nc
Che sempre (c dir non so dove le tiene)
Quel sesso a v oglia sua ii’ lia pure assai ;
Dolce (presero a dirle) amata spenc,
Tu sccura qui siedi e lieta stai;
E mal cauta ai periglio c trascurata,
L’ ignoranza del mal ti fa beata.
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L’ADONE. M
Ua no(, noi che aollecile aDa cura
Della salute tua slam sempre intente,
Consien che a parte (l’oBnl tua sciagura
Abblam del comun danno il cor dolente.
Sappi, che quel , che in sulla notte oscura
Giacer leco si suole è un fler serpente 5
Un serpente crudele esser per certo
Quel che teco si giace, abbiam scoverto.
Aldel più d’ un pastor non senza rischio.
Quando a sera taior tornò dal pasto ,
Guadare il fiume e varialo a mischio
Trarsi dietro gran spazio il corpo vasto.
Intorno a sò dal forniidabìl fisciiio
Lasciando il elei contaminato e guasto;
Con lunghe spire peri’ immonde alene
(Se vederlo sapessi] a te ne viene.
■Vicnsene in più volubili volumi
Divincolando il fiessuoso seno ,
Da’ minacciosi e spaventosi lumi
Esce strano fulgor, che arde il terreno ;
E di nebbia mortai torbidi fumi
Infetti di pestìfero veleno;
Sbuffando intorno, allato a lesi caccia,
E fa la cova sua fra le tue braccia.
Par che oltre a sè sporga e in sè ricntre,
E nei lubrici tratti onda somiglia,
E fuggendo e seguendo il proprio ventre ,
Lascia sò stesso e sè stesso ripiglia..
Poi chiude i girilnunsol groppoemeutre
In mille obliqui globi si attortiglia.
Di ben profondo solco , ove sì accampa ,
Quasi vomere acuto, il prato stampa.
Quando del cupo suo nativo bosco
Dalla fame ad uscir per forza è spinto,
D’ un verde bruno e d’iin CTuleo fosco
Mostra Tali fregiate e il dorso tinto.
Squallido d’oro e turgido di tosco,
DI macchie il collo a piu r,igion dipinto ,
Scopre di quanti al Sol varj colorì
L’arco suo rugiadoso Iride infiori.
Ahi che figura abbomìnanda c sozza,
Se lajor per lo pian stende le strisce ,
E poiché vomitala lia dalla strozza
Carne di gente uccisa ei la lambisce
0 se del sangue, che mal sempre Ingozza,
Avvicii.chcittcrgo e ilpettoal Bolsi lisce.
Il tergo e il petto, armalo a piastre c nia-
D1 doppie conche e di minute scaglie, [glie
Livido foco, che le selve appuzza,
Spira la gola ed aliti nocentl.
Vibra Ire lingue e nelle fauci aguzza
Un tripartito pettine di denti.
Sanguigne schiume dalla becca spnizza.
Ed aumiorha co’ fiati gli elementi ;
L’aurc corrompe, mentre l’aria lecca.
Strugge 1 fior,rerbc uccide e i campi secca.
Guarditi, 0 suora, il Ciel dalla sua stizza.
Scampiti Giove pur da quella peste,
QualOr per ira si contorce e guizza,
E sbarra le voragini funeste.
La superba cervice in allo drizza,
Erge del capo le spietate creste ,
E ribattendo le sonore squamme,
Mongibello animato, avventa fiamme. ‘
Perchè con tanta industria c secretezza
Credi la propria effigie el tenga ascosa;
Se non perrhè sua naturai bruttezza
Agli orchi tuoi manifestar non osa?
Ma sebbene or ti alitila e t’ accarezza
Sotto quel dolce titolo di sposa.
Pensi però , che la sua cruda rabbia
Lungo tempo digiuna a tener abbia?
Aspetta pur, che del tuo ventre cresca
(Come già va crescendo) il peso In lutto.
Lascia , che venga con più slahll esca
Di tua pregnanza a maturarsi il frullo.
Allor vedrai, sii certa, ove riesca
Il sozzo amor d’iin animai si brutto.
Allor fia, chi noi sa ? che fuor d’ inganni ,
(Preda a suo modo opima) ci 11 tracanni.
Se a noi non credi (ed oh queste parole
Sparse sten pure al vento c non al vero)
Credi a quel, che mentir nè può, nè suole.
Dell’ oraeoi febeo presagio fiero.
Il presagio In obhllo por non si vuole.
Che Immaginando! pur trema il pensiero,
Clic esser ti convcnla moglie d’ un angue.
Morte e strage del mondo c foco esangue.
Che farai dunqtte?ocol tuo scampo a noi
Consentirai d’ogni sospetto srlolla?
0 tanto attenderai , che tu sia poi
Nelle ferine viscere sepolta?
Se In tal guisa nutrir piuttosto vuol
(Non so s' lo dica o pertinace, 0 stolta)
L’empia Ingordigia dell’osceno mostro.
Adempito abbiam noi l'ulllcio nostro.
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04 MARINO.
Ma se non vuol delle voraci brame
Cibo venir di si vii bocca indegno.
Pria che aifln sazia la lascivia inrame,
Teco trangugi rinnoccnte pegno,
Della fera crndcl tronchi lo stame
Senz'altro indugio un generosa sdegno,
E prendi a un colpo d’ estirpar consiglio
II proprio esizio e il pubblico periglio.
Sentesi Psiche a quel parlar d’orrore
Tremare i polsi ed arricciare i crini,
Sudan l'estremili, palpila il core,
Spariscon dal bel volto ostri c rubini ,
Gelan le fibre e di gelato umore
Lucidi canaletti e cristallini
Stilla esangue la fronte appunto quali
Suole aurora d’ aprii rugiade australi.
Contrarie passion, tra cui si aggira.
In quel semplice cor fan guerra interna.
D’amore e d'odio e di spavento e il'ira
Gran tempesti la volge e la governa.
Nave rassembra , a cui mentre ostro spira,
Or garbino, or libeccio I suffi alterna.
Pur dopo molti alfin pensier diversi
Nel fondo d'ogni mal lascia cadérsi.
Dimenticata già d’ogni promessa.
Tutto il secreto a buona fi rivela.
Del furtivo marito il ver confessa,
E che fiigge la luce c clic si cela.
Rapita dal timor, dal duolo oppressa ,
Geme, freme, si affligge e si querela ;
E mancandole In ciò saldo discorso,
Di pietà le rijirega e di soccorso.
Contro il tenero core allor si scaglia
Delle donne malvage il furor crudo,
E con aperta c llln-ra battaglia
Stiingon già della fraudo il ferro ignudo.
Fuorché il partito estremo, altro che vaglia
Non hanno i casi estremi o scliernio, o scu-
All’intrepide genti e risolute [do.
La disperazion spesso i salute.
Ti puoi della salute il calle aprire
(Se la speme non mente) assai spedito.
Nè scemar deve in te punto l’ardire
Biasmo di fellonia con tal niarito.
Chi t’ Inganna ingannar non è tradire.
Giusto è che sia lo schernitor schernito;
Chè quando a opra rea vien che consenta.
La Tede Kelleragglne diventa.
Sotto il letto vogliam che tu nasconda
Un ferro acuto ed una luce accesa ,
E come pria la creatura immonda
Nell’ usato covìl si sìa distesa,
E nel colmo dell’ ombra alta e profonda
Sarà dal maggior sonno avvinta e presa ;
Sorgi pian piano e tuo ministro e duce
Sprigiona il ferro e libera la luce.
La luce il modo allor fla che ti scopra.
Ben opportuna e consigliera e guida.
Non temer no, chè d’ambe noi nell' opra
Avrai (se uopo ti lia) l’aita fida.
Senza alcuna pietà, giuntagli sopra.
Fa die del fier dragone il capo incida ,
Perrhè con bestia si feroce e strana
Qualunque umanità fora inumana.
E cosi detto l'ima c l’ altra prende
Commiato e parte, ella riman soletta ,
Se non sol quanto agitatrici orrende
Seco le furie in compagnia ricetta.
.Ma sebben risoluta all’ opra intende,
E la macchina appresta e il tempo aspetta;
Pur con alfetti varj in tanta impresa
Litigando tra sè, pende sospesa.
Ancor dubbia e pensosa ed ama e teme.
Or confida, or dilTida , or v ile , or forte.
Quinci c quindi bi un punto il cor le preme
Ardimento d’amor, tcrror di morte.
In un corpo medesmo insieme insieme
Abbonisce il serpente, ama il consorte,
E stati pugnando in un istesso loco
Tra rispetto c sospetto il ghiaccio eli foco.
Già nell' Occaso i suol corsier cbiudea
Giunto a colcarsi, il gran pianeta errante,
E già vicin, mentre nel mar scendea.
Sentiva il carro d’or stridere Atlante;
Quaiid’ io che cicco in tenebre vivea
Dal mio terrestre sol lontano amante.
Per far giorno al mio cor, dall’alto polo
Heu venui ingiù predititando il volo.
«
Psiche mia con lusinghe mi riceve.
L’apparecchio crudel dissimulando.
Ma poichèallato a lei mi vengo in breve.
Stanco dai primi assalti, addormentando.
Mentre piacevolmente il sonno greve
Sto con leggieri aneliti solDando,
Sorge c sospinta da pensier maligni
Del sacrilegio suo prende gli ordigni.
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L’ ADONE. CS
Delle pria care c posrla oilialc piume
Vlenai accoslaiido invi r la snoiula manca.
Nella destra Ita il coltel, nell’ altra il lume,
D'orrore agalli iccia e di paura imbianca.
Ma per farle eseguir qtiautn presume
Sdegno il suo dcbII animo rinfranca,
E la forza del fato all'atto flcro
Arma d'audacia il femminil pensiero.
Fa la scoria per tutto e in sulla porla
Della stanza si ferma e gunta pria.
Sporge innanzi la mano e la fa scorta
Al piè che lento al talamo s'invia.
Tende l’ orecchie e sovr’ avviso accorta
Ogni strepito e moto osserva e spia.
Sospende alto le piante e poi leggiere
Le posa in terra e non l' appoggia intere.
Quando ladov 'io poso è giunta appresso,
Voce non forma, .occeivlo non esprime ;
Di tirar non s’arrischia ii baio istesso,
E se spunta un .sospir, tosto il reprime.
Caldo desio rinvigorisce il sesso,
Freddo timor le cable voglie opprime;
Brama, c s’arretra, ardisce, si ritiene,
Bollon gli spirti , c gelano le vene.
Ma non si tosto il curioso raggio
Del lume csplorator venne a mosirarse.
Dal cui chiaro splendor del cortinaggio.
Ogni latebra illuminala apparse.
Che sbigottita deiririgìiisto oltraggio.
Stupì repente, e di vergogna n'arse.
Non sa se è sogno, o ver, clièquando crede
Vedere un drago, un garzonctto vede.
Gran villania le parve aver commessa,
E di tanta follia forte le increhbe.
Spegner la luce perlìda, e con essa
L’arrotato colici celar vorrebbe.
Fu per celarlo In sen quasi a sè stessa,
E senza dubbio alcun fatto l'avrcbbe.
Se dalla man tremante il ferro acuto.
Non le fusse in quel punto al suol caduto.
Mcntr'clla in atto tal si strugge c langue,
Di toccar l'armi mie desio la spinge,
E con man paipitante c core esangue,
Leprendeetralta,e le tasteggia e stringe.
Tenta uno strale, e di rosato sangue,
L’ estremiti del pollice si tinge.
Mirasi punto incautamente il dito,
E d sente in un punto il cor ferito.
Cosi si Slava, e romper non ardiva
La mia quiete placida e tranqnilla.
Ed ecco allor la lii|uefatla oliva
Dell' aureo liicernier scoppia e sfavilla,
E vomitando dalla llamma viva
Di fervido licor pungente stilla;'
Air improvviso con tormento atroce
Sull’ala destra l'omero mi coce.
Desto in un tratto io mi risento e salto
Fuor della riiceia.ed ella a me s'apprende,
M'abbrarcia I fianchi, e con v ezzoso assalto
Per vietarmi il partir pugna e contende.
Mi afferra il piè fugace, io meco in allo
La traggo a volo, ed ella meco ascende.
Cosi pendente per l’acrce strade
MI segue e tiene, allìii nd lascia e cade.
Da me spiccata amaramente al suolo
L'Iulando e piangendo ella si stese.
10 mi volsi a quei pianti e del suo duolo
In mezzo all' ira la pietà mi prese.
Onde l'ali arresiai, fermando il volo,
A si tristo spettacolo sospese,
E mi posi a mirarla intento e liso
D’ un cipresso vicin tra i rami assiso.
Ingrata, a dirle Indi proruppi, ingrata.
Si tosto in Lete un tanto ardore è spente?
Cosi dalla memoria smemorata
L’avviso mio ti cadde in un momento?
Questo è l'amor'! questa èia fè giurala?
Dunque tu paglia al foco, io foco al vento?
Tu diimpie onda allo srogllo,io scoglio all*
loslaliil tronco c tu volubil fronda? [onda?
lo della madre mia posto in non cale
L'nrilln, cui cunvvnia pur che ubbidissi,
Quajvlo d'ogiii sventura ed'ogui male
Siqvpellir ti vulva sotto gli abissi,
11 cor per tua cagioii col proprio strale,
Inavvedulauientc mi trafissi.
Per le tralìtto e per tuo bene ascoso
Volsi ad onta del Ciel faruiiti sposo.
E tu , sleal, pur come fosse poco
D’invisibil ferita il cor piagarmi.
Volesti me. che era tua gioia e gioco,
Quasi serpe criidel, ferir con l'armi.
E non contenta d'amoroso foco
Co’ tuoi begli occhi l’ anima inOammarmi,
Hai voluto con arte empia e malvagia
Ardermi ancora il corpo in viva bragia.
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MARINO.
Già più volte predetto il ver ti Tue,
Nè frenar ben sapesti un van desire,
Ha quelle egregie consigliere tue
La pena pagheran del lor fallire,
Giusto IlagcI riserbo ad ambedue.
Te sol con la mia fuga io vo’ punire.
Rimanti, addio ; da te cercato invano
E col corpo e col cor già m'allontano.
Tanto le dissi; ed ella, a cui più dolse
Che la caduta sua, la mia salita.
Poiché gran tratto d'aria aIGn le tolse
L'amata immago, in apparir sparita;
Per lung* ora di là sorger non volse.
Dove attonita giacque e tramortita.
Poi la fronte levando aGlitta e bassa.
Tra sospiro e sospir ruppe un ahi lassa!
Lassa, dicea, tu m’ abbandoni e vai
Da me lontano c fuggitivo Amore.
Fuggisti Amor. Che più mi resta ornai.
Se non sol di me stessa odio ed orrore?
Ben dalla vista mia fuggir potrai.
Ma non già dal pensier, non già dal core.
Se il Ciel dagli occhi miri pur ti dilegua,
Fia che col core c col pensier ti segua.
SI per poco ti sdegni ? e tocco appena
Da piccola scintilla t'addolori?
Quest’alma orche farà d'iticendio piena?
Che farà questo cor fra tanti ardori?
Cosi doleasi c copiosa vena
Versando intanto d'angosciosi umori.
Sommersi dalle lagrime cadenti.
In bocca le morir gli ultimi accenti.
Dopo molto iagnarsi in piè risorge.
Ratto poi dri2;:a ai vicin prato il passo.
Che con corso paciGco vi scorge
Torcersi un fiumicel tra sasso e sasso.
Va sull’ estremo margine, die sporge
L' orlo curvo e pendente al fondo basso,
E disperata e dal dolor trafitta
Precipitosamente in giù si gitla.
t" Ma quei cortese e mansueto rio
0 che a me compiacer forse volesse.
Ricordevole pur, che son queir io.
Che so Gamme destar tra I' aci|ue istesse;
0 che con gli occhi, ove arde il foco mio,
Rasciutte un si iiel .Sol Tonde gli avesse.
Dell’altra riva in sulle spiagge erbose
C.on innocente vomito l' espose.
Vede, uscita del rlscliio« all’ombra assiso
D’ Arcadia il rozzo Dio, che ivi soggiorna;
Tutto d’ebuli e mori ha tinto il viso,
E di pelle tigrina il Ganco adorna.
Fa d’edra fresca un ramoscel reciso
Ombroso impaccio all’ onorale corna;
E lieii con Tedra incatenando il faggio.
Impedito di fronde il cria selvaggio.
Mentre le capre sue vaglie e lascive,
Pendon dall’erta con gli amici agnelli,
E del Qiinic vicin, lungo le rive,
Tondono i verdi e teneri capelli.
Egli alle canne, che fnrossa vive
Di lei, che gli arse il corcon gli occhi belli.
Inspira dallo spirto innamoralo,
Voce col suono, ed anima col Gato.
Sette forate e stridule cieute.
Con molle cera di sua man composte,
Bella varietà di voci argute
Formano in disegnai serie disposte ;
Onde il silenzio delle selve mute.
Impara ad alternar dolci risposte.
Ed alle note querule e canore.
Fa la Ninfa degli antri aspro tenore^
Questi, veduta allor la meschine
Languida starsi, e sconsolata, e sola,
Pietosissimamente a sé T appella,
E con dolci ragion poi la consola.
Rustico mi son io, giovane bella,
Ma dotto assai nell’ amorosa scoia;
E dì quel mal, che in te conosco aperto.
Per lunga età, per lunga prova esperto.
Il piè tremante, il pallidcttn volto.
Quegli umid’ ocelli e que' sospiri accesi.
Mi dan pur chiaro a diveder, che molto
Hai dal foco di Amor gli spirti offesi.
Odimi dunque, e T impeto si stolto.
Frena dei tuoi desiri a morte intesi ;
Nè più voler, dell’ opre lor più belle.
Omicida crudcl , tentar le stelle,
limai, cheben si porta, è lieve male,
E vince ogni dolor saggio consiglio,
E nello stato misero mortale,
È maggior gloria, ov’è maggior periglio.
Mi son noti i toni casi, c so ben quale
Sia della beila Dea T alato Gglio.
Non li doler, chè sebbene or ti fogge,
So die non mcn di te, per te si strugge.
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L’ ADONE. «T
L’lr« degli amator flill e veraci.
Non son, se non d'Atnnr mantici c venti,
Chè del freddi desir destan le faci ,
E le fiamme del cor fan più cocenti ;
Onde le risse allln tornano in paci,
B In gioie a terminar vanno I tormenti.
Giova poi la memoria, ed è soave
A rimembrar quel che a soffrir fu grave.
Or del cor tempestoso acqueta i moti,
E cessa il pianto, die i begli ocelli oscura,
N6 voler con guastar le proprie doti,
Far torto al Cielo, ed oltraggiar Natura,
Umil piuttosto con preglilcre ovoli.
Quel si possente Dio placar procura.
Il qual, credimi pur, fia chea' tuoi pieghi.
Ogni sdegno deposto, allln si pieghi.
Ringrazia Psiche II satiro pietoso.
Che si ben la conforta c la lusinga.
Poi si accommiata, c senza alcun riposo,
Per traverse remote erra solinga.
Allln laddove domina lo sposo
Della suora maggior, giunge raminga.
Giunta, l’altra l'abbraccia e la saluta,
E chiede la cagion di sua venuta.
La gli schernita, a vendicarsi accinta,
Seco d'anior le dimostranze alterna,
E d’allegrezza astiitameiite infinta.
Vestendo il volto e l’apparenza esterna;
Dal tuo consiglio stimolala e spinta ,
Presi 11 ferro , le dice , e la lucerna.
Per uccider colui che di marita
Usurpato s'avca nome mentito.
Tacitamente a mezza notte lo sorsi.
Ed avendo a ferir st retto il coltello, [scorsi.
Lassa , che un mostro , è vero , un mostro
Ha mostro di belli pur troppo bello.
QAcl1umcspettalor,che innanzi io sporsi,
A quanto narro in testimonio appello.
Che quando un tale oggetto a mirar ebbe.
Raddoppiando splendore ardore accrebbe.
Ahi, non senza sospir me ne rimembra.
Che contemplando quel leggiadro velo.
Dico il corpo divin , che certo sembra
Meraviglia del mondo, opra del Cielo,
AH’armi , ali ali , alle purpuree membra,
Ond’uscia foco da stemprare il gelo.
M'accorsi allln, che quel che ivi giacca.
Era il vero figliuol di Citcrca.
Ma quel perfido lume e maledetto,
Acciisalor delle bellezze amate.
Non so se invido pur del mio diletto,
0 vago di baciar tanta bollate.
Al sotmaccliioso arcicr,che ignudo In letto.
Le palpebre tenea forte serrate,
C«n acuta favilla il tergo cosse,
Siccliù all’ aspra puntura ci si riscosse.
E veggendomi armala in si ficr allo,
Scacciomini, c non fé’ più meco dimora.
Vanne, disse, crudel, vattene ratto,
E dal mio perito e dal mio letto fora.
Io, tutti i mici pensier per tal misfatto.
Volgo in tua vece alla maggior tua suora.
Ella, c l’espresse a notile, iovo’chc sia
E di me donna, c della reggia mia.
Disse ,c fuor del suo albergo all’altra ri va.
Soffiar mi fe’ dal portalor volaule.
Va dunf|ue,occupa il loco,ond’io son priva.
Godi quel ch’io perdei, celeste amante.
A me, che più non spero infin ch’io viva.
Romperla stella mia dura c costante ;
Chieder convien tributo a tulle l’orc.
Di pianto agli occhi, e di sospiri al core.
Appena ella ha di dir fornito questo,
Che queir invida Arpia le piante affretta,
E giunta in sul fatai monte funesto.
Dove andar suole il vento, il vento aspetta.
Vienne Zeffiro, vien veloce c prc.sto,
Angel di primavera, amica aiiretta;
Vienne, dicea, tu condoltier, tu scorta.
Preda ben degna al mio sigtior mi porla.
Sente allora spirar di sulla cima
Dell’alta costa un venlolin sottile.
Onde fuor d’ ogni dubbio attende c stima,
Che a lei ne venga II preciirsor d’aprile.
Sc,vgllasl a piombo, c gravemente all’ ima
Parte del poggio. Il corpo Immondo c vile,
Ruinoso trabocca, e tra qiie’ sassi.
Misera, in cento pezzi a franger sassi.
Con l’arte istessa ancor poco dappoi.
Ingannò l’altra giovane meschina.
Che pur fede prestando a detti suol.
Salse anelante in sulla rupe alpina ,
E similmente immaginar ben puoi.
Se dal monte balzando alla marina.
Lasciò, condegno premio alle sue colpe.
Lacerate le viscere e le polpe.
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C8
MARINO.
Tra le pietre medesme, abi semplicetta,
Lasciò le nieiiibra dissipate e sciolte.
Cosi Tur con egual giusta vendetta
Le due pesti maligne al mondo tolte,
E cosi chi di fraudo si diletta
Ne' propri lacci suoi cade alle volte.
Volse farle ambedue fato consorte
Come complici al mal , compagne in morte.
Ha Psiche or quinci or quindi errante c
Ricercando di me, le vie scorrea; [vaga
Di me, che per dolor di doppia piaga
Sulle piume materne egro giacca ;
E benché di sue ingiurie alquanto paga,
Pur tra duri martir Ture Iraea,
Spendendo i giorni in gemiti dirotti,
E consumando in lagrime le notti.
Slavasi intanto la mia bella madre
Nel profondo Oceano, ove gi.*! nacque.
Quelle membra a lavar bianche e leggiadre,
Ond'clla agli occhi tuoi cotanto piacque.
Ed ecco a lei dalle volanti squadre
Un maritimo augel, che abita l’ acque.
Sotto Tonde attuITando allor le penne,
Tutto il successo a rivelar le venne.
Le prende a raccontar l'Iniquo mergo
E le mie nozze e II già concetto pegno.
Scopre ch'io porto nell' adusto tergo
DI grave cicatrice impresso segno.
Narra che ascoso entro T usalo albergo
Languisco in amor sozzo, in ozio indegno.
Conchiude aitine il relator loquace.
Che il mondo lutto a biasmo suo non tace.
0 qual nel cor di Venere s'aduna
Fiamma di sdegno allor f4Tvida c viva!
Dimanda al messo in vista oscura e bruna
Chi sia l'amica mia, chi sia la Diva,
Se sia del popol didle Ninfe alcuna,
0 delle Dee nel numero s'ascriva.
Se tolta io T abbia c qual scelta di loro,
0 delle Muse, o delle Grazie al coro.
Cosi dunque ubbidisci ai detti miei,
Quant' io t' impongo ail eseguire accinto?
Ilo in tal guisa a vendicarmi sei?
Ed hai di Psiche il tant' orgoglio estinto?
0 degne palme, o nobili trofei, [vinto.
Ecco il forte cainpion, che il mondo ha
L' arderò egregio, il feritore Invitto,
Or da donna mortai langue trafitto.
Ecco quel grande e generoso duce.
Per cui soffre ogtii cor tormento e pena;
E con Infamia tanta or si riduce
A lasciarsi legar con sua catena;
E in vii trionfo prigionier T adduce
liellezza corrotlihlle c terrena.
Quel buon figlio Ical, che un van diletto
Suole anteporre al maternal precetto.
E forse ch’io ministra anco non fui
Di questa sctdlcragginc e mezzana.
Quando diedi priiiiier tiolizia a lui
Della malvagia femmina profana?
CIT io deggia sopportar crede costui
Una nuora volgar di stirpe umana,
E clte venga anco in cielo a farmi guerra
1.' emula mia, la mia nemica in terra.
Pensi tu, che il mio ventre insterilito
Concepir piti non possa un'altro Amore ?
Vedrai s’io saprò ben prender partito,
E figlio generar di te migliore.
Anzi per farli più restar schernito,
Voglio un servo degnar di questo onore.
Uti de' valletti miei voglio adottarmi.
Dargli tulli i tuoi fregi e tutte Tarmi.
Lui vestirò tic' colorali vanni.
Egli avrà l'arco d'or che tu possiedi.
Gli strali ond'escon sol ruinc e ilanni,
E la fiaccola ardente, c gli altri arredi ;
1 quali a te fclloii, mastro d’inganni,
A quest’ uso malvagio lo già non diedi;
Nè gli hai già tu d'eredità paterna.
Ma beni son della mia dote eterna.
Risponde non saper di que.sta cosa
L’alalo ambasciator quanto, nè come.
Se non che strugge Amor fiamma amorosa,
E che egli ama una tal, che Psiche ha nome.
Sembra la Dea non Dea, Furia rabbiosa
A quell'annunzio, e con discinte chiome
Esce del mar correndo e in sulle soglie
Giunta della mia stanza, il grido scioglie.
Fin dal prinT anni tuoi veracemente
Fosti licenzioso c mal avvezzo.
Sci contro I tuoi maggiori irreverente.
Nè vai teco adoprar minaccia, o vezzo.
Anzi qual vedovctia orba sovente
La propria madre tua togli in disprezzo ;
Dico me stessa, onde alimento prendi.
Spesso oltraggiasti ed ogni giorno offendi.
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L’ADONE. C9
Sai ben eh' cl non i più tenero in erba,
Fora' è che ai foco pur si accenda i'csca.
Se tu rimiri alia sembianza acerba,
0 viioi forse aspettar, ch'egli più cresca.
Tal nella guancia sua ^aghczza serba.
Sempre ignuda di pelo e sempre fresca.
Si tien con la statura il tempo occulto.
Che ti parri bambin, quantunque adulto.
Nè pur del forte tuo terribll Dio
Temi l'armi guerriere e t incitrici.
Anzi talor per maggior scorno mio
Concubine gli troti e meretrici.
Ma di si fatti scherzi so ben io
Come far l’ ire mie vendicatrici.
Vo' che tante follie ti costiti rare,
E queste nozze tue ti sicno amare.
Deh che far deggiu 7 o come all’ insolenza
Di questo sfrcnalel stringere il morso?
Hi convien pur malgrado all' Astinenza,
Mia nemica mortai, chieder soccorso.
Per dargli al fallo egual la penitenza.
Forza è pur che a costei rivolga II corso,
' Costei, benché da me sempre ahhorrita,
Fia che mi porga alla vendetta aita.
Elia di quest' alUer, che si presume.
Domi le forze e suoi pcnsier perversi.
10 fin che quel crin d' or, che per costume
Più d'una volta inanellando tersi.
Per me tronco non veggia e quelle piume
Che in questo scn di nettare gli aspersi.
Di mia man non gli stella, iniqua non fia.
Che soddisfaccia all’ alla ingiuria mia.
Con questo dir da’ suol furor rapita
Va per fare al mio core oltraggio e danno,
E Cerere e Giunon trova all’ uscita.
Che le Tan contro c compagnia le fanno
E veggendola ailiitta e scolorila,
Dimandan la caglon di tanto afliinno.
Ella di quel dolor la somma spiega,
E sue ragioni ad aiutar le prega.
Se mi siete, dicca, fidate amiche.
Se è r amor vostro all' amor min conforme.
Datemi In man la fuggitiva Psiclie,
Esate ogni arte a ricercarne l'onne.
I.’ accorte Dee, giù mie seguaci antiche.
In cui sopito il foco mio non dorme.
Dell' arrabbiato cor l’ ire feroci
S' Ingegnan mitigar con queste voci :
E qual gran fallo , qual peccalo grave
11 tuo figlio commise, o Dea cortese.
Se io sguardo piacevole e soave
D'una vaga fanciulla il cor gii accese?
Amorosa e ditina alma non ave
Onde sdegnarsi per si lieti oITcse.
Fora certo piuttosto il tuo dot ere
Amar ciò che ama e ciò che vuoi volere.
Or tu, che dei piacer sei dispensiera.
Tu, che pur madre sei, che sei prudente.
Vorrai ritrosa ognor dunque e severa
Spiar gli affari suoi si sottilmente?
Chi Ha, che non t’appelli ingiusta e fiera
Se tu, che seminando infra la gente
A tutte r ore vai fiamme ne’ cori.
Vuoi dalla casa tua scacciar gli amori?
Cosi parlando a mio favor le due
Scusan la colpa e prendon l’Ira a gioco.
Temendo lor non sia, come gii fue ,
Ferito il petto di pungente foco.
Ella sdegnando, che l' ingiurie sue
Passino In riso, e sien curate poco.
Le lascia , ed a sfogar la rabbia altrove ,
Velocissimamente I passi move.
Intanto Psiche mia per varie strade
Inquieta d'errar giammai non cessa,
E discorsi or di sdegno or di pictade
Volge incerta c dubbiosa infra si stessa.
Or dal grave timor battuta cade.
Or le sorge nel cor la speme oppressa.
Teme, spera, ama, brama c si consuma
Come a ferì ido Sol gelida bruma.
Di me novelle investigando invano
Quasi smarrita e saettata cena,
Fugge per boschi a più poter lontano
Dell' orgogliosa Dea l’ira proterva;
Vorria, punita sol dalla mia mano,
Titol, se non di sposa almen di serva,
E raiuaro addolcir ch’io chiudo in seno.
Se non con vezzi, con ossequi almeno.
Tempio, che d’arie ogni edificio avanza,
Sovra la sommità d’un monte mira;
E vaga di saper, se v'abbia stanza
L’occulta Deità, per cui sospira;
Tosto lo stanco pie, dalla speranza
Hinvigorito, a (|uc la parte gira,
E in sulla cima dopo l'erta strada
Trova fasci di gran, mucclii di biada.
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70 MARINO.
In quella guisa, che dopo la messe
Ventilale e battute, alcun l' ha viste
Giacer sull'aia, accumulate e spesse
Stavan sossovra le mature ariste;
E falci e rastri c vomeri con esse,
E vangile c marre, in un confuse e miste,
E pale e sappe e cribri, e quanti arnesi
Usa il culior nei più cocenti mesi.
Devota allor con umilti profonda.
Sceglie, compon,dìspou le sparse spirile.
Quando si mostra a lei la Dea feconda :
Che fai, dicendo, o poverella^ Psiche?
Tu qui spargi oziosa c vagabonda.
In vane cure inutili faticlie;
E Citerea, clic morte ti minaccia.
Va con cupida inchiesta alla tua traccia.
Innanzi ai divin piede allor si stende,
E con largite fontane il lava tutto,
E col bei crii! , die lino a terra scende.
Scopando a un punto il suoloii rende asciut-
Deh per le ccrrmonic, a dir le prende [lo :
E i lieti riti del tuo biondo frutto,
Per gli occulti secreti e venerandi
Deir auree ceste, onde i tuoi semi spandi ;
Per le rote volanti, e per le faci.
Perii dragoni, che il tuo carro imbriglia ;
Perle glebe fruttifere c feraci.
Onde Sicilia ancor si meraviglia ;
Per la rapina dei destricr fugaci,
Per gli oscuri imenei della tua figlia;
E per quant' altre cose umile ancora,
Ne’ suoi sacri silenzi Eicusi onora ;
Sovvicn , prodiga Dea, pregoti, aqucsla
Perseguitala c iiilscra, sovvieni.
Sotto le spiclic della folla lesta.
Soltanto ascosa per pietà mi licni^
Che di colei, che le mie paci infesta,
Passi alquanto il furor, l’ira s’alTrcni,
E con breve quiete alnien ristori
Le membra staiiclic da si lunghi errori.
Mover potea con questi preghi un scoglio.
Ma da Cerer però trovossi esclusa.
Che non osando inacerliir l’orgoglio
Dell’altera cognata, alfin si scusa.
Onde doppiando al cor tema e cordoglio.
Quindi dal suo sperar parte delusa ;
Nò ben scorge il ramniiri , si spesso e tanto
Le piove agli ocelli cl'abbarbaglia il pianto.
Vede un’altra non lunge eccelsa moie.
Che par che fino al elei s’estolla ed erga.
Scritte mostrai! sull’ uscio auree parole
Del Nume il nome, che là dentro alberga.
Per supplicar la Dea, che ivi si cole.
S’asciuga i fiumi, onde la guancia verga.
E poiché dentro s’avvicina c passa.
Gli occhi solleva, e le ginocchia abbassa.
Ed abbracciando reverente e china,
L’ aitar di sacro sangue ancor fumante,
0, dice, delle Dee degna reina.
Germana e moglie del sovran Tonante;
0 che Samo t' accolga, a cui bambina
Desti I primi vagiti ancor lattante,
U di Cartago la beata sede.
Che spesso assisa in sul leon ti vede ;
0 che d’Inaco pur tra I verdi chiostrì.
Cerchi di Giove l’ amorose frodi ,
0 che intesa a guardar dai cjcl li mostri
Le mura argìve, onde hai tributi e lodi ;
Tu, che Lucilia sci delta dai nostri.
Clic alma con alma in maritaggio annodi ,
Deh propizia ai mici voti or me ritogli
Al vicin rischio, e in tua magione accogli.
Giunon , mcntr'clia prega c l'ara abbrac-
Lc appare in \ isla uinai a e mansueta ; [eia.
Ma per non consentir cosa che spiacela
Alla motrice dei gentil pianeta,
1. c nega albergo, c con tal dir la scaccia :
Servo fugace ricettar si vieta.
A qucsl’altra repulsa aspra e severa.
Di sua salute in lutto ella dispera.
Concorlrcmantc,ccon tremantepiede
Fugge la tapiiiella, e non sa dove,
ili ciò clic intorno ascolta, in ciò che vede.
Vede di novo orror senildanzc nove.
I.icvc arboscci , cui debil aura fiede.
Lieve augcilin, che geme o diesi move.
Lieve foglia, clic cade o clic si scote.
Di terror doppio il dubbio cor pcrcote,
E per deserti inospiti fuggendo.
Cosi coi suoi penvier tra si discorre.
Or (|ual sulfragio in si grand' uopo attendo.
Se il Cielo islesso 1 miei lamenti abborre?
Se la forza diiina, ancor volendo.
Aiutar non mi può, chi ini soccorre?
Chi mi difenderà, se anco li Dei,
Non mi voglion sclieniijr cullilo costei?
«
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L'ADONE.
In qual grotta s) fosca o si profonda,
CbIndcrmI dcgglo? 0 dove andar si lunge,
Che agli occhi Inevitabili m’asconda
Di Cìterca,chc In ogni parte glujige?[da,
Fia dunque il meglio, che al destìnrispon-
Eil corso affretti, ov'ei mi sferza e punge.
Che lardo? un franco ardir tronchi ogn' in-
Er altrui crudeltà sia mio refugio. [dugio,
Colà n'andrò dove ella alberga c regna,
Inprigion volontaria a farmi ancrlla.
Forse quell’ira alfin del Ciclo indegna,
Pietosa deporrà, siccome bella.
Forse ancor fla, ebe ivi trovar mi avvegna,
Chi m’ avventò nel cor fiamme e quadrella j
E che con lieta o con infausta sorte,
0 m’ impetri perdono o mi dia morte.
Mentre ella In guisa tal s' aggira ed erra,
Drizzando I passi, ove di gir propone,
E per ottener pace a tanta guerra,
(ìli argomenti Ira via studia e compone;
Stanca Ciprigna di cercaria in terra,
1 rimedj dei Ciel tentar dispone.
Rivolge il carroinver le stelle. e poggiafgla.
Su’ chiostri empirci ore il gran Giove allog-
Qulvl Mercurio con preghiere astringe.
Che la bandisca e sappia ove si cela.
Gli narra la cagion, che a ciò la spinge.
Promette di premiar chi la rivela,
Dichiara il nome, e le fattezze pinge.
Aggiungendo gl’ indizi alla querela,
Acciocchò s’ egli avvien, clic alcun la trovi.
Scusa poi d'ignoranza altrui non giovi.
L’nnaacasa ritorna, c l’altroplomba
Veloce in terra a promulgar Teditto.
Qualsivoglia mortale (a suon di tromba
Pubblicalo per lui dice lo scritto):
Psiche, degna di carcere c di tomba,
Rubclla c rea di capitai delitto,
Fia che a Venere bella accusi e scopra.
Ricompensa ben degna avrà dell' opra.
Venga là tra le piagge a lei dilette.
Dove il tempio de’ mirti erge Quirino,
Che dalla Dea benigna avrà di selle
liaci soavi un guiderdon divino ;
E più doice fra gli altri un ne promette,
In cui lingueggi il tenero rubino.
In cui labbro con labbro il dente stringa,
E di nettare e mcl si bagni c tinga.
Questo grido tra I popoli diffuso.
Alletta tutti alla mercè proposta.
Onde non trova alcun loco si chiuso.
Clic non v' entri a spiar, se v’è nascosta.
Ella con piè smarrito e cor confuso.
Già delia Diva alla magion s’ accosta ,
Dalle cui porte incontro a lei s'avanza
Una ministra sua, che è detta Usanza.
Pur ne venisti, ad aita voce esclama.
Schiava sfacciala, ove il gasi igo è certo.
0 non t' è forse ancor giunta la fama.
Di quanto in le cercando abbiam sofferto?
Giungi a tempo a pagarlo, e già li chiama
Giustissimo suppiicio al proprio merlo.
Tra lo fauci dell' Orco alfin pur desti,
Perchè l'orgoglio tuo punito resti.
Cosi parlando le cacciò le mani
De' capei d’oro entro le bionde masse,
E con motti oltraggiosi, e con villani
Scherni, volesse o no, seco la trasse.
Giunta alla Dea, con tanti strazj strani
Rotta, con viso chino e luci basse,
Le ginocchia abbracciolle, innatizi al piede
Le cadde a terra, e le gridò mercede.
Con un riso sprezzante a lei rivolta.
Dice Venere allor : Sei tu colei.
Che alle Dee di beltà la gloria hai tolta?
Che hai domo il domalor degli altri Dei?
Ecco pur la tua suocera una volta
Degnala alfln di visitar ti sei?
0 vieti forse a veder l’ egro marito.
Che ancor per tua cagion langue ferito?
Or lo tl raccorrò, vivi secura.
Come buona raccor nuora conviene :
Su suso, ancelle mie. Tristezza c Cura,
Date a costei le meritate pene.
E tosto a far maggior la sua sventura.
Ecco duri flagelli, aspre catene.
Ilattendola con rigide percosse,
La fiera coppia ad ubbidir si mosse.
La rimcnano avanti al suo cospetto,
Poiché ambedue l’han tormentata forte,
Spettacol daconimoverc ogni petto,
.Se non di lei, che la disama a morte.
Di corruccio sfavilla e di dispetto,
E dalle luci aliar traverse e torte.
Girando obliquo II guardo all’ infelice.
Aspramente sorride, e cosi dice:
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7J , MARINO. .
E parmivoglia ancor col peso immondo
Del suo tumido ventre iiidur piotate,
E mi prometta già, tronco fecondo.
Gloriose propagini e beate.
Felicissima me, che avola il mondo
M' appellerà nella più verde ctate,
E il Aglio d’una vii serva impudica
Fia die nipote a Venere si dica.
Ma pecchi tanto onor? Di nozze tali
Figlio nascer non può, spurio più tosto.
Sono illecite, ingiuste ed ineguali,
l'ur di furto contratto e di nascosto ;
Onde quel che trarrà quindi i natali.
Tra gl'infami illegittimi sia posto.
Su però tanto attendi'rem, che al Sole
Esca il bel parto di si degna prole.
Nonofar non pnss’io che compre il freno
Sofferenza irritala alfin non deggia.
Vo' di mia man da quel nefando seno
Trac r eterno disnor della mia reggia.
Pace mai non avrò tanto che appieno
E lei sbranata e me sbramala io veggla.
Sazia mai non sarò fmehi abbia presa
Giusta vendetta dell' ingiusta offesa.
Tace e le dà di piglio e dagl’ infermi
Membri tutte le squarcia e vesti e pompe.
La misera sei soffre e non fa schermi,
Né pure in piccol gemito prorompe.
Yadan pur fra tiranni I corpi inermi.
L’armi però del cor forza non rompe.
La costanza vìrìi, che è ne’ tormenti
Lo scudo adamantiu degl’ innocenti.
Poi di varj granelli accolti insieme
Confuso un montCi alla fanciulla impera.
Che prenda a separar seme da seme,
E sia l’opra spedita innanzi sera.
Vassene alla gran cena e fuor di speme
Sola la lascia e pensa In qual maniera
Psiche potrà nel tempo a lei concesso
Agevolarsi il gran lavor commesso.
Psiciie atterrita dal crudel comando.
Stupisce e tace c d’ ubbiilir diffida,
Ché rassegnato cumulo mirando,
Non sa come lo scelga, o lo divida.
Tenta indarno ogn’ industria e pai entando
La rigorosa Dea, che non l’uccida,
DI non poter distinguere si dote
Quella incomposta inestricabil mole.
Quando in soccorso suo corse veloce
L’agricoltrire e provvida formica.
Quella che suol quando più l’aria coce
Dai campi aprici depredar la spica.
Questa biasinandn della Dea feroce
L’atto e iiios.sa a pietà di sua fatica.
Dalle vicine allor valli e campagne
Tutto il popol chiamò delle compagne.
Concorre tosto in numerose schiere
Con sollecita cura e diligente
Rigando il verde pian di lince nere
Il lungo stiiol della minuta gente;
E la mistura, ove I’ uman sapere
Manca c per cui la donna è si dolente.
Con sommo studio e con mirabii arte
Ordinata e partita, aifln si parte.
La notte intanto i rai d’ Apollo spense,
E già con l’ ombre Arpocrate sorgea,
£ i balli suoi per l’alte logge immense
Tra le Ninfe dei del Cinzia traea;
Quando tornò dalle celesti mense
Di balsamo e di vin colma la Dea,
E tutta cinta d’odorate rose,
Temiinalc trovò l’imposte cose.
Non tua, né di tua man (se non ni’ Inganno
Fu già quest’opra, o scellerata, disse,'
Opra fu di colui, che per tuo danno
Di te volse il destili, che s’invaghisse.
Ma godi pur, che all’ un’, c all’ altra stanno
Le dovute da me pene prefisse.
E partendo da lei poiché ha ciò detto
Consente al sonno c si ritragge in letto.
Nell’ora poi, che fa dal mar ritorno
L’ Alba c colora il elei di rosa, e giglio,
R in sull’ aureo balcon. che s’apre al giorno
Rasciuga al primo Sole II vcl vermiglio.
Dal ricco strato e di bid fregi adorno
La pigra fronte e il sonnacchioso ciglio
Sollevando Ciprigna, alla donzella
Sdegnosa tuttavia cosi favella :
Vedi quel bosco, le cui ripe rode
Precipitoso e rapida ruscello.
Pecorelle colà senza custode
Pa.scon lucenti di dorato vello.
Io vo’ veder, se pur con nova frode
T’ingegnerai di ritornar da quello.
Vaitene dunque e delle spoglie loro .
Recami incontanente un fiocco d'oro.
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t
L’ ADONE. . 73
• Hboluta di cedere al destino,
‘ A'aP*iclie personinicrgeisi lnr|ucll’ondc:
Ma verde canna, che del rio vicino.
Vive sulle palustri e fresche sponde.
Animata da spirito divino,
E mossa da leggiere aure icconde ,
Ode con dolce e musico concento,
, Susurrar questo siion tremulo e lento :
. O da tanti travagli, e si diversi,
Esercitata per sì lunglic vie.
Dell non volere i bei cristalli tersi,
Macchiar coi sangue tuo dell' acque mie ;
Ne contro i mostri andarcrudi e perversi,
Ebe abitan queste spiagge infami e rie.
Fere, clic han di flii or la pelle adorna.
Ma sasso hanno la frunlc, acciai' le corna.
Tocche dal Sol,(|iialor più forte avvampa.
Entrano in rabbia ininioderata orrenda.
Dal cui dente criidel morte non scampa,
Chiunque il morso avvcleiiato olTenda.
Aspetta pur die la più chiara lampa,
A mezzo li ciclo in sul meriggio ascenda.
Nel centro allor dell' ampia selv a ombrosa,
Ij gregg'ia formidabile si posa.
E tu di <|ue1 gran platano nascosta
Sotto i frondosi c spaziosi rami,
Fincliè l'ira doruiemlo abbia de|»>sta,
Potrai lutto esi gui r, ipiantumpie brami,
E secura carpir <|uiiidi a tua posta,
Dell' auree lane i preziosi stami ,
Cherlmaiigon negli arbori che tocca.
Implicati c pendenti a ciocca a ciocca.
(àm questi accenti il calamo sonoro.
Psiche gentil di sua salute informa.
Clic bene instrulla, c intesa al bel tesoro.
Attende die ogni pecora si dorma ;
E poidiò ha da quei Ironcbi il sotlil oro
Rapito alfin della lanosa torma.
Con esso in grciiibq a Citerea seti riede,
Che vcggeiidnia viva, appena il crede.
Da quell' aipcslra c ruvida montagna.
Che al raggio orientai volge le spalle,
Piume, che d'acque brune I sassi bagna.
Scorrer vedrai nella vicina val^.
Questo senza slioccar nella campagna,
Esce di Stigc per occulto calle,
E in quella nera c fetida paluile,
Dopo lungo girar s'ingorga c chiude.
Se spavento il tuo petto or non occupa.
Ed liai pur, come mostri, animo ardito,
l.é nel più allo colmo, onde dirojia
L'acqua, liai Insto a salir con piè spedilo;
E dalla scaturigine più cupa
Del fonte, che rampollo è di Cdcilo,
Tentando il fondo dell' interna vena,
Trarmi di sacro umor tpicst' urna piena.
Dopo questo parlar la fronte crolFa, '
Intorbidando de* begli occhi il raggio,
Nè l)cii di perseguirla ancor satolla,
Par la minacci di più grave oltraggio.
Presa da lei la cristallina ampólla,
Psirlie al gran monte accelera il viaggio.
Sperando pur, die a tante sue mine.
Un mortai precipizio imponga flnr.
Ma come arriva alle radici prime
. Do) poKgioaItcr,chc volge al Sol la schiena,
Vede l'erta si aspra e si sublime.
Clic volarvi gli aogei possono appena.
Inaccessi recessi, aguzze cime,
Dove non tuona mai, nè mai balena,
Poicliè al verno maggior le nnlii c il gelo.
Gli fan dal mezzo in giù corona c vdo.
Lubrico è il sasso, c dalie fauci aperte
Vomita il ninne oscuro in viva cote.
Che per latebre tortuose incerte,
E per caverne concave «d ignote
Seriie, e Ira pietre rotte, ispide ed erte,
Con raiirlii bombi i margini perente.
Caduto stagna c sì diffonde in laghi, ’’
Dove nscliiaiio intorno orridi draghi.
1^11 torvo ciglio c grosso cor la mira.
Nè cessa l'odio, anzi s' avanza e poggia,
E viepiù cresce esacerbata l' ira,
Siccome io calce suol foco per pioggia.
In nova occasion la mente gira,
E d'allliggcrla pensa in altra foggia.
So lieti l’ autor, dicca, di questa prova,
Ma vo' vederne esperienza nova.
Raccoglie la valica dell’acqua sUgla,
Tutta la piena nei suo ventre interno.
Riga l’onda il terrcn, pallida c bigia,
Orribil si, clic poco è più l’inferno.
Quivi raro uman piè segnò vestigia.
Nè la visita mai raggio superno;
Anzi le nevi iii sul bollir dell'anno,
A dispetto del Sol sempre vi stanno.
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MARINO.
74
Quel fiumeancorchècrudo ebbe pietate
Di veder spenti sì sereni rai ,
E parca dir con ròndc innamorale.
Fuggi, mira ove sei, guarda ciic fai.
Deb non lasciar perir tanta beilatc.
Torna, tornati iiulietro, ove ne vai?
È foiiia più che senno c più che sorte,
Senza risorsa alcuna esporsi a morte.
Psiche presso la foce, onde deriva
Il torrente inrcrnal, di sasso mulo
Resta quasi cangiata in statua viva.
Quei giogo insuperabile veduto.
Si d’ogni molo c d’ogni senso priva.
Clic il conforto del pianto anco ha perduto.
Ma qual cosa niortigilc è che non scema
li tuo grand* occhio, Provvidenza eterna ?
Spiegò l’augol reai dal cici le penne.
Forse ingrato al mio .Nume esser non volse.
Citò dell'antico ossc(|uio gli sovvenne.
Quando il frigio coppier tra l' unghie accol-
Qncsti rapidamente a lei ne venne, [se.
E io si fatto parlar la lingua sciolse :
Spera dunque, o malcauta, it tuo desio
Stilla attinger giammai di questo rio?
Fatale i il riochc t edi, c sonquest* acque
A Giove istesso orribili e temute,
E i giuramenti suoi fermar gli piacqnc
Inviolabilmente in lor virtute.
Ma dammi pur cotesto vetro. E tacque,
E preso il vaso entro le griiifc acute.
Volando sovra l'apice del munte,
L’empiè dell’onda del tartareo fonte.
Ciò fatto la guastada in man le porge,
E torna al del per via spedita c corta.
Psiche che del licer colma la scorge,
Volentier la riprende e la riporla;
E fra tante sciagure in lei risorge
Speme che la rinfranca c la conforta ;
Gilè ha sotto ignudo petto armato core
Forte, se non di ferro, almen d’amore.
Chi può dir ciò che disse c ciò che feo
La Diva allor di Pafo c d’ Amalunia?
Non freme si dal caccialor rifeo
Barbara Ugrc saettata c punta,
U dagli austri sferzato il vasto Egeo,
Come niormora c sbuffa alla sua giunta.
Non sa come sfogar l’ astio crudele,
E le si gonfia di gran rabbia it fiele.
Ben ti mostri, dicea, come esser dev i,
Di malizie maestra c di malie ;
Poiché sapesti in tante imprese grev i
Si ben tutte adempir le voglie mie.
Far certo un tal miracolo potevi
Sol per arte d’ Incanti o di magìe.
Ma cosa non minor forse di questa.
Beila mia pargoletta, ancor ti resta.
Prendi questo vascl, ch'io ti appresen to.
Discendi a Dite e subito ritorna.
Là dove a comandar pena e tormento
l.a regina dell’ Èrebo soggiorna.
DI che mi mandi del suo fino unguento.
Che la pelle aniraolliscc c il viso adorna.
Ma convienti spacciar tosto la vìa,
Perchè al pasto di Giove a tempo io sia.
Psiche senza far molto, a terra fissi
Tlen que' bei lumi, ond’ io sospiro e gemo,
Chè ben s'accorge andando invcr gli abissi
D’esser mandala all’ infortunio estremo.
Pensa qual mi fess’io, qual mi sentissi.
Quando solo in narrarlo ancor ne tremo.
Vederla astretta allor col proprio piede
A girne in parte, ond’uom giammai non
[riede.
Poco oltre va , chè trova eccelsa rocca,
E là rivolge dispcr,vta i passi :
Perchè pensa Irasè, se indi trabocca.
Poter girne in tal guisa ai regni bassi.
La torre, o meraviglia, apre la bocca,
E disciuglie la lingua ai mirti sassi.
Che non potrà chi potè il cor piagarmi.
Se può dar senso agl’insensati marmi?
Lascio di raccontar con qual consiglio
Scese d'abisso alle profonde conche ,
Con qiiai tributi senz' alcun perìglio
Passò di Pluto all’ intime spelonclie ,
E dei mostri d’Averno al fiero artiglio
Le forze tutte rintuzzale e. tronche.
Per via, che indietro mai non riconduce,
Hitornò salva a riveder la luce.
E taccio come poi le venne audace
Di quel belletto d’ Ecate desio ,
Indi il pensier le riuscì fallace ,
Chè il sonno fuor ilei bossoletto uscio ;
Onde d’atra caligine tenace
Le velò gli occhi un repentino obblìo,
E da grave letargo oppressa e vìnta
C.adde immobile a terra , e quasi estbita.
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L’ ADONE. 7.',
Io sano gii della ferita , e molto
Da si lunga priglon'stancato ornai,
Per un piccol balcon libero e sciolto
Fuor della chiusa camera volai :
E vago pur di riveder quel volto
Bramato, amato e sospirato assai ,
Parvi battendo le veloci piante
Stella cadente, o folgore volante.
Là dove senza monte , c senza" moto
Giace mi calo, ed a begli occhi volo ;
Ne tergo 11 sonno, e nell’avorio volo
Di novo il chiudo, e ben n’hasdegnoeduo-
Con l’aurea punta dello slrallascuoto, [lo.
Pria la riprendo , e poi la riconsolo.
Talché con lieta speme al cor concetta.
Porta il dono infornale a chi l’ aspetta.
Giunse le palme umile in atto, c fuori
Tal note espresse : Andai sotterra, e venni.
Eccomi fuor dei sempiterni orrori ,
E il licor di Proserpina ne ottenni,
Imponmi por difficoltà maggiori ,
Nulla ricuserò di quanto accenni ;
Ché una devota alTeziun tuti’ osa ,
É fa potere ogni iinpossibii cosa. ,
Ha non Ga mai quel di , lassa , eh’ io speri
Pìccola requie alla penosa vita?
Quando vedrò di quei Ivegli occhi alteri.
Che innamorano il CicI l'ira addolcita?'
Se fermo é pur, eh’ io fra tanti odj fieri
D’ ogni calamità sia calamita ,
Fa di tua man, che il fiato ond’oggi io spl-
Sia deBa morte il prccursor sospiro. [ ro
Deh donde avviene , o Dea pietosa e santa.
Che tn mèco in tal guisa incrudelisca?
Se pure é ver, che in questa che m’ amman-
Spoglia mortai, qualche beltà fiorisca, [ta
Già non è in me temerità cotanta ,
Che d’ emularli , o di sprezzarti ardisca.
Dei tu, che' reggi l’amorosa stella.
Odiarmi, perché il Ciel mi fece bella?
Perfida io già non fui. Se forse errai ,
Colpevoi son d’ involontario errore.
Un sciisabil fallir perdona ornai ,
Se pur fallo può dirsi amare Amore;
Colui , dalle cui forze (c tu tei sai )
Difendersi non vale ardito core.
Dunque t’adlrerai.perché abbia amato [to?
Quel che pur del tuo grembo al mondo é na-
L’ amo, noi nego, c Ha che In me si scio-
Prima il nodo sitai, che l’amoroso, f glia
E sebben fui pur dianzi al vento foglia ,
Onde al cospetto suo tornar non oso.
Più giammai penler fede, o cangiar voglia
Non mi vedrà, siami nemico, o sposo.
Tanto die il Sole a questi occhi dolenti
Porti I’ ultimo di de’ miei tormenti.
•
Non chieggio il letto suo, né mi si debbo ;
50 ben, che di tal grazia indegna sono,
Uain quel bel seno,ond’cgli nacque e creb-
Spero trovar pietà non che perdono. [ be.
Piò oltre ancor continovaio avrelibo
Delle sue note addolorate il suono ,
Ha la doglia nel cor le abbondò tanto.
Che diè line al parlar, principio al pianto.
La Dea l’ ascolta , e di stupore impetra,
Ché in tanti rischi indomita la trova.
Ma il petto a quel parlar l’apre e iicnclr.-)
Un non so che di tenerezza nova.
Il diamante del cor pietà le spctra,
Onde a forza coiivien che si comniova.
Elia noi mostra, c col suo sdegno lia sdegno
Che cede vinto ali’ avversaria il regno.
in questo mezzo io pur temendo iu vero
Il minacciato mal , con tanta fretta
Rivolo inverso il ciel, clic iiien leggiero
Di mal pieghevol arco esce saetta.
Quivi al monarca del celeste impero
Espongo ogni ragion clic a me s’ aspetta.
Narro di lei gl’ ingiusti oltraggi , e come
Grava ognor Psiche d’indiscrete some.
Prego, lusingo Usuo gran Nume eterno,
E gli fo del mio cor la fiamma nota.
Sorrise Giove , c con amor paterno
Mi prese il mento , c mi baciò la gola.
Sebben, disse, il tuo ardircontanloscher-
Sov ente inconiroa me gii strali arrota, [no
51 clic a tor forme indegne anco m’ lia mos-
A tuoi pregili però mancar non posso, [so.
Gli Del convoca, e questo alTar consi-
E le mie nozze celebrar comanda, [glia.
Esorta a coiiicniarsene la figlia.
Poscia il suo fido nunzio in terra manda.
Rapila già tra l’immorlai famiglia^
GusU il cibo divino e la bevanda ,
E meco dopo tante aspre fatiche.
Nel teatro del ciel sposala é Psiche.
4
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MARINO.
7*i
L’ Ore spogliando de’ lor fregi i prati ,
Tutto di rose iinporporaro ii ciclo.
Sparscr le grazie aromati odorali ,
(iantar le Muse la mìa face e il telo.
I.e corde d' oro e i calami cerati
Toccar lo Dio <!’ Arcadia e quel di Deio,
Resse Imeneo la danza , e volse in essa
Ballar con l' altre Dee Venere islessa.
'Così di tanti alTanni a riva giunsi, [si,
E per sempre il mio bene In braccio accol-
(«n cui mentre che allìn mi ricongiunsi ,
Tanto mi trastullai , quanto mi dolsi ;
Nè dall’ amato seti più mi disgiunsi ,
Nè dai nodo gentil più mi disciolsì ;
E del mio seme entro il bel sen concetto
Nacque un figliuol, che si citiamo Diletto.
.Amor cosi ragiona, e l’altro Intanto
Il suo parlar meravigliando ascolta;
E per pietà , d’ afTettuoso pianto
Qualche perla gentil stilla talvolta.
Ma con le faci e le faville accanto
Sente avvampar nel cor la fiamma accolta.
i.a fiamma che il pastorcon sue vivande
Gl’ infusa al cor, già si dilata e spande.
CANTO QUINTO.
LA TRAGEDIA.
ALLEGORIA.
Per Mercurio, che mettendo Adone in parole, gli persuade con diversi esempi a
ben amar Venere, si dimostra la forza d’una lingua efficace, e come le esortazioni
de’ perversi ruffiani sogliono facilmente corrompere un pensier giovanile. Ne’ favolosi
avvenimenti di quei giovani da esso Mercurio raccontati , si dà per lo più ad inten-
dere la leggerezza ed incostanza puerile. In Narciso è disegnata la vanità degli
uomini morividi e deliziosi, I quali non ad altro intesi, che a compiacersi di sè me-
desimi, e disprczzatori dì Eco, che è figura della immortalità de’ nomi, alla fine
si trasformano in fiori , cioè adire, che se nc muoiono miseramente senza alcun
pregio, poiché niuna cosa più di essi fiori è caduca c corruttibile. In Ganimede
fatto coppìer di Giove, vieti compreso il segno di Aquario, il quale con larghissime,
e copiosissime piogge dà da bere a tutto il mondo. Per Giparisso mutato in cipresso,
siamo avvertiti a non porre con ismodcramciito la nostra affezione alle cose mortali ,
acciocché poi mancandoci , non abbiamo a menar la vita sempre in lagrime e in
dolori. Ila (come accenna l’importanza della voce greca] non vuol dir altro che
Selva , ed è amato da Ercole , perciocché Ercole come cacciatore di mostri , era
.solito di frequentar le foreste. Atide infuriato prima , e poi divenuto pino per opera
di Gibcle.ci discopre quanto possa la rabbia della gelosia nelle donne attempate,
<|uando con isproporzionato maritaggio si ritrovano a giovane sposo congiunte. La
rappresentazione di Attenne ci dà ammaestramento quanto sia dannosa cosa il volere
irreverentementc , c con soverchia curiosità conoscere de’ secreti divini più di quel
che si conviene : e quanto pericolo corra la gioventù di essere divorata dallo proprie
passioni , seguitando gli appetiti ferini.
ARGUII F. avo.
Elitra il garzon per dileitosa strada
Net bel palagio infra delizie nove.
Seco divisa il messaggìcr di Giove,
Poi con scene festive il tiene a bada.
I.’ umana lingua è quasi fren che regge
Della ragion precipitosa II morso.
Tiitton , che è dato a regolar con legge
Della nave dell' alma il dubbio corso.
Gliiavecheapre I pensier, man clic correg-
Delia mente gli errori . e del discorso. [ gc
Denna, e pennello, che con note vive,
E con vivi color dipinge e scrive.
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L’ADONE.
btroDicnto sonoro , or grati, or gravi ,
Or di latte , or di mcl sparge torrenti.
Sen del suo dire in un Aeri e soavi
Tuoni le voci, e rnlmini gli accenti.
Accoppia in sé dell' api e gli aghi e i favi,
Alti a ferire, a raddolcir possenti.
Divin suggel , che mentre esprime i detti ,
Imprime altrui negli animi I concetti.
Ma come spada , che difende , o fere ,
Se avvieii , che bene , o male oprala sia.
Secondo il divcrs’uso, in più maniere
Qualità cangia, e divieti buona , o ria.
E dal diritto suo fuor del dovere
In malvagio sernion torta travia ,
Trafigge, uccide , e del mordace dente
(Benché tenera e molle) è più pungente.
•
Sebben però , qualor saetta , o tocca
Stampa sempre in altrui plagile mortali ,
Non fa colpo maggior, che quandu scorra
In petto giovenil melati strali.
Versa catene d’or faconda bocca,
('.he molcendo, e traendo i sensi frali,
Tesson legame al cor dolce e tenace ,
(^e imprigiona e lusinga, e noce c piace.
Unmerzano eloquente, un scaltro messo.
Paraninfo di cori innamorati ,
Che viene e torna, e patteggiando spesso
Delle compre d’ Amor tratta I mercati ,
Q>n le parole sue fa quell’ istesso
Nei rozzi pelli e nei desir gelati ,
Che suol ne’ ferri far la cote alpina ,
Che non ha taglio , e le coltella affina.
0 vi fulmini il (^cl, v’ assorba Dite,
Infernali Imenei , sozzi oratori ,
Corrieri infami, all' anime tradite
Di scellerati annunzi ambasciatori;
Che con ragioni esortatrici ardite
Di stimolare ì semplicetti cori ,
Corrompendo I pensier con dolci inganni.
Qual ulficio più vii fa maggior danni?
Qual maraviglia , se dei sommi eroi
L’Interprete immortai, l'astuto araldo.
Possente ad espugnar co’ detti suol
Ogni voler più pertinace c saldo,
Sul fiore , 0 bell’ Adon , degli anni tuoi
Il tuo tenero cor rende si caldo?
Virtù di quel ministro , il qual per prova
Nella casa d’ Amor sempre si trova.
Somiglia Adone attonito villano
Uso in selvaggio c povcrel ricetto ,
Se talora a mirar vico di lontano
Pompa real di cittadino tetto.
Somiglia il domator dell’ Oceano
Quando d'alto stupore ingombro il petto.
Vide primiero in region remote
Meraviglie novelle e genti ignote.
. Volge a tergo lo sguardo, e ndrae spia
.Se calle v’ ha per rinvenir 1’ uscita.
Ma la porta superba , ond' entrò pria ,
Con sue tante ricchezze é già sivarìta.
Nè sa guado veder, nè trovar via
Per indietro tornar, che sia spedita;
E quasi verme di bei stami cinto,
Va tessendo a sè stesso il labirinto.
Tosto che egli coli pose le piante ,
Ben d' Amor prigioniero esser s'accorse.
Ma fra delizie si soavi e tinte
Dalla cara catena il piè non torse;
Anzi spontaneo e volontario amante
Al ceppo il piede , al giogo il collo porse ;
E poiché ha di tal carccfe ventura ,
Servaggio apprezza , e libertà non cura.
Non manca quivi a corteggiarlo accinta
Di festevoli Ninfe accorta schiera.
Nè con piuma qual d’ oro , e qual dipinta
Vago drappel di gioventute arciera;
Che al bel fanciul , da cui fu presa e vinta
La bella Dea, che in quell’ albergo impera.
Stanno in guisa d’ ancelle e di sergenti ,
Diversi uffici a ministrare intenti.
Chi d’ambrosia gl’ impinguali crin sottile.
Citi di rosa l’ implica, c chi di persa.
Chi di pomposo e barbaro monile
La bella gola e candida attraversa ,
Altri all’ orecchie di lavor simile
Gemma gli appende folgorante e tersa ;
Talché tutto si vede intorno intorno
Di molli arnesi e femminili adorno.
Incantato dai vezzi , e tutto inteso
A cose Adon si disusate e nove ,
Parte d' alto stnpor che I’ ha sorpreso
Vinto , bocca non apre, occhio non move.
Parte sovra pensici , seco sospeso
Volge suo stalo, c con cui siasi, e dove;
E sparso Intanto d un gentil vermiglio
Bas.so tien per vergogna a terra il ciglio.
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78 marino.
Qui presente iT Aliante era 11 nipote,
l’crchè non pur la sua natia CUIcue
I.ascia talor, ma dall' eterne rote
Per scherzar con Amor spesso ne viene.
Questi al garzon s’ accosta, c ti lo aooto,
tilie alzar gli fa le luci alme e serene.
Kavoleggiando poi dolce li consiglia,
K con modi piacevoli il ripiglia :
0 damigel , d>c sotto imiauo velo
Di consorzio diviii sei fatto degno.
Della tua sorte invidiata in cielo
liceo eh’ io teco a rallegrar mi vegno.
(>>s1 il tuo foco mai non senta gelo,
(ionie a curar non hai del patrio regno.
Quando di si lo scettro, e del suo stato
I.a regina de' regi io man t’ ha dato.
Ma porcili mulo vcggioli , e pensoso,
Siapensier, sia rispetto, o sia cordoglio,
tionsular mesto, assocurar dubbioso,
(Consigliar sconsiglialo oggi ti voglio.
Del bel |>er cui ne vai forte fastoso ,
Ah non ti faccia insuperbire orgoglio.
Però die i fior caduco , c , se noi sai ,
Fogge, e fuggito poi , non torna mai.
E tl vo’ raccontar, se non t’aggrava,
Ciò che addivenne al misero Narciso.
Narciso era un fanclul , che innamorava
Tolte le belle Ninfe di Cefiso.
La più bella di lor, che s* appellava
Eco per nome, ardea del suo bei viso.
Ed adorando quel dlvio sembiante
l'area fatta idolatra, e non amante.
Era un tempo costei Ninfa faconda,
E note sovra ogni altra ebbe eloquenti.
Ma da Giiuioii crucciosa ed iraconda
I.C fur lasciati sol gli ultimi accenti.
Pur sebben la sua pena aspra e profonda
Distinguer non sajiean tronchi lameuU,
Supplia,pace cUkdeudu, ai gran martiri
Or con sguardi amorosi , or con sospirL
Ma r ingrato garzon chiuse le porte
Tien di pictadc al suo morui dolore.
Porla negli occhi e nella man la morte.
Delle fere nemico, e più d'amore.
.\rma crudo non men, che bello e forte,
f)' asprezza il volto, e di fierezza il core,
Di ti si appaga, e lascia indubbio altrui, ^
Se grazia , o feriti prevaglia in lui.
Amor, diccan le vergiiienc amanti ,
0 da questo sord’ aspe .Ime? schernito,
Do\' è r arco e la foce, onde li vanti 7
l'crchù non ne rimane arso e ferito 7
Deh fa, signor, che con sospiri e pianti
Ami Inva'i non amato, e non gradito.
Come più tant* orgoglio ornai sopporti!
Vendica i propri scorili, e gli altrui torli.
A quel caldo pregar l'orecchie porse [co
L’arcier contro il cui slral scheruio vai po-
E 11 cacciator superlw un giorno scorse
Tutto soletto in solitario loco.
Stanco egli di seguir cinghiali ed orse,
('zTca riparo dal celeste foco.
Tace ogni augello al gran calorcbe esala.
Salvo la coca e stridula cicala.
•
Tra verdi colli in guisa di teatro
Siede rustica vallee hosclierecc'ia.
Falce non osa qui , non osa aratro
Di franger gleba, odi tagliar corteccia.
Fonlicel di bell' ombre algente ed atro.
Inghirlandalo di fiorila treccia.
Qui dai Sol si difende, e si iraluce ,
Che al fondo crìstallin l'occhio conduce.
Sulla sponda Iclal di questo fonte ,
Che i circostanti fior di perle asperge,
E fa limpido specchio al cavo monte,-
Che lo copre dal Sol, quanto più s’ erge.
Appoggia il petto e l' alfannala fronte.
Le mani attulTa, e l' arse labbra immerge.
E quivi Amor, mcnlr’ egli a bers’ inchini,
^'uol che impari a schernir virtù divina.
Ferma nelle bell'oiide il guardo intento
E la propria senibiaiiza entro vi vede.
Sente di strano amor novo tonnenlo
i'cr lei, che tinta imniagine non crede.
Abbraccia l' ombra nel fugace argeuto,
E sospira e desia ciò che possiede.
Quel che cercando v a, porta in sé stesso
Miscr, nè può trov ar quel che Ita da presso.
Corre per refrigerio all’ onda fresca.
Ma maggior quindi al corsele gli sorge.
Ivi sveglia la fiamma, accende l’ esca.
Dove a temprar I' arsura il piè Io scorge.
Arde, e perebù I' ardor viepiù s' accresca.
La sua stessa licita forza gli porge,
E nell' iucendio d’ una fredda stampa
Mentre il viso si bagna, il petto avvampa.
1»
L’ ADONE.
1 jcomtnipla esalulae iragec’^alil folfc)
Da niciitito aenibiantc afTanno vero.
Egli amantr, egli amato, or gela, or bolle,
Fatto strale e bersaglio, arco ed arderò.
Invidia a quell' umor liquido e mone
La Torma vaga e il sìmnlacro altero,
E geloso del bene ond’ egli ( privo.
Suo rivai sulla riva appella il rivo.
Mancando allìii lo spirto all’ iorcilce.
Troppo a sé stesso di piacergli spiacque.
Depose al pie dell’ ouda ingannatrice
I J vita, c morto in rame, in lior rinic<|oe.
L’ onda, die già l' uccise, or gli è nutrice.
Perche ogni suo vigor prende dall' a^ue.
Tal fu il destin del vaneggiaiite e vago
^ I Yagbeggiator della sua Tana immago.
E cosi fece il Elei del gry ve oltraggio
Della sprezrata Ninfa alla vendetta.
Ma tu (credo ben io^ se sarai saggio,
Abborrir non vorrai quel che diletta,
E sgombro il sen d' ogni rigor selvaggio,
(iodrai I’ età borila c glovinetia.
Idolo d’uiia Dt'a , dal cui bel viso
Impara ad esser bello il paradiso.
Di quella Dea, percui struggersi sente
Lo Dio del foco in maggior foco il petto,
E da martel più duro e più |M>sseiite
Battere il cor, d' amore e di sos|>etto.
Quella, ebe I danni dell' offesa gente
Vemlica sol col mansueto as|ieUo ,
Cht se 11 folgore suo percole altrui ,
Un sol guardo di lei trafigge lui.
Di quella Dca.clie può col seno igoudo
Vincer l' invitto Dio d’ amii guernito.
Lo (|ual non può si forte aver lo scudo.
Clic non nc resti il ferMor ferito.
Nè di si salde tempre il ferro crudo.
Che tempri il mal da qiie’ begli ocelli uscito;
Quella die può bear I’ alme beate ,
Belili del deio , c elei d' ogni beliate.
Uiov aiie, il mondo in altra eli qual ebbe
Amato mai da Oeiladc alcuna,
E qual cotanto al Qclo in grazia crebbe,
Cbe jvossa pareggiar la tua forlunaf
Non quegli a te paragonar si debbe.
Clic accese il cor della gelata Luna.
Non l’ altro, cbe in sul bel carro fiorito
Fu dalla bionda Aurora in del rapito.
Mille di mille Dee, di mille Del,
Che quaggiù di lassù spiegaro il volo.
Amori annoverar qui ti potrei.
Ma lascio gli altri, e te ne scoglio un solo.
Oso di dir, che più felice sei
Di quel cbe piacque al gran Rettnr del polo.
Noti so se ti sia nota , o forse oscura
Del troiano donaci l' alta vciilura.
Dal foveano balcon rivallo avea
Il Motor delle stelle a terra il ciglio.
Quando mirò giù nella valle idea
Del re di Frigia il giovinetto figlio.
Mirollo , f 11' arse. Amor, cbe l’ acccndM,
L’armò di curvo rostro e curvo artiglio,
GII prestò r all , e gli destò vaghezza
Di rapir la veduti alta bellezza.
La maestà di un si sublime amante
Itramoso d’ Involar corpo si bello.
Della ministra sua prese sembiante,
Ghò non degnò cangiarsi In altro augello;
Perocché lutto il popolo volarne B
Piò magnanimo alcun non ha di i)ueDo.
Degno da che portò tanta beliate
D’ aver di stelle Ui del l' ali gemmate.
Oelloera, e non ancor gli uscia sul mento
L’ombra cbeadiiggia il fiorde’piùbegU ao>
Iva tendendo a rozze prede intento [jd.
Ai cervi erranti iiiaidioal inganni.
Ed ecco il predaior, cbe In un momento
Falcate I’ ungbie c dilatati I vanni ,
In alto il trasse, e per lo del sostenne
L' amalo incarco In sulle tese penne.
Mira da lunge stupido c deluso
Iz> sluol dei servi il vago aiigd rapace.
Segiion latrando' e risguardaudo iususo
I cani la volante ombra fugace.
II volo obblia d' allo piacer confuso
Giove , e di gioia e di desir si sfact;
Gli ocelli fiso volgendo c le parole,
Ai|uila fortunata , al suo bel Sole.
F'anduI, dicea, die piagni ? a cbe paventi
Gaiigiarcol deio (ab semplicetto] I lioscbl 7
Con Lauree sfere e con le stelle ardenti
Le lane al|>estri e gli antri ombrosi o (o-
Econ gli Dei lieiiigiii ed ionoceiili [schi 7
Le fere annate sol d' ire e di losclii 7
Fatto, mercè di lui.cbe il tutto move.
Di rozzo cacciator, coppier di Giove? ^
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P - • "cd by GoogU-
80 * MARINO.
SoiiGiofcislcsso.Amorni'ln giunto a tale,
Non prestar ferie alle mentile piume.
Aquila fatta .snn; ma die mi vale,
Se aquila aucnr mi abbaglio a tanto lume?
lo quel, quell' io, die col fulmineo strale
Tonar sovra I giganti lio per costuine.
Si son pungenti i folgori clic scocchi.
Saettato son già ila tuoi begli occhi.
Qual prò li ila per balze e per caverne
Seguir de’ mostri orribili la traccia?
Vientcnc meco alle delizie eterne ,
Maggior preda sia questa e miglior caccia.
E se avvicn, clic colà nelle superne
Piagge i bei membri esercitar ti piaccia.
Trarrai per le stellate ampie foreste
Dietro all' Orse del polo il (àin celeste.
Lascia ornai ]iiii di ricordar, rivolto
.Mie selve, agli armciili , Ida, nè Troia.
Sei celeste e felice ; avrai raccolto
Tra gli eterni conviti eterna gioia.
E nell’ aspra stagion, quand' Austro sciolto
L’ aria, la terra e II mar turila ed annoia.
Visitata dal Sol, lurida c bella
Scintillerà la tua feconda stella.
Cosi gli parla, e intantoal sommo regno,
Della gente immortal patria serena ,
Non per6 senza scorno, e senza sdegno
Della gelosa Dea , lo scorge e mena ,
Dove del nobii grado il rende degno.
Che sempre in ogni prandio, in ogni cena
A mensa in cavo e lucido diamante
Porga il nettare eterno al gran Tonante.
Ebe e Vulcan, che poco dianzi quivi
Della gran tazza il ministero avienu
Già ritìntati , e dell’ liflicio privi
Cedono al novo av venturier terreno.
Ei l’ama si, che innanzi a Dive c Divi
Quando il sacro teatro 6 tutto pieno.
Ancor presente la ritrosa moglie.
Da Ganimede suo mai non si scioglie.
Non gli reca il garzon giammai da bere.
Che pria noi baci il Re die in ciel coman-
E trae da quel liaciar maggior piacere [da.
Che dalla sua dolcissima bevanda.
Talvolta a studio, e senza sete avere
Per ribaciarlo sol, da ber dimanda, [loppa.
Poi gli urtai! braccio, o in qualche cosa in-
Spande il licore, o fa cader la coppa.
Quando torna a portar I’ amato page.io
Il calice d’ umor stillante e greve ,
Rivolli in prima i cupid’ occhi al raggio
De’ bei lumi ridenti, egli il riceve,
E col gusto leggier fattone un saggio.
Il porge a lui, ma menlr’ei poscia il beve.
Di man gliei toglie, e le reliquie estreme
Cerca nel vaso, e beve e bacia Insieme.
Madie? Tu sovra questo e sovra quanti
Più pregiali ne furo iinqua tra noi.
Darli bene a ragion titoli e vanti
Di avventuroso c fortunato puoi,
Poidii'' il più bel dei selle lumi erranti
Hai potuto invaghir degli occhi tuoi,
E por le stesso in signoria di quella.
Che influisce ogni grazia , amica stella.
E però ti consiglio e ti ricordo.
Che di tanto favor ringrazi il Fato.
Non essere al tuo ben cieco, nè sordo,
’ f
Sappi gioir di si felice stalo.
Nè cagion lieve , o van desil e ingordo
l’arlir ti f.iccia mai dal fianco amato;
Percliè cose s’incontrano sovente.
Onde quando non vale altri si pente.
La fanciullesca età tenera e molle
E quasi incauta e semplice fanciulla.
Lo cui desir precipitoso e folle
Corre a ciò che l’ allctta e la trastulla.
Orpiange,orride,ementrcondeggiaebol-
Suole Immenso dolor tragger di nulla, [lo,
E procacciar non senza gravi aflanni.
Da leggieri accidenti eterni danni.
Troppo talvolta a vani oggetti inlenlu
Quel che rileva più sprezza ed obblia,
E cosi pargoleggia e si lamenta
Se avvlen che penla i>oi ciò clic desia,
l'n esempio n’avrai , se li rammentn.
Degno die a mente ognor certo li sia.
Per cui l’alma anzi tempo irsci divisa
D’una spoglia leggiadra, odi in che guisa.
Vezzoso cervo si nutriva in Cea,
Di cui più bel non fu daino, nè damma.
Sacro alla casta c boschereccia Dea ,
Più vivace e leggier, che vento, o fiamma.
Quando appena lascialo il nido avea ,
D’ una capra poppò l' ispida luanima.
Onde Conforme all’ alimento, ch’ebbe.
Qualità prese, c mansueto crebbe.
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L’ADONE. k HI
È canuto qual cigno , c il pelo ba bianco
Più clic latte rappreso, o neve alpina;
Sol di purpuree macchie il petto e il fianco
Sparso a guisa di rose in sulla brina.
Con le Ninfe conversa, e talor anco
In udir chiamar Cinzia, egli s’inchina.
Pur come a riverir nome si degno
Umano spirto il mova, umano ingegno.
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TraFaunieDriadllI di spazia «soggiorna
In aperta campagna , o in chiuso ovile.
Che per fregiargli le ramoso corna
Vali (ielle pompe sue spogliauilu Aprile.
D’ oro rorcccliie,f d'or la fronte adorna,
Oli circonda la gola aureo monile,
Che (in lai lirovc conlien: Ninfe e pastori,
Di Diana sono io, ciascun m'onori.
la; Ninfe fontaniere e le montane
Nella siaglon , clic al cervo il corno casca.
Onde povero ed orbo ei ne rimane
'Per più corsi di Sol pria die rinasca ,
Oli componcano in mille forme e strane
Sulla vedova fronte ombrosa frasca,
E con bell' arte il rifaccaii cornuto.
Quel che già per natura avea perduto.
Tra quanti il favorirò c l’ ebber caro
KuCIparisso, un pellegrin donzello.
Per cui languiva il gran signor di Claro,
<^c non vide giammai viso più bello.
L' età con la bellezza iva di paro ,
Cbè era degli anni ancor sul lior novello,
E (lei suo bel niattin l' Alba amorosa
l.e guance gli spargea di fresca rosa.
Questo fanciul , da' cui begli ocelli acceso
Più clic dai propri raggi ardeva Apollo ,
Sempre a seguirlo , a custodirlo liiicso
I n pregio r ebbe, c sovra ogni altro aniollo.
Gli area di propria man fatto ej appeso
Di squillctle d'argento Un serto al collo,
Perché qualor da iuiige il snon ii' udiva
Lo potesse trovar se si smarriva.
Erra il giorno con lui , la sera rìede
Là 've d’erbe e di fior letto l’accoglie.
Spesso in braccio gli corre,in grenilio siede
E prende di sua man or acque, or foglie.
Orgoglioso ei ne va, che lo possiede,
Uniil r altro ubbidisce alle sue voglie.
E con serico fren pronto e leggiero
Si lascia maneggiar come un ilcstricro.
Era nel tempo delle bionde s|iiche.
Quando il pianeta fenido dMielo
I raggi a piombo in sulle piagge aprìclic
Non vibra no , ma fulmina dal cielo.
II bel garzon fra molte querce antiche,
Qie tcssean di folt' ombra un verde velo.
Dopo lungo cacciar stanco nc venne,
E il domestico suo dietro gli tenne.
Or mentre il cervo pasce , ed egli porge
Riposo ai membri in mezzo alla foresta.
Erger vago ragiaii non lunge scorge
Fuor d'iina inac liia la purpurea testa.
Prende l'arco pian pian , dall' erbasorge,
E li miglior strai della faretra appresta.
Tende prima la corda, Indi l’allenta,
E la eanna ferrala innanzi avventa.
Dove l' arder l'invia lo slral protervo.
Ma dove ei non vorrebbe, i vanni alIVelta. y
Dopo quel cespo il suo dilclto cervo
Erasi posto a ruminar l'erbetta.
Onde scagliato dal possente nervo,
li fianco inerme al misero sartia.
Pensali tu , se alla mortai ferita
Cade, e in vermiglio umor versa la vita!
V accorre il suo signor, volgendo drillo
Verso il flebii muggito II guardo pio.
E quando vede (alii cacciatore afllillo)
In cambio dell'augci, quel clic terio,
E gemer sente il povcrel Iranito,
Che par gli voglia dir (Clic t'Iio fatt’ioT ■■
Stupisce e lrenia,e da gran doglia oppresso
Vorria passarsi il cor col dardo istesso.
Scende colà lo Dio cidoinato c biondo
Dal suo carro Inceiuc ed immortale,
F3 gli dimostra con parlar facondo
Come quei che t’alUiggc è piccini male.
Ma nessuna ragion , che porti al mondo,
A consolar lo sconsolato vale.
Dei cadavere freddo il cullo amalo
Abbraccia e bacia, c vuol morirgli allato.
Sfoga con l' innocente arco infelice
Il suo ralibioso c disperato sdegno.
Spezza r empie qiiadrella , cd onici , dice.
Non snggerete voi sangue meli degno.
Ma te del fiero colpo eseculrice •
Mano ingrata e cnidcl , perebt' sostegno?
Perche, s' hai con lo slral coni messo ciroro
Non r emendi col ferro In qiicslocore?
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«2 -x MARISO.
Poichi porrido lo stosso e nialacoorto
1)1 propria maii d’ ogni losor m’ lioprlvo ,
E perduta ogni gioia ogni conforto.
Lieti oggetti e giocondi abitorro e schivo t
Fa , prego , o Ciel , sema il mio ben , che è
t'.h’ io fra tanto dolor non resti vivo, [morto
Fach’Ionon senta almeno c che non miri,
So non feretri c lagrime e sospiri.
Appena egli ha vigor d’ esprimer questo,
Che la pelle gl’ Indura, e 11 busto Ingrossa.
Sorge piramidal tronco funesto,
Rozzo legno si fan le polpe e l' ossa, [sto
Verdeggi.! il crin frondoso, e quanto al re-
Tutla da lui l' antica forma è scossa.
Funcral pianta e tragica diviene,
E quant' noni desiava, arbore ottiene.
Se un amante divin più che una fera
(f’/ime ragion cliiedea) curato avesse.
Forse non avria questi in tal maniera
Dato campo al destili, che poi l’opprcssc.
Or tu non fare , che occasion leggiera
T’ involi a lei , che suo signor l’ elesse ,
PercliÈ lontan da chi n' ha zelo c cura
Scompagnata beltà non va secura.
So che sovente per le selve errando,
Dove strani animali hanno ricetto,
DI girne ardito e intrepido cacciando
O con spiedo, o con strai prendi diletto.
Deh non voler, tanto piacer lasciando,
Tra 1 perigli de" boschi entrar soletto.
Se al viver tuo troncar non vuoi le (ila.
Sovvengali talor del caso d’ila.
Era scndier del generoso Alcide
Ila, il vago ligliuol di Teodainanle.
Più bei crin, pi ù begli orchi il Sol non vide.
Più Ilei volto giammai , più bel sembiante,
•finn la tenera man Farmi omicide
Spesso slringca del bellicoso amante,
E dell’ immensa e smisurata clava
Fedelmente l’Incarco in si portava.
Quando al fier (Irrion, quando .ad Anteo
Tolse il forte rampimi la vita c l’alma,
filando dell’ idra c ilei Icon neineo ,
Del cinghiale e del tauro ebbe la palma.
Fu sempre a parte d’ogni suo trofeo.
Ne lasciar volse mai la cara salma ,
Seguendo pur con pronte voglie amiche
Dell’invitto signor Falle fatiche.
S'armaro intanto per portar dell’oro
La ricca preda I naviganti audaci ,
Del primo sprezzator d’ Austro e di Coro
Quando a Coleo passò , fidi seguaci.
Vi andar di Leda i (igli , andò con loro
Teseo , andovv i il cantor dei boschi traci ;
E fra gli altri gnerrier dello stuol greco
Il gran figlio d’Almena, ed Ila seco.
Sorse di MIsla da buon vento scorta
Tra i verdi lidi la famosa nave,
Dove ferma sull’ ancora ritorta
Deposc de’ suol duci il peso grave.
Procaccia qui la giovenlude accorta
Per l’ amene campagne ombra soave.
Chi le mense apparecchia in sulle sponde.
Chi fa letto , o sedii d’ erbe c di fronde.
Ila dal caldo c dalla sete adusto
Cerca ove empir di gelid’onda un vaso.
Onde d’urna dorata il tergo onusto
Cola s’imbosca , ove lo porta li caso.
Crescer F ombre fa già dei folto arbusto
Il Sol, che ornai declina Inver l’Occaso;
Ed ei per tutto spia , se d’ ac(|ua sente
Alcuna scaturigine cadente. '
Ed ecco giunge, ove di musco e felce
Tutta vestita, e d’edera selvaggia.
Pendente costa di scabrosa selce
Gian parte adomlira dell’ aprica spiaggia.
Quinci i'onio c la quercia e l’ alno e Felce
Scacciano il Sol, qualor più caldo irraggia.
Spargendo Intorno dalla chioma oscura
Opacata di fronde alta frescura.
Quasi cor della selva , un fonte ombroso
Mormorando nel mezzo, il prato avviva.
Ed offre al peregrin fresco riposo
Ghiuso dal verde, alla stagione estiva.
Dal sen profondo del suo fondo erboso
Spira spirto vital d’aura lasciva,
E porge all’ erbe, agli arboscelli, al fiori
Per cento vene i nutritivi umori.
Sotto questa fontana a chiome sciolte
.Sul Ilei fitto meriggio aveano usanza
Le Napee del bel loco in cerchio accolte
Vaghe carole esercitare in danza.
Come Ila in lor le luci ebbe rivolte,
D’ inAanimarlc tra F acque ebbe possanta.
Onde nel vivo e Incido cristallo
Rotto nel mezzo abbandonato il ballo.
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♦
L'ADONE. 81
Come stella nel mar divella cade
Dall’ azzurro scren del cielo estivo,
U qual strisciaudo per oblk|ue strade
Fende II notturno vcl raggio festivo ,
Cosi la rara e singoiar belladc
Rapida ingiù dentro quel gorgo vivo ,
Precipitando tra le chiare linfe
Trovossi lo braccio alle gelate Ninfe.
Delle vezzose Dee l’ umida schiera
Consolandolo a prova, in scn l' asconde;
Driope , Egeria , Nicea , Nisa , Neera
Ciiasciugan gli occhi con le trecce bionde.
Ei la perduta libertà primiera
Piagne, e col pianto amaro accresce l' onde.
Ahi che disse 7 ahi che fc' per doglia insano
Dei mostri Intanto il domalor tehano7
Lungo il Pontico mar con più veloce
Cerca e ricerca ogni riposto calle.
Tien la gran mazza nella man feroce.
La libica faretra ha dalle spalle.
Ila, Ila tre volte ad alla voce.
Ila chiamò per la solinga valle;
Nò fuor clic un mormorio debile c basso ,
GII fu risposto dal profondo sasso.
Poscia che indarnuil suo ritorno attese.
Gemiti disperati al del discioise.
Di rabbiosi sospiri il bosco accese,
Delle stella, d’Amor, di sò si dolse.
Tisi , poiché le vele all' aura tese ,
Gl’ inditi eroi sull’alta poppa accolse.
Ercol restò con dolorosi strilli ,
Tapino amante, ad assordare i lidi.
Fra tante istorie, eh’ io ti narro c tante,
En punto principal non vo’ lacere.
Non essere in amor foglia incostante ,
Chi al primo soffio è facii a cadere.
Non essere alga in mar lieve c tremante.
Che pieghi or quinoi or q uiiMif il tuo volere.
Stabile ai venti , all’ onde, in te raccogli
La fermezza dei tronchi c dogli scogli.
Vago è del bello , c di ieggier s’ accende
Di duo begli occhi un giovinetto core.
Agitato vacilla , or lascia , or prende
Quasi camaleonte ogni colore.
Il pianeta volubile , che splende
Tra le fredd’ ombre del notturno orrore.
Tante forme non cangia incontro al Sole,
Quante egli in aòstampar sempre nesuole.
So che II ben si dilTonde e si diletta
Comunicarsi altrui per sua natura.
Ma chi giunge a goder l>eltà perfetta
Non deve esca cercar di nova arsura.
Alma gentile in nobii lardo stretta
Di pubblico giardin frutto non cura.
Perchè volgare c proiliga bellezza
Posseduta da molti è vii ricchezza.
Cosa non. è, che tanto un core Irriti
Quando Amor da ragion vinto si sdegna.
Quanto II vedersi i suoi piacer rapiti
Da mano ingrata, c )>er caglou men degna.
Tu gli altrui dolci e lusinghieri inviti
Fuggir (se hai senno) a |)iù poter t’ Ingegna
Perchè di te non faccia CItcrca
Quel che d' Alide fece un’ altra Dea.
Cibclc degli Del madre' feconda
Fu d’Ati un tempo Innamorata assai, . ,.
E degna u’era ben 1’ aria gioconda
Del viso, che avea bel come tu l’hai.
.Avea bocca purpurea e diioma bionda,
E sotto oscure ciglia ardenti rai.
Nè delle prime lane ancor vestita
La guancia vcrmiglietta e colorita.
Poscia clic degno il fe’, rii’ egli salisse
Della scala d’Amor sul grado e.strenio.
Tu vedi ben (più volte ella gli disse)
Siccom' io sol per te languisco c gemo.
Non far torto allo strai che mi traOsse , ,
Sol perchè troppo t’ amo, io troppo temo.
Alla giurata fè non far inganno.
Se non vuoi che il favor ti torni lo danno^
No no, diccail garzon, beltà non veggio.
Che mi possa adescar nei lacci suol.
Dal dì che aveste in questo core 11 seggio.
Per altri occhi languir non seppi poi. [gio
Qualunque, ovunque siami esser non do|^
Altro giammai che vostro, altro ebe voi.
Arderò, v’amerò (cosi prometto)
Finché avrò sangue in v cna,anima in petto.
Non molto andò , che per riposte vie
Vago di rifrigerio e di quiete.
Mentre nella più alta ora del die
Cercava umor per ammorzar la sete.
Stelle il guidare insidiosa e rie
In certe solitudini acerete.
Dove ombraggio cadca gelido e fosco
Dal folto crin d’ un taciturno bosco.
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8i MARINO.
Tra discoscosc e solitarie piagge
Volge gran rupe al Sol le spalle alpine.
Ombrai) la fronte sua piante selvagge ,
Quasi dell’ aspra testa Ispido erinc.
Per l'occliio di un canal distilla e tragge
Lagrime inargentale c crislalline.
Apre un antro le ranci a pi6del fonte
Quasi gran gola, c fa la bocca al monte.
Quivi a seder Sangarida ritrova
Un’ Amadriaile assai vezzosa c bella.
L’avviso della Dea poco gli giova.
La contempla furtivo, c non favella.
Scender si sente al cor dolcezza nova,
E gli lampeggia il cor coiu’ una stella.
Oravvampa, oragglilaccia, e trema come
De’ vicini ariioscei tremai) le cliiome.
Air on)bra del suo bel tronco natio.
Che lem|)csta di fior le piove in grembo.
Steso sul verde margine del rio
La vaga Ninfa ha della gonna il letnbo.
Ed og))i altro pensier posto in obblio ,
Coglie dal prato quel fiorilo nembo,
Dal prato, acni piti clic la nian non prende
Con larghissima usura il guardo rende.
Mentre all' errante crii) tenero freno
Di fior bianchi inanella, c di vermigli.
Si specchia , e con l’ umor chiaro e sereno
Par che tacitamente si consigli.
Ma co’ fior del bel viso c del bel seno
Perdo)) le rose assai , perdono I gigli.
E i fiati della bocca avventurosa
VIncon l’odor del giglio e della rosa.
Ciò fatto, nelle pure onde tranquille
Poiché Ita tre volte c quattro il volto im-
perlo labbra iiiafiì ardi fresche stille juerso
Fa del concavo pugno un nappo terso.
Ahi elle sugge ella umori , Ati faville ,
QuauluiKpicalibiano in Ciò fontediverso.
Della mano c dagli occhi a poco a poco
Mentre ch’ella bev’acqua , ei beve foco.
Fuor del lioschcttoalliuc 11 passo ci spin-
E dai centro del cor trasse un sospiro, [so.
Un sospir, che lo spirto in aura strinse,
E fu muto orator del suo martiro.
L’ una allor si riscosse, c l’altro tinse
La pura neve del color di Tiro.
Volea parlar, uva quasi ghiaccio al Sole
Venia ttteno la voce alle parole.
Alla leggiadra vergine dappresso
Si fe’ pur sospirando, e pur gemendo
Con si caldo desio nel volto espresso.
Che ne’ sospiri suoi cbiedea tacendo.
Ma così riverente c sì ditnesso.
Che ne’ guniti suol tacea chiedendo,
E spargea mille d’aurei strali armali
Fuor de’ begli occhi spiritelli alati.
Tosto eh’ a quella luce il volto volse.
Arse di pari ardor la giovinetta.
Depose I fiori, ed ei «|uel fior si colse,
CI)' ai seguaci d’ Amor tanto diletta.
Quando in letto odorifero gli accolse
La fresca molle c rugiadosa erbetta ,
Ne susurrar, iic bisbigliarle fronde,
E dolce mormorio ne fu tra l'oiide.
Ma la gelosa Dea, che il fallo ascolta
Di quel suo disleal , che l’ ba tradita ,
Tosto alle furie infuriala e stolta
Ricorre, e inconir’al giovine l’irrita.
Gi.'ì di srpiallide serpi il crine involta
\ibra le faci sue d’ Averno uscita,
E CO)) foco e con tosco ecco che Aletto
Gli cocc 11 core, e gli flagella il petto.
Ferve d’ insatta ed arrabbiala voglia
Di tartaree fiammelle Alide acceso, fglias
Spun>a, freme, il piè scalza, il manto spo-
.S1 lo strugge il veleii che il cor gli ha preso.
La feconda radice, oiid”uoui germoglia,
E Tuli e l’altro suo pendente peso.
Rei del suo mal, da gran furore indulto
Miser, di propria man si tronca in tutto.
Teslinionio pietoso al caso tristo
Fu dì Sinade allora iVvicin colle.
Che d' ogn’intorno rosseggiar fu visto
Del sangue del garzo)) rabbioso c folle.
Del sangue bel , che con la rupe misto
Tutto il sasso lasciò macchialo e molle.
Onde Frigia dipinti ancor Hlienc
I marmi suoi di preziose vene.
Per trarsi poscia a precipizio ascende
Ripida cima d'aspro monte alpino;
Ma mentre il) gii) Iraluicca e in aria pende
Co' piedi in alto,ccon la fronte al chino,
LaDea, che l’ ama ancor, pietosa il prende,
l.’alligge in terra, c lo trasforma in pino.
Ed pr da quel di pria cangiato tanto
In tenace licor distilla il pianto.
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Con queste fole e Tavolette avea
Del sommo Giove il messagger sagace
Persuaso il garzon ; nè qui ponea
Freno al garrir, novellator loquace.
Ma troncando |l cianciar, stese la Dea
La man di neve al foco suo vivace;
E parve II cor con un sospiro aprisse,
Mentre queste parole ella gli disse;
Adon cor mio , mio core , ornai serena
La mente ombrosa ,e lascia ogni al tra cura.
0 tre volte mio cor, deh, prego, afTrena
Quel desio di cacciar, che a me ti fura.
Nonfar, se m’ ami, che acquistata appena,
Perdano gli occhi miei tanta ventura.
Non voler dato a me, da me disgiunto
E ricca farmi , e povera in un punto.
Non sottopor de’ boschi ai duri oitraggi
,I.e delicate membra c giorno c notte.
I.asc^ a’ pili rozzi cori c più selvaggi ,
Delle fere il commercio c delle grotte.
Che ti giova menar tra I' elei e i faggi
Spezzati I sonni e le vigilie rotte?
E in ozio travagliato e faticoso
Inquieta quiete, aspro riposo?
«
Che ti vai la faretra ognor di strali,
E di mostri la selva impoverire?
Delle Dive celesti ed immortali
Bastiti co’ begli occhi il cor ferire ,
• Senza voler de’ rigidi animali
Con tuo danno e mio duol l’ orme seguire.
Perchè di questo scn denno le selve ,
E di me più felici esser le belve?
Soffrir dunque poss’ io, che dalle braccia
Rapila (oimè) mi sia tanta bellezza.
Per darla a tal, che con l’aniglio straccia,
E col dente ferisce , e la disprezza ?
0 crude fere , o maledetta caccia ,
0 ricetti d’orrore e di fierezza ,
Indegne di mirar luci si puro.
Contumaci del Sol , foreste oscure.
Possiate sempre le rabbiose strida , •
E I furori sentir d’ Euro baccante.
Fiero fulmine i rami a voi recida.
Sfrondi il crin, sfiori I fior, spianti le pian le. ^
Rigorosa secure in voi divida
Dall’amato arboscel l’ arbore amante ,
Siccome voi spietatamente il mio
Dividete da me , dolce desio.
85
Sovra tutto il timorm’ agghiaccia e coce
Della triforme Dea, eh’ è donna anch’ ella;
E sebben tanto incrudelì feroee
Nella misera sua già Ninfa, or stella,
( Lascio II suo loco al ver) corre pur voce ,
Che non fu sempre al mio hglluol rubella ,
E coprendo il piacer con la vergogna ,
Sa godere e tacer quando bisogna.
Ma siasi pur, qual i mortai! sciocchi
La fanno appunto e saina c casta ed alma.
Che fia,s’ egli avverrà, che il sen le tocchi.
Quello strai, elicali me portò la palma?
Fiamma di questo cor. Sol di quest’ occhi.
Vita della mia vita , alma dell’ alma ,
Sappi, che un raggio sol de’ tuoi sembianti
Può romper marmi c caicinar diamanti.
Risponde Adone : 0 caramente cara ,
Certo a me quanto cara, ingrata sei.
Se creder puoi , che possa (ancorché rara)
Altra beltà di me portar trofei.
Il Sol degli occhi tuoi sol mi rischiara.
Occhi più cari a me , che gli occhi mici.
Là si gira il mio fato e la mia sorte ,
Essi son la mia vita c la mia morte.
Benché tutto di luci il del sia pieno.
Solo il Sole è però , che il mondo alluma.
Non ha più face Amor per questo seno.
Sarò qual sono al foco ed alla bruma;
Di si dolce fontana esce il veleno ,
Che dolcissimamcnte mi consuma.
Giunga il mio corso a riva o presto, o tardo.
Vivrò qual vivo, ed arderò coni’ ardo.
Ma se costume e naturale istinto.
Che di fere affrontar mi dà baldanza.
Dalla beltà ,.che m’ha legato e vinto,
Talor di desviarmi avrà possanza.
Non te ne raglia no, eh’ a ciò son spinto
Sol dall’ antica e flileltosa usanza.
Nè sdegnar te ne del , chè chi ben ama
Il piacer del suo amor seconda e brama.
Non sia prodigo Amor, perchè talora
Suol^H cibo abborrir sazio appetito.
P»^l’ liso in disprezzo, e spesso ancora
diletto è men gradilo.
Nè si aspettato e desiato fora
S’ Aprii d’ ogni stagion fusse fiorilo.
Sempre quel eh’ è vietato e quel eh’ è raro.
Più n’ invogliali desire, c più n’è caro.
L’ ADWE.
li
8({ MARINO.
Non eh' io (T amarti o fastidito o stanco
Possa aver mai di te t’ anima sgomlira ;
Anzi quando il tuo Sol mi verrà manco.
Sarò qual cici, eui fosca iiolle adombra,
Sena’ ocelli in fronte e senza core al fianco.
Sena' alma un corpo e senza corpo un' om-
Ma se questo è destili, porta il dovere, [bra.
Che quel die vuole il Ciel, rogU volete.
Soggiunse allor Ciprigna: Assai di questo
Il saggio Dio del Nilo oggi t'ha detto.
Ma per darti a veder più manifesto ,
Che non fuor di ragione i il mio sospetto ,
Vo'clie tu miri il giiiderdon funesto.
Che dà Diana a ciascun suo soggetto.
Molto move l' esempio , e per la vista
Maggior, che per l' udir, fede s' acquista.
Qui tace, e poi di quella torta scalar
Che di mezzo al corti! gli ardii distende.
Gli eburnei gradi , onde si monta c cala.
Preme, c col bell' Adone in alto asconde.
Qui per cento fciiestre immensa sala
Di polito cristallo il giorno prende,
K in un bel quadro di musaico terso
La figura contien dell' universo.
Per qua Uro porte a’qoattro venti esposte
S' entra,etuttesond'orschiettoe forbito.
Ha quattro mura, le cui ricche croste
Del fondo interior celano il sito.
Nelle facciate tra sè stesse opposte
L'ordiu degli elementi ù compartito.
Ed a ciascun nella sua propria Sfera
Ogni pesce, ugni-augcilo ed ogni fera.
In ogni spazio v' ha quel Dio ritratto.
Che di queir elomciito ha sommo impero,
E ciascuno elemento è sculto c fatto
D' una materia somigliante al vero.
Vermiglio il foco è d'un rubino intatto.
Ceruleo l'acre è d' un zaffir sincero.
Di smeraldo ridente c verdeggiante
Fatta è la terra, e l’acqua è di diamante.
Nell' ampio tetto un del sereno è finto.
Opra maggior non lavorò Ciclopo.
Appo tante e tai gemme, ond' è distinto.
Povero è l’Indo c scorno lia l’Ctiopo.
Tutto di smalto, in mezzo 6 di giacinto.
Dove in fonila di Sol raggia un piropo.
Di crisoliti intorno e di baiassi
Spicndon di stelle invece, alti compassi.*
Veder si può d’ ogni lumiera ardente
Il fermo stato e il peregrino errore.
Vi ha quel co’ mostri suoi torto c serpente.
Che Ire cerchi contien, cerchio maggiore.
Vi ha I' uno e 1' altro tropico lucente.
Che del lume c deli’ ombra adegua'n l'orc.
Vi ha gli altri duo, che girano congiunti
Co' duo fissi dell’ orbe estremi puntL
Vi ha l'cquator la cui gran linea eguale
Tra le quattrocompagne in mezzoè posta.
Di cui r estreme due 1' una all’ australe,
L’ allraal confiu di Borea è troppo esposta.
Ilavvi degli alti Dei la via reale.
Di spesse stelle e pìcciole composta.
Lo cui candor, che il ciel per mezzo fende.
Da Gemelli al Centauro il tratto stende.
Nel centro della sala un vasto Atlante
Tutto d’ un pezzo di diaspro fino
Sostien la volta, c ferma ambe le piante
Sovra un gran piedistallo adamantino,
E sotto r alta cupola pesante
Stassi con tergo curvo e volto chino.
Tutto quel ciel, che si ripiega iu arco.
Appoggia a questo i! suo gravoso incaico.
La notte intanto al rimbombar de’ baci
Invida quasi In ciel fece ritorno ;
E portala da lievi ore fugaci,
E di tenebre annata uccise il giorno.
Il feretro del Sol con mille faci
Le stelle amiche accompagnaro intorno;
E il mondo pien di nebbie, e d'ombre tinto
Parca fatto sepolcro al lume estinto.
Occupa il campo poi del pavimento
La region del Tartaro profondo,
Cile a fogliami di gitto ha un parlimento
Fatto d’or fino, e dilatato in tondo;
E quivi in atto tal, die dà spavento.
Vedi si il re del tenebroso mondo.
Seco ha l’ orrido Dee di Flegelonte ,
Cui fa pompa di serpi ombra alla fronte.
Erano I cari amanti entrati appena
L’ un l’ altro a braccio in<|uclla sala altera,
Qnand' ecco aprirsi una dorata scena,
Cli' emula al giorno illuminò la sera.
Fora di luce c di or men ricca e piena.
Se s' aprisse, cred' lo, la quarta sfera.
Selve, statue, palagi agli occhi offerse
La cortina rcal quando s’ aperse.
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L’ ADONE. 87
Spciucolo geiuil Mcrcnriolii questa
Presentar vuol* al furtmiato Atlonc.
Mereitrio èqnci, rliei personaggi appresia.
Eli esercita c prova ogn' istrione ;
ciascun d' essi in lieta pane o mesta
Secondo l’altitmiine dispone.
Nè seco già di recitar consente
Turba volgar di mercenaria gente.
L’invenzione, la favola, il poema,
E i' ordine e iì decoro e 1' armonia,
Delia tCiigedia sua stendono ii tema.
La facezia, l’arguzia e 1* energia.
L’ elof|ucnza è l' artefice suprema ,
Sovraslaiiic con W la poesia.
Seco il minierò, il metro c la misura
Sì prcndon della musica la cura.
Datisi alla coppia bella I seggi d’ oro,
Donde quanto si sa tutto si scern*^
Ed ecco il primo nscìr di tutti loro
Il pertalor dell’ ambasciate eterne,
Che a spiegar l'argomento in stil canoro
Mostra venir dalle magìon superne,
E il soggetto proposto c persuaso
É d’ Altcone il miserabil caso.
'Ed Altcone ai prologo succede.
Che vien con archi c dardi e cani e comi,
E da molti scudier cinto si vede
Di spiedo armati e nobilmente adorni ;
E mentre di’ ei delle selvagge prede
Parte d’ essi a spiar manda i soggiorni ,
E squadra i passi, cd ordina la traccia,
('.on diverse raglon^oda là caccia.
Ed ecco ad un squillar d' avorio torto
Sbucar repente da cespugli e vepri
Di mansncic fere Adone ba scorto
Più d' uno stuol tra mirti e tra ginepri;
E dal palco saltar con gran diporto
Damme e camozze e cavriuoli e lepri,
E parte della Dea fuggirà al lembo,
E parte a lui ricoverarsi in grembo.
Ma poco stante si dilegua a volo
La caccia, e nova elligìe il palco prende,
Perchè librato in un voinbii polo,
Sè stesso In su quel cardine sospende.
Lo qual In giro, e ben confitto al suolo
Volgesi agevblmcnto,OT poggia,or scende,
E il mobii peso sno portando Intorno,
Viene alfine -a serrar corno con corno.
Come congiunti In un sol globo il mondo
Due diversi cmispcri Insieme lega ,
Per P orizzonte, che dal sommo al fondo
La rota universal per mezzo sega ;
Cosi l’ordigno, che si gira in tondo
Varj teatri in un teatro spiega ;
Se non che dove quel n’ abbraccia duo.
Questo più ne conticn nel cerchio suo.
Sicché qualunque volta un novo giòco
Agli occhi altrui rappresentar si vuole.
Fa mutar faccia in un istante ai loco
L’ orbiculare e spaziosa mole,
Ch' entro concava vite a poro a poco
Senza strepito alcun mover si suole,
E con tanto artifizio or cala, or sorge.
Che r occhio spettator non se n' accorge.
Reggon r opra maggior vaij sostegni ,
E correnti e pendenti ed asse e travi,
E di bronzo'beii saldo armati legni ,
Dure catene e grossi ferri e gravi ,
E con argani mille c mille ingegni
Del medesmo metallo c chiodi e chiavi,
E quest' ordine a quel si ben risponde.
Che nel numero lor non si confonde.
Ed or che per cacciar dai verde prato
Il tebano garzone il piè ritira.
Tosto che sul gran rertìce forato
li ferrato baston mosso si gira ,
Cangia sito la scena, c l'apparato
In altro aspetto trasformar si mira;
Ed al cader della primiera tela
Differenti apparenze altrui rivela.
Spelonche opache v* ha, foreste amene.
Piagge fresche, ombre fosche e chlarifon*
Vivi argenti colà sparge Ippocrene, [ti.
Qui Parnaso bicorne erge due fronti.
Con le sue dotte c vergini Sirene
Discende Apollo da que’ verdi monti.
Imitando quaggiù vaghe e leggiere
Le danze, che lassù fanno le sfere.
Oascuno accorda all'oigano, che tocca,
I passi e I salti in un, gli alti e le note,
E con la man , col piede e con la bocca'
L'aurea un punto eie corde e il suol perco-
Finito il ballo, hi un momento scocca [te
II magistero deir occulte rote,
E volgendosi il perno, a cui s’ appoggia,
Riveste il pMco di ooveOa foggia.
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88 MARINO.
Dopo il primo intermedio un’altra volta
Yidesi il bosco, e quivi Cinzia apparse,
Che venne stanca alla verd' ombra c folta
Della valle Gargalìa a rinfrcscarse-,
E d' ogni spoglia sua discinta c sciolta,
Lavò le membra affaticate ed arse;
E tra le pure e cristalline linfe
SI stette a divisar con l’ altre Ninfe.
Gira la scena, e in un balcn girando
DI centauri guerrler piena i la piazza;
Chi d’ acuto trasier la destra armando.
Chi d' asta lieve, e chi di grave mazza.
Salvo in braccio lo scudo, in armeggiando
Non han, che copra il resto, elmo, ocoraz-
Grida la tromba in bellicosi carmi: [za.
Alla guerra, alla guerra,airanni, aU'armi I
fìià parcliecon furor l’un l'altro assaglia.
Gii già par che di sangue II suol si sparga.
Armonica e per arte è la battaglia.
Or s'intreccia, or fa testa, ed or s’ allarga.
E mentre contra quel, questo si scaglia.
Fan cozzar clava a clava, e targa a targa.
E battendosi a tempo or tergo, or petto.
Fan di mezzo all’ orror nascer ddetto.
Mentre Adone al bel gioco è tutto intento
Amor pietoso a rinfrescarlo viene ,
E gli reca una d’ oro, una d'argento
Coppe d’ ambrosia e nettare ripiene.
Ei quanto basta al debito alimento
N’ assaggia sol per ristorar le vene,
Ch’ altr’ esca, onde maggior gusto riceve.
Pasce con gli occhi, e per l’ orecchie beve.
Nell’ atto terzo in sul girevol fuso
La maccliina versatile si volve,
E ritorna Atteon sparso e diffuso
Il volto di sudor tutto c di polve;
Onde di dare al veltro ed al segoso
Alquanto di quiete alfin risolve.
Coglie le reti, c nell' ombrosa c fosca
Selva per riposar solo s’imbosca.
Or Ira i confìn di questo e dell’ altr’ alto
Non nien bd si frappon novo intervallo.
Ondeggiar vedi un mar, non so se fatto
Di zaffiro, o d’argento, o di crislailo,
E le sponde vestir tutte in un tratto
D’ alga e di iimo c d’ ostro e di corallo,
E tremar Tonde con ceruleo moto,
E delfini guizzar per entro a nuoto.
Fi quinci e quindi per i’ instabii campo
Spiegar turgide vele antenne alate.
Urlargli sproni, econ rimbombo e vampo
Venir in pugna due possenti annate.
Di Giove intanto il colorato lampo
Listando II fosco elei di linee aurate,
Fa per T aria vibrar con lunghe strisce
Mille lingue di fiamma oblique bisce.
Folgora il cielo, e folgoran le spade ;
Gonfiansi T onde tempestose e nere.
Ed acqua e sangue per I’ ondose strade
Piovon le nubi, e piovono le schiere.
Chi fugge il ferro, e poi nel foco cade.
Chi fugge il foco, e poi nell' acqua pere.
Chi di sangue e di foco e d'acqua asperso.
More ucciso in un punto, arso e sommerso.
Tale è la guerra e la procella e il gelo.
Che agguagliato è quel eh’ è da quel che
Ma in breve poi rasserenarsi il cielo [pare.
Vedi, e in un punto implacidirsi il mare.
Ed Iri il suo dipinto umido velo
Stender per Paure rugiadose c chiare.
Spariscon le galee, svanisce il flutto,
Struggesi l' arco, e si dilegua il tutto.
Ciò fatto, il bel teatro ancor si chiude.
Poi si vede sgorgar vaga fontana ,
Dove tra molte sue seguaci ignudi*
Stassi Attcone a vagheggiar Diana :
Ed ella con le man leggiadre e crude
Gli toglie dopo il cor la forma umana.
Con pelo irsuto e con ramose corna
Il miser cacciator ccevo ritorna.
Nel fin di questo in un azzurro puro
All’ improvviso il ciel si discolora,
E fregiando d' argento il campo oscuro.
Con le stelle la Luna ecco vico fora.
Poi dando volta il neghittoso Arturo,
Col giorno a mano a man sorge l'.Aurora.
Vero il Sol crederesti, e vera I’ alba.
Che le nebbie rischiara e T ombre inalba.
S'alza il palco di sottoa un tempo istesso,
E mezzo anfiteatro in giro spande.
Prospettiva superba appare in esso
Con ricca mensa c sontuosa e grande,
FI vi ha de’ sommi Dei tutto il consesso
Con tal pompa d'arnesi e di vivande.
Tanto tesor, tanto splendor disserra.
Che sembra appunto il del calatolo mi ra.
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1/ ADONE. «n
Concerto allor di music! concenti
Da basso incombM^ò, d’ alto e da lato;
E concordi s' udir varj Istromcnll , [to.
Qual da man, qual da gain ha, e qual da da-
Ed acuti e veloci e gravi e lenti
Alternar versi al pasteggiar beato,
E rispondersi lasieme in^niolli cori
Mute di Ninfee sinfonie d' Amori.
La notte il sesto grado avea fornito
Della scala, onde poggia all’orizzonte.
Quando da cani e cacciator seguito
^mpan'e il cen o, attraversando il monte.
Ma più non potè Adone istupidito
Sollevar gli ocelli, o sostener la fronte.
Onde In grembo a colei, clic gli è vicina,
Sovravvinlo dal sonno. Il capo inchina.
In quella guisa, che dal primo Sole
Tocco talor papavero vermiglio.
Piegar la testa sonnacchiosa suole,
E tramortire infra la rosa e il giglio;
Abbassa in braccio a lei, che non si dolc
Di tal incarco, addormentato il ciglio ; '
Nè certo aver potea questa, nè quello
Peso più dolce, nè guancial più bello.
Questa fu la cagion, che non potco
Della tragica strage il lin sentire.
Nè con che strazio doloroso e rea
Venne sbranalo II giovane a morire.
Nè d’ Autonoe i lamenti c d' Aristeo,
Nè deir antico Cadmo I pianti udire, '
Cbè la pietosa Dea, che in scn l'accolse,
Inflno al novo di destar noi volse.
Già richiamava i corridori alali
Al giogo, al morso il porlator del lume,
E già desta dal suon de’ freni aurati ,
E serena e ridente oltre il costume ,
La nutrice bellissima de’ prati
Sorta era fnor delle purpuree piume
Ad allattar de’ suoi celesti umori
L’erbc e le piante, e nelle piante! fiori.
Quando svegliossi Adone, e si s’accorse,
Cbe già chiaro i balconi il Sol feriva.
Si terso I lumi col bel dito, c sorse
Da Mercurio invitato e dalla Diva.
La bella Cìterea la man gli porse,
E per la via, che nella corte usciva,
Menollo in un giardin , presso il cui verde
Degli Elisi beati il pregio perde.
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!M)
MARINO.
GAmO SESTO.
IL GIARDINO DEL PIACERE.
ALLEGORIA.
Sotto la figura del Giardino ci vicn rappresentato il piacere. Neiie cinque porle
si sottintendono i cinque sentimenti dei corpo. Nel cristallo , e nel zaffiro della
prima porta si signiOca la materia dell'occhio, che è l'organo della vista. Nel cedro
della seconda il senso dell' odorato. Nella favoletta del pavone si dinota la maravi-
glìosa fabbrica del firmamento. Ama la colomba , perciocché siccome in elTetto
questi due uccelli ( secondo i naturali ) si amano insieme , cosi tutte le luci superiori
sono mosse e regolate dal divino amore. L trasformalo da Giove, perché dal
sommo artefice Iddio ebbe quello (come ogni altro cielo) la materia e la forma.
Kingesi servo d' Apollo , e da lui gli sono adornate le penne della varictA di tanti
occhi , per essere 11 Sole vivo fonte originale dì tutta la luce , che poi si comunica
alle stelle. Ne' diversi oggetti , passatempi e trattenimenti piacevoli si adombrano
le voluttà sensuali.
ARCOMESTO.
Al Giardio del Piacer col giovinetto
Scn va la Dea dell' amorosa luce.
Per le porU; de' sensi Indi il conduce
Di gioia in gioia ali' ultimo diletto.
Armi il petto di gel chi vede Amore
.Saettar foco e ferir l'almc a morte,
K della rocca fragile del core
Difenda pur le mal guardate porte ;
Né del crudele c perfido signore
V introduca giammai le fiere scorte,
Ghe Insidiose a chi non ben le serra,
.Sotto vista di pace apporlan guerra.
Chi da quest' empio e dalla carne infida
larndur si lascia infra perigli errante ,
K ipial cieco, che il can prende per guida,
Segue del senso le fallaci piante.
Se avvien poi ch’egli raggia, o che l'occida
r.hl per torto senlicr lo scorse avanlc ,
Non si lagni d’altrui, ina di sé stesso.
Glie il fren d’ ogni sua voglia in man gli
ha messo.
t. ver che da sé soia a ciò non basta
Nostra natura inferma e indebolita ,
Quando anco il gran Dottor, l'anima ca-
Uello spirto di Dio tromba gradita, [sta.
Per schermirsi da tal, clic ne contrasta,
tCbbe mestier di sovrumana aita-.
Né degli assalti suoi può fedcl alma
Senza grazia divina acquistar palma.
Ma vuoisi ancor con studine con fatica
Schivar quel dolce invito, esca de’ sensi.
Perché della domestica nemica
Sol con la fuga la vittoria olliensi;
E chi fuggir non sa questa impudica
A rischio va di precipizi immensi.
Dove caduta poi l’anima sciocca
D’ una in altra follia sempre trabocca.
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L’ ADONE. 01
Questa Ma donna chp importunae tenia
Adam per far die gusti esca interdetta ;
La meretrice che in priglon tormenta
Giuseppe il giusto, ed a peccar l'alleila.
Questa è colei die Sisara addormenta,
E per tradirlo sol seco II ricetta;
La disleal die pria lusinga e prega
Il malcauto Sansone , e poi lo lega.
Questa t la Delsabea per cui s'inchina
Il buon re d'Israele ad opra indegna ,
Questa è di Salomon la coiieubina,
Cile roliemenle idolatrar gl'insegna.
L'Infame Circe , la proterta Aldilà ,
L’Armida che sviar l'almc s'ingegna;
La Vener che loiitan dalla ragione
Al Giardin del Piacer conduce Adone.
' Infiora il lembo di quel gran palagio
Spazioso giardin , inirabii orto.
Miseria mai , ut; mai vi entrò disagio ,
Vi han delizie ed amori ozio e diporto.
Coli senza temer fato malvagio
Venere bella il bel faneiullo ha scorto,
Caugiando il del con quel felice loco, t
(die sembra il cielo, o cede al del di poco.
Non pensar tu, che senza alto disegno
;Dissc volto Mercurio al bello Adone]
Fondata abbia Ciprigna entro il suo regno
Questa si vaga c florida magione ;
(diò intelletto divin, celeste ingegno
Nulla a caso giammai forma, o dispone.
Misterioso il suo edificio tutto
A sembianza dell' uomo ò qui costmtto.
Del corpo iiman la nòbile struttura
In se medesma ha simetria cotanta.
Che è regola infallibile c misura [ta.
Di quanto il del con l'ampio tetto amman-
Tal fra gli altri animali il fe' natura,
Che solo siede, e sol dritto si pianta;
K come l' alma eccede ogni altra forma.
Cosi d' ogni altro corpo il corpo è norma.
Le meraviglie che comprende c serra.
Non son possenti ad agguagliar parole.
Nè nave in onda, nè palagio in terra.
Nè teatro, nè tempio è sotto il Sole, [ra
Nè vi ha macchina in pace,ordigno in guer-
Che non tragga il model da questa mole.
Trovano in si perfetta ardiitcttiira
11 compasso c lo squadro ogni figura.
Miraeoi grande, in cui con piena Intera
Giove dni doni suol versò l' eccesso;
Della diviniti sembianza vera,
Iniagin viva e simulacro espresso.
Quasi in angusta mappa immensa sfera.
Fu l’ universo epilogato in esso.
Tien sublime la fronte, alte le ciglia.
Sol per mirar quel del che l’ assomiglia.
-^distinto in tre parli il maggior mondo,
L' una è dei sommi Dei, che in allo stassi.
Delle sfere rotanti hanno II secondo
Loco le lielle e ben disposte classi.
Hitien l' idiinio sito e più profondo
La region degli elementi bassi.
E quest' altro minor che ha spirti c sensi.
Ben di proporzion seco conviensi.
Sostien la vece del sovran Motore
Nel capo eccelso la virtù, che intende.
Stassi a guisa di Sol nel mezzo 11 core.
Lo qual per lutto il suo ralur distende.
Il ventre nella sede inferiore
Qual corpo sublunar, varia vicende.
Così in governo c nutrimento e vita
Questa casa animata è tripartita.
Son cinque corpi il cielo e gli elementi
E pur dei sensi il numero è si fatto.
L'orbe stellato di bei lumi ardenti
t della vista un naturai ritratto.
Son poi tra lor conformi e rispondenti
L’ udito all' acre, ed alla terra il tatto.
Nè par che meno in simpatia risponda
L' odorato alla fiamma, il gusto all’ onda.
Potea ben la divina Onnipotenza
Con queir istesso suo lienigno zelo.
Con cui pose nell' uom tanta eccellenza
Donargli ancora incorrultibll velo;
E di quel puro fior dì quinta essenza.
Onde non misto è fabbricato il cielo.
Come simile al del la forma veste.
Di materia comporlo anco celeste.
Ma però eh’ egli a specolare è nato,
E convìen, eh' ogni specie in lui riluca,
E che al chiaro Intelletto, ond’ è dotato,
I fantasmi sensibili conduca.
Non dovea d' altra tempra esser formato.
Che dell’ elemenlar, benché caduca.
Per far di quanto intendo e quanto sente.
Prima il senso capace e poi la mente.
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02 MAHINO.
bi lutto il bri lavor, clic con (ani' arte
Urna dell’ uomo il magistero immenso,
Sono I nervi istromenti , onde comparte
I.o spirtoai membri il mnvimcntoc il srn-
Altri molli, altri duri, in ogni parte [so,
Ciascunoi tempre al proprio uniciointen-
Ne può seiu'essi alcuno itto eseguire [so,
I,a racoltà del moto, o del sentire.
Or tratti avantc, e ne vedrai gli eOetti,
E dirai, die a ragion Vener si mosse
A far die il loco sacro a' suoi diletti
Dell’ esempio del tutto cseiii|>io fosse.
Qui tacelte Cillenlo, c con lai detti
ballo suipiire il giovane riscosse.
Che dell' orto gioioso era in quel punto
Già del primo sogliarc entrato e giunto.
Nell' orlo in cinque portici diviso
ban cinque porte al peregrin I’ entrata,
E da tin custode In su la soglia assiso
La porta d'ogiii portico è guardata.
S’entra per ogni porta in paradiso ,
Laddove un giardinetto si dilata ,
Talché di spazio egiial tra sè vicini
Gouticn un sol giardin cinque giardini.
Cinque giardin la dilcttosa reggia
Nelle sue cinque torri inclusi abbraccia ,
Sicché da' suoi balcon lungo vagheggia
Differente un giardin per ogni faccia ,
Conflne un muro,ognl giardinoombreggia.
Che stende linea in fuor di mille braccia.
Questo in quadro si chiude, e in mezzo lassa
Porte, onde l’ un giardin nell’ altro passa.
Ai due felici amanti immantitiente
Fecesi ineontrn il giardinier cortese,
E con sembiante affabile c ridente
Adon raccolse e per la mano il prese.
Ben venga, di.sse, il vivo Sole ardente.
Che alla nostra reina il core accese.
Dritto fia ben, che degli alberghi nostri
Nulla si celi a hii, lutto si mostri.
Dimmi (al nunzio di Giove Adon conver-
Dimmi, disse, ti prego, o cara scorta, [so’
Con l’ animai di vaghe macchie asperso
Che vuol dir questa guardia e questa por-
Quel fanieliroaugel, quel vetro terso, [ta?
E quel vario vestir che cosa importa?
Suo stranio arne.se e sua sembianza ignota
Io saprei volentier ciò che denota.
Risponde l’ altro : Le più degne e prime
Parti di tutta la sensibii massa
L’occhio siccome principe sublime
In gloria eccede , in nobiltà trapassa ,
Chi posto della rocca in su le cime
Ogni membro volgar sotto si lassa ,
E dove il tutto regge e il tutto vede.
Tra la plebe de’ sensi alloro siede.
Siede eminente, e di ogni senso è duce,
E certo il gran Fattor tale il compose.
Che è tra quelli il miglior, si per la luce ,
Che i tra le qualità più preziose.
Si per la tanta e tal, che ognor produco.
Varietà di colorate cose ,
Si per lo modo ancor spedilo c presto
Dcjroperazion, che intende a questo.
Ciascun canton de’ quattro innanzi spor-
Una torre angolare in su ia punta, [ge
E la qiiiiila Ira lor nel mezzo sorge
Si che oltre il muro la cornice spunta ;
• E, come dissi, a dritto 01 si scorge
Torre da torre egualmente disgiunta;
E con giusta misura arte leggiadra
lo non so come, ogni giardino inquadra.
Perchè senza intervallo, o nnìlar loco
Giunge in istante ogni lontano oggetto.
Talchi negli atti suoi si scosta poco
Dalla perfezion dell’ intelletto ;
Onde se quel viepiù che vento, o foco
Rapido e vago, orcliio dell’ alma è detto.
Questo, che i di Natura opra si bella ,
Intelletto del corpo anco si appella.
Della porta del portico primiero.
Che è di cristallo c di zallir contesta,
Vivace c nobii giovane è l’ iisriero.
Di diverso color s|iarso la vesta.
Un avoltolo in pugno ed un cerviero
Si tiene a pii da quella parte c questa ,
Un spcccliio ha innanzi, e nello scudo in-
La generosa, che nel Sol s’ affisa, [elsa
Perl’ occhio passa sol, per l’ occhio scen-
Qualunqiie ralnia imnoagine riceve, [de
E di quanto ella vede e quanto intende
Quasi l’obbligo tutto all' oerliio deve.
L’ occhio, come apesuol checoglie e pren-
I più soavi fior leggiadra e lieve, [de
Scegliendo il bel della beltà che scorge ,
Air interno cciisor l’arreca c porge.
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L’ADONE. 93
Dalle fonti del cercliro natie ,
Onde hanno i nervi origine e radice,
l'n sol principio per diverse vie
Di due stretti sentier due iinee elice,
Quindi del lutto esploratori e spie
Traggono gli occhi ogni virtù motrice;
E quindi av\len (come per prova è noto}
Ohe move ambo in un punto un stesso
[moto.
Lubrico e di materia umida e molle
Oueslo membro divin formò Natura,
l’ercbi ciascuna impression , che toUe ,
Possa in sé ritener sincera e pura.
Pcrciiò voibbii sia, donar gli volle
Orbicolare e sferica flgura ;
Oitre che in forma tal può meglio assai
Franger nel centro e rintuzzare i rai.
(ili spirti unisce alla pupilla, e spira
Dalia gemina sfera il raggio vivo,
tihe in piramide aguzza, ovunque il gira
Si stende fuor del circolo visivo.
La specie Intanto in sò di quel che mira
Ritrae come suol'ombrao.specchio o rivo,
(>>sì nell’ occliio, mentre il guardo vago
Esce dalla potenza, entra l'imago.
I ih quanto siudio,oh quanta industria mise
Qui r eterno Maestro ; oh quante accoglie
Vene, arterie, membrane, c in quante gui-
Sotlìli aragne e dilicale spoglie. [se
Per quanti obliqui muscoli divise
Passano c quinci e quindi e fda c foglie.
Quante corde diverse e quanti c quali
Versano l'occhio ed angoli e canali.
Di tuniche e d’umori in varj modi
Ravvi contesto un lucido volume.
Ed uva e corno, e con più reti e noti
Vetro insieme congiunge, acqua ed albu-
Che son tutti però servi c custodi [me.
Del cristallo, onde sol procede il lume.
(Uascun questo difende e questo aiuta.
Organo principai della veduta.
L’ Immortai Provv idenza acciocché espo-
Siameno aì danni dell' olTeSeesterne, [sto
Gli ha dato in un ricovero riposto
Sotto l'arco del cìglio ime caverne.
Per siepi e propugnacoli vi lia posto
Palpebre infaticabili ed eterne ,
Sul perchè il batter lor continuo e ratto
Dagli umani accidenti II serbi intatto.
Ed a guisa dì Sole, acclocclié aprisse
Emulo all'altro, al picdol mondo il giorno.
Qual corona di raggi , anco vi aDìssc
Sottilissime sete intorno intorno.
Nel curvo globo l' iride descrisse.
Che ha di smalti celesti un fregio adorno;
E temprati di limpidi zaffiri
Vi dipinse nel mezzo I sommi giri.
Questi dell' alma son balconi e porte ,
Indici fidi , oracoli veraci ,
Delia dubbia ragion sicure scorte
E dell' oscura niente accese faci.
Son lingue del pensier pronte ed accorte,
E del muto desir messi loquaci;
Gerogliflci e libri, ove altri potè
De' secreti del cor legger le note.
Vivi specchi sereni , onde traspare
Quanto il cupo del petto in sé ristringe ,
E dove in guise manifeste e chiare
Ogni suo alTetto I’ anima dipìnge.
I ridenti piacer, le doglie amare
Vi scopre, or d'ira, or di pietà gli tinge ;
E [ciò che è più) visibilmente in essi
Son del foco d’ .\mor gl' incendi espressi.
E perclié il primo strai, che avventi l’arco
Di (|uell’ alalo arder, dagli occhi viene.
Per questo il primo grado, il primo varco
Del Giardino d' Amor la vista ottiene.
Quinci potrai, giù d' ogni dubbio scarco,
II mistero, cred’ io, comprender bene
Del ministro gentil , che guarda il vallo.
Degli augei , della fera c del cristallo.
Ciò detto, per incognito sentiero
Laddove allrtd vestigio il suol non serba.
Ma serba il prato entro il suo gremivo inte-
Intatto il flor, inviolata l’erba. [ro
Culi dentro io scorge, ove al verziero
Fa corona il gran muro alta e superba,
E di pietre si lucide la tesse.
Che tutto il bel Giardinsi specchiaio esse.
Per lungo tratto a guisa di corona
Da ciascun danco il bel Glardin si spande.
Dove in ogni stagion Flora e Pomòna
Guidano danze e trecciano ghirlande.
Il muro Principal , che le imprigioga ,
Tetto ricopre a meraviglia grande ,
Sostenuto da un ordine leggiadro
D’ alto colonne e compartito in quadro.
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94
MARINO.
Da quattro gallerie per quattro grate ,
Cbe cancelli ban d’ or fin, s' esce negli orti,
Dove prendono ognor schiere beate
Di Ninfe c di paslor varj diporti ,
E passando in piaceri un’ aurea etate,
Fanno giochi tra lor di tante sorti ,
Quante suol forse celebrarne appena
Nelle vigìlie sue la bella -Siena.
Fornian parte di lor, sedendo sotto
Gran tribuna di fronde, un cerchio lieto,
E l'un all' altro susurrando un motto
Dentro l'oreccbie taciturno e cheto.
De' suoi chiusi pensicr non interrotta
Scopre a chi più gli piace ogni secreto.
Con questa invenzion chieste c concesse
Si patteggian d' Amor varie promesse.
Parte in gioco più strano c più diverso
Dispensano del di i'orc serene.
Nel molle grembo il capo in giù converso
Vaga donzella d' un garzon si tiene.
Ciascun altro la man, eh' egli a traverso
Dopo il tergo rivolge , a batter viene ,
Ni solleva ei giammai la testa china,
Sè chi battuto I' ha non indovina.
Odesi di lontan scoppio di riso.
Quando per legge di colui che regna ,
Di bella Ninfa perditricc il viso.
Che in foco avvampa, col carbon si segna.
Altri più dolci e con più saggio avviso
Trac dal trionfo suo spoglie s'ingegna.
Chi con un bacio in bocca, o su la gola
Vuol che il perduto pegno ella riscola.
Chi con le carte effigiale in mano
Prova quanto Fortuna in terra possa ;
Chi le corna agitate in piccioi piano
Fa ribalzar delle volubii ossa;
Chi con maglio leggier manda lontano
L' eburnea palla ad otturar la fossa ;
Chi poiclii dal cannel le sortì ha tratte.
Sul tavoUcr le tavole ribatte.
Van le vergini belle a schiera sparle
Scalze il pii, scinte il seno e sciolte ilcrine,
Rozza incoltura in lor, beltà senz' arte
Fa dell' anime altrui maggior rapine.
Parte per l' erba va scherzando, e parte
Tra le linfe argentate e cristalline.
Parte coglie viole ed amaranti
Per farne dono ai fortunati amanti.
Quella danza tra' fior, questa incorona
Di rose il crine al bvorito amico.
Questi canta d' Amor, quegli ragiona
Con la sua donna in un boschetto aprico.
Alcun ve II' ha , che scritto in Elicona
Legge amoroso alcun romanzo antico,
E i versi espone In guisa tal , che quasi
Sotto gli esempi altrui narra I suoi casi.
Altri nel cavrioi rapido c snello
Al veloce Icvrier la lassa allenta.
Altri da' geti sciolto, e dal cappello
Cainlro la garza il girifalco avventa.
Altri più lieve c più minuto augello
Con più sottile Insidia ingannar tenta ,
Tendendo, acciocché preso ci vi rimagna.
Pania tenace, o dilicata aragna.
Nè vi' manca però fra que' diletti
Chi ucl margo palustre, ove si giace
Col cane assaglia , o con lo strai saetti
•ànitra opima, o foliga loquace;
Nè chi con nasse e vangaiuole allctti
La trota pigra c il carivion fugare ;
Nè chi tragga dall' acque a cento a cento.
Orate d' oro e cefali d' argento.
Mentre sotto quel del, che Soli, o piogge
Non teme, arda quantunque, o geli l' anno.
Tra tali e tanto feste in tante fogge
Le brigate piacevoii si stanno;
Adone c Citcrea per l’ ampie logge
Lastricate di gemme , intorno vanno
Mirando pur di quei dipinU chiostri '
L' artificio smarrito a' giorni nostri.
Da tnlti quattro i lati in ogni parte
Il muro a varie immagini è dipinto ,
Ciò die favoleggiar l' anliclie carte
Degli amori celesti , in esso è finto.
Gl' innamorali Dei mirabil arte [vìnto.
Vi ombreggiò si, che il ver dall’ombra è
E benché tutti muti abbiali le lingue.
Il silenzio e II parlar vi si distingue.
Non son già corrottlbili colori,
Qie le belle figure han colorile.
Misture tali Incognite a' pittori
Da macina mortai non fiir mai trite.
Son quinte essenze chimiche c licori
Di gemme a lento foco intenerite ,
Minerali stillati , le cui tempre
Mai non perdon vivezza, c duran sempre.
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L’ ADONE.
Se sk perfclU grana , azxur d fino
Avesse alcuno artefice moderno,
Ben vi ha tal, che porla col legno e.11 lino
Far al secol migliore ingiuria e scherno.
Del secondo miracolo d’ Arpiuo
Quanto Torà più chiaro il nome eterno?
Dico di lui , che con la man ^ suole
Quel che l’altro tàcci con le parole.
Il ligustico Apelle , il Paggi vanto
Sommo c splendor della città di Giano,
Quanto di gloriaaccrrsccrebl>e,oh (|uanto
Alle fatiche della nobii mano.
Il mio Castel , che del conquisto santo
Fregia le carte al gran Cantor toscano,
Lasccria forse de' suoi studj illustri
Viepiù salde memorie a mille lustri.
E tu Michel , di Caravaggio onore ,
Per cui del ver più bella è la menzogna ,
Mentre che creator più che pittore.
Con angelica man gli fai vergogna.
E voi Spada e Vaicsio, il cui valore
Fa de' suoi figli insuperbir Bologna ;
E voi , per cui Milan pareggia Urbino,
Morraizooe e Serrano c Procaccino.
E tu , che col pennci vinci gl' intagli ,
E i due vicini sì famosi c noti
Di Verona e Cador non pur agguagli
Palma , ma lor di man la palma scuoti.
E tu Baglion , che con la luce abbagli
DeU'ombre tue, che han sensi e spirti e mo-
Con assai più lodale opre e pitture ^ [li
Avreste , onde arricchir l’ età future.
E voi Bronzino e Passignan per cui
Il prodigio tebano Amo rivede.
Poiché gemino lume , e quasi dui
Novi Soli d’onor vi ammira e crede.
Caraccio a Febo caro, e tu con lui
Reni, onde il maggior Retto all’altro cede.
Alcun non temerla che fusser poi
Cancellati dagli anni I lavor suoi.
A contemplar la loggia e la parete
Il portler del giardino Adone invila ,
Di mute poesie , d' istorie liete
Immaginala tutta e colorila;
E del fanciul dall' arco e dalla rete,
I dolri elTettI ad un ad un gii addita ,
Divisandogii a bocca or queili , or questi
Furtivi amori degli eroi ceiesti.
»5
Vedi Giove, dicea, ià 've si aduna
Schiera di verginelle ir con l'armento.
Vedi che scherza, c la superba Luna
Crolla del capo, e sBda a giostra il vento.
Tutto candido il pel , la fronte ha bruna ,
Dov 'in mezzo biancheggia un sol d'argento.
Già muggirscmbra,escmbra al suo muggl-
Muggirla valle intorno intonioeil lito. [to
Alla Ninfa gentil, che varie appresta
Trecce di fiori alle sue trecce d'oro.
Si avvicina pian piano, e della vesta
Umi| le bacia il vago lembo il loro.
Ella il vezzeggia c hitesse all’aspra testa
Di catenate rose aito lavoro.
Ed egli inginocchion le terga abbassa
E dalla beila man palpar si lassa.
Sovra gli monu la donzella ardila ,
Quel prende allor per entro l’acquc il corso
E si sen porla lei, che sbigottita
Volgesi a tergo e invan chiede soccorso.
Coglicsi tutta, e tutta in «e romita [so.
Cuna man stende al corno e l’altra al dor-
Sul marpiovono I fior nelgreniboaccolti.
Scherzano I biondi crini all'aura sciolti.
Solca la giovinetta il salso regno
Sparsa il volto di neve, il cor di gelo.
Quasi stanco nocchiero il fragii legnò;
Il tauro è nave, e gli fa vela il velo.
Van guizzando i delfini, e lieto segno
Famio di festa al gran Reitor deldelo.
Ridendo Amor superbamente il mira
Quasi per scherno, e per le coma il tira.
Le sconsolate c vedove compagne
In atto di pietà stanno in sul lido.
Additando la vergine che piagne.
Credula, ahi troppo, al predatore infido.
Par che di lor, per poggi e per campagne
Europa, ove ne vai? risoni il grido.
Par che l’arena intorno, e l'aura e l'onda
Europa, ove ne vai ? mesta risponda.
EceoI vestito di canute piume
A bella donna intorno altrove il miri
Qual di caistro, di meandro al fiume.
Rotar volando in spaziosi girl,
E gorgogliar sovra il mortai costume
Canori pianti e musici sospiri.
Temer del proprio folgore il baleno,
E comporre il suo nido entro il bel seno.
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96 MARINO.
Ecco d’anfitrion prender la forma,
E la casta inoglier schernir si vede.
Ecco satiro poi pasce la torma
Con corna In lesta, e con caprigno piede.
Ecco due volte in aquiia trasforma
La spoglia, inteso a due leggiadre prede.
Ecco converso in foco arde e sfavilla.
Ecco in grandine d'or si strugge e stilla.
Vedi lo scheriiitor dell’aureo strale.
Lo Ilio, che della luce è tcsoriero,
A cui dell' arti mediche non vale.
Nè dell’ erbe salubri aver l’ impero,
SI clic profonda al cor piaga mortale
Non porli alfin dallo sprezzalo arderò.
Ecco gl’ Incende il cor d’ ardente face
l.a bella di Peneo Ogiia fugace.
Ed ecco mentre l’amorosa traccia
Segue anelante e giungerla si sforza.
Degli occhi amali e dell’ amala faccia
Repentino rigor la luce ammorza.
Fansi radici i piè, rami le braccia.
Imprigiona i bei membri ispida scorza.
Gode egli aluien le sue dorate c bionde
Chiome fregiar dclicgià chiome,or fronde.
Volgili poscia al vccchiarél Saturno,
Tutto voto di sangue e carco di anni.
Come iin agili lo di un bel viso eburno
In forma di destrier la moglie inganni.
Mira quel dal cappello e dal coturno,
Chè ha nel coturno c nel cappello I vanni :
Quegli è il corricr di Giove e in terra sccn-
Chè delia Ninfa maura amor l’accende, [de,
Pon mente là, dove la notte ha stese
L’ombrc ladtc intorno e il mondo imbru-
Come per disfogar sue voglie accese, [na.
Le due disciolle treccie accolte in una.
Si reca in braccio placida e cortese
Al vago suo l’innamorala Luna,
E fra i pòggi di Laimo al suo pastore
Addormenta le luci c sveglia il core.
L’ argentala del del luce sovrana
Deposla alfin la lusingata Diva,
Alle promesse della bianca lana
Dal suo chiaro balcon scender non schiva, '
Vedila (or chi dirà che sia Diana ? )
Col rozzo amante in solitaria riva,
E io vece di lassù giddar le stelle.
Sul frondoso liceo tonder l’agnelle.
Poi vedi Endimion dall’ altro lato
Quindi avvampar d’ un amoroso sdegno,
E col capo e col dito il Nume amato
Di rampognar, di minacciar fa segno.
Perfida [ par le dica in vista irato) ,
Perfida, orehenon celi il lume indegno?
Perfida, avara e disleale amante.
Più volubii nel cor, die nel sembiante.
Della fiamma gentil che nel marnacque.
Ecco poscia arde il mare, arde l’Inferno.
Arder quel Dio si vede in mezzo P acque.
Che dell’acqiie e del mar volge il governo.
Arde per la beltà che si gli piacque
Il tiranno cnidel dell’ odio demo.
Strugge ardore amoroso il cor severo,
A quel signor che ha degli ardori impero.
Si dice r un, l’ altro gli sguardi e Torme
Alle mura superbe intento gira,
E mentre queste ed altre illustri fonile ,
Di cui son tutte effigiate, ammira.
Sembra, nè sa s’ei veglia, oppursedorme,
Statua animata, immagine che spira.
Anzi piuttosto im’ insensata e finta
Tra figure spiranti ombra dipinta.
Non vi è dipinta di Ciprigna e Marte
L’ istoria oscena troppo ed impudica.
Perchè il zoppo marito il fece ad arte.
Di cui fur quelle volte o|na e fatica;
E celar volse le vergogne in parte
Del fiero amante e della bella amica.
Per non rinnovellar T onta dei due,
E nelle gioie lori’ ingiurie sue.
Mira il selvaggio Dio non lunge molto
Che usdto fuor di una .spelonca vecchia.
Di verdi salci c fresche canne avvolto
Le coma, i crini e Tuna c l’altra orecchia.
Al eie! leva le luci, e nel liel volto
Della candida Dea si affisa e specchia,
E par la preghi in si pietosi modi.
Che vi scorgi il pcnsier, la voce n’odi.
Sotto quest’ archi, in queste logge ombro*
Che volte han le faceiate alla verdura, [se,
Onde il Giardin le chiome sue frondose
Può vagheggiar nelle lucenti mura,
Specolando T immagini amorose
Stasscne Adon dell’ immortal pittura ,
Mentre colui del Sagittario cicco
Va passo passo ragionando seco.
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L- ADONE. 97
Venere allor cosi gli dice : 0 cara
Delicia del mio cor, dolce diletto,
Dell dei begli occhi tuoi la luce chiara
Tanto ornai non occupi un finto oggetto.
Che de' suol raggi usurpatrice avara
Parte a me neghi del bramalo aspetto.
Lascia ch’io possa almeno il foco ond'ardo.
Sorbir con gli occhi e depredar col guardo.
Non dee la vista tua (ermarsi in cose,
Cheaien di te men peregrine e belle.
Vedi che fai dolenti e tenebrose
A disagio per te languir le stelle.
Non tener più le luci al Sole ascose ,
Le luci emule al Sol, del Sol gemelle, '
Se pitture vuoi pur; vero e non fiuto
Mira te stesso in questo scn dipinto. -
Qui tace, ed eceo per l'erbosa chiostra
Da lor non lunge^emubitoT del prato.
Fa di sè stesso ambiziosa mostra
L’occhiuto augel di più color fregiato;
E del bel lembo che a’ indora e iqostra
Di fiori incorrottibUI gemmato ;
Dilettoso spettacolo a clil il mira ,
Un più vago giardin dietro si tira.
Per ventura inquel punto appunto avven-
Che alle leggiadre suo spoglie di verse [ne
La bella coppia si rivolse, e tenne
Per vaghezza le luci in lui converse.
Ond’ egli allor delle sue ricclie penne
Il superbo gemmalo in giro aperse.
Ed allargò, quasi corona altera,
De’suoi tanti occhi la stellata sfera.
Di quest' augel pomposo c vaneggiantc
(Disse Venere allor} parla ciascuno.
Diconch’eifupastor, die in tal sembiante.
Cangiò la forma, e cosi crede alcuno.
Cbé la giovenca dell’ infido amante.
A guardar con cent’ occhi il pose Giuno;
E che quantunque a vigilare accorto.
Fu da Mercurio addoroienlato e morto.
Contan che gli occhi, onde sen giva altc-
Nelle piume gliatDs.se ancorGiunonc; [ro,
Edè voce volgar, che il suo primiero
Nome fosse Argo, il qual fu poi pavone.
Or della cosa io vo' narrarti il vero.
Diverso assai da questa opinione.
GII umani ingegni quando più non sanno.
Favole tali ad inventar si danno.
Era questi un garzon superbo c vano.
Tutto di ambizion colmo la mente ;
Cameriero d' Apollo e cortigiano ,
Che l’amò molto, e il favori sovente, [no
Amorcbeancb’eglièpien di orgoglloinsa-
Fcrigll il cor con aureo strai pungente.
Facendo dai begli occhi uscir laTiiaga
Di una donzella mia vezzosa e vaga.
Colomba delta fu.questadonzella.
La qual vedere ancor potrai qui forse,
Chè fu pure in augel mutata aneli’ ella ;
Ma per altra ragion questo gli occorse.
Pavon si nominò, pavon si appella
Costui, che amando in folle audacia sorse.
Sebbene altro di lui dicò la fama,
Pavon chiamossi, ed or pavon si chiama.
Oltre che di bei drappi e vestimenti
Si dilettava assai per sua natura.
Per farsi grato a lei nei suoi tormenti
Si abbcllia, si arricchiacon maggior cura.
Pompe, fogge, livree, fregi, ornamenti,
Variando ogni di fuor di misura,
Facea vedersi in sontuosa vesta [testa.
Con gemme intorno c con piumaggi in
Con tutto ciò da lei sempre negletto
Senza speme languia tra pene e doglie.
Perchè discorde l’un dall’ altro petto
Di qualità contraria avean le voglie.
Tutto era fasto c gloria il giovinetto
Nei pensieri, negli atti e nelle spoglie.
L’altra costumi avea dolci ed umili ,
Mansueti, piacevoli c gentili.
La servia, la segiila fuor di speranza
Con sospir c.ildl e con prcglilcre spesse :
E perchè, come pien d’alta arroganza,
Pensava di polhr quanto volesse.
Ragionandole un di prese baldanza
Di farle tròppo prodighe promesse.
Tutto gli offri ciò che bramasse al mondo
Dal sommo giro al baratro profondo.
Poiché tanto, diss’ella, osi e presumi.
Voglio accettar la tua cortese offerta,
E del foco onde avvampi e ti consumi ,
Giovami di veder prova più certa.
Recami alquanti dei celesti lumi.
Se vuoi pur die ad amarti io mi converta.
Se senigio vuoi far che mi contenti ,
Delle stelle del delo aver convientl.
6
98 MARINO.
Grande impresa fia ben quel ch'io tl chieg-
Non difficile a te se ardir ne avrai , [glo
Poiché presso cohii tieni il tuo seggio.
Che le raccende con gli aurati rai.
Qualora sciutillar lassù le veggio
Di tanta luce, io mi compiaccio assai
E bramo alcuna in mano aver di loro.
Sol per saper se son di foco o d' oro.
0 volesse fintglr con questa scusa
Quell’ assalto importun che egli le diede,
O forse per non esserne delusa
Esperienza far della soa fede ,
0 perché pur la femmina é sempre usa
Ingorda a desiar ciò che ella vede.
Ed indisereta altrui prega e comanda,
E le cose Impossibili dimanda;
Basta, che egli in virtù di tal parole
Ogni suo sforzo a cotant' opra accinse.
Aspettò finché il ciel ( siccome suole )
Di purpureo color l'alba dipinse;
Ed egli uscito in compagnia del Sole,
Qie la lampa minor sorgendo estinse,
AUe luci notturne e mattutine
Accostossi per far l’ alte rapine.
Su miocor, dicea scco,andianne audaci -
L’ oro a rubar dei bel tesor celeste,
Ché un raggio sol di due terrene faci
Val più che los|)lendor di tutte queste.
Di stender non temiaiii le man rapaci
Nelle gemme che al ciel fregia la Veste,
Purché in cambio del furto abbian poi quel-
Delle stelle c del Sol più chiare stelle, [te
Orile del lume e della scorta prive,
Fuggian le stelle in varie schiere accolte,
E sicconie lalor peri’ ombre estive
Quando l’aria è serena, avvien più volte ;
Sbigottite, tremanti c fuggitive
Per fretta nel fuggir ne cadeau molte.
Pavone allora il suo mantcl distese.
Ed un groppo nel lembo alfin ne prese.
Giove elle vide il forsennato e sciocco
Giovane depredar l'auraé fiammelle,
Sdegnossi forte, e da grand’ ira tocco
Gli trasformò repente abito e pelle.
L’ orgoglioso cimier divenne un fiocco,
E nella falda gli restar le stelle.
Febo die pietà n’eblie,e l’amò tanto.
Per sempre poi gliele stampò nel manto.
Del ddo l'ambiziosa imperatrice
Tosto che vide il non più visto augèllo ,
Che il pregio quasi toglie alla fenice.
Il volubil suo carro ornò di quello.
Poi le penne gli svelse, e fu inventrice
Di unistrumento insieme utile < bello.
Onde alle mense estive ban le sue seni*
Cura d’intepidir l’anra che ferve.
Ed io,che soglio ognorquahinque imago
Scacciar dngH orti miei difforme e trista.
Di averlo ammesso quigodoamiappagn,
Ché grazia il loco e nobiltà ne acquista.
Perché natura in terra augel più vago
Non credo, che offerir possa alla vista,
Né so cosa trovar fra quanti oggetti
Invaghiscano altrui, die più diletti.
Vedilo là, che a’più bei fior fa scorno,
E ben d’altra pittura i chiostri onora.
Con quanta maestà rotando intorno
Di mirabii ghirlanda il palco infiora?
Perché crediam, che .si si mostri adorno,
Se non per allettar chi l’innamora?
E per aprire alla Ixtità. che mille
Fiamme gli avventa al cor, cento pupille ?
Or die far dee, dolcissimo ben mio.
Gentil petto, alto core e nnbii voglia ?
Qual da si dolce universal desio
Anima sia, die si ritragga o scioglia?
Ma che mirar? ma che curar degg’io
Del bei pavon la ben dipinta spoglia.
S’aprono agli occhi miei le tue liellezze
Altri fregi, altre pompe, altre ricchezze ?
Così ragiona, e seco il trae pian piano
Dove all’altr’ uscio il guardian l’aspetta.
Che con bei fasci di fioretti In roano,
E varie ampolle di profumi allctta.
Garzon verde vestito, e non lontano
Esplorato!' della fiorita erbetta.
Scaltro Segoso c d’ orlurato acuto.
Tutto dovunque va cerca col fiuto.
Inestinguibilmente a pié gli bolle
Infuso un misto d’odorate cose.
Con sangue di colombe e con midolle
Di passere stemprò liquide rose,
E col puro storace e l’amiira molle
Il niuscliio dentro c l’aloè vi pose.
Vi ha di Cirene il belgioin natio.
Il cifo egizio e il mastice di Cliio.
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L’ADONE. * 99
Vista aostuì da lunga area la bella
Coppia, che agli orli suoi l’orme volgea,
Onde subito a si Zeflìro appella,
Cbe in curva valle e florida sedea.
0 genitor della stagiou novella ,
Dice , vago forier di Cilerea ,
Cbe con volo lascivo e lieve flato
Passeggiando il mio cielo infiori il prato ;
.Non vedi tu la graziosa prole
Del gran Uolor, die su le stelle regna ,
Come col vivo suo terreno Sole
Le nostre case d’ onorar si degna
Su su , studio a raccorla usar si vuole.
Tu tanta Dea d’accarezzar t’ingegna.
Con la virtù, die da’ tuoi semi avranno,'
Figli la Terra, e pargoleggi I' anno.
Quanto csalan di grato Ibla e Pancaia,
Quanto r Idaspe di lontan ne spira.
Quanto ne accoglie giunto alla vecchiaia
L’ arabo augel nell’ odorata pira ,
Tutto qui spargi , acciocché degno appaia
Di lei ciò che ella sente c ciò che mira.
Fa che animale di fiorita messe
Godan del tuo favor le selci Istesse.
Tutto per questi piani e questi poggi
Prodigo II tuo tesor difibndi e sciogli,
E qual rupe più sterile fa che oggi
Al tuoi fecondi spiriti germogli ;
Onde, non cbe ella volenlier vi alloggi ,
Ua di ordirvi ghirlande anco s’ invogli,
E I nostri fior da quei celesti diti
Possano meritar di. esser carpiti.
Scote a quel dir le piume a più colori
Tutto di fresco nettare stillante
Della vezzosa e leggiadretta dori
Sorto dai seggio suo, l’ alalo amante ;
Glori Ninfa de’ prati e Dea de’ fiori ,
De’ lidi canopel grata abitante.
Spargendo fior dalla purpurea stola
Sempre il segue costei , dovunque ci vola.
La goima,che la copre, è tutta ordita
Di un drappo, che si cangia ad ora ad ora.
Dell’ auge! di Ciprigna il collo imita
Quando ai raggi del Sol si trascolora.
Di stmil manto comparir vestita
Suole agli occhi di Aprii la bella Fiora.
Tal fra Tumide nubi li curvo velò
Spande alle prime ploggie Iride Incielo.
Volano a prova, e con disciolti lcml>i
Scorron del del le spaziose strade.
Nubi accoglie quel del , gravide I grembi
Di fini unguenti e di ottime rugiade.
Onde r umor soave In puri nembi
Da quei placidi solfi espresso cade.
Cade sull’ erba , e fiocca in larga vena
Di aromatici odor pioggia serena.
Ciò fatto , ei precursore , ella seguace
L’ ali battendo rugiadose e molli ,
Fan maritale con I’ umor ferace
Le glebe partorir nuovi rampolli.
Si allarga T aria in un seren vivace ,
G fioreggiano intorno i campi e I coDi.
Vedresti, ovunque vanno, in mille guise
Primavera spiegar le sue divise.
Tornano al copular di due stagioni
I secchi dumi con stupor vermigli.
Sbucciano fuor de’ gravidi bottoni
Delle madri spinose I lieti figli.
Ricca la terra di celesti doni
Par che all’ ottavo del si rassomigli.
Par che per vincer 1* arte, abbia Natura
Applicalo ogni studio alla pittura.
[scuro
Qual di splendor sanguigno e qual d'o-
Tingonsl 1 fiori In quelle piagge e In queste,
Qual di fin oro e qual di latte puro,
Qual di dolce ferrugine si veste.
Adone inianto nel secondo muro
Con T altro di beltà mostro celeste
Per angusto sporte! passa introdotto.
Che è di cedro odorato ed Incorrotto.
Mercurio incominciò :Tra quanteabbrac-
Maggior delizie II cerchio della Luna [da
Cosa non ha, di cui più si compiaccia
Venere e il figlio suo , che di quest’ una ;
Nè lrov’lochcplHvaglla,o chcplù fac^,g
Lusingamento, 0 tenerezza alcuna,
Che la soavità de’ molli odori ,
Mollo possenti ad alleiur gli .amori.
Osile crudeli jr sacrifizi infausti ,
Miseri tori ed innocenti agncllc.
Cifre la gente al del, tanto che esausti
Restan gllamienti ognordl questi oqtielle
E sol per far salir d’empj olocaiisll
Un fumo abbominevolc alle stelle.
Aggiunto II foco alle svenate strozze ,
Arde agli eterni Dei vittime sozze.
MARINO.
100
E crede stolta ancor, die questi suoi
Ili sangue vii contaminali altari
Abborrili lassù non sten da noi,
Cile siam pur si pietosi , anzi sìen cari,
(ioni’ uopo abbiati di pecore e di buoi
(iittadiiil del cici beati e chiari,
0 le dolcezze lor sempre immortali
Oegglan cangiar con immondizie tali.
Doni bplit preziosi, i più graditi.
Che possati farsi a quegli eccelsi Numi ,
Di naturai semplicità conditi
Son frutti e (lori , aromatl e profumi.
Ma sovra quanti mai più rcveriil
Rotano I raggi in del celesti lumi,
,\don , la bella Dea , con cui tu vai ,
Di queste olTertc sì diletta assai.
E per questa ragion qui , dove torna
Ella per uso ad albergar talora ,
Di tutto il bel , che l'Universo adorna ,
Scelse quanto diletta c quanto adora.
Or se è ver, che a colei clic qui soggiorna,
Ed a tutti gli Dei , che il Mondo adora ,
.Soglion tanto piacer gli odori sparsi ,
guanto donno dagli uomini pregiarsi?
Den tirato un proiil nel mezzo appunto
Scolpi del volto uman la man divina ,
Elie quindi con le ciglia ambe è congiunto ,
E col labbro sovran quinci conflna.
K perchè di guardarlo abbia l'assunto.
D’osso concavo c curvo armò la spina,
('.Ite qual base il sostenta , e tutto il resto
Di molli cartilagini è contesto. *
E perchè , se vien pur sinistro caso
Una a turar delle finestre sue.
L'altra aperta riitianga, ed abbia il naso
(Inde i fiali esalar, ne formò due.
E posta in mezzo all'uno c l' altro vaso
Te'milnatricc una colonna fue
Tenera , ma non fral , si che per questa
Le sue pioggie stillar possa la testa.
Ma lienchèoltre il decoro e f ornamento.
Ed oltre ancor, che al respirare è buono ,
Vaglia a purgar del capo ogni escremento,
l'ur r odorato è principal suo dono.
E consiste nel moto il sentimento
Di due manniielle, clic da' lati sono,
K niovon ceni muscoli all’ entrata,
De’ quali un si ristringe , un si dilata.
Quindi sì apre la porta e lo spiraglio
Del senso interno all’ ultime radici ,
Laitdove a guisa dì forato vaglio
Una parte sovrasta alle narici.
L’altra è spugnósa , e con sottile intaglio
È destinata ai necessari uCBci ,
Che qual pomice , o fungo avendo i lori ,
Rompe l’ acre alterato entro I suoi pori.
E la spugna del cranio umida , e tale.
Che dì ogni arida cosa assorbe i fiati ,
Traendo a sè la qualità reale
Degli oggetti soavi ed odorati ;
Passa il caldo vapore , e in alto sale
Ai ventricoli suoi per due meati ,
Che non si serra mai, talché con esso
L'aere insieme e lo spirto ban sempre in-
[grcsso.
Ma tra rìsi e piacer frappor non deggio
Di severa dottrina al li sermoni ,
Però che alla tua Der su i fianchi io veggio
Dì pungente desto ervidi sproni ;
E del mio dir que- to fiorito seggio
Soggiungerà la pr ava alle ragioni.
Senti auretta che spira. In cotal guisa
L’ arguto Dìo co bell' Adon divisa.
De' fioriti viali in lunglii tratti
.Mirando van le prospettive ombrose.
Ne’ cui margini a 111 tirati e fatti
Miniere di rubini apron le rose.
Slan disposti ne’ quadri i fiori intatti
Con leggiadre pitture ed ingegnose,
E di forme diverse e color vari
Con mille odori abbagliano le nari.
Trecce di canne c reti, o gelosie
Alle ben largite alee tesson le coste ,
E dagli erbai dividono le vie
Compassate a misura, e ben composte.
Le cui fabbriche egregie e maestrie
La Dea dei loco addila al suo bell’ oste ,
Movendo seco per quel solo i passi.
Fatto a mosaico di lucenti sassi.
Amor con meraviglie inusitate
Semplice qui consen a il suo diletto ,
Perchè pon nelle piante innamorate
Ogni perfezion senza difetto ;
E con foglie più spesse e più odorate.
Quando la rosa espone il bel concetto,
0 candida , o purpurea, o damaschina ,
Nascer fa solo il fior senza la spina.
»
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L’ADONE.
Ciò die ban di molle i morbidi Sabci,
Gl’ Indi fecondi , o gli Arabi felici ,
Qò'che produr ne sanno i colti iblei ,
Le piagge ebalie, o l'atliclie pendici,
Quanlo mai ne nutriste orti pancliei ,
Prati d’Imetto, e voi campi conci.
Con stella favorevole c benigna.
Tutto in quegli orti accumulò Ciprigna.
Vi suda il gatto etiope, e ben discosto
Lascia di sua virtù traccia per i’ aura.
Nè vi manca per tutto odor composto
Di pasta ispana, o di mistura maura.
Cassia, amaraco, amomo, aneto e costo,
E nardo e timo ogni egro cor restaura.
Abrotano , serpillo ed elicriso ,
E citiso e sisiinbro e llordaliso.
Ravvi il baccare rosso , In piaggia aprica
Nato a spedir le membra in lieve assaito.
Ravvi la spina arabica e la spica.
Che più groppi di verghe estolle in alto.
D’ Etiopia il balan qui si nutrica ,
Colà di Siria il virtuoso asfalto.
Spunta mordace il cinnamomo altrove,
E la pontica noce a piè gli piove.
Tra I più degni germogli il panaceo
Le sue foglie salubri implica e mesce :
E il terebinto col dittamo ideo.
Da cui medico umor distilla ed esce;
E Col libico giuoco il nabateo,
E d’ India il biondo calamo vi cresce.
Chi può la serie annoverar di tante
Ignote al nostro dei barbare piante?
Fumante il sacro incenso erutta quivi
D’ alito peregrin grati vapori.
Scioglie il balsamo pigro in dolci rivi
I prexiosi e nobili sudori.
Stilla in tenere gomme e in pianti vivi
I suoi viscosi e non caduchi umori
Mirra , del bell' Adon la madre istessa ,
E il bei pianto raddoppia, or eh’ ci si ap^
[pressa
Non potè far, che del materno stelo
Non compiangesse!! figlio il caso acerbo.
Siati sempre, gli disse, amico il Cielo [bo.
Tronco che In mézzo al cor piantato lo ser-
Le tue chiome non sfrondi orrido gelo.
Le tue braccia non spezzi austro superbo.
E quando ogni altra pianta i fregi perde,
In te verdeggi il fior, fiorisca il verde.
IflI
Si parla , ed ella la cangiala spoglia
Dal sommo crine alla radice estrema
Per la memoria dell' antica doglia
Tutta crollando allur, palpita e trema.
Come abbracciar co’ verdi rami il voglia,
Sè stessa inchina, e par languisca c gema,
E sparsi de’ suoi flebili licori
Falagrimar gl’ Innamorati fiori.
Ne’ fior, ne’ fiori Istessi Amore ha loco,
Ama il giglio, il ligustro e l’aniaranto ,
E narciso e giacinto, aiacce croco,
E con la bella clizia il vago acanto.
Arde la rosa di vermiglio' foco ,
L’ odor sospiro e la rugiada è pianto.
Ride la calta , e pallida ed esangue
Tinta d’ Amor la violetta langue.
Ancor non cri , o bell’ Adone, eslioto.
Ancor non cri in nuovo fior cangialo.
Chi dirla , che di sangue , oimè , dipinto
Dei di te stesso in breve ornare il prato T
Presago gii , benché confuso e vinto.
Di un tanto onor, che gli destina il Fato,
Ciascun compagno tuo ti onora e cede ,
T’ ingemman tutti il pavimento al piede.
Ravvi il vago tulippo, in cui par voglil
Quasi in gara con l’ arte entrar Natura.
Qual d’ un bel riccio d’ or tesse la foglia ,
Che ai broccati di Persia il pregio fura ;
Quai tinto d’ una porpora germoglia ,
Che degli ostri d’Arabia il vanto oscura.
Trapunto ad ago, oppur con spola intesto
Drappo non è , che si pareggi a questo.
Ma più d’ogui altro ambizioso il giglio
Qual re sublime , in maestà sorgea,
E con scorno del bianco c del vermiglio
In alto il gambo insupcrbitcrcrgea.
Dolce gli arrise , indi di Mirra al figlio
Segnollo a dito e il salutò la Dea.
Salve, gli disse, o sacra , o regia , o degna
Del maggior Gallo e fortunata insegna.
Ti vedrà con stupor l’ età novella
Chiara quanto temuta e gloriosa.
Ma quante volte di dorata e bella
Diverrai poi purpurea e sanguinosa?
Non sol negli orti miei convien che anch’cl-
Ti ceda ornai la mia superba rosa , [ la
Ma fregiato di stelle anco il tuo stelo
Merita ben, che si trapianti in ciclo.
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102 MARINO.
Non so se vi era ancor la granadiglia ,
i'Iie a noi poscia mando l’ indica piaggia ,
Di Natura portento c meravigiia ,
K ceda ogni altra pur stirpe selvaggia.
Al no piuttosto il mio pensier si appiglia ,
Si deve altro stimarne anima saggia ,
r-iii star non può , nè dee puro c sincero
T ra Tombceil Sol, con le menzogne il vero.
Disse alcun che a narrar le glorie e l’oprc
Del sempiterno lor sommo Fattore
De stelle , onde la notte II manto copre ,
Sun caratteri d' oro e di splendore.
Or miraeoi maggior la terra scopre ,
Quasi bei fogli, apre le foglie un fiore,
Flore , anzi libro, ove Gesù trafitto
C<jn strane note 11 suo martirio ha scritto.
Benedicati 11 Cielo , c chi lo scrisse,
0 sacro fior, clic tanta gloria godi;
F i fiori , in cui de’ regi i nomi disse
Leggersi antica Musa , or più non lodi.
Chi vide mai , che in prato alcun fiorisse
Drimavera di spine e lance e chiodi ì
E che tra mostri al Redentor rubelll
Pullulassor co’ fiori I suol flagelli?
In India no, ma nel giardin celesti
Portasti I primi semi a’ tuoi natali
Tu, che del tuo gran re tragici e mesti
Spieglii io piccioi teatro i funerali.
Nell’orto di Giudea , credo , nascesti
Da quei vermigli e tepidi canali ,
(.he gli olivi irrigaro, ov’egfi esangue
Angosciose sudò stille di sangue.
Alti qual pennello in te dolce e pietoso
Trattò la man del gran pittore eterno?
E con qual minio vivo e sanguinoso
Ogni suo strazio espresse ed ogni scher-
ni quai fregi mirabili pumposo [no?
,\l Sol più caldo, al più gelalo verno
Dentro le tue misteriose foglie
Spieghi l'altrui salute e le sue doglie?
Qualor bagnato da’ notturni geli
Con muta lingua e taciturna voce,
Aiui con liete lagrime riveli
De’ tuoi fieri trofei l’ istoria atroce,
E rappresenti ambizioso al cieli
L’ aspra memoria dell’ oriibll croce;
Per gran pictaic il tuo funesto riso
Dà materia di pianto al paradiso.
Vivi e cresci felici. Ove tu stai
Sìrio non latri ed Aquilon non strida,
Nè di profano agricoltor giammai
Vii piè ti calchi , o falce empia t’ incida.
Ma con chiar’ onde e con sereni rai
Ti nutrisca la terra, il del ti arrida.
Favonio ognor con la compagna Glori
Della bell’ ombra tua gli odori adori.
Te sol l’aurora in Oriente ammiri.
Tue pompe invidi! e tua beltà vagheggi.
In te si specchi , a te s’ inchini e giri
Stupido il Sol da’ suoi stellaoti seggi.
Ma nè questi , nè quella al vanto aspiri ,
Chè (li luce , o color teco gareggi .
Chè sol la vista tua può donar loro
Qual non ebber giammai, porpora ed oro.
Lagrimette c sospir caldi, vivaci
D’aure invece ti sieno , e di rugiade.
Angeli sten del del Tapi predaci.
Che rapiscan l’ umor che da te cade;
E mille in te stampando ardenti bad
Di devota dolcezza e di pietade.
Dal fiel che ti dipinge amaro e grave
Traggano ai nostri affanni il mel soave.
Tutto al venir d’Adon par che ridenti
Rivesta il bel giardin novi colori.
Umili inatto intorno, c riverenti
Piegati la cima i rami , ergonla i fiori.
Vezzose Paure e lusinghieri i venti
Gli applaudou con susurri adulatori.
Tutti a salutarlo ivi son pronti
Gli augei cantando, e mormorando i fonti.
Con l’ Interne del cor viscere aperte
Ogni germe villan latto civile.
Gli fa devoto alfettuosc offerte
Di quanto ha di pregiato e di gentile.
Dovunque il volto gira, o il piè converte.
Presto si trova a corteggiarlo Aprile.
Aranci e cedri e mirti e gelsomini '
Spirair nobili odori e peregrini.
Qui di nobii pavnn superba imago
Il crespo bosso in ampio testo ordiva ,
Cile nel giro del lembo ajtero e vago
Urdin di Dori invece d’occhi apriva.
Quivi il Icntisco di terribii drago
L’ effigie ritraea vivace e viva ,
E l’aura sibilando Intorno ai mirto
Formava il fischio, c gl’ infondea lospirto.
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103
L’ADONE.
(V>U Fedra ramou Intesta ad arte,
Capace tazza al naturai fingea ,
Dove II llcor delle rugiade sparte
L'ITicio ancer di nettare Tacea.
C.on Terdi vele altrove, e verdi sarte
Fabbricava il (imon nave, o galea,
Su la cui poppa I vaghi aogei cantanti
L’ esercizio adempian de’ naviganti.
La Gioia Meta e hi Delizia ricca ,
L' accarezza colei , costei l’ accoglie.
La Diligenza i fior dal prato spicca ,
L’ Industria 1 più leggiadri In grembo to-
E la Fragranza i seinplici lambicca, [glie;
E la Soavità sparge le foglie-,
L’Idolatria tien l’incensiero in mano.
La Superbia n'esala un fumo vano.
La Morbidezza langidda e lasciva ,
l a Politezza delicata e monda ,
La Nobiltà, che d'ogni lezzo è schiva,
I a Vanita, che d'ogni odore abbonda.
La Gentilezza aflabilc e festiva,
La Venustà piacevole c gioconda,
E con r Ambizioii gonfia di vento
n I.usso molie-c li barbaro Ornamento.
Venner questi fantasmi, ed a man piene
Sid bel viso d’ Adon spruzzando stille
Di odorifere linfe, entro le vene
Gl'infaser sottilissime faville.
Poi con tenaci c tenere catene,
Glie ordite avean di mille fiori c mille ,
Trasser legati il giovane c la Div a
Là dote all'Ozio i n grem bo Amor dormiva.
0 fosse degli odor l’alta dolcezza.
La quale U trasse a quel beato loco,
Oppur clic vinto alfin dalla stanchezza
Schermo cercasse dall’estivo foco.
Quivi colui, che l’universo sprezza,
E dell’ altrui languir si prende gioco.
Con un fastel di fior sotto la fronte ,
ErasI addormentato a pie d’un fonte.
La pesante faretra c l’arco grave
Sosticn un mirto, e ne fa scherzo al vento.
L’all non movt^à, cliè fcrmé Fave
I n sonno dolce , a lusingarlo intento.
Ma il sonno liete c il vcntlcel soave
Fan con moto talor lascivo c lento
Vaneggiar, tremolar, qual onda In fiume.
Le bionde cliiomc c le purpuree piume.
Quando la madre il cattivcl ritrova,
Cheal tonno I lumi iDCliina ei vanni piega.
Tosto pian pian pria che si svegli omova.
Per r ali il prende , e con la benda il lega.
.\mor ti desta , e di campar fa prova,
E si scusa e lusinga e piange e prega.
Non l’ ascolta Ciprigna , e sebben scherza.
Simulando rigor, stringe la sferza.
Tu piagni, gli dicea , tu crudo e rio
Clic di lagrime sol ti pasci e godi?
Eppuc dianzi dormivi, eppur, cred’ iA,
Sognavi ancor donnondo insidie e frodi.
Tu che turbi i riposi al dormir mio,
E m’inganni e schernisci In tanti modi.
Tu che il sonno Interrompi al mesti amanti.
Dormivi forse al mormorar dei piantìt '
Cosi dice , e il minaccia , e da' bdl rat
Folgora di dispetto un lampo vivo.
Ma il suo vezzoso Adon , che non sa mai
Il bel volto veder se non giulivo.
Corre a placarla : Eh serenate ornai
Quel sembiante , le dice , irato e schivo.
Vorrò veder se ad impetrar son buono
Dal vostro sdegno II suo perdono in dono.
Come veduto fi pasto in un momento
Mordace can , la rabbia acquetar suole ,
0 come innanzi al più sereno vento
Si dilegnanje nubL, e riede il Sole;
C.OS1 dell’Ira Ogni furore ha spento
Venere alle dolcissime parole.
Piace, risponde, a me, poiché a te piace.
Per maggior guerra mia, dargli la pace.
Arbitro è II senno tuo del mio consif^o ,
Quanto puoi nell’ amor, puoi nello sdegno.
E che curar degg’ io di cieco figlioi
Tu sei 11 mio caro e prezioso pegno.
Po rta Amor l’arco in nian , tu nel bel ciglio ;
Tende Amore il lacciuol, tu se’ il ritegno ;
Amore lia il foco , e tu dai l’ esca ; Amore
Mi uscì del seno , e tu mi stai nel «me.
Ma sappi, anima mia, che qnale il vedi.
Quei ebe or ti fa pietà, povero infante.
Volge il mondo sossovra, e sotto i piedi
Ha con tutti I Celesti II gran Tonante.
Dcn te ne accorgerai , se tu gii credi ,
Ma non gli creda alcuno accorto amante.
Srellerato, fcllon , furia, non Dio,
Si partorito mai non l’avess’io.
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104 MARINO.
È cieco si, non perchè gii gli strali
Se ferir vuol, non veggìa ove rivolga,
Gilè ascoso il cor nel petto dei mortali
Trovar ben sa , senza che il vel si sciolga.
Cieco el s'inOnge sol negli altrui mali ,
Nègli calche altri pianga, o che si dolga,
E cieco è sol , però che accieca altrui
Per dar la morte a chi si Oda in lui.
Fiero accidente e rapido volere.
Desio che inchina a partorir nel bello;
Scende al cor per la vista, e vuol godere;
Cerca il diletto, e sol si acqueta in quello.
Ma poiché lusingato ha col piacere ,
Ai più Odi e devoti è più rubello.
Gli altri alTetli dell’ alma appena entrato
Scaccia, esi usurpa quel che non gli è dato.
Sotto la sua vittoriosa insegna
Piangon mille alme aOlitte i propri torti.
Mansueto e feroce, ama c disdegna.
Prega e comanda, or pene, or dì conforti.
Leggi rompe, armi vince, c mentre regna,
Piega I saggi egualmente e sforza i forti.
Risse e paci compone , ordisce Inganni ,
Sa far lieti i dolori, utili I dami!.
Tenero come ortica , e come cera
È duro, umil fanciullo e fler gigante.
Il disprezzo lo placa, e la preghiera
Più terribile il reqde, e più arrogante.
Qual Proteo ha qualità varia e leggiera,.
In tante forme si trasforma, e tante.
Ha I’ entrata nei cor pronta e spedila.
Faticosa e difficile I' uscita.
Ha faci e reti e lacci ed arco e dardi.
Quanto ha tutto è veleno, c tutto è foco.
Mostra viso benigno c dolci sguardi ,
Or salta , or vola, e non ha slabii loco.
Forma falsi sospir, detti bugiardi ,
Spesso si adira, e volge in pianto il gioco.
Quel che giova non cura,o quel che lice.
Nè teme genitor, nè genitrice.
La spada a Marte , e la saetta a Giove
Toglie di mano, e si l' avventa e vibra.
Repentino c furtivo assalti move ,
Nè con scarse misure i colpi libra.
Fa piaghe inevitabili , c laddove
Passa , attosca gli spirti hi ogni fibra.
Va perlutto,eper tutto or cala,or poggia.
Ma sol nei cori, e non altrove alleggia.
Ciò che del meutitor I’ arte richiede.
Ciò che ai furti dell’ alme oprar bisogna.
Dallo Dio delle astuzie e delle prede
Nello studio imparò della menzogna.
Non conoscer giustizia e romper fede.
Schernir pleiade e non stimar vergogna.
Tutto apprese da lui; nè scaltro e destro
Il discepol fu poi men del maestro.
Conslglier disleal, guida fallace.
Chiunque il segue di tradir si vanta.
Astuto uccellalor, mago sagace,
I sensi alletta, e gl’ intelletti incahta.
Indiscreto furor, tarlo mordace,
Rode la mente, e la ragion ne schianta.
Passion violenta, impeto cicco.
Tosto si sazia, e il pentimento ha seco.
Ceda del marTirren la fera infida,
E del fiume d’ Egitto il perfido angue.
Che forma ai danni altrui canto omicida,
E piagnei’ unm, poiché gli ha tratto il san-
Questi toglie la vita, e par che rida, [gite.
Ferisce a morte, e per pietà ne languc.
In gioconda prlgion , di vita incerto
Tiene altrui preso, e mostra l’uscio aperto.
Nonebbcllsecol mai modemo,oprisco
Mostro di lui più sozzo,opiùdiflbmie.[co.
Ma perchèaltri non fugga il laccio e il v Is-
Non si mostra giammai nelle sue forme.
Medusa all’ occhio, al guardo è basilisco.
Nel morso alla tarantola è conforme.
Ha rostro d’ avvoltoio orrido e schifo.
Man di nibbio, utighia d'orso c piè di grifo.
Non giova a fargli schcrmoarte oconsiglio.
Poiché per vie non conosciute oOende.
Fere , ma non fa piaga il crudo artiglio,
0 se pur piaga fa, sangue non rende.
Se rende sangue pur non è vermiglio.
Ma stillato per gli occhi in pianto scende ;
E cosi lascia in disusata guisa
Senza il corpo toccar I’ anima uccisa.
Chi non vide giammai serpe tra rose.
Mele tra spine, o sotto mel veleno;
Chi vuol vedere il ciel di nebbie ombrose
Cinto, quando è più chiaro c più sereno ;
Venga a mirar costui, clic tiene aKOsc
Le grazie in bocca c porla il ferro in seno.
Lupo vorace in abito d' agnello.
Fera volante e corridore augello.
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- L’ADONE.
I0&
Lince priro di iume, Argo bendato,
Vecchio iaUanle e pargoictto antico,
ignorante erudito, ignudo armato,
Mutoiò pariator, ricco mendico.
Diiettevole error, doior bramato.
Ferita cruda di pietoso amico.
Pace guerriera e tempestosa caima;
La sente ii cor, e non i’ intende i’ alma.
Volontaria rollia, piacerol male.
Stanco riposo, utiliU nocente,
Disperato sperar, morir vitate.
Temerario timor, riso dolente ;
Un vetro duro, un adamante frale.
Un' arsura gelata, un gelo ardente.
Di discordie concordi abisso eterno.
Paradiso infemal, celeste inferno.
Era a gran pena dal mio ventre al Soie
Questo seme di vizi uscito fora.
Nè il fiabeo a sostener la grave mole
Della faretra avea ben fermo ancora.
Quando del fiero ingegno, acerba prole.
Maturò le perfidie innanzi 1' ora;
E sebben 1' ali ancor non gli eran nate.
Con la malizia avvantaggiò. 1' eute.
Iva alla scola, a quella scoia, in cui >
Virtù s* impara, ed onesti s' insegna ;
E piangea nell' andar, come colui.
Che ti fatte dottrine abborre e sdegna.
E come è stil de’ coetanei sui ,
Perché it digiuno a ristorar si vegna,
Pien di poma portava un picciol cesto.
Che di fronde di palma era contesto.
Or dove altri donzelli in varie guise
De’ primieri elementi apprendean l’arte.
Il malvagio scoiar giunto s’ assise
Nella più degna ed onorata parte.
Quindi poi sorto, a recitar si mise
La lezion sulle vergate carte,
E quasi pur con indice, o puntale.
La tabella scorrca con I' aureo strale.
Ma però che non ben del suo dettato
Seppe le note espor, con scorni ed onte
Ne fu battuto, ond’ ei con I’ arco aurato
Al Senno preccttor ruppe la fronte.
Cosi fuggissi, ed all’albergo usato
Non osando tornar, calò dal monte ,
E con la turi» insana e fanciullesca
Venne in desio di esercitar la pesca.
E mancandogli corda, agli aurei crini
Svelle una ciocca, c lungo III ne stende,
E questo immerso entro I zalTir marini
In vece d’ asta, ad una freccia appende.
Gittan lo stame ancor gli altri Amorini,
Perde II tempo ciascuno, c nulla prende ;
Solo il mio figlio a strana p/eda inteso
Traggo carco il lacciuol di ricco peso.
. Guizzava appunto in quella istessa riva.
Dove i dolci de’ cor tiranni e ladri
Intendcano a pescar. Ninfa lasciva.
Cui pari altra non ebbe occhi leggiadri.
Mentre perle costei cogliendo giva
Dal cavo scn delle cerulee madri,
Vide folgoreggiar per entro 1' onda
Del pargoictto Dio la treccia blonda.
Perchè nonsi smarrisse, o smat-rit’ anco
Fusse ai tetti materni almen ridotto.
Sospeso gli avev’ io sul tergo manco
Di breve in forma un titolo costrutto.
Eravi affisso un perganieno bianco.
Di minio e d’ or delineato tutto,
E scritto vi era di mia propria mano :
Questi è di Vener figlio e di Vulcano.
Alla luce dell’ or che alletta c inganna,
SI accosta incauta, e vi s’ involge c gira.
Tosto che sente Amor tremar la canna,
<'«n l' aita degli altri a sè la tira.
Presa è la Ninfa, e di dolor si alTanna,
Giunge all' arena, e si dil>atte e spira.
Appena all’ aura è fuor dell' acque uscita.
Clic in acquistando il Sol, perde la vita.
Poco tardò, che di trovar gli avvenne
La Vigilanza, che attendea tra via.
Con l’ Importunith l’ Audacia venne,
Poi la Consuetudine seguia.
Costoro in guisa tal, eh’ ebbro divenne,
L’ abbeverar dei vlnvlella Follia.
Ebbro II tennero a bada, in sin che tutti
Del suo panler si divoraro i frutti.
Tra questi Indugi ecco la notte oscura.
Che imbruna il cielo e discolora il giorno.
Allor ramingo, e pien d’ alta paura
Vassl lagnando, e non sa far ritorno.
Ma pur riconosciuto alla scrittura,
E ricondotto al mio divin soggiorno.
Io per punirlo allor la verga prendo.
Ed ei si scusa, c supplica piangendo.
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106 MARINO.
Pieti, dicrainl, atTrrna Pira alquanto,
Pieli.madro, mercò, perdono, aiuto, [lo,
Chi anco staman , non sema alTannoe pian-
Dal severo maestro lo fui battuto.
1-^ fors’ egli miracolo cotanto,
('.Ite sla per poco un ranclullin perduto 1
Anco in più ferma età, ni meraviglia.
Perdi per sempre Cerere la flglia.
Se questa volta il rio flagel deponi,
Vo’ che novo da me secreto Impari.
Insegnerolti, pur che mi perdoni,
A |)cscar cori, i quai ti son si cari.
.Sappi che non si fan tal pescagioni
Senza I’ esca dell’ or nei nostri mari.
Pon I’ oro hi cima pur degli ami tuoi,
K se ne scampa alcun, battimi poi.
Nel mar d’ Amor ciascun amante pesca
Per trarre un cor fugace al suo desio.
Ma però che do’ cori i cibo cd esca
L’ or, che del volgo già si è fatto Dio,
Citi vuol, die il suo lavor ben gli riesca.
Usi quest’ arte, che ti scopro or lo.
Uualor uom eh’ ama, a lidia preda intende.
Se r esca non b d’ or, l’ amo non prende.
Con queste dance, del suo fallo stolto
Campò la pena il liisinghier crudele.
Ma per altra follia non andò molto.
Chea me tornò con gemili c querele.
Vassenc in un (juerceto ombroso e folto
Nei giardini dì Guido a coglier mele,
£) seco a depredar gli aurei fialoni
Vali gli alali fragili in più squadroni,
E perche il dolce dei licor soavi
Orso, 0 mosca non b, che cotanto ami.
Cerca del faggi opachi i tronchi cavi.
Spia dei frassini annosi i verdi rami.
E nd pcdal di un’ dee ecco due favi
Vede coperti di pungenti essami.
Vulgo d’ api ingegnere accolto In quella
Sta susurrando a fabbricar la cella.
Chiama I compagni, clor la cova addita.
Che la ruvida scorza in sò ricetta.
Corre dentro a Hccar la destra ardita.
Ma la ritira poi con maggior fretta.
Folle chi cani attizza, o vespe irrita.
Che non si sdegnai) mai senza vendetta.
Pecchia di acuta spina armata il morse,
Onde ei forte gridando a me ricorse.
E della guancia impallidito I’ ostro.
Di timor, di dolor palpila e langue.
Madre, madre, mi dice, nn piccol mostro,
(E mi scopre la man tinta di sangue)
L'n, che quasi non ha dente, nè rostro,
sembra d’oro, e punge a guisa d’ angue.
Minuto animalelto, alata serpe
Ilaniini il dito tradito In quella sterpe.
Io, che il conosco, c so di che deraghi
SI armi sov ente, ancorché vada Ignudo,
Mentre che I lumi rugiadosi e vaghi
Gii asciugo, e la ferita aspra gli chiudo.
Che di animai si piccolo t* impiaghi.
Rispondo, il pimgiglion rigido e crudo.
Da pianger, dgiio, o da stupir non hai.
E tu fanciullo ancor, che piaghe fai?
U’ Occasion, che è nel fuggir si presta.
Vide un giorno per 1’ aria ir frettolosa.
.Suora hilnor della F'ortuna b questa,
F' tien le chiavi d’ ogni ricca cosa.
L’ ali ha sul tergo, e di vagar non resta
Sempreandando e tornando e mainonpo-
Lungo, diffuso e folto ilcrlne ha, salvo [sa.
Verso la coppa ove è schiomalo e calvow
Per poterla fermar l’occhio e il penderò
Molto attento ed accorto aver conviene,
Gilè animai non fu inai tanto leggiero,
E vuol gran senno a custodirla bene,
F'rutto di suo sudor non gode intera
Chi la prende talor, nè la ritiene.
Egli appostoila, e tante insidie tese.
Che mentre ella èolava, aldn la prese.
Mapolchèallacciosuo lagiunse e colse,
E la chioma fugace ebbe distretta.
Di Icntisco una gabbia intesser volse
Per lencrvela poi cliinsa e soggetta.
0 poco cauto, intanto ella si sciolse t
Cosi perde piacer chi tempo aspetta.
Mentre era intentoa quei pensieri sciocchi,
GII usci di mano, e gli svanì dagli occhi.
Quante da indi in poi colpe diverse
Da lui commesse io qui trapasso e celo.
Taccio quando di neve il sen s’ asperse,
E si stracciò di sulla fronte il velo.
Lassa, allor per mio mal le luci aperse,
Allor fu r ardorsuo misto di gelo.
I.' iniqua Gelosia, che il tolse In braccio.
Gli sbendò gli occhi,e l'attulTò nel ghiaccio.
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L'ADONE. I«T
Fuggi tremando assiderato e molle.
Tutto stillante il sen pruine c brume,
Al cieco albergo, ove lo sdegno folle
Tien di torbida fiamma acceso lume.
E [lerocchè appressar troppo sì volle,
Biscaldando le membra, arse le piume,
Uiiindl tacito e mesto a casa venne
Con la fascia squarciata, e scusa penne.
Ma di nov’arco e di quadrclla nove
Polcbi arciera beiti i'cbbc fornito,
.Sen gio ventura a ricercare altrove
lusoppurtabilmcntc insuperbito.
E mentre inteso a far l' usate prove
Scorrea l'oudae l'arena, ilmontee illito
Tra i sepolcri di Menfi infausta sorte
Guidolio a caso ad incontrar la Morte.
L’insoicnxa e l’ ardir contar non voglio,
Quando.aotta le piante onor si pose .
Al cui saggio ammonir crebbe in orgoglio
Con ingiurie villane ed oltraggiose.
E percliè la Ragion, die in alto soglio
Siede regina a giudicar le cose,
Citollo al tribunal del suo governo.
Ricusando ubbidir la prese a sebemo.
Anal un regno per si solo c diviso
A dispetto fondò della Ragione,
Volse aneli’ egli il suo inferno c il paradiso
hi disprezzo dì Giove c di Plutone.
Nell’ un pose diletto e gioia e riso.
Ma beate suol far iwclic persone.
L'altro tutto coluió di fiamme ardenti.
Dove i dannati suoi stanno in turnientL
Delle più ciliare e più famose lodi
Del mio folletto liai qiialclic parte intesa ;
Ma del gran fascio di cotante frodi [sa.
Sappi, che quei eli’ io narro, il nieu nonpe-
Di sue prodezze intempestive orodi
Un' altra egregia c segnalata impresa.
La misera Speranza un giorno batte ,
Dalia che lo nutrì del proprio latte.
Indi da me scacciato, e in faccia tinto
Del color della porjiora e del foco,
E dalla rabbia e dal furor sospìnto, [co.
Che l' accompagnai! sempre in ciascun lo-
Prcse a giocar con l’Interesse, e vinto
L’arco perdette c le quadrclla in gioco.
Costui , che ogni valor spesso gii toglie ,
Viinelo e trionfò delle sue spoglie.
Quel teschio scarno e nudo di capelli.
Quella rete di coste c di giunture.
Delle concave occhiaie I voli anelli ,
Del naso monco le caverne oscure ,
Delle fauci sdentate i duo rastelli ,
Del ventre aperto l’ orride fessure ,
Del socchi stinchi le spolpate fusa ,
•\mor mirar non seppe a bocca ctaiun.
é
Non sì seppe tener che non ridesse
Tolto a schernirla. Il garrulctto audace,
Unde pugna crudcl tra lur successe ,
Vibrando ella la falce, egli la face.
Ma si frappose, e quel furor ripresse
Cainipoucndogli insieme amica pace, ,
E quella notte in on niedesmo tetto
Abitanti concordi, ebber ricetto.
Levati la dìman. Tarmi scambiando.
L’ un si prese dell’ altro arro c <|ugdrella.
Onde addivenne poi che saettando
Fero elfetll contrari e questi e quella.
L’uno uccìdendo, c l’altra iniianiorando
Ancor serban quest’ uso ed egli ed elltb
Morte induce ad amar Taliiic canute.
Amor traggo a morir la gioventute.
Adon, bella mia pena e caro affanno.
Luce degli occhi mici, fiamma dd core.
Guardati pur da questo rio tiranno,
Cliò alfin non se ne trae se non dolore.
Cosi parla Ciprigna, e intanto vanno
Fuor del lioschetto, ove trovaro Amore.
Amor si va le lagrime tergendo ,
E con occhio volpin ride piangendo.
Di., :. G( ■■
»
108
MARINO.
CANTO SETTIMO.
LE DELIZIE.
ALLEGORIA.
L’argento della terza porta jM prOjMKlone con la materia dell’ orecchio , «iccome
l’avorio e il rubino della quarai ai eoniranno con quella della bocca. Le due donne,
che nel senso dell’ udito ritrova Adone , son la Poesia c la Musica. I versi epicurei v
cantati dalla Lusinga , alIndtliM alle dolci persuasioni di queste due divine facoltA ,
qualora divenute oscene meretrici , incitano altrui alla lascivia. Le Ninfe, che nel
senso del gusto dal mezzo In glA ritengono forma di viti , ed abbracciano, e vezzeg-
giano chi loro si accosta, son figura della Ebbrietà, la quale suol essere mollo tra-
bocchevole agl’ incentivi della libidine. Il nascimento di Venere prodotta dalle spumo
del mare , vuol dire, che la materia della genitura (come dice II filosofo] è spumosa,
e l’umore del colio è salso. Il natale d’ Amore, celebralo con festa ed applauso da
tutti gli animali , dà a conoscere la forza universale di questo efficacissimo aflclto,
da cui riceve alterazione tutta quanta la natura. Pasquino figlio di Momo c della
Satira , che per farsi grato a Venere , le manda a presentare la descrizione del suo
adulterio, dimostra la pessima quaihà degli uomini maledici , I quali eziandio quando
vogliono lodare, non sanno se non dir male. Vulcano, che fabbrica la rete artificiosa,
è il calor naturale , che ordisce a Venere ed a Marte , cioè al desiderio dell’ umano
rongiungimcnio , un intricato ritegno di lascive c disoneste dilettazioni. Sono i
loro abbracciamenti discoperti dal Sole, simulacro della prudenza, perciocché
questa virtù col suo lume dimostra la bruttura di quell’ atto indegno , c la fa co-
noscere e schernire da tutto il mondo.
AaCOUESTO.
Accenti di dolcissima armonia
Ascolta AdoD tra suoni e balli e feste.
Si asside a mensa con la Dea celeste,
E le lodi d’Amor canta Talia.
Mugica c Poesia son due sorelle
Ristoratrici delle afililtc genti.
De’ rei pensicr le torbido procelle
Con liete rime a serenar possenti.
Non ha di queste il mondo arti più belle,
0 più salubri all’ affannate menti.
Ni cor la Scizia ha barbaro cotanto ,
Se non è tigre, a cui non piaccia il canto.
Suol talvolta però metro lascivo
L' alte bellezze lor render men vaghe,
£ r onesto piacer fassi nocivo,
E divengon di Dee, tiranne e maghe.
Ni fa rapido stral passando al vivo
Tinto di tosco, si profonde piaghe ,
Conte I morbidi versi entro nei petti
Van per le orecchie a penetrar gli alfetii.
Elle ingombrando il cor di cure Insane
Col dolce vin della lussuria molle.
Quasi del padre ebreo figlie profane,
L’ infiainman si , che fervido ne bolle.
Instigatc da lor le voglie umane
A libertà licenziosa e folle.
Dietro ai vani appetiti oltre il prescritto
Trascorron poi del lecito c del dritto.
Ma se alla forza magica di queste
Incantatrici c perfide sirene
Ad aggiungere ancor per terza peste
Il calor della crapula si viene.
Che non può 1 che non fa ? quante funeste
Ulularo per lei tragiche scene ?
Toglie di seggio la Ragion ben spesso.
L’anima invola al cor, l’uomo a sé stesso.
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L’ADONE. 109
Lupa Torace, Ingordo mostro infame,
Lo cui cupo dcsir sempre sfavilla ,
Che sol per satollar l'avlde brame
Brami collo di gru, ventre di scilla ,
Si che esca ornai bastante a tanta fame
La terra, o l'acqua non produce, o stilla,
E della gola tua divoratrice
Appena scampa l’unica lenice.
Dolce velen , che d’umor dolce e puro
Irrigando il palato Inebbrii l’alma.
Dal tuo lieto furor non fu securò
Chi pria ti espresse eoo la roua palma.
Del tuo sommo poter, fra quanti furo
Oppressi mal , di cosi grave salma ,
Erode, Baldassarre ed Oloferne
Han lasciate tra noi memorie eterne.
Ma viepiù di alcun altro Adone è quello.
Che ne fa chiara prova, espressa fede.
Eccolo li , che verso il terzo ostello
Con la madre di Amor rivolge il piede.
E il portinaio ad ospite si bello
Aperto il passo, e libero concede;
E per via angusta e flessuosa e torta
U’ uno in altro piacer Tassi sua scorta.
Stara costui con pettine sonoro
Sollecitando armonico strumento.
Un cinghiale in disparte, un cervo, un toro
Teneano a quel sonar l’orecchio intento.
Ma deposta lajira al venir loro
Fe’ sul cardin crocar l’ uscio di argento.
Di argento è I’ uscio,e certe conche ha vote.
Che si odon tintinnar, quando si scote.
Della bella armonia (di Mirra al Aglio
Disse il figlio di Maia) è questi il duce;
Anch’ ei della tua Dea servo e famiglio
Al piacer dell’ udire altrui conduce.
Nè fatto è senza provvido consiglio,
Cile alberghi con amor chi amor produce ,
Poiché non è degli amorosi meul
Cosa In amor, che maggiorgrazia Impetri.
Chi d’eburnea tcstudinc eloquente
Batter leggiadra man fila minute ,
Sposando al dolce suon soavemente
Musica melodia di voci argute.
Sente talor, nè penetrar si sente
DI ^ei numeri al cor l’ alta virtute ,
Spirto ha ben dissonante, anima sorda.
Ole dal concento univetsal discorda.
Fe’ quel senso Natura, acclA che sia
Di tal dolcezza al ministerio presto;
E benché entrar, per la medesma via
Soglia ciascun nell’ uomo abito onesto,
Posclachè ogni arte e disciplina niia
Non ha varco nell’ alma altro che questo.
Una è sol la cagiun , vario l’effetto,
L’ uno ha riguardo al prò, l 'altro al diletto.
Percliè sempre la voce in alto monta.
Però l’orecchia in .dio anco fa messa,
E d’ ambo 1 lati , emula quasi , affronta
Degli occhi Usilo in una linea istessa. [ta,
Nènicnccrtoètiell’orcliio accortaepron*
N ò minor che nell’ occhio ha studio in essa.
In cui tanti son posti e ben distinti
Aquedotti , recessi e laberintl.
Plcciole tà , se pareggiarsi a quello
Denno d’ altro animai vile e volgare ,
Ma più formarsi ed eccellenti e belle
Già non potean, nè più perfette e rare.
Sempre aperta han r entrata, cson gemei*
Per la necessità del loro affare. [ le.
Proprio moto non hanno , c fatte sono
Di un’ asciutta sostanza acconcia al suono.
Il suono oggetto è dell’ udito, e mosso
Per lo mezzo dell’ aere al senso viene.
Dall’ esterno fragor rotto c percosso
L’aere del suon la qualità ritiene;
Da cui r aere vicin spinto e commosso ,
Come in acqua talor mobile avviene ,
Porta ondeggiando di una in altra sfera
All’ uscio interior l’aura leggiera,
Scorre là dove è poi tesa a quest' uso
Di sonora membrana arida tela ;
Quivi si frange c purga, e quivi chiuso
Agitando sé stesso, entro si cela,
E tra quelle torture erra confuso
Finché al senso coroun quindi trapela ,
Della cui region passando al centro.
Il carattcr del suon vi stampa dentro.
Concorrono a ciò far d’osso minuto
Ed incude è triangolo e martello,
E tutti son nel timpano battuto
Articolati , ed implicati a quello ; *
Ed a questa opra lor serve di aiuto
Non so s’io deggia dir corda, o capello ,.
Sottil cosi , che si distingue appena
Se sia filo, o sia nerao, arteria, 9 veqa.
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MARINO.
no
Vedi quanto impiegò l’ainor nipenio
In un fragil composto incedilo ed arte
Soi per poter del suo diletto eterno
Almen quaKKiii comunicargli parte.
Ha sotto umane forme alma d' inferno [te.
Chi sprezza ingratoilben ch'eigiìcompar-
E qui fine al suo dir facondo c saggio
Pose degli alti Numi il gran messaggio.
Aprir sentissi Adone il cor nel petto,
C gii sfiirli brillar d’alta allegria,
Quando di tanti auge! , che avean ricetto
In queii’ albergo, lidi la sinfonia.
Qual sagabondo e libero, a diletto
Per le siepi e sugli arlwri salia.
Qual , perchè troppo alzar non si potea.
Intorno all' ac(|ue e sovra i fior pascea.
Uopo non ha, che industre man qui tessa
Di lien filato acclar gabbia, o voliera.
Acciocché degli auge! la turba in essa
Senza poter fuggir stia prigioniera
Spaziosa uccelliera è l'aria istessa.
Che fa lor sempre autunno e prhnaTcra,
F^d alla lllienà d'ogni augdlino
Carcere volontario è il bel giardino.
Nè rete, nè cancel rinchiode o serba
Il pomposo fagian , l' iimil pernice ,
Il verde parlator scioglie per l'erba
Lingua del sermon nostro imitatrice.
VI ha di zalBrl c porpore superba
La sempiterna e singoiar fenice.
Vi ha quel che in sè sospeso, eccelse strade
Tenta, e d'aure si nutre, e di rugiade.
E le sowlen mentre dispiega l'ale
Della leggiadra sua prima sembianza;
F: tra quei fior, da cui nacqucllsiiomale,
Ancor di diportarsi ha per usanza.
Ed or di chi canglolla in forma tale
Rinnova piò la misera membranza ,
Veggendo in compagnia del caro Adone
La bella Dea del suo dolor cagione.
La qual rivolta allora agli arboseelH,
Odi, gii dice, odi con quanti e quali
Motti amorosi , o fior di tutti I belli ,
Spiegano i più sublimi il canto e l’ali.
Amor che alato è pur come gli augelli ,
Facile senta ogniaugel gli aurati straH.
Il tutto vince alfin questo tiranno.
E qui tacendo, ad ascoltar si stannov
Per far distinto al vago sluol che vola ,
Con lingua umana articolar sermone ,
Maestro qui non .si richiede, o scola.
Qual trovò poi la vaniti d' Annone.
Ogni semplice accento era parola ,
Glie parlando di Venere e di Adone,
In spediu favella allo dicea,
F^cco con r hlol suo la nostra Dea.
Chiusa tra i rami di uda quercia antica.
Di sua verde magion solinga cella ,
La monichetta dei pastori amica
Seco bjvita a cantar la rondinella.
Orfano tronco in secca piaggia aprica
I Di olmo tocco dal elei la torlorclla
I Non cerca no, ma sopra verde pianta
I Solitaria non sola , e vive e canta.
L’aquila imperiale il Sol vagheggia,
Cg)l rostro il petto il pellican si fere, [già.
Va II picchio a scosse, c Taghiron voiteg-
La gru lesue falangi ordina in schiere.
Lo smeriglio e il terzuol seguon l'acceg*
L’ oclie in fila di sè fanno bandiere, [ già,
E la gazza tra lor menando festa
Erge la coua , e l' upupa la cresta.
Saltellando garrisce , e poi si asconde
Il calderugio infra i piò densi rami.
Seco alterna il canario, e gli risponde
Quasi di amor lodando i lacci e gli ami.
Recita Versi il solitario altronde,
E par che il cacciator perfido chiami.
Fan la calandra e il verzelin tra loro,
E H capinera e il peairosso un coro.
La colomba or nel nido a covo geme ,
Or bacia il caro maschio, or tutta sola
Rade l'aria con l’ali, or per l’estrenw
Cime di un arboscei vola e rivola ;
Or col pavone innamorato insieme
Ingemma al Sole la variabil gola ,
Del cui ricco monil l’ iri fiorila
La corona del vago io parte imUa.
La merla nera e ilcalenzuol dwato
Odonsi altrove Insingar l’ udito.
La pispola il rigogolo ha sfidato,
fion l’ortolan si è il beccafico unito.
Gqnlrappomrggian poi dall’ altro lato
Lo strillo e il raperin che sale ai dito.
Con questi la spernuzzola e il frosone,
E lo scricciolo ancor vi si fratine.
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Ili
L'ADONE.
Con l'assiolo il luclieriii si lafpta.
Col sagace fringuel lo storno ingordo.
L'allodelU la passera accompagna,
li fanello fugace. Il pigro tordo.
Straniero augel di selra , o di montagna,
Non si Introduce in si felice accordo ,
Se (giudice la Dea) non porta in prima
Di mille Tinti auge! la spoglia opima.
Canta tra questi il musico pennuto ,
L’ augel, die piuma Inargentata veste.
Quel che con canto mortalmente arguto.
Suol celebrai- l'esseqnle sue funeste:
Quel che con manto candido c canuto ,
Nascose già l'adultero celeste.
Quando da bella donna e semplicetta
Fu la damma di Troia in sen concetta.
Del bianco collo II lungo tratto stende ,
Apre il rostro canoro, e quindi tira
Fiato , che mentre im er le fauci ascende ,
Per obliquo canal passa , e si aggira.
Serpe la voce tremolante, c rende
Moirnorio che languisce e che sospira ;
E i gemili e I sosplr profondi e gravi ,
Son ricercale debili e soavi.
Ha sovra ogni augellin vagò e gentile.
Che più spieglii leggiadro ilcanto e il volo.
Versa il suo spirto tremulo e sottile
La sirena dei boschi , il rosignnolo ;
E tempra in guisa il peregrino stile ,
Che par maestro deli' alato stuolo.
In mille fogge il suo cantar distingue,
E' trasforma una lingua in mille lìngue.
Udir musico mostro (oh meraviglia)
Che si ode si, ma si disccrue appena.
Come or tronca la voce , or la ripiglia ,
Orlaferma.orla torce, or scema, or piena.
Or là mormora grave , or l'muottlglia.
Or fa di dólci groppi ampia catena,
E sempre, o se la sparge, o se l' accoglie.
Con egual melodia la lega, e scioglie.
Oh cha venose, oh che pinose rime
Lasdvetto caiitor compone e detta.
Pria debifancate il suo lamento esprimo ,
Poi rompe in unsospir la canzonetta.
In tante mute or languido, or snbUrae
Varia stil , pause aCfrena, e fughe affretta.
Che imita insieme, e insieme inluisiammi-
Cetra, dauto, Unto, organo e lira, ^ra
Fa della gola lusinghiera e dolce
Taior ben lunga articolata scala.
Q Ili nei quell' armonia che l' aura motee ,
Ondeggiando per gradi, in alto esala,
E poiché alquanto si sostiene e folce.
Precipitosa a piomix) aldn si cala.
Alzando a piena gorga Indi lo scoppio,
Forma di trilli un contrappunto doppio.
Par cli'abbia entro le fauci e inognidbra
Rapida rota, o turbine veloce.
Sembra la lingua che si volge e vibra.
Spada di schormitor destro e feroce.
Se piega e iiKrespa, o se sospende libra .
In riposati numeri la voce.
Spirto il dirai del dei, che in tanti modi
Figurato e trapunto il canto snodL
Clil crederi, che forze accoglier possa
Animetta si picciela cotante ?
E celar tra ie vene e denu-o l'osea
Tanta dolcezza un atomo sonante?
0 clic altro sia, che la lieve aura mossa
Una voce pennuta, un suon volante?
E vestito di penne un vivo dato.
Una piuma canora, un canto alato?
Mercurio allor, che con orecchie dase
Vide Aflone ascoltar canto al bello:
Deh che li pare, a lui rivolto disse.
Della diviniti di questo augello?
Diresti mai , che tanta lena unisse
In si poca sostanza un spiritello ?
Un sptrilei , che di armonia composto
Vive in si anguste viscere nascosto.
Mirabilarle in ogni sua beU’ opra
(Ciò negar non si può) mostra Natura ;
Ma quelpitlor che ingegnoe sludioscepra
Viepiù che In grandé,ln picdola dgora;
Nelle cose taior minime adopra
Diligenza maggiore, e maggior cura.
Quest'eccesso però sovra l’usana
Di ogni altra suo miracolo si avanza.
Di quel canto nel ver miracoloso
Una istoria narrar bella ti voglio.
Caso in UB memorando e lacrimoso.
Da far languir di tenerezza un scoglio.
Sfogava con le corde in suon pietoso
Un solitario amante U suo cordoglio.
Tacean le 3dTs,a dal aotturno velo
Era occupato in ogni parte il cielo.
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J12 * MARhNO.
Mentre addolcia di amor i’ amaro tosco
Coi suon, che il sonno istesso intento tenne
L’Innamorato giovane, che al bosco
Per involarsi alla cittì , sen venne ,
Senti dal nido suo frondoso e fosco
Questo querulo angri batter le penne,
E gemendo accostarsi , ed invaghito
Mormorar tra sé stesso il suono udito.
L’ infelice angellln che sovra un faggio
Erasi desto a richiamare il giorno,
E dolcissimamente in suo linguaggio
Supplicava r Aurora a far ritorno.
Interromper del bosco ermo e selvaggio
I secreti silenzi udì d’ intorno,
E ferir Paure d’angosciosi accenti
Del trafitto di amor gli alti lamenti.
Rapito allora , c provocato insieme
Dal suon che par che a se lo inviti c chiami.
Dalle cime deli’ arbore supreme
Scende pian piano in su i più bassi rami ;
E ripigliando le cadenze estreme ,
Quad ascoltarlo , ed emularlo brami ,
Tanto si appressa e vola e non si arresta ,
Che alfin viene a posargli in sulla testa.
Quei che le fila armoniche percotc ,
Sente (nè lascia l’opra) il lieve peso.
Anzi il tenor delle dolenti note
Più forte intanto ad iterare ha preso.
E il miser rosignuol quanto più potè
Segue il suo stile, ad imitarlo inteso.
Quei canta , e nel cantar geme e si lagna ,
E questo il canto eil gemito accompagna.
E quivi l’un sul flebile strumento
A raddoppiare I dolorosi versi,
E l’altro a replicar tutto il lamento
Come pur del suo duol voglia dolersi ,
Tenean con l’alternar del bel concento
Tutti I lumi celesti a sé conversi.
Ed allettavan pigre e taciturne-
Viepiù dolce a dormir l’orc notturne.
Da principio colui sprezzò la pugna ,
E volse dell’augci prendersi gioco.
Lievemente a grattar prese con l’ ugna
Le dolci linee , e poi forraossi uii poco.
Aspetta che il passaggio al punto giugna
L’altro, e rinforza poi lo spirto fioco,
E di natura infaticabll mostro
Ciò che ei fa con la man rifì col rostro.
Quasi sdegnando il sonatore arguto
Dell’emulazion gli alti contrasti,
E che seco animai tanto minuto
Non che concorra, al paragon sovrasti ,
Comincia a ricercar sovra il liuto
Del più dlfScil tuon gli ultimi tasti ;
E la linguetta garrula e faconda
Ostinata a cantar sempre il seconda.
Arrossisce il maestro, e a scorno prende.
Che vinto abbia a restar da si vii cosa.
Volge le chiavi, i nervi lira, e scende
Con passata maggior fino alla rosa.
Lo sfidator non cessa , anzi gli rende
Ogni replica sua più vigorosa ;
E secondo che l' altro o cala , o cresce
Labirinti di voce implica e mesce.
Quel di stupore allor divenne un ghiaccio,
E disse irato : lo ti ho soOerlo un pezzo.
0 che tu non farai questa eh' io faccio ,
0 ch’io vinto ti cedo, e il legno spezzo.
Recossi poscia il cavo arnese In braccio,
E come in esso a far gran prove avvezzo.
Con crome in fuga , e sincope a traverso
Pose ogni studio a variare il verso.
Senza alcuno intervallo e piglia, e lassa
La radice del manico, e la cima ,
E come il trac la fantasia si abbassa ,
Poi risorge in un punto , e si sublima;
Talor trillando al canto acuto passa.;
E col dito maggior tocca la prima.
Talora ancor con gravità profonda
Fin dell’ ottava in sul bordon si affonda.
Vola su per le corde or basso, or alto
Più ebe r istesso augci la man spedita.
Di su , di giù con repentino salto
Van balenando le leggiere dita.
Di un fier conflitto e di un confuso assalto
Inimitabilmente I moti imita.
Ed agguaglia col suon dei dolci carmi
1 bellicosi strepili dell’ armi.
Timpani e trombe e tutto ciò cbeqiiando
Serra in campo le schiere, osserva Marte ,
I suoi turbini spessi accelerando.
Nella dotta sonata esprime l'arte;
E tuttavia moltiplica sonando
Le tempeste dei groppi in ogni parte ;
E mentre ei l’armonia cosi confonde,
II suo competitor nulla risponde.
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L’ ADONE. - m
Poi tace, e vuol veder se l'augcllctto
Col canto il sunn per pareggiarlo adegua.
Raccoglie quello ogni sua forza al petto ,
Nè vuole In guerra tal pace, nè tregua.
Ma come un debil corpo e pargoletto
Esser pu6 mai , che un si gran corso segua T
Maestria taie ed artificio tanto
Sempilce e naturai, non cape un canto.
Poiché moltee molt’ore ardita e franca
Pugnò del pari la canora coppia ,
Ecco U povero aiigel , che alfin si stanca,
£ langue e sviene e infievolisce e scoppia.
Ca)si qnai face , che vacilla e manca ,
E maggior nel mancar luce raddoppia,
Dalla lingua , che mai ceder non volse ,
Il dilicato spirito si sciolse.
Le stelle poco dianzi innamorate
Di quei soave e dilettevoi canto ,
Fuggir piangendo, e dalle logge aurate
Si aflacciò l’alba, e venne il Sole intanto.
Il musico gentil per gran pietate
L' estinto corpiccioi iav6 col pianto ,
Ed accusò con lagrime e querele
Non men sé stesso , che il destin crudele.
Ed ammirando il generoso Ingegno,
Fin negli aliti estremi invitte e forte.
Nel cavo ventre del sonorp légno
Il volse seppellir dopo la morte.
Nè dar polca sepolcro unqua più degno
A si nobii cadavere la sorte.
Poi con le penne dell' augello istesso
Vi scrìsse di sua man tutto il successo.
Mach! fuchel'lnstrosse? il mastro vero
(Non so se il sai ) fu di quest’ arte Amore.
Egli insegnò la musica primiero,
Ei fu de’ dolci numeri l’autore,
E del soave ordigno , e lusinghiero
Volse le corde nominar dal core.
Oh che strana armonia dolce ed amara
Nella sua scola un cor ferito impara !
Dica costei che II sa, costei che il sente.
Di questa invenzion l’origin vera,
Fa, che l’ istesso Amor, eh’ è qui presente,
Ti narri , onde l’ apprese e In qual maniera.
Contan , che un di nella fucina ardente ,
Che d’ Etna alluma la spelonca nera ,
Dove alternano I fabbri i colpi In terzo ,
L’ ingegnoso fanciulio entrò per scherzo.
Ed osservando de’ martelli 1 suoni
Librati in sull’ ancudini percosse ,
Le cui battute a tempo a tempo e i tuoni
Facean parer, che un bel concerto fosse ,
Le regole non note e le ragioni
Delle misure a specular si mosse ,
E con stupor del padre e de’ ministri
Gl’ intervaili trovò de’ bei registri. .
Della prim’ opra il semplice lavoro
Fu rozza alquanto e mal temprata cetra,
E da compor quell’organo sonoro
La materia gii diè l’ aurea faretra.
Per fabbricarne ie chiavette d’ oro
Ruppe lo strai , che rompe anco la pietra.
L’ arco proprio adoprò d' archetto in vece,
E della cortla sua le corde fece.
Apollo il dotto Dio, meglio dispose
L’ ordine poi de’ tasti e de’ concenti ;
Ed io, cite vago son di nove cose ,
Novi studj mostrai quindi allo genti ,
E in più forme leggiadre c diiettosc
D’ inventar m’ingegnai varj strumenti ,
Oude certa c perfetta alfin ne nacque
La bella facoltà , che tanto piacque.
Piace a ciascun, ma più eh’ agli altri piace
Agl’ inquieti c travagliati amanti ,
Nè trova altro refugio ed altra pace
Un tormentato cor, che suoni e canti.
Egli è ben ver, che il suono è si ofilcace.
Che provoca talor sospiri e pianti ,
E I duo contrari estremi in guisa ha misti.
Che rallegra gli allegri, attrista ì tristi.
Qui tacque II gran corrier cheporta alalo
In man lo scettro, e di due serpi attorto ;
Perchè mentre che Adone innamorato
Per l’ ameno giardin mena a diporto.
Venir non lunge per erboso prato
D'uomini e donne un bel drappello ha scor*
E due Ninfe di vista assai giuliva [lo.
Come capi guidar la comitiva.
Mostra ignudo il bel seno una di queste,
E tremanti di latte ha le mammelle.
Verdeggiante ghirlanda , azzurra veste
Ed all , onde talor vola alle stelle.
T ronibe, cetre, sampngne, un stuol celeste
Di fanciulli le porta e di donzelle.
Nella destra sostien scettro d’ alloro ,
Stringe con l’ altra man volume d’ oro.
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<14
Di costei la compagi» ha di fioretti
Amorosi e leggiadri i crini aspersi.
Varia la gonna , in cui di ^'arJ aspetti
E chiavi e note ha figurate , e versL
Dietro le tranne ancor Ninfe e valletti
Misure e pesi ed organi diversi.
Musici libri , e con ballorie e canti
Di vermiglio licor vasi spumanti.
MARINO.
Bench’ alloggino or qui le mie dilette ,
Non son già queste le lor stanze usate.
Là nel mio ciel con altre giovinette
Abitan come Dee, sempre beate.
Se mai lassù venir ti si permette.
Ti mostrerò gli alberghi , ove son nat&
Qui con Amore a trastullarsi intente
Dall’ eterna maginn scendon sovente.
Soggiunse allor Mercurio : Ecco (fi due
Suore d’ un parto indita coppia e degna;
Degna non dico dell' orecclile tue.
Ma del gran re, che su le stelle regna.
La prima ha del divin nell’ opre sue ,
L’ altra di secondarla anco s' ingegna ,
E con stupore e c<»i diletto immenso
L’ una attrae l’ intelletto, e l’altra il senso.
Quella che innanzi alquanto a noi s'appres-
E più nobìl rasscmbra agli ocelli miei, [sa,
•Sebben ritrovatricc ò per sé stessa,
E l’ arte del crear trae dagli Dei ,
Con la cara gemella è si connessa,
Cile 1 ritmi apprende a misurar da lei,
E da lei, che le cede ole vien dietro.
Prende le fughe c le posate al metro.
Colei però, che accompagnar la suole.
Ha dell’aiuto suo bisogno anch’ella.
Nò sa spiegar, se si rallegra , o dole.
Se non le passion della sorella.
Da lei gli accenti impara e le parole ,
Da lei distinta a scioglier la favella,
tvenza lei fora un suon senza concetto ,
Priva di grazia e povera d’ affetta
Vennero al vago Adon strette per mano
Tutte festa il sembiante , e foco il volto
Queste due bolle, e con parlar umano.
Poiché in schiera tra lor l' ebliero accinto.
Ne andaro ove s' apri nel verde piano
Di lieta gente un larga cerchio e folto ,
Cile invitandolo seco al bel soggìomo
Gli fc’ corona, anzi teatro tntoma.
Non so se vere, o vane, avean sembianze
Tutti di damigelle e di garzoni.
Alternavan costor mute e mntanze,
Raddoppiavan correnti e ripoloni.
Lascivamente alle festive danze
Dolci I cauti accordando , ai canti i suoni ,
Cetre c salteri , e crotali é taballi
Ivan partendo in più partite i balli.
Forati bossi e concavi oricalchi,
E rauche pive e pifferi tremanti
Mostrano altrui , come il terren si calchi
Regolando con legge i passi erranti.
Per r ampie logge e su i fioriti palchi
Miratisi cori di felici amanti
Tagliar canari , esercitar gagliarde ,
Menar pavane ed agitar nizzarda.
Per queste lor reciproche vicende [ro,
•Sempre unite ambedue ne andranno al pa-
E con quel lume , onde virtù rispicnde ,
Ilisjileiideraii nel secolo più cliiaro.
I primi raggi lor la Grecia attende ,
Cui promette ogni grazia il Ciclo avaro ,
La Grecia, in cui |>er molti e molti lustri
l.a terranno in onor spiriti illustri.
Precede lor la prima coppia , e (piesta
Con piante maestrevcvll e leggiere ,
Guidatrice del ballo c della festa
Carolando seti va fra quelle schiere ,
SI gaia in vista, e sovra piè si presta.
Che forte al suon delle rotanti sfere
Soglioii lassù meli rapide e men belle
Per le piazze del dei danzar le stelle.
Col tempo poi divcrran gioco e preda
E delle genti barbare c degli anni.
Colpa di Marte , a cui convicn che ceda
Ogni arte egregia , e colpa de’ tiranni.
Sola r Italia aitili fia che possieda
Qualche reliquia degli antichi danni ;
Ma la bella però luce primiera
Si smarrirà della scienza vera.
Dicean tutti cantando ; 0 Dea beata ,
0 bella universal madre e nutrice ,
Con i’istcssa Natura a un parto nata.
Di quanto nasce originai radice ,
Per cui genera al mondo , e generata
Ogni stirpe mortai vive felice;
Felice teco a questo rive arrivi
Quella beltà , per col felice vivi.
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L’ADONE. Ili
Al tuo cenno le Parche ubbidienti
Tirai! le fila in ^arj slami ordite.
Dai tuo consiglio , In tua virtù crescenti
.Natura impara a seminar le vile.
Per legge tua di sfere c d'elementi
Stansi le tempre in bel legame unite.
Se non spirasse il tuo spirto fecondo ,
I nodi suol rallenterebbe il mondo.
Tu Clel , tu Terra, e tn conservi e folci
Fiori, erbe, pian te , e nello piante il frutto.
Tu crei, tu reggi, a tu ristori emolci
L'oinini e fere, e l’universo tutto,
Lbe senza i doni tuoi giocondi c dolci
Solitario per sè fora, e distrutto;
Ma mentre stato varia, e stile alterna,
i.a tua mercede, il suo caduco eterna.
Lumiera bella, che con luce lieta
belle tenebre umane il fosco allumi ,
Da cui nasce gentil flamina secreta.
Fiamma, ond’ icori accendi e nonconsu-
D’ogni mortai benefattor pianeta, [mi;
(ìloria imniortal de’ più benigni Numi,
Cir altro non vuoi , che a prò di chi l’ot-
Godere il beilo, e possedere il bene, [tiene
*
Commesura d’amor, virtù clic Innesti
Con saldi groppi di concordi amplessi
E le cose terrene c le celesti ,
E supponi al tuo fren gli abissi istessi ;
Per cui con fcrtil copula contesti
Viccndcvol desio stringe due sessi ,
Sicclièmcntre l’ un dona,- c l’ altro prende,
II cambio del piacer si toglie e rende.
Con quest’inno devoto, c questo canto
Venne la turba a venerar la Dea
Ballando sempre , c fatto pausa alquanto
Al concerto dolcissimo tacca.
Con Mercurio ed Amore Adone intanto
K con Venere altrove il piè m'ovca ,
ijuando eccoa sè con non minor diletto
.Novello il trasse , e disusato oggetto.
Un fiore, un fiore apre la buccia, e figlia.
Ed è suo parlo un biondo crin disciolto ,
E dopo il crin con due serene ciglia
Ecco una fronte , eoo la fronte un volto ,
■Al principio però non ben somiglia
Il mezzo c il fin , ma diflerente è molto.
Vedesi alla bellù , che quindi spunta ,
Forma distranioaugcUoessercongiunta.
Tosto che in luce a poco a poco uscio ,
Quel fantastico mostro all’ improvviso ,
Non sorse in piè, ma del suo fior natio
Restò tra l’crbe e tra le foglie assiso.
Occhio ha ridente , atto benigno e pio ,
Ila femminile e giovenile il viso.
Vcsion le spalle e il sen penne stellale ,
Fregian le gambe e i piè scaglie dorate.
Serpentina la coda al ventre ha chiusa.
Lunata, e qual d’arpia, l’ unghia pungente.
Cela un amo tra’ fiori , onde delusa
Tira l’incauta e semplicetta gente.
Tien di nettare e mel la lingua infusa ,
Cile persuade altrui soavemente.
Cosi la liella (era I sensi alletta ,
Fera gcntif, che la Lusinga è detta.
La Lusinga è costei. Lungc fuggite,
0 di falso piacer folli seguaci.
Non Ita sfinge , o sirena o più mentite
Parolettc e sembianze, o più sagaci.
Copron perfide insidie, a.spre ferite
Abbracciamenti adulatori c liaci.
Vipera e scorpion, con arti Infide
Baciando morde,ed abbracciando uccide.
€
La chioma intanto, che in bei nodi invol-
Stringon con ricche fasce auree catene, [U
Dal career suo disprigionata e sciolta
Su per le membra a sviluppar si viene ;
La qual può, tanto è lunga e tanto è folta.
Le laidezze del corpo adombrar bene;
Sicché sotto le crespe aurate e bionde
Tutti i difetti inferiori asconde.
Dell'altrui vista insidiosa e vaga
Ella o che non s’avvide, o che s’infinse.
Indi la voce incantatrice e maga
In note più che angeUebe distinse;
Note, in cui per far dolce incendio epiaga
Amor le faci e le quadrella intinse.
Uscir dolce tremanti udiansi fuori
1 misurati numeri canori.
Tal forse intenerir col dolce canto
Suol la bella Adriana I duri aflietti ,
E con la voce e con la vista intanto
Gir per due strade a saettare i petU.
E in tal guisa Fiorinda udisti, o Manto,
Lì nei teatri dei tuoi regj tetti ,
Di Arianna spiegar gli aspri martiri,
E tzar da mille cor mille sospiri.
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116 MARINO.
Fermaroil corsoi flutni, il volo I venti,
E gii augcllettl al suo cantar le penne.
Fuggi l’arbor di Daini i bei concenti,
Gilè del canto d’Apollo a lei sovvenne.
Apollo istesso i corridori ardenti ,
Vinto d’alta dolcezza, a fren ritenne.
E queste fur le lusinghiere e scorte
Voci, ove accolta in aura era la morte.
Voi clic sclierzando gite anime liete ,
Per la stagion ridente c giovenìle.
Cogliete con man provvida, cogliete
Fresca la rosa In sull’ aprir d’aprile.
Pria che quel foco che negli occhi avete.
Freddo ghiaccio divenga, e cener vile.
Pria che caggian le perle al dolce riso ,
E come h crespo il crin , sia crespo il viso.
Un lampo ila beltà, l’etade un’ombra.
Ni sa fermar l’irreparabil fuga.
Tosto le pompe di natura ingombra
Invida piuma , ingiuriosa ruga.
Rapido il tempo si dilegua c sgombra ,
Cangia il pel, gli occhi oscura, il sangue
asciuga.
Amor non mcn di lui veloci ha i vanni ,
Fugge coi riordelvollo il fior degli anni.
De’ lieti di la primavera è breve ,
Nè si racquista mai gioia perduta.
Vlen dopo il verde con piè tardo e greve
La penitenza squallida e canuta.
Dove spuntava il fior, Rocca la neve,
E colori c pensier trasforma e muta,
. Sicch’uom freddo in amorqncllc pruine.
Ch’ebbe dianzi nel core, hapoi nel crine.
Saggiocolul cli’entro un bel senoaccoUo
Gode il frutto del ben che gli è conccs.so.
Ed oh stolto quel cor, nò mcn che stolto
Crudo,nè men che altrui ,crudo a sé stesso.
Cui quel piacer per propria colpa è tolto.
Che vien si raro , c si desia si spesso.
Anima in cui d’ amor cura non regna ,
Oche non vive, oche è di vita indegna.
Cigno che canti , rosignuol che plori.
Musa o sirena che di amor sospiri ,
Aura , o ruscel che mormori tra i fiori ,
Angel che mova il plettro, o elei che giri.
Non di tanta dolcezza inebbrla I cori ,
Lega i sensi talor, pasce i desiti.
Con quanta, la mirabile armonia,
Per l’ orecchie al garzone il cor feria.
Sparse vive faville in ogni vena
GII area già quella insolita beltade.
Quando un raggio di Sol toccolla appena,
Che la disfece in tenere rugiade.
0 diletto mortai , gioia terrena.
Come pullula tosto , e tosto cade.
Vano piacer che gli animi trastulla ,
Nato di vanità , svanisce in nulla.
In questo mentre a più secrete soglie
Già s’ apre Adon con la sua bella il varco.
Già di candido avorio uscio l’accoglie ,
Che ha di schietto rubin cornice ed arco.
Tien di frutti diversi, c fronde e foglie
Il ministro, che il guarda un cesto carco.
Fan de'sapori ond’egli ha 'I grembo onusto
Una scimia ed un orso arbitro il gusto.
Questi guidando Adon di loggia in log-
in una selva sua fa che riesca. [già ,
Piangon quivi le fronde, e stillan pioggia
Di celeste licor soave e fresca.
Onde l’augelche tra i bel rami alloggia ,
In un tronco medesmo ha nido ed esca ;
Ed alla cara sua prole felice
Quella pianta che è culla, ancoè nutrice,
u
Con certa legge e sempre ugual misura
Qui tempra i giorniii gran rcttor del lume.
Non vi alterna giammai tenor natura ,
Nè con sue veci il Sul varia costume.
Ma fa con soavissima mistura
GII ardori algenti e tepide le brume.
Sparsa il bel volto di sereno eterno
Ride la stale, e si marita al verno.
In ogni tempo , e non arato , o culto ,
Meraviglie il terren produce c serba ,
E nel prato nutrisce, e nel virgulto
La matura stagion mista all’acerba;
Perchè l’anno fanciullo insieme adulto
Dona II frutto alla pianta , il fiore all’erba.
Talché congiunto il tenero al virile
Lussuria ottobre, c pargoleggia aprile.
Di fronde sempre tenere e novelle
L’ orno, l’ alno, la quercia il cielo ingoiii-
Piante sterili si, ma grandi e belle, [lira ;
Di frullo invece han la bellezza e l’ombra,
L’allor non più fugace, opache celle
Tesse di rami , e in guisa il prato adombra.
Che per dare agii amori albergo ed agio
Par voglia d’arboscel farsi palagio.
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L’ ADONE.
VI Tan vaglie spalliere ombrosi c folli
Tra purpurei rosai verdi mirleti.
Quasi permane stretti, e in danza accolti
tiineprl e faggi , e platani ed abeti
Si condensai) cosi , che ordiscon molti
Laberinti e ricovrì ermi e secreti;
Nè Febo il crin, se non talor, vi asconde,
Quando l'aura per scherzo apre le fronde.
Trionfante la palma Infra lo spesso
Popolo delle piante il capo estolle.
Piramide dei boschi , alto il cipresso
Signoreggia la valle, agguaglia il colie.
L'inidetto d’ambrosia il fico aneli’ esso
Mostra il suo frutto rugiadoso c molle,
Qie piangendo si sta tra foglia e foglia
Chino la fronte, e lacero la spoglia.
Dalla madre ritorta e pampinosa
Pende la dolce e colorila figlia.
Parte fra i tralci e fra le foglie ascosa.
Parte dal Sole il nutrintcnio pigila.
Altra di color d’oro, altra di rosa,
Altra più bruna , ed altra più vermiglia.
Quale acerba ha la scorza, e qual matura.
Qual comincia pian piano a farsi oscura.
•
Scopre il punico stelo il bel tesoro
Degli aurei pomi di rossor dipinti.
Apre nn dolce sorriso ai grani loro
Nei cavi alberghi In ordine distinti;
Onde fa scintillar dal guscio d’oro
Molli rubini o teneri giacinti ,
E quasi in piccol iride commisti
Sardonici , baiassi ed anietistl.
Nutre il susin tra questi anco I suol parti.
Altri obliqui ne forma, altri ritondi,
Quai di stille di porpora conspartl ,
Quai d’eban negri, e quai più ch’ambra
Men pigro il moro in si beati parti [biondi.
.Al verme serican serba le frondi.
Havvì il mandorlo aprico, ed havviii pome,
Cbe trae di Persia il suo legnaggio e il nome.
All’ opra naturai cultrice mano
Con innesti ingegnosi aggiunse pregio ,
Indolcì l’ aspro , incivili l’ cstrano ,
Ornò il natio di peregrino fregio.
Congiunto al cornio suo minor germano
Fiammeggia il soavissimo ciriegio ,
Nasce 1’ uva dal sorbo, ed adottalo
Dall’arancio purpureo è il cedro aurato.
117
Anzi virtù d’araor viepiù cbe d’ arte ,
La men pura sostanza Indi rimossa,
Perchè perfetta il frutto abbia ogni parte.
Fa che le polpe sue nascan senz’ ossa ;
E tanto in lor di suo vigor comparte ,
Che ciascun di essi oltre misura ingrossa,
li pero , il pruno prodigioso e il pesco
Vive in ogni stagion maturo e fresco.
Mostrando il cor fin nelle foglie espresso
Preme 11 tronco fedel l’ cdra brancuta.
Stringe il marito e gli si appoggia appresso
La vile onde la vita è sostenuta.
Vibra nel gelo amor, nel vento istesso
La face ardente , e la saetta acuta.
L' acque accese di amor bacian le spondè,
E discorron di ainòr l’ aure e le fronde.
Traquei frondosi arbusti Adoirsen varca,
E coi Numi compagni oltre cammina ,
Dove ogni pianta i verdi rami inarca ,
Quasi voglia abbracciar chi si avvicina ;
E di fruiti c di fior giammai non scarca,
E del bel peso prodiga s’ inchina.
Piove nettar l’ olivo e l’ elee manna ,
Mele la quercia e zucchero la canna.
Qui son di Bacco le feconde vigne.
Dove in pioggia stillante il vin si sugge.
Di candid’ uve onusta , e di sanguigne
Quivi ogni vite si diOonde e strugge,
Le cui radici intorno irriga e cigne
DI puro mosto un fiumicei che fugge.
Scorre il mosto dall’ uve e dalle foglie ,
E io vermiglio ruscci tutto si accoglie.
Si accoglie in rivi il dolce umore, e in fiu-
A poco a poco accumulato cresce , [me
E nutre a sè tra le purpuree spume
Di oolor, di sapor simile il pesce.
Folle chi questo e quel gustar presume,
Chè per gran gioia di sè stesso n’ esce.
Ride , e il suo riso è si possente e forte ,
Cile la letizia alfin termina in morte.
Arbori estrani qui (se prestar fede
Lice a tanto portento) esser si scrive.
Spunta con torto e noderoso piede
Il tronco inferior sovra le rive ;
Ma dalla forca in su quel che si vede.
Ha forma e quallUi di donne vive.
Son viticci le chiome, e i diti estremi
Figliano tralci , e gettano racemi.
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118 MARINO.
Dafoc, o Siringa tal forse esser debbo
Io riva di Ladone , o di Penco
Quando i’ una a Tcssagiia, e i’ altra accreb-
Notra verdura ai boschi di Liceo. [ be
Forse io forma si fatta a mirar ebbe
Sue figlie il Po nel caso acerbo e reo
Quando a spegner le fiamme entro il suo
Sinistrando 11 seotier veaneF etoule. [fonte
Sotto le scorze ruvide ed alpestre
Seotesi palpitar spirto selvaggio.
Soglion ridendo altrui porger le destre ,
E si odon favellar greco linguaggio.
Nache fruito si colga, o fior silvestre
Non senza allo dolor soffron l’ oltraggio.
Bacian talor lusingatrici oscene ,
Ha chi gusla i lorbact ebbro diviene.
Con pampinosi e teneri legami
Stringono ad ora ad or quel fanno e questo
Che non potendo poi staccar dai rami
La parte genital , fanno un innesto.
FansI una specie istcssa, e di fogliami
Veston le braccia, e divien sterpo il resto ;
Verdeggia il crine, e con Icbarbe in terra
Indivisibilmente il piè si afferra.
\
Quanti favoleggiò Numi profani
L’eiade antica , lian quivi i lor soggiorni.
Lari , sileni , seinicapri e pani ,
La man di tirso, il crin di vile adorni ,
Geni salaci e rustici silvani ,
Fauni saltanti e satiri bicorni,
£ di fcmle verdi ombrosi ì capi
Senza fren , senza vcl Bacchi e Priapi.
£ Menadi e Bassaridi vi scemi [ce,
libbre pur sempre e sempre a berè accon-
Chc intente or di latini , or di falcrai
A votar tazze, ed asciugar bigonoe ,
£d agitale dai furori Intemi,
Rotando 1 membri in sozze guisce sconce
Celebran l’ orgie lor con queste o tali
Fcsceuniue canzoni e baccanali.
Or d’ eilera si adontino e di pampino
I giovani e le vergini più tenere,
E gemina nell' anima si stampino
L’ immagine di Libero e di Venere.
Tutti ardano, si accendano , ed avvampino
Qual Scmcic , che al folgore fu cenere;
E cantino a Cupidine ed a Bromio
Con numeri poetici un encomio.
La celerà col crotalo e con l’ organo
Sui margini del pascolo odorifero ,
U cembalo e la fistola si scorgano
Col zufolo , col timpano e col piffero ;
E giubbilo festevole a lei porgano ,
Che or Elspero si nomina, or Lucifero ;
Ed empiano con musica , che crepiti ,
Quest' isola di fremiti e di strepiti.
1 satiri con cantici e con frottole
Tracannino di nettare un diluvio.
Trabocchino di lagrima le clottole, '
Che stillano Posilipo e Vesuvio.
Sien cariche di fescine le grottole,
E versino dolcissimo profluvio.
Tra frassini , tra platini e tra salici
Esprimansi dei grappoli nel calici.
Chi cupido è di suggere l' amabile
Del balsamo aromatico o del pevere,
Non mescoli il carbuncolo potabile
Col rodano , con l’ adice , o col teverc ;
Cile è perfido , sacrìlego c dannabile,
E gocciola non merita di bevere
Chi tempera, chi intorbida, chi incorpora
Coi rivoli il crisolito e la porpora.
Ha guardinsl gli spiriti che fumano ,
Non facciano del cantaro-alcuh strazio ,
E l' anfore non rompano, che spumano ,
Già gravide di liquido topazio;
Chè gli uomini ire in estasi costumano,
E si altera ogni stomaco clic è sazio;
E II cerebro che fervido lussuria ,
Più d' Ercole con impeto si infuria.
Mentr' elle ivan cosi con canti e balli
Alternando evoè giulive e liete ,
Intente tuttavia negl’ Intervalli
Sgonfiando gli otri , ad inalliar la sete;
Passando Adnn di quelle amene valli
Nelle più chiuse viscere segrete ,
Trovò morbida mensa , ed apprestati
Erano intorno al desco i seggi aurati.
Qui , bellissimo Adon , depor conviensi
(Ricominciò Cillenio) ogni altra cura.
Col ristoro del cilH) uopo è che pensi
Di risarcir, di rinforzar natura.
E poiché ciascun già degli altri sensi
In queste liete piagge ebbe pastura ,
Vuoisi il gusto appagar, però che tocca
.Del diletto la parte anco alla bocca.
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«
L’ADONE.
La bocca è Ter, che ilelP uman sermone
(Solo ufficio dell' uomo) i nuiuùt prima.
CoBceno alcun non sa spiegar ragione ,
Che per lei non si scopra, e non s' esprlmx
Interpiete dirin , per cui si espone
Quanto nel peUo altrui Tuoi che s'imprima;
(E la Toce i di ciòmeuana ancella )
L’inlelletlD e il pensier di chi faTclla.
Ma serre ancora ad operar, che cresca
L’ Intemo umor, nè per ardor si estingua ;
A cui quando talor cibo rinfresca
Ph credenziera e giudice la Ungua ;
Nè perla gola mai passa alcsn'esca.
Che ìtI prima il sapor non si -distinguau
Fatto il saggio che eli’ ha d' ogni Tirauda,
In deposito al ventre alOn la manda.
E perchè l' uom che alle fatiche è lento,
Nelle operazion aia! non si stanchi,
E non pascendo il naturai talento ,
L’ individuo mortai si strugga e manchi ;
Vuol clii.tutto creò, che l' alimento
Nou sia senza il piacer clie lo rinfranchi,
Onde qpesto con quel sempre congiunto
Abbia a nutrirlo , e dilettarlo a un punto.
Notasti mai da quante guardie e quali
Sia la lingua difesa e custodita ?
Perchè dai soffi^gelidi brumali
Del nevoso aquilon non sia ferita ;
Quasi di torri , o pUr d’antemurali
Coronala è per tutto , e ben munita.
E perchè altro furor non la comlutta.
Sotto concavo tetto il corpo appiatta.
Dalie fauci al palato in alto ascende.
Quanto basta c convleii, polputa e grossa.
Larga ha la base , e quanto più si stende ,
Si aguzza in cima ed è spugnosa crossa.
Ha hi radice , onde deriva e pende ,
Forte, perchè aggirar meglio si possa.
Vofaibilmente si ripiega e vibra.
Muscolosa , nervosa e senza fibra.
Dico cosi , che il Facilor sovrano
Cotale ad altro fin non la costrusse .
Se non perchè del nutrimento umano.
Che dal gusto provicu , stromento fusse ;
Senza U qual uso, inulil fora e vano
Quanto di dolce al mondo egli produsse.
E quRta del tuo cor fiamma immortale,
Senta Cerere e Sacco è fredda e frale.
Cosi parla il signor dell’ eloquenza ,
Indi per mano il vago Adon conduce
Là dove pompa di reai credciua
Veste 1 selvaggi orror di ricca luce.
Gin bell’ arte disposto c diligenza
L’ orò e r elettro in ordine riluce.
Di materia miglior p<fi vi si squadra
DI altre vasclla ancor serie leggiadra.
«
Ma due fra gli altri di maggior mi.siini
Di un intero smeraldo .Adon ne vide.
Gemma d’ Amor, che cede , e non s’indnra
Allo scarpello , e col bel verde ride.
Non so se di si nobile scultura
Oggi alcun’ opra il gran Bologna Incide,
Che I bei rilievi c I dliicati intagli
Qui da Dedalo fatti , in parte aggusqtU.
In un del vasi il simulacro altero
Della Diva del loco è scolto e finto,
Ma al sembiante è II simulato al vero ,
Clic I’ esser dal parer quasi n’ è vinta.
Il sanguigno concetto, e il suo primiero
Fortunato natal vi appar distinto.
Miracolo a veder, come pria nacque
Genitrice di Amor, figlia dell’ acque.
Saturno v’è, che al proprio padre tronca
L’ oscene membra, e daHe in preda a Dori.
Dori le accoglie in crisiallina conca ,
Fatta nutrice dei nascenti ardori.
Zefliro v’ è , che fuor di sua spelonca
Batte r ali dipinte a più colori ;
E del parto gentil ministro fido-'
Sospinge il flutto leggiermente al Udo.
Vedresti per lo liquido elemento
Nuotar la spuma gravida c feconda.
Poscia in oro cangiarsi U molle argento,
E farsi chioma inanellala c bionda.
La bionda chioma incatenandoli vento
Serpeggia, e si rincrespa,* emula ali’ onda.
Ecco spunta la fronte a poco a poco ,
Glàl’acquc aduo he gli occhi ardondi foco.
0 meraviglia , e trasformar si scorge
In bianche membra alfìn la bianca spuma.
Nuoto Sol dall’ Egeo si leva e sorge ,
Che il mar tranquilla e l’ aria intornoallu-
Soldi beltà, che altrui conforto porge, [ma
E dolcemente l’ aniiue consuma.
Cosi Venere bella al mondo nasce.
Un bel nicchio ha per cuna,alglie per fasce.
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120 U ARINO.
Mentre col pii rosato e rugiadoso
li vertice del mar calca sublime ,
E con I’ eburnea man del fluito ondoso
Dall’ auree trecce il salso umor s’esprime;
Gii abitatoc dei pelago spumoso
Lascian le case lor palustri ed ime,
K fan seguendo II Tor ceruleo duce
KesUri osscquj all' amorosa luce.
Paiemon d' un deiflno il curvo tergo
Preme vezzoso e pargoletto auriga ,
E balestrando un fuggitivo mergo ,
Pende i solclii del mar per torta riga.
Quanti Tritoni bau sotto l’ onde albergo !
Altri accoppiali in mansueta biga
Tiran planpian la conca, ove ella nacque.
Altri per altro aflar travaglian l’ acque.
Chi dell’obliquo corno a gonflc gote
Fa buccinar la rauca voce al cielo.
Citi per sottrarla al Sol , che la peroole ,
Le stende intorno al crin serico velo.
Chi volteggiando con lascive rote
Le regge innanzi adamantino gelo,
E percliè solo in sua beltà s'appaghi.
Ne fa lucido speccliio agli occhi vaghi.
Nè di scherzar aneli’ elle infra costoro
Del gran padre Nereo lascian le Qglic , '
Che accolte in lieto e sollazzevol coro
Cantano a suon di pettini e conchiglie ;
E porgendo le van succino ed oro ,
Candide perle e porpore vermiglie.
Si fatto sluol per 1' umida campagna
La riceve , la guida e l’ accompagna.
Nell’altro vaso, del suo figlio Amore
Il nascimento effigiato splende.
Già la vedi languir, mentre che l’ore-
Vicine ornai del dolce parto attende.
Nella bella stagion, quand’entra in fiore
La terra, e notcll’abito riprende.
Par che l’ Alba oltre l’ uso apra giocondo
Il primo di del più bel mese al mondo.
Sovra molli origlieri e verdi seggi
La l>ella Dea per partorir si posa.
Par die rida la riva, e che rosseggi
Presso il musco fiorilo indica rosa.
Par die l'onda di Cipro appena ondeggi.
Danzano i pesci in su la sponda erbosa.
Con padfidie arene ed acque chiare
• Par senza flutto, e senza moto il mare.
Per non farsi Importuni I zefliretti
A quelle dolcemente amare doglie ,
Stràzi a dormir, quasi in purpurei letti ,
De' vicini roseli infra le foglie.
Cailgon r aure lascive odori eletti
Per Irrigar le rugiadose spoglie, ^ ■
Spoglie bagnate di celeste sangue.
Dove tanta beltà sospira e langue.
Pria che gli occhi apra al Sol, le labbra al
Per le viscere anguste Amor sai lanle,[laUc,
Precorre l’ora impetuoso, e balte
li sen materno con feroci piante ;
E del ventre divin le porte intatte
Si apre c prorompe intempestivo infante.
Senza mano ostetrice ecco vien fuori.
Ed ha fasce le fronde, e cuna I fiori.
Fuor dei candido grembo appena esposto.
Le guizza in braccio,indi lastringc C tocca.
Pigolando vagisce, e corre tosto
Sull’ urna manca a conficcar la bocca.
Stillan le Grazie il latte, ed è composto
Di mel, qual più soave Ibla mai fiocca.
Parte alternando ancor balia e mammelle.
Dalie tigri è lattato, e dalle agnelle.
Stame eterno al bambin le filatrici
Di ogni vita mortai tiran cantando.
Van mansuete in su quel campi aprici
Le fere più terribili baccando.
Tresca il leone, e con ruggiti amici
li vezzoso torci lecca scherzando,
E con l’unghia sonora e col nitrito,
Ueto applaude il destriero al suo vagito.
Bacia l’ agncl con innocente morso
Acceso il lupo d’amorosa fiamma. ^
La lepre il cane abbraccia, e l’ ispid’ orso
La giovenca si ticn sotto la mamma.
L’aspra pantera in sul vergato dorso
Gode portar la semplicetta damma.
E toccare il dragon, benché pungente
Del nemico elefante ardisce il dente.
Mirasi Citerea, che gli amorosi
Scherzi ferini di mirar si appaga,
E ride, die animai tanto orgogliosi
Sentan per un fanciullo incendio e piaga.
Par che sol del cinghiai mirar non osi
Gioco, festa, o piacer, quasi presaga.
Presaga, die per lui tronca una vita.
Ogni delizia sua le fia rapita.
Digiti/. , l.v t.nn^lc
L’ADONE. 121
Tal de’ vasti il lavoro. Amor si appiglia
Alla maggior delle gemmate coppe,
Poscia di quello sluol che rassomiglia
l.e .Semidcc che si cangiaro In ploppc.
Per farne scaturir pioggia vermiglia.
Ad una con lo strai svena le poppe,
E fa che dal bel sen per cento spilli
Odorato licor dentro vi stilli.
E tre volte ripiena, ad una ad una
Tutte forbillc, e propinò ridendo.
Ne bebbeuna a Mercurio, a Veneruna,
Una a colui che la distrugge ardendo.
(>jsl a ciascun ne dedicò ciascuna,
Ijà prima alla salote offrì bevendo,
L’altro vaso di vìn colmo e spumoso
Diede al piacere, e rullìnio al riposo.
Cento Ninfe leggiadre e cento amori.
Cento Fauni nell' opra abili e destri ,
Quinci e quindi portando e frutti e fiori
Son della bella inibandìgion maestri.
Qui con purpurea man Zefiìro e Clori
Votau dì gìgli e rose ampj canestri.
La Pomona e Vertunno bau culmi c pieni
Dei lor doni maturi I cesti e i Seni.
Natura delle cose è dispensiera,
L’ Arte condisce quel ch’ella dispensa.
Versa Amaltea, che n’è la vivandiera,
Del riccòcorno suo la copia immensa.
Havvi le Grazie amorosctte in schiera,
E loro ulficiu ò rassettar la mensa ,
E vigilante infra i ministri accorti
Il robusto custode havvi degli orti.
Ogni sergente a prova, ed ogni serva
Le portate apparecchia e le vivande.
Altri di man d’Aracnc e di Minerva
Su i tronchi, c per il suol cortine spande,
.Altri le tazze, acciocché Bacco ferva.
Corona d'odorifere ghirlande.
Chi stendo in su i tappeti i bianchi drappi.
Citi vi poti gli aurei piatti egli aurei nappi.
E tutta in moto la famiglia, or vanno
Quei che curano il pasto, or fan ritorno.
Alcuni amori a ventilar vi stanno
Con ali aperte, e sferzan l’ aure intorno.
Le quattro figlie del fruttifer anno
Per fare in tutto il l>el convito adorno,
Hecan d'ogni stagiou tributi eletti,
E son diverse d’ abiti c d’aspetti.
Ingombra una di lor di fosco velo
La negra fronte e la nevosa testa.
Di condensalo e cristallino gelo
Stringe l’umido crin fascia contesta.
Qual nubiloso e folgorante cielu
Minaccia II ciglio torbida tempesta.
Copre il rugoso sen neve canuta.
Calza II gelido piè grandine acuta.
Altra spirando ognor secondo fiato
Ride con giovenii faccia serena.
Un fiorito legame ed odorato
lai sparsa chioma e rugiadosa alfrena.
l.a sua vesta è cangiante, e variato
Ili di color tanti ha II velo appena. ^
Va di verde cappello il capo ombrosa.
Nel cui vago fronlal s’ apre una rosa.
L'altra die intorno al minislerio assiste.
Par che di sete e di calore avvampi.
Ispida il biondo crin d’ aride ariste.
Tratta il dentato pettine dei campì.
.Secche anelan le fauci , arsicce e triste
Fervon le guancie e vibran gli occhi lampi.
Umida di suder, di polve immonda
Odia sempre la spoglia ed ama l’ onda.
Circonda il capo all’ultima sorella.
Che quasi calvo è |>oco mcn che tutto,
Un diadema d' intorta uva novella.
Di cedri e pomi e pampini costrutto.
Intessuta di foglie ha la gonnella.
Di fronde il chito, ed ogni groppo è frut(o.
Stilla umori il crin raro, e riga Intanto
Di piovosa grondaia il verde manto.
Cosi per Ibla alla novella estate
Squadra di diligenti api si vede.
Che le lagrime dolci c delicate
Di Narciso c d’ Aiace a sugger riede.
Poi nelle bianche celle edificate
Vanno a ripor le rugiadose prede.
Altra a comporre II favo, cd altra schiera
Studia dal mele a separar la cera.
Insieme con la Diva innamorata
Adone alla gran mensa il piè converse.
Amor paggio c scudier l'onda odorata
Sulle man bianche In fonte d'or gllasperse.
Amor scalco c coppicr l' esca l>cata
In cava gemma, e il buon licor gli oflerse.
Amor del pasto ordinator ben scaltro
Pose a sedere un Sole a fronte all’altro •
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122 MARINa
SomiglUvan duo Soli ed ella ed egli ,
Cui nou fusser però nubi iulerpostc ;
£ glaii uci volli lor, come in duo spegli,
Lampeggiando a ferir le luci opposle.
Dava coslei sovente, e reiidea quegli
Di fiamma c di splendor colpi e risposte,
£ con lucida eclisse, e senza oltraggio
S'Incontrava e rompea raggio con raggio-
Come Dio del piacer, piacerol Nume ,
Che a sollazzi ed a feste 0 sempre inteso.
Per mitigar di que' begli occhi il lume ,
E del Sole importuno il foco acceso;
Con due smaltate e gioiellate piume
Di bel pavun, die tra le mani ha preso,
L* aere agitando in lieve moto e lento
Tra i più fervidi ardor fabbrica il vento.
Mercurio è quei che mesce e che rifonde
Nell’ auree conche i preziosi vint
Amor rinfresca con le limpid’ onde
L'idrie lucenti e I vgsi cristallini.
L’uno e l'altro gli terge, e poi gli asconde
Nel più denso rigor dei geli alpini;
Le vicende scambiando or questo or quello
Nel servire or di coppa or dì coltello.
Traboccan quindi liquld’oroe gravi
Dì stillato ametisto, urne spumanti.
Tengon gemme capaci i ventri cavi
Di rugiada vital colmi e brillanti.
Sangue ^ocoudo c lagrime soavi,
Che non peste, versar l’uvc pregnanti.
Onde di Cipro le feconde viti
Sogliou dolce aggravar gli olmi mariti.
La bella Dea di nettare vermiglio
Rugiadoso cristallo in maivsl strinse,
Llbullo, e con dolce alto e lieto ciglio
Nel bel rubino i bei rubiiiHntinsc.
Poi di vergogna il semplicetto giglio
Violando di rosa , il volto tinse ,
£ l’ invitò, postogli il vaso imianzi ,
Parte a gustar de’ generosi avanzi.
Il bel garzon,chc ingordamente assiso
Presso queir esca, onde la vita ei prende.
Tutto dal vago e delicato viso
L’altra spesso obbliondu, intento pende,
E con guardo a nutrir cupido e fiso
Hcn la bocca che gli occhi, avido intende.
V’immerge il labbro e visommerge II core,
£ resta ebbro di viu, ma più d’amore.
Mentre non del gran pasto In sul più IH-
£cco Momo arrivar quivi si vede,- [lo,
Nomo critico Nume, arco e flagello,
Clm gli uomini e gli Dei trafigge e flitlc.
Ciò eh’ egli cerchi, e qual pensier novello
Tratto rabbia dal del Vener gli diicde;
E perchè volentier scherza con esso.
Sei fa seder per ascoltarlo appresso.
Vo , rispose lo Dio , tra queste piani •
Della Satira mia tracciando l’orme.
Della Satira mia, che poco avante
Ha di me generato un parto iirfonne ;
Parto nelle fattezze e nel sembiante
Si mostruoso, orribile e diflbnne,
('.he se non fus.se il suo sottile ingegno,
Lo stimerei di mia progenie indegno.
Mala vivacità mio figlio U mostra,
E lo spino gentil, ch’io scorgo in Ini,
E quel che è proprio della stirpe nostra,
La libertà del sindacare altrui ,
Onde mero del par conteinle e giostra.
Che pur sempre del vero amico fui ,
E mentir mai non volli , e mal non seppi
Chiuder la lingua tra catene e ceppi.
I.a lingua sua viepiù che spada taglia,.
La penna stia viepiù clic liamma coce.
Con acuta favella il ferro smaglia,
E con ardente slil fulmina e noce.
Nè contro i morsi suoi morso è che vaglia.
Nè giova schermo incontro alla sua voce.
Indomllo animale c stranio mostro, [stro.
Chè altro non luche il flato e chel’iiichio-
Non ha prè, non ha stinchi and’ ei si reg-
Ha l’ orecchie recise e il naso monco, [ga,
lo non so come scriva e vada e segga,
Ch’ è. storpialo, smeinbratoezoppoecion-
Ma benché così rotto egli si vegga , [vo,
Chè del corpo gli resta appena il tronco.
Non pertanto l’ audacia in lui si scema.
Poiché sol della lingua il mondo trema.
Tal qual è senza piante e senza gambe.
Nei secoli futuri e nei presenti [be.
Delle man privo e delle braccia entrain-
L’ universo però fia che spaventi, [eaiiilve,
Quai piaghe ei faccia, il saprà ben l.i-
Chè colto da’ suoi slrali aspri e pungenti.
Di disperalo laccio avvinto il collo.
Darà di propria man l’ nltimo crollo.
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L’ ADONK.
Gran cose ha di costui Febo indovino
E previste e predette agli altri Numi.
Pronostico che nome avrà Pasquino;
Corfettor delle genti e del costumi.
Che per terror de’ principi il destino
Gli darA d’eloquenza e mari c fiumi ;
B che imitarlo poi molli vorranno.
Ma non senza periglio e senza danno.
Nemico è della fama e della corte,
Lacera i nomi, e d’adular non usa ;
In ferir tutti 0 simile alla morte ,
S’Io lui riprendo, egli me stesso accusa.
Con dir che II mio dirmalnonò di sorte.
Chela malizia altrui resti confusa. [eterno
Che piitf noi^clie altri, il gran monarca
Nota, punta, ripicca e prende a scherno.
I fanciulli rapili e le donzelle
Non sol di rinfacciargli ardisce ed osa.
Ma poti nell’ opre sue divine e belle
Anco la bocca, e biasma ogni sua cosa.
Trova degli elementi c delle stelle
Imperfetta la mole e difettosa ,
Ogni parola Impugita', emenda ogni alto,
E si beffa talor di quanto ha fallo.
Da menda al mar, cli'ha i venti e le tem-
Alla terra, che tremacclie vacilla, [peste.
All’aria, che dì nuvoli si veste.
Ed al foco, clic fuma e che sfavilla.
Appone alla gran macchina celeste ,
Che maligne Influenze Infonde e stilla.
Che altra fiice si move, altra sta fissa.
Che la l.unaòmaccliiala,cilSolsio clissa.
E non por di colui clic il lutto regge ,
Ma prende a mormorar della Natura.
Dice che altrui vii femmina dar logge
Non dee, nè dee del mondo aver la cura.
La detesta, la danna, e la corregge,
E il lavoro dell’ uom tassa e censura,
Cht non diè,chè non fe’, sciocca maestra.
Al tergo un occhio, al petto una finestra.
Per questo suo parlar 1 ibero c sdì letto
Giove dal del I’ ha discacciato a torlo.
Gli fe’ come al tuo sposo, e per dispetto
Se non fusse immortal 1’ avrebbe morto.
Precipitato dal superno tetto.
Restò rotto e sciancato c guasto c torlo.
Ha perchè pur co’ detti altrui fa guerra,
Poco meglio che ln rieloè visto in terra.
Sulle sponde del Tebro, ov’ egli meno
Credeacheil vizio e il mal regnar dovesse.
Per d.ir legge al suo dir, che è senza freno.
Tra boutade e virtiide albergo elesse.
Ma non cessò di vomitar veleno ,
Nè però più che altrove ci tacque in cs.se ;
Sebben malconcio, e senza un membro iii-
Provò che l’odio aTin nasce dal vcro.[tcro
Se tu vedessi, 0 Dea, I’ aspre ferite.
Che ha per tutte le membra intornosparte.
Diresti, che con Ercole ebbe lite.
Oche a guerra in steccalo entrò con Marie.
Cliè 0 sien vere l’arcuse, o sieii mentite , •
Ogni grande abborrir suol la nosir’ arte,
E perdendone alfiu la sofferenza ,
Non voglion comportar tanta licenza.
Alcun ben ve ne fu, clic s<i iic rise,
E di .suo molleggiar poco gli cal.se,
Peroccb’ egli è faceto, c in varie guise
Sa novelle compor veraci c false ;
lìcncliè l’ arguzie sue gìanimai divìse
Non sien dalle punture amare e salse.
Lecca talor piacevolmente, e scherza,
Nondinien sempre morde c sempre sferza.
Ma costoro eli’ io dico, i quali in pace
Lo lasciali pur gracchiar quanto egli volo,
Sapplendo per natura esser l<«iuace,
E che pronte ha l' ingiurie c le parole.
Che per rispetto, o per tinior non tace ,
E che irritato più, più garrir suole,
Son poeti! e rari, ed han sinceri ! pelli,
Nè temoli che altri scopra i lor difetti.
E certo io non so già, s’è lor conce s i
GII encopij udir dì adulatorcbe applaude.
Perchè non deggian poi nel modo istesso
Il hiasmo tollerar, come la laude.
E se ai malvagi è di operar permesso
Ogni male a lor grado, ed ogni fraudo,
Percliè non lice ancor con pari artlire
Come ad essi di fare, altrui di dire?
Io per me, bella Dea, perchè altri offe ’ o
Si tenga dal mio dir, scoppiar non voglio;
Ma nè turbarsi già dii n’è ripre.so.
Nè sentir ne dovria stiegno o cordoglio;
Perebè (|ualor, pur come foco acceso,
0 rasoio crudel, la lingua scioglio.
Con pieto.so rigor di buon chirurgo
Arder mostro c ferir, ma sano c purgo.
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MARINO.
124
Orcssnmloil meschino in terra e incielo
Per tal ragion perseguitato tanto,
In, che pur l’amo con paterno zeio,
Supplico II Nume tuo cortese e santo,
Ohe appo la fonte dal gran re di Deio,
De’ cigni tuoi già consacrata ai canto,
l.a dell’ acque imniorlali in sulla riva
Ti piacciaacconsenlir,chc alberghi e vira.
Solo in <|uell’ isoletta amena e lieta,
('.he d’ogni insidia è Ubera e seenra,
Potrà vita menar franca e quieta,
K scrivere c cantar senza paura.
Ivi sebben non è cigno, è tal poeta,
* Ohe meritar ben può questa ventura
D’essere ascritto infraquei scelti e pochi,
* Ma non sia chi l’ attizzi, o chi il provochi.
.S’ egli av V leu che talor d’ ira s’Infiauimi,
Invettive e libelli usa per armi ,
lambì talor saetta ed epigrammi ,
Talor satire vibra ed altri carmi.
.Stupir sovente insieme e rider fammi
Quando vien qualche verso a recitarmi
txrntr’ un che celebrar volse 11 Colombo,
E d’ India bi vece d’or riportò piombo.
Per impetrar da te questa dimanda
Di essere ammesso In quel felice coro,
Una fatica sua bella ti manda.
Da cui scorger potrai se ha stil canoro,
K se egli degno è pur della ghirlanda,
t Uie altrui circonda il crin di verde alloro.
In questo libro, che qui meco ho io.
Punge (fuor che le sola) ogni altro Dio.
Ogni altro Dio dalla sua penna è tocco,
Kiiorchc sol tu, cui sacra il bel presente.
Narra gli onor del tuo marito sciocco,
E qualche prova ancor di quel valente,
t'he dell’ asta malgrado, e dello stocco
So che del cor t’ ò uscito c della mente,
E se non che oggi ad altro intenta sci ,
Leggerne almeno un saggio a te vorrei.
Qual trastullo maggior (Ciprigna disse]
Dar ne potresti infra quest’ ozj nostri ,
Che farne udir di lor quante ne scrisse.
Spirto si arguto in suol giocosi inchiostri ?
Qual cosa, che più grata or ne venisse
Esser potea dell’opera che mostri?
Ma per meglio ascoltar ciò che tu leggi ,
Ti vogliaui dirimpetto ai nostri seggi.
Allor tra varia turba ascoltatrlcc.
Assiso inrnntro ai duo beati amanti ,
D' oro fregiato, P orlo c la cornice.
Si pose Monto un bel volume avanti.
Le Vergogne del Cielo, il titol dice,
E diviso è il poema in molti canti;
Ma fra molti un ne sceglie, indi le rime
In questa guisa incominciando, esprime ;
Più volle ai dolci lor furti amorosi
Ritornati eran gii Venere e Marte,
Credendo a tutti gli occhi essere ascosi ,
Tanta avean nel celarsi industria ed arte.
Ma il Sol che i raggi acuti e luminosi
Manda per tutto, e passa in ogni parte.
Nella camera entrò, che in sé chiudea
Lo Dio più forte e la più bella Dea.
Veggendogli d’ amor rapire il frutto
Seno a seno congiunto, e labbro a labro.
Tosto Vulcano a riferire il tutto
N’ andò nell’ antro alTumigato e scabro.
Batter sentissi al caso indegno e brutto
Viepiù grave e più duro il torto fabro
Di quel eh’ egli adoprava in Mongibello,
Sull’ incudin del core altro martello.
Non fu già tanto il Sol col divin raggio
Mosso per zelo a palesar quell’ onte.
Quanto per vendicar coti tale oltraggio
La saetta che uccise il suo Fetonte,
Che quando al troppo ardito e poco saggio
Garzon eh’ ci tatuo amò, feri la fronte,
Nonmencheal nglioilcorpo,al genitore
Trafisse di pietà l’ anima e il core.
Poiché distintamente il modo e il loco
Dell’ alta ingiuria sua da Febo Intese,
Nel petto ardente dello Dio dei foco.
Foco di sdegno assai maggior s’ accese.
Temprar nell’ ira sua si seppe poco
Colui che tempra ogni più saldo arnese.
De’ fulmini II maestro , all’ improvviso
Fulminato restò da quell’avviso.
Vassen là dove dei Ciclopi ignudi
Alla fucina il rozzo stuol travaglia.
Fa percosse sonar le curve incudi ,
Dà di piglio alla lima e alla tanaglia ,
K potisi a fabbricar con lunghi studi
PieghevoI rete di hiinuta maglia.
Di un infrangihii filo adamantino
La lavorò I’ artefice divino.
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L’ADONE. * 125
DI quel laeor la maosirla librile
Se ala dlamaiUe, o III mal si argomenta.
Non men che forte, egH l' ordì sottile,
La fé* al molle e delicata e lenta.
Che di filar giammai stame simile
L'emula di Minerva indarno tenta;
E quantunque con man si tratti e tocchi,
InrisibiI la trama t quasi agli occhi.
Con arte tale il magistero è fatto.
Che ancorch’entrino I duo traquel ritegni.
Purché non faccian sforzo in quanto al tat-
Noosidiscopriran gli occulti ingegni, [to,
Ha se verran con Impeto a quell' atto.
Che suol far cigolar d’intorno I legni.
Tosto che il Ietto a’ agita e scompiglia.
La rete scocca, e al talamo si appiglia.
Uscito poi della spelonca nera ,
Zoppiccando sen corre a porla in opra.
Nella stanza l' acconcia in tal maniera.
Che impossibll sarà che si discopra.
Nei sostegni di sotto alla lettiera.
Nelle travi del palco anco di sopra.
Per le cortine in giro ei la sospende,
E tra le piume la dispiega e stende.
Quando egli ha ben le ben conteste sete
Disposte intorno in si sagaci modi ,
Che discernere alcun delle seccete
Fila non può gl’ insidiosi nodi ;
, Lascia l’ albergo, e della tesa rete
Dissimulando le nascoste frodi , [ta
Spia l’andar degli amanti , e il tempo aspet-
Della placevoi sua strana vendetta.
Usò per affidargli astuzia e senno
Senza punto mostrar l’ira che l’arse.
Fe’ correr voce, eh’ el partla per Lenno,
E il grido ad arte per il del ne sparse.
Udita la novella, al primo cenno
Nel loco usato vennero a trovarse,
E per farlo di Dio divenir bue.
Nel dolce arringo entrarono ambidne.
Si tosto, che la cuccia il peso grave
De’ duo nudi campioni a premer viene.
Prima che ancor si sieno alla soave
Pugna amorosa apparecchiali bene.
La macchinata trappola la chiave
Volge, che porge U moto alle catene.
Fa II suo gioco l’ ordigno, e In quel diletti
Rimangono i duo rei legati e stretti.
L’ ordito intrico in guisa tal si attinse,
E si forte d’intorno allor gl’ involse.
Che per scoler colui non se ne scinse.
Per dibatter costei non se ne sciolse.
Or poich’antrambo avviticchiali avvinse,
E in tale obbrobrio a suo voler gli colse.
Dell’agguato in cui stava, uscito il zoppo.
Prese la corda , ove atteneasi il groppo.
Della perfida rete II capo afferra ,
Indi del chiuso albergo apre le porte,
Tira le coltre, H padigllon disserra,
E convoca del elei tutta la coi le,
E col re dei guerrieri entrata in guerra
Scoprendo lor la disleal consorte
Avvinta di durissima catena ,
Fa delle proprie Infamie oscena scena.
Deh venite a veder, se più vedeste.
Altamente gridava, opre mai tali.
L’ eroe div ino. il capitan celeste
Ditemi è (|uegli là. Divi imniorlalif
L’ imprese sne terribili son queste?
Quesfi I trofei superbi e trionfali?
Ecco le palme gloriose e degne.
Le spoglie illustri e le onorale insegne.
Gran Padre, tu che l’ universo reggi,
Vienne a mirar la tua pudica prole.
Cosi serba Imeneo le sacre leggi ?
Tali ignominie II del permetter sole?
E che fa dunque Astrea negli alti seggi ,
Se punire I colpevoli non vole ?
Son cose tollerabili ? sono atti
Degni di Deità scherzi si fatti ?
Ama la figlia tua questo soldato
Sano , gagliardo e di giocondo aspetto,
E perchè va pomposo e bene ornalo,
Di giacersi con lui prende diletto.
Schiva il mio crin malcullo e rabbuffalo,
Del mio piè diseguale odia il difetto,
L’arsiccio volto abborre, c con disprezzo
Mi schernisce talor s’ io I’ accarezzo.
Se zoppo mi son io, tal qual mi sono,
Giove e Giunon, mi generaste voi;
E generato forse agile c buono.
Perchè dal del precipitarmi poi ?
Se pur volevi, o gran Rettor del tuono.
Sotto giogo perpetuo accoppiar noi.
Non dovevi cosi prima sconciarmi,
0 non dovevi poi genero farmi.
120 . MARINO.
La colpa non è mia dunque, se guasti
Ilei piede i iiPi ti, e le giunture ho rotte.
Se ruzzo e senza pompe e senza fasti,
Tinta ho la farcia di color di notte,
Tu sci, che colaggiù mi confinasti,
.\ hitator delle sicane grotte :
Ma se ancor quivi io ti iiiiiiistro e servo,
•Non meritai di trasfurinarnd in cervo.
Deve per questo la mia bella moglie,
lli'lla, ma poco onesta, poco fida,
Onalora a trarsi le sfrenate voglie
Cieco appetito la conduce c guida,
' Punto eh’ io inetta il piè fuor delle soglie,
K da lei mi allontani c mi divida,
Puttaneggiando dentro H proprio tetto,
Disonorare il maritai mio letto?
Deve per tutto ciò negli altrui deschi
riho cercarla meretrice infame,
Dovunque il tiglio a satollar I’ adeschi
Dell’ ingorda lihidinc le brame?
lo pure al par dei più robusti e freschi
Credo vivanda aver per la sua fame,
Chè dove un membro èdifettoso, emanca.
Altra parte supplisce intera e franca.
Ma non so se in tal gioco avverrà mai,
di' ella più mi tradisca, erbe mi oflenda.
Cosi, perfida e rea, cosi farai
De’ tuoi dolci trastulli amara emenda,
Finché la dote, ond' in sfolto comprai
l e mie proprie vergogne a me si renda.
Poi per comuu quiete il Kc superno
Vo’ che faccia tra noi divorzio eterno.
Or mirate vi prego, alme divino,
(ili altrui conginmi ai vitiiperj miei,
S’ io fui ben cauto, c s' in fui buono alfine
L'ccellatore e pescatnr di Del.
Dite, se aneli' io so far prede e rapine.
Come I’ empio ligliiiol sa di costei.
Veggasi chi di noi mastro |>iù scaltro
Sia di reti c di lacci, o l’ uno, o l’ altro.
So che lieve è la pena, e che il mio torto
Viepiù palese in tal gastigo appare.
Ma le corna che ascose in grembo porto,
Vo' pormi in fronte manifeste e chiare,
Pur eh’ io riceva alnien questo conforto
Di far la festa pubblica cvulgarc.
Voglio la parte aver del piacer mio,
K poiché ride ognun, ridere anrh’ io.
Meiur' ci così dicea, lutti coloro,
Che alla favola bella eran presenti.
Il teatro del ciel facean sonoro
Con lieti fischi c con faceti accenti,
K dìceano additandogli fra loro
Di si novo spettacolo ridenti :
Ve’ come il tardo alfin giunse il veloce.
Ve’ come fu dal vii domo il feroce.
Oh quanti fur Del gioviuetti, oh quanti.
Che ioaviditi di si dolce oggetto.
In rimirando i duo celesti amanti.
Che staccar non poteau petto da petto, ^
Viepiù d' invidia assai tra' circostanti.
Che di riso in quel puntoebber soggetto.
E per partecipar di quei legami.
Curalo uon avriau d’ essere infanti !
Recalo avriaiisi a gran ventura molti
Spettatori del caso e testimoni.
Più volentieri allor, chc'csser disciolll.
Come lo Dio guerricr farsi prigioni.
Destar tra nodi si soavi involti
Voluto avrian,non ch'altri,! duo vecchioni,
TUon dico, e Saturno, I freddi cori
Accesi aiKli’ essi di amorosi ardori.
Pallade c Cinzia, verginelle schive,
Tenner gran pezzo in lorlo sguardo fiso.
Poi da cose si sozze e si lascive
Torsero in là, tinte di scorno il viso.
Gliinon Diva maggior delP altre Dive,
Non senza un gentilissimo sorriso, .
Coprissi il ciglio con la man polita,
Ma giocava con I' occhio infra le dila.
Vergognosetla d' un ludibrio tanto
l a Dea d’ amor, cho I membri alabastrini
Non avea da coprir velo, nè manto.
Truca bassa la fronte c gli occhi chini.
Intorno al corpo immacolato intanto
Sparsi i cancelli de’ legami fini.
Graticolando le sembianze lielle.
Diviso aveano un Sole in molte stelle.
Dravó lo Dio del ferro, e si contorse
Quando il forte lacciuol prima araiodollo.
Romper col suo valor credendo forse,
K stracciar quei v iluppi ad un sol crollo ;
Ma poiché prigiouiero esser si accorse.
Ne poterne ritrae le braccia e il collo.
Aneli’ ei, benché di rabbia enfiato e pieno,
A pregar cominciò come Sileno.
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L’ADONE.
Viiican Urn tulUtia la rote chiusa,
N<> scìokIIc il nodo, uè ralloiKa il laccio.
Olii; 1’ lidìda nioglicr cosi delusa [do.
Vuol, die i\ial drudosuo si resti iu brac-
Inlciccde ciascuno, cd ri ricusa
Di liliorargli dal noioso impaccio.
Pur del vecchio Nctliin consente ai preghi
lihe la coppia impudica alfin si sleghi.
Dassi allo Dio che nelle piante ha I’ ale,
Cura d’ aprir quell’ iiigegiio.sa gabbia.
Ed ei non intraprende uflìcio tale
Per cortesia, ni per pietii che n’ abbia;
Ma percliò dell' adultera iumiurtale,
Che di vergogna c di dispetto arrabliia.
Se iogliendo il no<lo,clic l’avvolge c cliiude.
Spera palparle belle membra ighude.
Illtrc die d’acquistarsi ci fa disegno
I.’ al redo indissolubile e tenace.
Dico la rete, che con tanto ingegno
Fu già d' Etna tessuta alla fornace,
Solo per poter poi con quel ritegno
Prender |)er l' aria doride fugace,
doride bella, che volando suolo
Precorrer 1’ Alba allo spuntar del Sole.
Scatenato il campion con la diletta,
].’ lina piangea de’ vergognosi inganui.
Minacciò 1’ altro con crudel vendetta
Di ristorar d' uiì tanto alTronto i danni.
Sorsero alfln confusi, c per la fretta
Insieme si scambiar 1' armi co' panni. .
Questi il vago vestì, quelle I’ amica,
Marte la gonna c Vener la lorica.
\ idea l’ istoria del successo intero
.Molilo seguir, poiché fiir culli in fallo,
E dir come di giovane guerriero
Fu trasformato Alettrione in gallo;
die del duce di Tracia essendo usciero,
('■uernito d’ armi e carco di metallo.
Qual fida spia, qual sentinella accorta.
Fu da lui posto a custodir la porla.
Ma perchè il sonno il vinse, e non ben ten-
Perguardarsl dal Sul, la inolilo desta, [ne
Tal qual Irovossi appunto, angel divenne.
Fa III lo sprone al talloii, con l’ cl mo in testa.
I ricchi arnesi si niularo in pciuie,
li superbo cimler cangiossi in cresta.
Ed or meglio vegliando in altro manto.
Accusa il suo venir sempre col canto.
ir
K questo, cd altre ancor legger volea.
Ma sdegnoso girò Venere il guardo,
E |icr lanciarlo un nappo alaalo area,
E il colpia se a fuggir era più tardo.
Sfaccialo detrallor, disse la Dea,
Così mi loda il tuo ilgliuol bugiardo?
Falliti le proprie e non l’altrui vergogne,
Inieiitor di calunnie e di mcnaogne.
DiciòMci-curiu,che con gli altri Intorno
Slavalo ad ascoltar, si rise molto,
quando la mirò d’ ira e di scorno
Più die foco soffiato acci.sa in volto ;
Di quel selvaggio e rustico soggiorno
Disviando 1’ amico entro II più folto.
Il sottrasse al furor dell' alta Diva,
flhe ne frenica di rabbia e u' arrossiva»
Era quivi Talla fra I’ olire ancelle
Pur come F.itcrea, nata di Giove,
Che le Grasie e le Muse arca sorelle.
Una ilcllc tre Dive e delle nove. '
Più soave di lei Ira queste, o quelle
O la lingua, o la mano altra non move,
Talia Ninfa de’ mini e degli allori,
Talla dotta a cantar teneri amori.
Foistei d' avorio Un curvo stromenio
RccossI in braccio, e giunta innanzi a loro
Degli aurei tasti in suon dimesso e lento
Tutto pria ricercò I' ordin sonoro.
Indi con pieno, chiaro, allo concento
Scoccò dolce canzon dall’ areo d' oro,
E fur pungenti si ma non mortali
l.c note a chi 1’ udi ferite e strali.
Saggia Talia, che in sul florirdegll anni
Fosti de’ miei pensicr la cura prima,
E meco i molli e giovenili aflanni
Non senza altrui piacer cantasti in rlofat
Tu lo mio stile debile su I vanni
Al del sollev a, onde i tuoi detti csprinN.
Sv.'glia I’ ingegno, e con celeste aita
Movi al cauto le voci, al suon le dita.
Amor è. fiamma , che dal primo e vero
Foco deriva, e iu gentil cor si apprende,
E rischiarando il torbido pensiero
Altrui sovente il desir vago incende;
E scorge per drittissimo sentiero
L'anima al gran priiicipio.ond’clla scende; *
I 'Mostrandole quaggiù quella, che pria
I Vide lassù, bellezza c leggiadria.
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1J8 MARI>0.
Amor desìo di bel, virtù che spira Segue il suoinaschio per Icvieprofonde
Sol dolcezza, piacer, conforto e pace. La smisurata e ruvida balena.
Toglie al cieco furor l' orgoglio e l'ira. Va dietro alla sua femmina per l'oiide
Gli fa r armi cader, gelar la face. Ondeggiando il dellin con curvaseli iena.
Il forte. Il fior,cheìlquintocerchioaggira. Qui con lingua d’Amor muta risponde
Alle forze d* Amor vinto soggiace. All’ angue lusingbicr l' aspra murena.
Unico autor d’ ogni leggiadro aflctto, l.à con nodi d'amor saldi e tenaci
Sommo ben, sommo bel, sommo diletto. Porge una conca all’ altra conca i bari.
Ardon là nel beato alto soggiorno Amano Tacque istcsse. Rllesen vanno
Ancor d’ eterno amor T eterne menti. Al fonte originai , che a si le Invita ;
Son catene d’ amor queste che intorno E se al bel corso, che lasciar non sanm',
Strlugon si forte il ciel, fasce lucenti. ti precisa la via piana e spedita ,
E questi lumi che fan notte e giorno, Tal con forza amorosa impeto fanno,
Son del lor fabbro Amor faville ardenti, (ihc s’apron, rotti gli argini, l’uscita.
Foco d’ Amore è quel che asciuga incielo In seno il mari’ accoglie, e in lor trasfonde
Alla gelida Dea T umido velo.
Ama la terra il cielo, e il bel sembiante
Mostra ridente a lui, che T innamora,
E sol per farsi cara al caro amante
S’adMna,ilsens’ingemma,ilcrins’infisra.
I vapor dalle viscere, anelante
Quasi a lui sospirando, esala ognora.
I raucid suoni^ i crolli impetuosi
Gemiti son d’ amor, moti amorosi.
Nè già r amato cielo ama lei meno
Che con milT occhi sempre la vagheggia.
A lei piagne piovoso, a lei sereno
Ride, e sospira a le! quando lampeggia.
Irrigator del suo fecondo seno.
Io vicende d' amor seco gareggia,
E fa eh’ ella poi gravida gennoglie [glie.
Piante e flor, frutti e fronde, erbette e fo-
Qual si leggiero, o si veloce l’ ale
Spiega per l’ampio ciel vago augelletto.
Cui dell'alato arder l’alato strale
Eoon giunga e non punga insieme II petto?
Qual pesce guizza in freddo stagno? oqualc
Cova de’ Humi il cristallino letto.
Cui non riscaldi Amor,cli’ entro peri’ onde
Vivi del suo bel foco i semi asconde?
Nel mar, nel mare istesso, ove da Teli
Ebbe la bella madre umida cuna ,
Più che del pescator, d’Amor le reti
llan forza, e regna Amor più che Fortuna.
E perchè da’ pittori , c da' poeti
Ignudo è finto e senza spoglia alcuna.
Se non perchè sott’acqua a nuoto scende,
E del suo foco i freddi Numi accende?
Prodigamenle II proprio nome e Tonde.
Ricetta II tortorei con la compagna
(Bell’ esemplo di fede) un rjbiio, un nido.
E se T un poi vieti mcn, l’altra si lagna,
E fere il ciel di doloroso strido,
lai colomba gentil non si scompagna
Dal consorte giammai diletto e fido.
Coppia, In cui si mantien semplice e pura
L’ lunocenza'd’ Amore e di Natura.
Teme il cigno d’Amor la face ardente
Viepiù che il foco dell’ eterna sfera,
E più d’Amor Tartiglioaspro e pungente
Che dell’ àquila rapida e guerriera.
L’aquila ancor del fulmine possente
Ministra e d’ogn! augel reina altera.
Noi teme meno, anzi d’altrui predare
Fatta preda d’ Amor, d' Amor si sface.
Il ficr leon con la leonza invitta
Amor sol V Ilice, ed al suo giogo allaccia.
Più dall’ aurato strai geme trafitta
L’ orsa criidel , che dallo spiede in caccia.
Fa vezzi al tigre suo la tigre alllitta ,
Il qual co’ piè levati alto T abbraccia.
Posa il dcslrier non trova, c parche piene
Sol del foco del core abbia le vene.
Spira accesa d’Amor losco amoroso
La vipera peggior di ogni altra biscia.
Ella per allcttar l’aspe orgoglioso
D’ oro si veste e incontro al Sol si liscia.
Correglì in grembo lo scaldato sposo.
Seco insieme si stringe e .seco striscia.
Son baci i morsi, e si gl’ irrita Amore ,
('.he di piaceri’ un morde, c l’altro more.
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129
L’ADONE.
Dal MIO rnoalon non lungo, a pièd’ un lau-
Mentr' ei pugna per lei sussi l’agnella, [ro
E per dargli al travaglio alcun resUuro,
Se riede vincitor gli applaude anch’ ella.
Ardi il robusto e giovinetto tauro
Per la giovenca sua vexzosa e bella
E nei tronchi per lei l'armi ritorte
Aguzza e sfida H fier rivale a morte.
Non ch'altro, I tronchi stessi, I tronchi, i
Senton dolci d' Amor nodi e ferite, [tralci
Chi può dir come agli olmi e come ai salci
L’edra sempre si abbarbichi e la vite?
E chi non sa che se con scuri , o falci
Da spietato boschler son disunite,
Lagrimando d’ Amor cosi recise,
SI lagnan della man che l’ ha divise?
Fronda in ramo non vivc,o ramo in pian-
Cui non sla dato entro la ruvid' alma [ U
Sentir quella virtù feconda e sanU,
Che con nodo reciproco le incalma.
Con sibili amorosi Amor si vanu
Far sospirare II fras.sino e la palma.
Baciansi i mirti, e con scaml)ievol groppo
Alno ad alno si sposa , e pioppo a pioppo.
Ma qual si dura, o gelida si trova
Cosa quaggiù die ferro agguagli, o pietra ?
La pietra e II ferro ancor badansi a prova.
Nè dal rozzo seguace ella si arretra.
Da viva pietra , ove altri il tratti e mova.
Vive d’ amor faviile il ferro spelra ;
E il ferro istesso Intenerito e molle
In fucina d’ Amor s'incende e bolle.
Se Amor dunque sostegno è di Natura,
Se Amore è pace di ogni nostra guerra ,
Se alle forze d* Amor forza non dura ,
Se le glorie d 'Amor mela non serra ,
Sé la virtù dell' amorosa arsura
In del regna, in abisso, in mare, in terra ;
Qual fia , che non adori , alma gentile
Le catene d' Amor, l'arco e il focile?
Mentre la Musa in stil leggiadro c grave
Fea con maestra man guizzar le corde ,
E ne traca di melodia soave
All' armonico del lenor concorde;
Su per gli eburnei bischeri la chiave
Volgendo per temprar nervo discorde ,
Un per caso ne ruppe, e si le spiacque [que.
Che appese ilplettroa un ramoscello,c tac-
CANTO OTTAVO.
I TRASTULLI.
ALLEGORIA.
Il Piacere, che nel Giardino del Tallo sta in compagnia della Lascivia, allude alla
scellerata opinione di coloro, clic posero il sommo bene nel diletti sensuali. Adone
che si spoglia e lava , significa 1' uomo, che datosi in preda alle carnalità, ed attuf-
fandosi dentro l' acque del senso, rimane ignudo c privo degli abiti buoni e virtuosi.
I vezzi di Venere , che con esso lui si trastulla , vogliono inferire le lusinghe della
carne licenziosa c sfacciata , la quale ama ed accarezza volentieri il diletto.
ASCOUESTO.
Perviene Adone alle delizie estreme,
E prendendo tra lor dolce Ira-suillo a
L’innamorata Diva o il bel fanciullo.
Alla mela d’ Amor giangono insieme.
Giovani amanti e donne innamorate.
In cui ferve d’ Amor dolce desio.
Per voi scrivo, a voi parlo, or voi prestate
Favorevoli orecchie al cantar mio.
Esser non può, che alla canuta ctate
Abbia punto a giovar quel che cant' io.
Fugga di piacer vano esca soave
Bianco crin, crespa fronte e ciglio grave.
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no MARINO.
Spn-so la curva c <lt'l>ilr vrrcliicua,
Ole )(elale ha le vene e l' ossa vote.
Incapace dell’ ultima ilolccraa
Ahiiorre quel che conseguir non potè.
I nni non atto ad amar, disama e sprezza
Anco il tener iteli’ amorose note ;
K il ben che di goder si vieta a Ini,
l'er invidia dannar suole in altrui.
Lunge, deh lunge, alme severe e schive
Italia mia molle c lusinghiera Musa.
Ita poesie si tenere e lascive
Incorrotta onesti vadane esclusa.
Ah non venga a biasmar qtiam’ ella scrive
b’ implacahii censor rigida accusa,
I.a cui caliiiinla con maligne emende
I.e cose irreprensibili riprende.
Di poema mor.al gravi concetti
Non speri udire Ipocrisia ritrosa,
Ohe notando nel ben solo I diletli,
Suol cor la spina e riliutar la rosa.
So che fra le delizie e fra I diletti
begli sclierzi innocenti, alma amorosa
Cautamente trattar sapri per gioco,
Senza incendio, o fcTila il ferro e il foco.
Suggon r Istesso fior nei prati iblei
Ape henigna c vipera crudele,
K secondo gl’ istinti o Intoni, o rei,
I.’ una in tosco il converte e l’altra in iiiclc.
Or se avverrà, che alritti dai versi miei
Cantcepi.sra veleno e tragga fele,
Altri forse sarà itten fiero ed empio.
Che raccolga da lor frutto d’ esempio.
Sia modesto I* autor; clit sien le carte
Men piidielte lalor, curar non deve.
I.’ liso dei vezzi e il vaneggiar dell’ arte
0 non i colpa , oppiir la colpa è lieve.
Chi dalle rime mie d’ Amor coiisparte
Vergogna miete, o scandalo riceve ;
Condanni, o sensi II giovcitile errore,
C.liò se oscena fi la penna, <■ casto II core.
Già sergenti ed ancelle avean levali
Dalle candide nappe i iinp|ri d’ oro,
In mi di cilii eletti e delicati
1 duo presi d’ Amor preser ristoro ;
fhide poleh’ a versar fiumi odorali
Venne I’ aureo bacii) tra le man loro,
Sull I mensa volò lieta e fiorila
Il bianro biavo ad asciugar le dita.
Allor dal seggio suo Venere sorta
Verso r ultima torre adduce Adone;
Vìen tosto a disserrar l’ aurata porta
I,’ ostier dell’ amenissima magione.
Ignudo ha il mauro hraccio.e l’unghia torta
V’aDìgge dentro, eslringelo iin falcone.
I.e talpe, le testiidini e I’ aragne
Soli sempre di costui Ade compagne. '
Chiuso nell’ampio e ben capace seno
quel giardin, della maestra torre.
Degli altri assai pifi spazioso c pieno
Di quante seppe Amor gioir raccorre.
l'n largo cerchio, e di bell’ ombre ameno
Viene un teatro .sferico a comporre.
Clic col gran cimo deir eccelse mura
Protegge la gratissima verdura.
Adnn va i nnanzì, e par che novo aSètto
Di amorosa dolcezza il cor gli stringa.
Nuli fu mai d'atto molle osceno oggetto.
Glie (|iiivi agli occhi suol non s! dipinga.
Seiiihianli di lascivia c di diletto,
Simiilaeri ili vezzo e dì lusinga.
Trastulli, amori, o fermi il guardo, o giri,
GII son sempre presenti, ovunque miri'.
Sembra il felice e dilettoso loco
Pien d’ angelica festa un paradisa.
Spira quivi il sospiro aure di foco.
Vaneggia il guardo c lussureggia il riso.
Corre a baciarsi con lo scherzo il gioco.
Slassi il diletinìn greiiibnal vezzo assiso.
Scaccia lunge il piacer con una sferza
Le gravi cure c col trastullo scherza.
Chino la fronte e con lo sguardo a terra
I.’ amoroso pensier rode sè stesso.
Chiede conforto al diiol,pace alla guerra,
11 prego In atto supplice e dimesso.
Scopre negli ocelli quel che II petto serra
Il cenno del desir tacilo messo.
Sporge le lalihra c l’ altrui labbra sugge
Il bacio, c nel liaciar sè stesso strugge.
Sta l’adnlazioii sovra le soglie
Del dolce albergo, e il pcregrin vi guida.
La proiiie.ssa l’ Inv ila, c in guardia il toglie ;
La gioia l’acrnmp.agna, c par che rida.
La vaniti ciasrun che v’enlra accoglie,
K la credenza ogni ritroso affida.
La rirrheiza di porpore vestita
Superbamente I suoi lesorgil addila.
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L’ADOIiE. tSl
Mavvi r o2io, clic laogiic c si riposa
Lento ed aRìato, e in ogni passo siede.
Pigro e con rroiitc stupida e gravosa
Si'guclo il sonno, e mal sostiensi in piede.
Ordir di giglio, incatenar di rosa
l'i'cgi al suo criii la gioventù si vede.
Seco strette Ita per mano in compagnia
licita, grazia, vaghezza e leggiadria.
(km l'ingordo desio ne vien la speme
l'erflda, adulalricc e lusinghiera. *
Mascherati la faccia, errano insieme [ra.
I.’accorto inganno e la menzogna in schie-
.Sparsa lechionie in sulla fronte estreme
Kuggendo va l’ occasìon leggiera,
Italia per mezzo la letizia stolta ,
Salta per tutto la licenza sciolta.
L'escae il fucile in man.sfacciata putta,
Ticn la lussuria, ed all' infamia applaude.
Baldanzosa l' infamia, ignuda tutta
Mon apprezza c non cura onore, o laude.
Le serpi della chioma orrida c bruita
(ktpre di vaghi lior i’a.stuiafraude;
E il velcn della lingua aspro cil atroce
Di dolce riso c mansueta voi:e.
Tremar l'audacia ai primi furti c starsi
^'cdi smorto il pallur caro agli amaiiti.
^ olan con lievi penne in aria sparsi
(ili spergiuri d'Amor vani e vaganti.
(km l' ire molli « facili a placarsi
\’an le dubbie vigilie e i rozzi pianti ,
E le gioconde e placide paure ,
, E le gioie interrotte e non secare.
Bidè la terra <|ul, caulan gli augelli ,
Danzano i liori e suonano le fronde,
Sos{)iràn 1' aure c piangono i ruscelli ,
Ai pianti, ai canti, ai suoni eco risponde.
Aman le fere ancor tra gli arboscelli.
Amano i pesci entro le gelid'undc.
Le pietre iste.sse e l' ombre di <|uel loco,
Spirano spirti d' amoroso foco.
Addio, li lascio. Ornai Un qui (di Giove
Disse là giunto il niessagger sagace)
Per ignote contrade ed a te nove.
Averti scorto, o bcli'Adoo, mi piace.
Eccoci alUne in sul confln, laddove
Ugni guerra d’ Amor termina in pace.
Di quel senso gentil questa e La sede,
A cui sol di certezza ogni altro cede.
Ogni altro senso può ben di leggiero
Deluso esser talor da falsi oggetti ; '
Questo sol no, lo qual sempre e dei vero
Fido ministro e padre dei diletli.
Gli altri non possedendo il corpo intero.
Ma qualche |>arle sol, non àon perfetti.
Questo con atto univcrsal distende
Le sue forze per tutto, c liuto II prende.
Vorrei parlarne, e ti verrei solvendo
Più d'un dubbio sotlil delle mie scole;
Ma tempo ù da tacer, ch’io ben comprendo
t'.he la maestra tua non vuol parole.
Io qui rimango ad Erse mia (essendo
Ghirlandetta di mirti e di viole.
Tu vanne c godi, lo so che in tanta gioia
Qualunque compagnia ti (ora a noia.
Con un cenno cotàirdi gliigno astuto
.Si rivolse a Ciprigna in questo dire;-
Poi smarrissi da lor, si che veduto '
Non fu per più d' un di fino all’ uscire.
Ma pria che desse l'ultimo saluto
.\i duo focosi amanti in sul partire ,
Dell’uno c l’altro in pegno di mcrced»
Giunse le destre, e gl' iuipahuò per fede.
Beslar soletti In quell' orror frondoso
l’oiche Mercurio dipartissi e tacque.
Rigava un fonte il vicin margo erivoso.
In cui forte Natura si compiacque, [broso
L’acque inafliano il bosco, c il bo.sco om-
Sperchia sé stesso entro le liinpid’ actfue.
Talché un giardino in duo giardin distinta
Vi si vedea T un vero, c l'altro finto.
Porta da questo fonte umile e lento.
Per torto solco il piccini corno un rio.
Parria vero cristallo e vero argento.
Se non se nc sentis.se il mormorio.
D'uro ha l’arene, c vpiindi è sempre intenta
Di suaviiano a raccurlo il cicco Dio,
Onde fabbrica poi gli aurati strali ,
Strazio unmortal de’ miseri niorlali.
In due rivi gcuiclli si dirama
L’amoroso ruscel , l’ uno é di mele ,
Pien di quanta dolcezza il gusto brama.
L’altro corrompo il mel di tosco e fele.
Quel fcl, quel tosco, onde armògià La fan»
L’ aspre saette dell’ arder crudele.
Crudele arder, che anco il materno seno
Infetlù d’amarissimo veleno.
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132 MARINO.
Dal velenoso c torbido compagno
Sen va diviso il flumicel melalo.
Onde per canal d'or più d' un rigagno
Verga di belle linee il verde prato,
E sboccan tutte in un secreto bagno.
Che nel centro del Imsco £ fabbricato. _
DI questo bagno morbido e soave
La Lascivia e il Piacer tcngon la chiave.
Siede all’ uscio iU'lacer di quell’albergo
Con la Lascivia a trastullarsi inteso;
'Caraon di varia piuma alato il tergo.
Ridente il volto, e di faville acceso.
L’ aurato scudo, il coloralo usbergo
Giacegli inutilmente al piè disteso.
Torpe tra 1 lior pacifico guerriero
L’elmo che una sirena ha per cimiero.
Curvo arpicordo «hi vicini rami
Pende, e spesso dall’aura ha molo c spirto.
D’ambra tersa e sottile in biòndi stami
Forcheggia il crine intortigliato ed irto.
Tutto impacciato di laccioli e d’ami ,
Di fresca rosa e di fiorito mino.
Arco di bella e varia luce adorno
Gli fa diadema in testa, iride intorno..
Nè di men bella, o men serena faccia
Mostrasi io grembo a lui la lusinghiera.
Di viti è d’ edrc i capei d’oro allaccia ,
Di canuti armellin guarda una .schiera.
Un capro allato, e con la destra abbraccia
Il collo ad una libica pantera.
Regge con l’altra ad un troocon vicino
Ammiraglio lucente e cristallino.
Quivi al venir d’ Adone e Citerea
Componendo del crin le ciocche erranti ,
I dolcissimi folgori tergea
Delle luci umidette e scintillanti.
Spesso a un nido di passere volgca.
Clic siiil’arbor garrian.gli occhi incostanti,
E la succinia, ansi discinta gonna
Scorciava più, che non conviensi a donna.
Ferirò il beH’Adon di meraviglia
Quelle forme vezzose c lascivette,
E con l’ alma sospesa in sulle ciglia
Acontcmplarle immobile ristette.
Ella d' un bel rossor tutta vermiglia.
Impedita da scherzi c lusinghette.
Col suo drudo per man, dall’erba sorse,
Ed al donzei, che l' incontrava accorse.
Vergala a liste d’ or candida tela
DI sotlil seta e di filalo argento
Vela le belle membra, e «piasi vela
Si gonfia in onde e si dilata al vento.
E r interno soppanno apre c rivela
Tra i suoi volazzi In cento giri e cento.
Crespa le rughe il lembo, e non ben chiude
L’ estremiti delle bellezze ignude.
Dall’ all dell’ orecchie ingiù pendenic
Di due perle gemelle il peso porta.
Sostiene, il peso di fin or lucente
Sferica verga in piccioi orbe attorta.
Di smeraldi cader vezzo serpente
Si lascia al sen con negligenza accorta;
E della bianca man, che ad arte stende,
D’ Indiche fiamme il vivo latte accende.
Dell’ estivo calor, che mentre bolle.
Le infiamma il volto di un incendio greve.
Schermo si fa d' uno stromento moHc
DI piuma viepiù candida che neve;
E per gonfiar di sua superbia folle
Con doppio vento il vano fasto e lieve,
V’hadi cristallo orientai commessi [si.
Duo specclii in mezzo, c si vagheggia In es-
TeSe costei sue reti al vago Adone.
Ogni alto cr’ amo, ogni parola strale.
Ronipea talor' nel mezzo il suo sermone
Languidamente, e coti dolcezza tale.
Che il diamante spezzar della ragione
Polca, non che del senso II vetro frale.
Parlava, e il suo parlar tronco e diviso
Fregiava or d’ un sospiro, or d’un sorriso.
Se quanto di beltà nel volto mostri ,
Tanto di cortesia chiudi nel petto,
Cbè tal certo, diss’ ella, agli occhi nostri
Argomenti di te porge l'aspetto ;
Venirti a sollazzar ne’ chiusi chiostri
Non sdegnerai di quel bealo letto.
Nel tetto là, eli’ io ti disegno a dito, .,
Come degno ne sei sarai servha.
Questi èquci,se noi sai,cheallrulconec-
Qucl ben chepuòfar gli uomini felici, [de,
Ognuno il cerca, ognuno il brama e chie-
Usan tutti per lui varj artifici.
Chi ritrovar nelle ricchezze il crede.
Chi nelle dignità, dii negli amici.
Ma raro il piè da questo albergo ei move
Nè (fuorché nel mio grembo) abita altrove.
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0
L’ADONE. 133
Del sozzo raso, ore ogni mal si accoglie,
Appena use), che fu chiamalo in ciclo;.
Magli conrenne pria depor le spoglie.
Talché Ignudo r' andò senz’ alcun reio.
Scende dal del sovente in «ineste soglie ,
Dor’ki gelosa agli occhi Indegni il celo.
Il celo altrui con ogni industria ed arte,
Solo a qualche mio caro io ne fo parie.
Quando rotò nell’ immortai soggiorno,
Nacque nel mondo un temerario errore.
Del manto, eh’ ei lasciò, si fece adorno
Un arrersario suo dello Dolore.
Questi sen va con le sue vesti intorno ,
Sicché il somiglia all’ abito di (ore;
Onde ciascun mortai preso all’ inganno.
Invece del piacer segue l’ aOanno.
lo SOI! poi sua compagna, io son colei.
Che voigo In gioia ogni travaglio e duolo.
Da noi soli aver puoi , se saggio sei ,
Quel piacer de’piacer,cheal mondo è solo.
De’ suoi seguaci e de’ seguaci miei
È quasi innumerabile lo stuolo;
Né tu dei men felice esser di questi ,
Poiché giunger tanl’ oltre oggi potesti.
Qui lavarti conviene. A ciò t’ invita
Il loco agfalo e la stagion cocente.
Nostra legge il ricliiede, e la llorita
Tua Itellezza ed etade anco il consente.
Ma piiVquella beltà, che teco unita
Teco (o te fortunato) arde egualmente.
Non entra in questa casa, in quésto bosco
Chi non vaneggia e non folleggia nosco.
A queste parolette Adon confuso
Nulla risponde, e taciturno stassi,
Chè a tenerezze tante ancor non uso
Tien dimessa la fronte e gli occhi b.vssi.
Ma da più Ninfe é circondalo e chiuso,
Che non vogliun solTrir, che Innanzi passi.
Qual dal bel fianco la faretra scioglie.
Qual gli trac la cintura e qual le spoglie.
Air importuno sluol , che l’ incatena ,
Non senza scorno il giovinetto cede ;
E salvo un lento vel, che il copre appena,
Nudo si trova dalla testa al piede.
Gira la vista allor lieta e serena ''
Alla sua Diva, e nuda anco la vede.
Che ogni sua parte più secreta c chiusa
Confessa agii occhi, ed alla selva accusa.
Ella tra 11 verde dell’ombrosa chiostra
Vergognosella trattasi in disparte.
Sue guardinghe bellezze or cela,or mostra.
Fa di sé stessa In un rapina e parte.
Impallidisce, indi i pallori mostra.
Sembra caso ogni gesto, ed é luti’ arte.
Giungon vaghezza ai vaghi membri Ignudi
Consigliati disprezzi , Incolti studi.
Copriala aprova ogni arboscel selvaggio
Con braccia di frondosa ombra conteste.
Perocché il Sol con curioso raggio
Spiar volca quella beltà celeste.
Yidesi di dolcezza ancora il faggio.
Il faggio, onde pendean l’arco e la veste
Non possendo capir quasi in sé stesso.
Far più germogli, e divenir più spesso.
Il grappo alR>r,che in su la fronte accolto
Stringea del crine il lucido tesoro ,
Con la candida man tentato e scioltn
Sparse Ciprigna In un diluvio'd’ oro;
Onde a guisa d’ un vel dorato e folto
('.elando il bianco sen tra l' onde loro.
In mille minutissimi ruscelli
Dal capo scaturir gli aurei capelli.
Celò II bel sen con l’aureo vel, ma come
Appiattando la testa il cespo erboso,
Invan l’augci, che trac di Fasi il nome.
Crede tutto a chi il mira essersi ascoso;
Cosi sebben dalle diOUse chiome
Fece all’alice bellezze un manto ombroso.
Scopriva intanto infra quell’ ombre aurate
Sol nel Sol de’ begli occhi ogni beliate.
Oltre che di quel Sol chiara e sereno
Quella nube gentil non spicndea manco.
Ella pur Cerca or il leggiadro seno
Velarsi, or il bel tergo, or il bel fianco.
Ma le fila dell’ or tenersi a freno
Sull’ avorio non san lubrico e bianco ;
E quel che di coprir la man si sforza.
Audace venticel discopre a forza.
Vanno al gran bagno. Or dall’antichc car-
DLBaiae Cuma il paragon si taccia, [te
In un quadro perfetto é con bell’ arte
Disposto, ed ogni fronte é conto braccia.
Di ben comodi alberghi in ogni parte
Cinto, e tre ne contien per ogni faccia.
Camere e logge in triplicata fila
Vi stanno, ed ogni stanza Itala sua pM.
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m MARINO.
10 mczito all' eililkio allo si scorge
Piantato di diaspro un gran pilastro.
Per le cui vene interne il fonte sorge,
Forate si d.v diligente mastro,
t '.lie per dodici canne intorno porge
I.’ acque in vasi d’ acale e d' alabastro.
K <r argento ugni canna assai ben tersa,
Come d’ argento son 1' acque die versa.
Vansi l' acque a versar, ma plgreelenle
In ampie conche di forbiti sassi.
Sicché raccur si può l’ umor cadente
Bali’ ordii! primo de’ balcon piò bassi.
Pigra dico scn va l'onda lucente,
E move tardi i cristallini passi,
r.hè in si ricco canal mentre s’aggira
l.c sue delizie ambulosa ammira. .
-E quindi poscia per occulta tromba
A sita propria inagiun passa ciascuna,
E traboccando con fragor riiiiboiiiba ,
Tanto Incida più, quanto più bruna.
Rasscmbra ogni magioii spelonca, o tomba.
Per la luce del Sol luce di Luna.
Pallido v’ entra per anguste vie ,
Tanto clic non v' é notte, e non v’ é die.
11 portico, a cui l’ onda in grembo piove,
Serie di curvi fornici sostiene.
Fregiano il muro interior, U dove
L’ umido gorgo a scaricar si viene ,
Marmi dipinti in strane fogge e nove
Di beile macchie e di lucenti vene.
Lusingai! d’ ogni inloruo i bei riposi
Covili opachi c molli seggi ombrosi.
Ma nulla opra mortai l'arte infinita
Della cava testudinc pareggia.
Che di pietre mirabili arriccliita
Splende e gemma plebea non vi lampeggia.
V’ haquelchc’l cielcquel chel’crba imila
V haqiiel che emulo al foco arde e rosseg-
Stucchi non vi ha, madisotlil lavoro [già;
Smalti sol coloriti in lame d’oro.
Tra’ bei confin delle gemmate rive
Si serena traspar l’ onda raccolta ,
Che i nonsuoi fregi usurpa, c In sé descrive
Tutti gli onor della superba volta.
Non tanto forse in si bell’ acque e vive
Sdegneria Cinzia esser veduta e colla.
Forse in acque si belle il suo bel viso
Meglio ameria di vagheggiar Narciso^ .
Qu i nei , penso, addi v ien,chelaloq uacc ,
Ciò Ninfa, che per lui muta si tacque,
Di abitar fatta vece or si compiace
Dov’ ei di vaneggiar gii si coiupiacqtie.
Quivi de’ detti estremi ombra seguace
D’arco inarco lontan fogge peri’ acque;
E qual d’ Olimpia entro l’ eccelsa mole.
Moltiplica risposte alle parole.
Venne allor l’ u na coppia, d’altra scor-
De’ boi lavacri al più viciu recesso; [se
Né mollo andò, cbé quindi uscir s' accorse
D’accenti e baci un fremilo sommesso. '
Adone a quella parte il passo torse
Tanto che per veder si fé’ dappresso, [te,
Vide, egli caddergli occhi in fondoalfon*
Tanta vergogna gli gravò la fronte.
Su la sponda d’ un letto ha quivi scorto
Libidinoso satiro e lascivo,
Lite a bellissima Ninfa in braccio attorto
Il fior d’ogni piacer coglie furtivo.
Del bel tenero fianco al suo conforto
Palpa con una man l’ avorio vivo, |[ sta ,
fam l’altra, die ad altr’ opra intenta acco-
Tenta parte piò dolce e piò riposta.
Tra’ noderosi c nerboruti amplessi
Del robusto amalor la giovinetta
Genie, e con occhi languidi e dimessi
Dispettosa si mostra e sdegnosetta.
In viso invola ai baci ingordi c spessi,
E nega il dolce, c più negando alletta:
Ma mentre si sultragge, e gliel contende.
Nelle scaltre repulso i baci rende.
Ritrosa a studio, e cen scioccbczze acCoi^
Svilupparsi da lui lalor s’iiilinge, [te
E intanto tra le ruvide ritorte
Piò, s’ incatena c piò l’ annoda e cinge ,
In guisa tal, che non giammai più forte
Spranga legno con legno inchioda e strin-
F'Iora non so, non so se Frine, o Taide [ge.
Trovar mai seppe oscenità si laide.
Serpe nel petto giovenilc c vago
L’alto piacer dell’ impudica vista,
Chè alle forze d’ Amor tiranno c mago
Esser non può, che un dcbol cor resista ;
Anzi dall’ esca della dolce imago
L’ incitalo desio vigore acquista ;
E stimolato al naturai suo corso.
Maraviglia non fia, se rompe il.morso.
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L'ADONt:. 136
E la sua Dea, che il’ amorosi nodi
Ila stretlo II core, a seguitarlo intenta.
Con detti arguti e con astuti modi
Pur tra viamotteggiaiiiloil punge c tenta.
Codi pur (dicca seco) il frullo godi
De' tuoi dolci sospir, coppia contenta ,
> .Sospir ben sparsi e ben tersati pianti,
Kelid amori c più felici amanti.
Sia Fortuna per voi. Non so se tanto
Fia cortese per me dii m’ imprigiona.
Cosi favella al suo bel Sole accanto ,
E sorride la Dea, mentre ragiona ,
Facendo pur dei destro braccio intanto
Al suo Oanco sinistro eimrnea zona.
K già calci , che gl' introdusse quivi ,
Spargea dal suq focil mille incentivi.
(>>mc fiamma per fiamma accresce foco,
(avnie face per face aggiunge lume,
I) come geminato a poco a poco
Prende forza maggior fiume per fiume ;
Cosi il fanciullo all’ inonesto gioco
Raddoppia incendio, e |>ar che si consume,
E tutto in preda alla lascivia ingorda
Della modestia sua non si ricorda.
Già di sò stesso già fatto maggiore
Drizzar si sente al cor l'acuto strale.
Tanto ch'ornai di quel focoso ardore
\ sostener lo stimolo non vale;
Onde anelando il gran desìi-, che il core
(kin sollecito spron punge ed assale,
E bramoso di hrsi a pien felice ,
Pur rivolto alla Dea , la bacia o dice:
lo moro, io moro, ohimè, se non mi dona
Opportuna pietà matura aita.
Se di me non vi cal , già si sprigiona.
Già pemlente al suo fin corre la vita.
Ferve la fiamma, ed imminente e prona
L'anima già prorompe insù l’uscita.
Quella beltà, per cui convien ch'io mora,
Suscita con gli spirti i membri ancora.
Tostoebe a dolce guerra Amor protervo
.Mi venne oggi a sfidar con tanti vezzi ,
Tesi anch' i 0 1' arco, ed or già temo 11 nervo
Per soverchio rigor non mi si spezzi.
Non posso più, dell' umil vostro servo
Il troppo ardir non si schernisca, o prezzi.
Che vorria pur (come veder potete}
Beila gloria toccar l' ultime mete.
Cosi parlando, e della lieve spoglia.
La falda alquanto in laogiiid’ atto aperta.
L’impazienza dell’ aerosa voglia
Si nz' alcun vcl le dimostrò scoverta.
SoITri , disse ella allor, finché n’accoglia
Apparcccliio miglior, la speme è certa.
Dalla Comodità , mia fida ancella ,
Data in breve ne Ha stanza più bella.
Ritardalo piacer ( portalo in pace)
Nelle dllazion cresce non poco.
Bastili di saper, che mi disfate
Di reciproco amor srambievoi foco.
Tcco in sull’ora della prima face
Mi avrai, ti giuro, in più secreto loco.
Fa pur buon cor, tien la mia fede In pegno.
Tosto avverrà che In porto entri il tuo le-
[gno.
Come a fiero ta]or veltro d'irlan^
Buon cacciatoT, che Infuriato H veda ,
.Benché venga a passar dalla sna banda
Vicina assai, la desiata preda ,
La libertà però, che gli dimanda ,
Non cosi tosto avvicn , che gli conceda t
Anzi fermo e tenace ad ogni crollo
Tira il cordon, che gl’ imprigiona il coito;
Cosi nemnien, per più scaldar l’affetto
Nel difiicii goder l’ amante accorta ,
Mentr'ei volea del suo maggior diletto
Con la chiave amorosa aprir la porta,
Di quel primo appetito al giovanetto
L’ impeto affrciia e il bacia e il riconforta.
Poi con la bella man quindi il rimove ,
E l’invita a girar le piante altrove.
Può da que’ chiosi alberghi airampia corte
Libero uscir per più d’ un uscio II piede ;
E scritta delle stanze in su le porte
D’ ogni lavanda la virtù si veda.
Ciascun’ acqua ha virtù di varia sorte , '
(tome r esperienza altrui fa fede.
Qual vigor, qual sapore in sé cootegna
li latto è il gusto espressamente insegna.
0 luiracol gentil , vena che scorre
D' un sasso solo in varie urne stillante.
Come possa distinte in sé raccorre
Doti diverse e qualità cotante.
Chi può di tutte i propri eflettl esporre)
Qual più , qual meno é gelida, o fumante.
Altra più torbidetta ,- altra più chiara.
Altra dolce , altra salsa ed altra amara.
i
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136 MARINO.
La tempra di quell' onde, ore Tu posta
La bella l^a eon l'idol suo gradito.
Del fonte insidioso era composta ,
Che congiunse a Salmace Ermafrodito,
E In sé tcnea proprieti nascosta
DI rinfiammare il tepido appetito ,
Oltre l'erbe, che infuse erano in essa,
Dotate pur della virtute istessa.
Vi era il fallo e il satirio In cui figura
Oscene forme il fiore c la radice.
La menta che salace è per natura ,
L’ eruca degli amori irrltatrice.
E Ti era di altri semplici mistura.
Già di Lampsaco colti alla pendice.
Amor, ma dimmi tu , nel bel lavacro
Qual fu nudo a veder quel corpo sacro.
Non cosi belle con le chiome sparse
Quando alla prima ingiiiriail marsoggiac-
Ai duci d’Argo venneroamostrarse [que,
Le vezzose Nereidi in mezzo all’ acque.
Tal mai non so, se la sua stella apparse
Qualor dall’ Ocean più chiara nacque.
Pare II bel volto il Sol nascente , e pare
Il seno r alba , c quella conca il mare.
Simulacro di Ninfa inciso e fatto
Di qual marmo più terso in pregio saglia.
Posto in ricca fontana, o bei-ritratto
D’ avorio fin , cui nobll fabbro intaglia ,
Somiglia appunto alla biancliezza, all’ atto
Se non che il molo sol la disagguaglia;
E la fan dilferir dal sasso scblto
L’oro del crin, la porpora del volto.
Al folgorar delle tremanti stelle
Arser gli umori algenti c cristallini.
Ed av vampar d’insolite fiammelle
L’ umide pietre e i margini vicini.
Vedeansi accese entro le guance belle
Dolci fiamme di rose e di rubini ,
E nel bel sen per entro un mar di latte
Tremolando nuotar due poma intatte.
Or qual fortuna In sulla fronte ammassa
L’ampio volume della treccia bionda.
Or qual cometa andar parte ne lassa
Dopo le terga ad indorar la sponda.
Aura talor che la scompiglia e squa.ssa ,
Fa rincresparla, ed ondeggiar con l' onda.
Onde il crin rugiadoso e sparso al vento
Oro parca , che distillasse argento.
Parea battuta da beltà si cara
Disfarsi di piacer l’ onda amorosa ,
E bramava indurarsi , e spesso avara
In sen la si chiudea , quasi gelosa.
Chiudcala, ma qual prò, se era si chiara.
Che mal teneala al bell’ Adone ascosa?
Perù che tralucea nel molle gelo
Come suol gemma in vetro, o lam|>a lo velo.
0 qual gli move al cor lascivo assalto
L’atto gentil, mentre si lava e terge.
Or nell’ acque si attulTa , or sorge in aito.
Or le vermiglie labbra entro v’ immerge ,
Or di quel molle e cristallino smalto
Con la man bianca il caro amante asperge.
Ora il sen se ne spruzza , ed or la fronte ,
E fa d’ alto piacer piangere il fonte.
Adone anch’ egli dei leggiadri arnesi
Scinto; c pien di stupore c di diletto.
Sotto eOigie gelata ha spirti accesi ,
Agghiacciando di foce, arde nel petto;
E mentre ha gli occhi al suo bel foco intesi ,
Svefle dalle radici un sospi retto
Cosi profondo e fervido d’amore,
Cile par che sospirar si voglia il core.
Ahi qual m’abbaglia, sospirando dice.
Folgore ardente e candido baleno ì
Quai vibrar veggio, spettator felice ,
Fiamme i begli occhi, e nevi il bianco .seno?
Forse del del, dell’ acque abitatrice [no.
Fatta C quest’alma, oquesto è un del tcrre-
Traslato è in terra il del. Venga chi volo
In aquario quaggiù vedere il Sole.
Beltà, cred’io, non vide in vai di Xanto
Paride tal nella medesma Diva;
Ne d' amoroso foco arse cotanto
Quando mirò la malmirata Argiva ;
Qual io la veggio allettatrice , e quanto
Sento l’alma stemprarmi in fiamma viva ;
Fiamma, di cui maggior non so se fosse
Quella che la sua patria arse c distrusse.
Dimmi , padre Nettun , se li rimembra
Quand’ ella usci delle tue salse spume,
DI , se vedesti nelle belle membra
Tanto splendore accollo e tanto lume?
Dimmi tu .sol , (|uella beltà non sembra
Oggi maggior del solito costume ?
Maggior, che quando in del fosti di lei
Divido testimonio agli altri Dei?
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L’ADONE. 137
Fosti nirn fortiinato EiuliniiODr ,
Indegno (li mirar (|uel ch’oggi lo miro.
Quando a te scese dal sovran balcone
La bianca Dea dell' argentato giro.
Cedimi, cedi , o misero Attenne,
Chè io per più degnooggetto ardo e sosph(.
E dilTerentc è ben la nostra sorte , [rn ;
Ch' io ne traggo la vita, e tu n’ hai morte.
0 Itellezza immortai, perchh nell’ onde
TI lavi tu, se son di te men pure?
L'acque alle macchia tue divengon monde,
E ransi belle con le tue brutture.
Deb polche a si soavi , e si seconde
Destinato son io gioie e venture.
Ch’io li lavi e l’asciughi ancor consenti
Con vivi pianti e con sospiri ardenti.
E se è ver, che ne' fonti anco e ne* fiumi
Amoroso taior foco sfavilli ,
Fa che come Ad in acipia io mi consumi,
E come Alfeo mi ll(|nefaccia e stilli.
Forse raccolto Ira cerulei Numi ,
Mirando i fondi miei chiari e tranquilli,
Fla che nella slaglon contraria al ghiaccio
La bella fiamma mia mi gtdzti in braccio.
Cosi discorre , e intanto i freddi umori
Prendon vigor dall’ amorose faci.
Amor gli stringe, e stringe I corpi e I cori
Con lacci indissolubili e tenaci.
Del nodo, che temprò que’ fieri ardori ,
Fe’ catene le braccia e groppi I baci ;
E con la propria benda al vaghi amanti
Forbì le membra gelide e stillanti.
Giunto era il Sol del gran viaggio al fine
Lasciando al suo sparir smarriti I fiori.
Facean scorta al silenzj ed alle brine
L’ ombre volanti e i sonnacchiosi orrori.
Chiudea la notte in bruno velo il crina
Mendica de' suoi soliti splendori,
Chè la .Stella d'Amor, d’amore accesa
In del non venne, ad altro uflicio intesa.
Cameretta riposta , ove consperse
Ulezzan l'acre d^ alili soavi.
Ai solleciti cori Amore asperse,
Amorl'uscier, che ne volgea le chiavi.
Tutte incrostate , e qual diamante terse
Vi ha di fino cristallo e mura e travi ,
Che con lusso superbo , ove altri miri ,
Son specchi agli occhi e mantici ai desiri.
Talamo sparso di vapor sabeo
Cortine ha qui di porpora di Tiro.
Quel che per Arianna e per Lieo
D’indiche spoglie le Baccanti ordiro,
Quel che a Teti le Ninfe ed a Pelco
Fabbricar di corallo e di zaffiro ,
Povero fora al paragon del letto ,
Che è dalle Grazie ai lieti amanti eretto.
Splende il letto reai di gemme adorno ,
E colonne ha di cedro c sponde d’ oro.
F'anno le coltre all'Oriente scorno ,
Vincono gli origlieri ogni tesoro.
Purpurea tenda gli distende intorno
Fregiato un del di barbaro lavoro.
Biancheggiano fra gli ostri e fra I rubini
Morbidi bissi ed odorali lini.
Quattro strani sostegni ha ne’ cantoni ,
So le cui cime il padigllon s’ appoggia.
Son fatti a guisa d’ arbori a tronconi
D’oro e smeraldo in disusata foggia.
Qui quasi in verdi e concave prigioni,
Stuol d’augelllnl infra le fronde alloggia.
Onde se alcun taior scote la pianta ,
Ode concerto angelico che canta.
Questo fu il porto, che tranquillo accolse
La nohil coppia dal dubbioso flutto.
Qui del seme d’ Amor la mcs.se colse.
Qui vendemmiò de' suoi sospiri II frutto.
Qui tramontando il Sol , Vener si tolse
D’ Adon più volte il bel possesso in tutto^
E qui per uso al tramontar di quello
Spuntava agli occhi suoi l’ altro più bello.
Da die laqueta, oscura umida madre
Del silenzio c del sonno i colli adombra.
Finché le bende tenebrose ed adre
Il raggio mattutin lacera e sgombra ,
Di quelle membra candide e leggiadre
Gode la Dea gli abbracciamenti all’ ombra.
.Senza luce curar, se non la cara
Luce, che le sue tenebre rischiara. .
E dall’ Orto ancor poi fin all’ Occaso
Sei cov a in grembo , c con le braccia infa-
Nolte e di sempre èseco; c se percaso[scia.
Di necessario alTar talvolta il lascia.
Che fla brev' ora senza lei rimaso,
Sentesi sospirar con tanta ambascia ,
Che aver sembra nel cor la fiamma tutta ,
Che Troia accese e Mongiliello erutta.
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138 MARINO.
Quaiulo II rapido Sol per dritta verga |
Poggiando a mezzo il del fende le piagge,
Là’ve de’ monti le frondose terga
Tcsson verde prìgiou d' ombre selvagge.
Per soggiornar dove il suo bene alberga
Solitaria sovente il piò ritragge,
li gode 0 lungAun lìumc, o sotto un speco
Partir l’ore, I pensieri e I delti seco.
K sempre in suo desir costante c salda
0 siede , u giace , o scherza il di con esso,
r.onrorde all' acque dell' ombrosa falda
Freme de' baci il inorinorar suinmesso,
NiV raggio d' altro Sul la fiede , o scalda,
die de' begli ocelli , in cui si 3|>cccliia spcs-
Ni sul meriggio estivo aura coceute , [ so ;
Se non sul i|iiella de' sospir, mai sente.
Vasscne poi per questa riva c quella .
I.’ orme seguendo dell' amate piante,
Predatrice di fere ardita c bella.
Del caro predator compagna errante ,
K l'arco in muuu.al fianco le quadrella
Porta talordel fortunato amante.
Talchi ogni Fauno ed ogni Dea silvana
('■li crede , Apollo l’ un , l' altra Diana.
Cosi qualor giovenca giovinetta
Sen va per campi solitari ed ermi.
Tenera si , che calpestar l' erbetta
Ancor non sa con pii securi e fermi.
Ni curva in sfera ancor piena e perfetta
Della fronte lunata i novi germi,
Segiicla, oviimpie va, per la verdura
l.a torva madre, e la circonda e cura.
Fatta gelosa i si di <|iiel bel volto.
Che teme Amor d'amor non se ii’accenda.
Tenie non Itorea in turbine disciolto
Dalle nubi a rapirlo in terra scenda.
Teme non Giove in ricca pioggia accollo
A si rara bellezza insidie tenda.
Vorria poter celar luci sì bobe
Alla vista dei Sole e delle stelle.
Se si rischiara il mondo, o se s’imbruna,
S|)ieghi, o pieghi la Notte il fosco velo.
Dell' Aurora ha sospetto e della Luna,
Che a lei noi furi, e non sei porti in cielo.
Odia, come rivai, l'Aura iiiiporluna ;
Gli augelli, I tronchi, i fiorl'empion di gelo.
Ha quasi gelosia de' propri baci ,
De' propri sguardi suoi troppo voraci.
Sotto le curve c spaziose spalle
D’ un incognito al Sol poggio frondoso.
Cinto da cupa e soiitaria valle
Si appiatta in cavo sasso antro muscoso.
Raro de' suoi recessi il chiuso calle
Altri tentò, cim il sonno, eche il riposo.
L' ombre sue sacre, i suoi riposti orrori
E fere revcriscono c pastorL
Questo, Farle imitando, avea Natura
Di rozzi fregi a meraviglia adorno.
L’ avea con vaga e rustica pittura
Sparso di fronde e lìor dentro e d’intorno.
Gli fea d’ appio c di felce un’ ombra oscura
Schermo all' ingiurie del cocente giorno.
Difcndca 1' edra incontro al Sol l'entrala
Di cento braccia c cento branche armata.
Qui sjvcsso ricovrar da’ campi aprici
I La bellissima coppia avea costume,
E in liet’ozio passar Foce felici,
Sccura dall'ardor del maggior lume.
Eran de’ sonni lor F aure nutrici ,
Gortiuaggi lo fronde e l’erbe piume.
Secretarle le valli , le montagne,
E Ferme solitudini compagne.
ineontroal biondo arder, che folgoranti
Dritto dall’ arco d’ or scoccava I raggi ,
Scudo faceaiio ai duo felici amanti
Con torte braccia i hriarei selvaggi.
Mossi dall’ aure vane e vaneggianti ,
Con alterni susurri abeti e faggi •
Pareatio dire (e lingua era ogni fronda)
Più ne nutrisce Amor, che il Sulee Fonda.
Or q ui V i un di fra gli altri ecco che stanco
Tornar di caccia, ed andante il vede, [co
L’or biondo e crcspo,il terso avorio e biou-
Tre volte c quattro a rasciugar gli riede.
Gli fa catena delle braccia al lianco, [de r
Sei rccain greinbo.c in grembo all’erba sic-
E in vagheggiando lui , che F invaghisce.
Pur come aquila al Sol, gli occhi nutrisce.
Tieu ic luci alle luci amate e fide
Congiunte il seno al sen , il viso al viso.
Divora e bee, qualora ci bacia, o ride,
I Con la boccae con l'occhio il bacio e il ri-
Deb chi dagli occhi miei pur ti divide [so.
I) non da' miei pensìer giaminai diviso?
Qual altra esser può mai cura, che vaglia
\ far, che del mio duol nulla li caglia.
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L’ADONE. 13»
Or mi ttv veggio Ilei» io. che d’egual foco GotUamci.aniiamci.Ainord'amoriiierce-
;LIiì credulo i'avria?) meco non ardi , Degno cambio d'amore è solo amore, [de,
K che formi lalor, siccome poco Kansi in virtù di mi' amorosa fede
Avvezto a ben amar, vezzi bugiardi. Due aline un' alpia, e soii due ceri un core,
Po'xbù posposto alla fatica il gioco. Cangia il cor, cangia l’almaalbergo e sede.
Dalle tue cacce a me torni sì tardi ; In altrui vive, in si medesma more.
E curi (come suole ogni fanciullo) Abita amor l'abbandonata salma,
Più clic tuli’ altro, un puerii trastullo. E vece vi sosticn di core c d’alma.
(o>si dicendo, col bel vel pian piano 0 dolcezza ineDTablle, infinita ,
<ili terge i molli e fenidi sudori, Soave piaga c dilettosa arsura.
Vive rugiade, onde II bei viso umano Dove quasi fenice incenerila
Riga I suoi freschi c mattutini fiori. Ha culla insieme il core, e sepoltura;.
Poi degli aurei capei di propria mano ' Onde da duo begli occhi alma ferita [ra,
fàiglic le fila, e rlcompou gli errori; Muor non morendo, c il suo morir non cu-
E dì lagrime il bagna, e mesce intanto E trafitta d'auinr sospira e langue
Tra ]icrlc dì siidor perle jii pianto. Senza duol, senza ferro e senza sangue.
Ed egli a lei : Deb questi pianti asciuga. Còlsi dolce a morir l' anima impara
Dell cessa ornai queste dogliose note. Esca falla alPardor, segno allo strale.
Pria seminar di neve, arar di ruga E sente in fiamma dolcemente amara
Tu vedrai queste chiome c (|ueste gole. Per ferita mortai morte iunuorlala.
( ;iie mai per altro amor sia posto in fuga Morte, che al cor salubre, ai sensi cara
L' amor che dal mio cor fuggir non |Hite. j Non è morte, anzi è vita, anzi è natale.
Se tu fiamma mia cara ìmmorlal sei , Amor clic la saetta c clic l’ incende,
linmorlali saraii gl' inccndj miei. Per più farla morir, vita le rende.
Per quella face, onda infiammalo io fui , | Or se risponde il tuo volere al mio ,
Giuroepcrquclloslralchcilcorm'oflende, j E soli coufomii I miei desiti ai tuoi;
Giuro per gli occhi e per le clitome in cui j Se quanto aggrada a le, tanto bram io,
Lo strale indora Amor, la face accende ; E quanto piace a me, tanto tu vuol ;
('.he Adon tìa sempre tuo, nè mal d’altrui. Se è diviso in due pelli un sol desio,
Tal è quel Sol, che agli occhi suoi risplen- [ Ed è comune un’ anima tra noi;
.S’ altro clic il ver li giuro, 0 bella mia, [de. Se ti prendi il mio core, c il tuo mi dai.
Di superbo cinghiai preda mi sia, . , Perchè dei corpi un corpo anco non fai?
Ed ella a lui f Se tu , ben mio, sapessi i 0 dell' anima mia dolce favilla.
Quanto sia dolce essere amato amando, 0 del mio cor dolcissimo niartiro,
E <|uanto è duro, esperienza avessi , [ 0 delle luci mie luce c pupilla,
l.unge dall* amor suo girsene errando, Omiovezzo,oniio bado,omi08osptro.
Di scambievole amor-segni più espressi Volgimi quegli, onde ogni grazia Uilla ,
■Mi daresti talor meco posando, Eoiili di puro e irciiiiilo zaffiro.
K saremmo egualmente amanti amati j Porgimi quella, ove m è dato in sorte
Tu contento, io felice, ambo bcaU. j In coppa di rubino a ber la morte.
È ver, che nulla il bel pensiero affrena,
(ilie sempre all’ oceliio il caro oggetto ap-
io alme strette di leal catena [pressa.
.*so che per lontananza amor non cessa.
Dividale se può libica arena,
Oceano profondo, alpe inaccessa , -
Pur lasciare II suo bene è peggio assai ,
, Glie desiarlo, e non goilerlo mai.
I Quei begli occhi mi volgi. Occhi vitali,
! Occhi degli occhi miei specclii Incenli ,
I Ocelli faretre ed archi, e degli strali
i intinti nel piacer fucine ardenti.
Occhi del del d’anrar stelle btali,
E del Sol di belli vivi orienti;
Stelle serene, la cui luce bella
1 Può far perpetua eclisse alla mia stella.
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MARINO.
140
Quella bocca mi porgi. 0 cara bocca ,
Della reggia del riso uscio gemmato ,
Siepe di rose, in cui saetta e snocca
Viperetta amorosa arabo fiato.
Arca di perle, onde ogni ben trabocca ,
Cameretta purpurea, antro odorato.
Ove rifugge, ove s'asconde Amore
Poiebi ba rubato un’alma, ucciso un core.
Tace , ma qnal Da stil che di ciascuna
Paroletla il tenore a pien distingua?
Certo indegna è di lor, se non queir una.
Che le forma si dolci , ogni altra lingua.
Si parlando, e miratido ebbra e digiuna
Pasce la sete si , non che l’eslingua ;
Ansi perchè più arda e si consumi ,
Bada le dolci labbra e i dolci lumi.
Bada, e dopo il baciar mira e rimira
Le baciate bellezze , or questi , or quella.
Ribada , e poi sospira e risospira
Le gustale dolcezze or egli , or ella.
Vivon due vite in una vita , e spira
Confusa in due favelle una favella.
Giungono i cori in sulle labbra estreme.
Corrono l'alme ad intrecciarsi insieme.
Di note ad ora ad or tronche e fugaci
Risona l’antro cavernoso c scabro.
Dimmi, 0 Dea, dice l' un, questi tuoi baci
Movon cosi dal cor, come dal labro?
Risponde l’ altra : li cor nelle mordaci
Labbra si bacia. Amordcl bacio è fabro.
Il cor Io stilla , il labbro poi lo scocca ,
Il più ne gode l’alma, il mcn la bocca.
Baci questi non son , ma di concorde
Amoroso desio loquaci messi ,
Parlan tacendo in lor le lingue Ingorde ,
Ed ben gran sensi in tal silenzio espressi.
Son del mio cor,che il tuo badando morde.
Muti accenti 1 sospiri e i baci istessi.
RIspondonsI tra lor l’ anime accese
Con voci sol da lor medesme intese.
Favella il bacio, e del sospir, del guardo
( Voci ancta’ essi d’ amor ) porta le palme ,
Perchè al centro del cor premendo il dardo
Sulla cima d’ un labbro accoppia l’ alme.
Che soave ristoro al foco, ond’ ardo.
Compor le bocche, alleggerir le salme?
Le bocche , che di nettare bramose
Han la sete e il licor, son api e rose.
Quel bel vermiglioehe leJabbfa Inostra,
Alcun dubbio non ha, che sangue sia.
Or se nel sangue sta l'aalma nostra ,
Siccome 1 saggi pur voglion che stia ,
Dunque qualor baciando entriamo In gio-
Bacia l’ anima tua l’anima mia , [stra
E mentre tu ribaci , ed lo ribacio ,
L’alma mia con la tua copula il bacio.
Siede nel sommo dell’ amale labbia ,
Dove il fior degli spirti è tutto accolto.
Come corpo animato in sè purabbia ,
Il bado che dall'anima vien tolto.
Quivi non so d'anior qual dolce raliliia
L’ucdde , c dove niuor resta sepolto :
Ha li dove Ita sepolcro , ancora poi *
Bad divini II suscitale voi. . , •
Mentre a scontrar si va bocca con bocca,
Mentre a ferir si van baci con baci ,
Si profondo piacer l’ anime tocca.
Che apron l’ ali a volar, quasi fugaci ;
E di tanta che in lor dolcezza fiocca ,
Essendo i cori angusti urne Incapaci ,
Vcrsanla per le labbra, e vanno in esse
Anelando a morir l’ anime istesse.
Treman gli spirti infra i più vivi ardori
Quando il bado a morir l’anima spinge.
Mulan bocca le lingue, e petto i cori ,
Spirto con spirto, e cor con cor si stringe.
Palpitan gli occhi , e delle guance i Cori
Amoroso pallor scolora e tinge ;
E morendo talor gli amanti accorti
Ritardano il morir per far due inorti.
Da te l'anima tua morendo fugge.
Io moribonda in sul baciar la prendo ;
E in quel vital morir che ne distrugge ,
Mentre la tua mi dai , la mia ti rendo ;
E chi mi mira sospirando, e sugge ,
Suggo, sospiro anch' lo, miro morendo ;
E per morir quando ti bado, e miro ,
Vorrei che anima fosse ogni sospiro.
Fa dunque anima mia , l’altro le dice ,
Ch’ io con vita hnmorlal cangi la morte.
Voli l’anima al del si che felice
Sia degli eterni Del fatta consorte.
Fa di’ lo viva, e eh’ io mora, e (sedò lice )
Fa eh’ io riviva poi con miglior sorte.
Dolcemente languendo ail’istess’ora
Fa che in bocca lo ti viva , in sen ti mora.
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L’ADONK. HI
l'it albergo nicdesmo in quei dolci ostri
Unisca il mio desir coi tuo desire.
I.C nostr’ anime, 1 cor, gli spirti nostri
Vadano insieme a vivere e morire.
Ferito a un punto il fcritor si mostri ,
Pera la Teritricc in sul Tcrire ;
Onde mentre di’ io moro e ebe tu mori.
Ravvivi II morir nostro i nostri ardori.
SosUcn, diletta mia, ebe a mio diletto
Senza cessar dalie tue labbra io penda.
Ma col labbro vermiglio il bianco petto
Avarizia di amor non mi difenda.
Nò quei begli ocebi al mio vorace affetto
Dispettoso rln^, prego, contenda.
Mbrendo io vivTfttn te , tu in me vivrai ,
('.osi ti renderò quanto mi dai.
Se nulla è in noi di nostro, c non v’ ha loco
txisa, che possa tua dirsi, nò mia;
■Se il mio cor non è mio molto nò poco ,
Come il tuo credo ancor che tuo non sia ;
Poiché tu sci mia fiamma , io son tuo foco,
E ciò che brama l’un l’altro desia;
Poiché di propria mano Amore ha fatto,
F. fermato fra noi questo contratto.
Consenti pur eh’ io ti ribaci e dammi ,
Cb’ io te, come tu me stringa ed abbracci.
Pungi , ferisci , uccidi e svenir fammi
Finché l’ anima sudi , e il core aggbiacsi.
Te l’ ardor mio, me là l ua fiamma infiammi,
E me teco e te meco un laccio allacci ,
Perpetuo moto abbian le lingue, e doppi
Sien delle braccia e delle labbra I groppi.
Per mezzo i fior delle tue labbra molli
Amor qual aiigellin vago e vezzoso
Con cento suoi fratei lascivi e folli
Vola scherzando, e vi tien l’ arco ascoso.
Nò vuol ch’io le mie fami ivi satolli ,
Delle, dolcezze sue quasi geloso,
Ché tosto di’ io per mitigar l’ardore
Ne colgo un bacio, ci mi trafigge il core.
Ha qualor da lui scampo, e là rifuggo.
Dove ha più di vermiglio il tuo bel viso.
Più dolce ambrosia (o me beato] io suggo
Di quella che si gusta in paradiso.
ZeOircito soave, ond’io mi struggo.
Sento spirar delle tue rose al riso,
I.o qual del foco , che il mio cor consuma.
Ventilando l’ ardor, viepiù l’alluma.
No che baci non son quésti eh' lo prendo,
Son della dolce Arabia aure odorate,
D' una soavità eh’ io non intendo.
Più che di cinnamomo imbalsamate.
Son profumi d’Amor, ch’ei va traendo >
Dall’incendio dell’ alme innamorate.
Par che abbia in queste porpore ricetto
Quanto mele han Parnaso, Ibla ed Imetto.
Felice me, che meritar potei
Quel dolce mal , che tanto ben mi ha fatto.
Ha son ben folle ne’ diletti miei ,
Che bacio , c parlo in un medesmo tratto.
E si grande il piacer, che non vorrei
l.a mia bocca occupar, fuor ch’in quest’at-
E con la bocca Istessa il cor si dole, [to.
Quando I baci dan luogo alle parole.
Ed io, die’ ella , che fruir mi vanto
Gloria infinita In quei superni seggi.
Non provo colassù diletto tanto.
Che alla gioia presente si pareggi.
Prendi pur ciò che chiedi , e chiedi quanto
Di me ti piace , a tuo piacer mi reggi.
Ecco a picciole scosse a te, mio bene.
Sospirando e tremando, il cor sen viene.
Deh nel core, o mio cor, ornai m’ avventa
Quella lingua d’Amor dolce saetta,
E In core df rubino aguzzar tenta
i.a punta , che a morir dolce mi alletta ;
E fa tanto che aneli’ io morir mi senta ,
Del tuo dolce morir dolce vendetta.
Serpe sembri al ferir, ché ben ascose
Stan sovente le serpi infra le rose.
E se , perch’ ella è velenosa e schiva ,
Forse imitar la vipera si spiacc ,
Movila alraen , siccome suol lasciva
Coda guizzar di rondine fugace.
Oppur qual fronda di novella oliva
Rincresparla t’insegni Amor sagace.
Vibrala si , che la tua bocca arciera
Emula de’ begli occhi. Il cor mi fera.
Non sono, egli ripiglia, or non son questi
Gli occhi onde dolci al cor strali nii scocchi)
Gli occhi onde dolce il cor dianzi m'ardesti?
Begli occhi. Ein questo dir le bacia gli ocelli
Begli occhi, ella soggiunge, occhi celesti,
Cagion , che di dolcezza il cor trabocchi.
Core, ond’io vivo senza cor; tesoro,
Ond’io povera son ; vita, ond’io moro.
MARINO.
U3
Allora il vago : Anzi tu sol , tu sei
Quel core, onde il mio cor vila riceve.
Cor mio.... Purvolea dir, quando colei
La parola in un bacio e il cor gli beve.
Ella per lui si strugge, egli per lei ,
Come a raggio di Sol falda di neve.
Suonano i baci , c mal dal cavo speco
Forse a più dolce suon non rispos’ eco.
Fa un groppo atlor deli’ un e l’ al tro core
Quel sommo del piacer, fin del desio.
Formano i petti In estasi d’ Amore
Di profondi sospiri un mormorio.
Stillansi l' alme in tepidetto umore.
Opprime i sensi un dilettoso obblio.
Tornan fredde le lingue e smorti i volti,
E vacillano i lumi al elei travolti.
Traniortiscon di gioiacbbreelanguenii
L' anime stanche, al del d' Amor rapile.
Gl' iterati sospiri, I rotti accenti.
Le dolcissime guerre c le ferite.
Narrar non so.Frcsche aure,ondc correnti.
Voi che il miraste, ebenl' udiste, il dite.
Voi secretar! de’ felici amori
Verdi mirti, alti pini, ombrosi allori.
Ma gii fugge ia luce, e l’ ombra riede,
E s’ accosta a Marocco il Sole Intanto.
Imbrunir d’ Oriente il ciel si vede.
Cangia in fosco la terra il verde manto.'
Gii cede al grillo la cicala , e cede
Il rusignuolo alla civetta il canto,
Che garrisce le stelle, e dice oltraggio
Del bel pianeta al fuggitivo raggio.
CANTO NONO.
LA FONTANA D’ APOLLO.
ALLEGOlUA.
Nella persona di Fileno, nome derivato dall' amore, il poeta descrive si stesso
con gran parte degli avvenimenti della sua vita. Fingesi pescatore per aver egli- il
primo, almeno inquantiti, composte in volger lingua poesie marittime. La Font.ma
d’ Apollo in Cipro altro non imporla , che la copia della vena poetica , la quale oggidì
sovrabbonda per tutto, inassinie in materie liriche, ed amorose. L’ armi intagliate in
essa son simulacri di nove famiglie d'alcuni principi principali d’Itaiia, protettori
delle muse italiane, cioò Savoia, Esle, Gonzaga, Rovere, Farnese, ('.olona. Orsino,
c precisamente Medici ; siccome l’insegna de’Gigli scolpita a piè d’ Apollo iste.sso
rappresenta lo scudo della casa reale di Francia. La lite dei cigni e.sprlme il con-
corso d’alcuni buono poeti toscani , che gareggiano nell’ eccellenza, cioè il Petrarca,
Dante, il Boccaccio, il Bembo, il Casa, il Sannazzaro, il Tansillo, l’ Ariosto, il
Tasso, ed il Guarini. Nel gufo, e nella pica si adombrano (|ualchc poeta golfo mo-
derno, e qualche poetessa ignurauto.
asGouesTO.
Vanno al fonte d’ Apollo i lidi umanii.
Mirano r armi de' più degni eroi.
Quivi in forma di cigni ascoiian poi
De’ toscani poeti i versi e i canti.
Occhi,lncuì nutre Amor fiamma gentile,
Ond'loqnest’ alma invitai rogo accesi.
Volgete, prego, alla mia cetra umile
Mentre al canto I' accordo, i ral cortesi.
Voi mi deste l’ ingegno, c voi lo stile.
Da voi le carte a ben vergare appresi ;
E se v’ ha stilla di purgalo inchiostro.
Prende sol qualità dal nero vostro.
Voi siete i sacri fonti, ove per bere
Corro sovente, c gli arsi spirti immergo,
Sotto i begli archi delle- ciglia altere
Più che all’ ombra de’ lauri,! fogli vergo;
Cliè aver ben denno entro le vostre sfePe
Poiché v’ abita il Sol, le Muse albergo ;
E sento con favor pari alla pena
Donde nasce l’ ardor, piover la vena.
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1.’
Altri coli, doTc Parnaso al cielo
Erge in dne corna le frondose cime.
Per coronarsi del pttì verde stelo
Sudi a poggiar per calle erto e snhllmc.
lo sol del rostro altero orgoglio anelo
Sul monte alpestro a sollevar le rime,
E vo’, che II gnidertlon de’ miei sudori
Sia corona di mirti è non d’ allori.
Amor solo è il mio Febo, ed Amor solo
t^n r arcoisiesso, ondagli strali ei scocca,
Pcrcliè la gloria si pareggi al duolo.
Della mia lira ancor le corde tocca.
Dall’ ali del peusier, die spiega il volo
Li donde poi <|ual Icaro trabocca.
Ansi pur dalla sua svelse la penna, '
Con cui scrivo lalor guani’ el mi accenna.
Se fossi un degli auge! saggi e canori,
Cli’ oggi iniianii alla Dea vengono in lite,
E In quei vitali e virtuosi umori
Osassi d' atlulfar le labbra ardile,
10 spererei nou pur de’ vo.slrì onori
Noie formar mcn basse, o più gradile.
Ma con slil forse, a cui par non rimbonslra.
Cangiar Venere in Marte, il pleura in lrum>
[Ila.
il duce canterei famoso c chiaro,
Clicdrgiusto disdegno in guerra armalo
Vendicò dei Messia lo strazio amaro
Nel sacrilego popolo ostinato;
E canlei'ci col Suimmiesc al paro
11 Mondo in nove forme trasformato.
Ma poidiò a ruzzo sili liuti lice tanto.
Seguo d’ Adoucc di Qprigna il canto.
Ecco gii dalla porla aurea del mondo
Delle fiamme minori il sommo duce
Coronato di raggi il capo biondo
Esce su i inoliti a pubblicar la luce.
Gli fa festa Natura, e dal fecondo
Grembo erbcue la terra, e fior prodace.
L’alba il corteggia c In queste parti, in
quelle
Gli fan per tutto il del piazza le stelle.
Poiebè ambedue di quel piacer divino
Han cibato il desio, ma non satollo,
Sorgon col .Sole, e prendono il cammino
Verso il Fonte mirabile d’ Apollo.
Giungon là dove chiaro e cristallino
Stagna un laghetlo,insleme a bracdacollo,
Cinto d’ un prato, che di fior novelli
Serba in ogni stagìon mensa agli augelli.
ADONE. lU
Stranio carro era qui di gemme adoro»
In sembianza di barca al lido avvinto.
Quel della bionda aurora, o quel dd giorno
E di materia e di lavor ne ò vinto. no
Gran compassi ha di perle, e i chiodi intor-
Tntti son di diamante c di giacinto.
Il vaso tutto ò d’ una conca Intera,
Glie apre II capace ventre In mezza sfera.
AHra di questa mai forse Nereo
Non vide opra maggior di nierav igli.i
0 nel ricco Oceano, o nell’ Egeo
Dalla cerulea Teli alla vermiglia.
Nacque del fertilissimo f^rltreo
( Prodigio di Natura ) unica figlia.
L’ Ariel fregi vi aggiunse, e l'orlo e il gira
l.e incoronò dì orientai zaffiro.
Su basi di smeraldo e di rjihino
Talamo ben gnernilo in mezzo .stassi.
1 seggi intorno ha di topazio fino,
D’ ametisto indian le rote c gli assi; [ no
Due mostri il iranno; han d’iiomo e di delfi-
Qiiesti le'mcmbra ed ambo nn misto fissi,
liiiana forma ha quella parlerh’ esce
Dell' acque, il deretan termina in pesco.
Cosi talor vid' lo pianta feconda
Quinci e quindi spiegar varia la chioma.
Se avvlen, che arte cultrice in lei confonda
L’ ave natie con 1’ adottive poma ;
tlhe mescolando II pampino c la fronda
Giirva le verdi braccia a doppia soma.
Onde congiunte in un vagheggia Autunno
Le ricchezze di Bacco e di Vcriunno,
Una, 1’ non saprei dir, se Ninfa, oDiva,
Dal trono, ov’ è legalo, il carro slega,
K drillo, ov’ i la coppia, Inver la riva
Le redine rivolge, c il corso piega.
Poi con favella affabile e festiva
La ricca poppa ad aggravar lor prega.
Idrilla ha nome, e già la bella .salma
Introdotta nel legno, il legno spalma.
Per la tranquilla c placida peschiera
Nc vanno Insieme a tardo solco e lento, ,
Dove guizzano i pesci a schiera a schiera.
Quasi in elei crislallin stelle d’ argento.
Adon r amenili della costiera,
E della conca i fregi ammira Intento,
E la beila nocchiera invitatrire
Mentre siede al timon, cosi gli dice :
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m MARINO.
La macchina, signor, dov’entro or sci,
l'u del fabbro di Lenno alto sudore,
tion questa in grazia venne c di costei ,
Lite i la madre d'Amor, comprò l’ amore.
Per trarla ai poco amabili imenei
Questa in dono le oOersc in un col core.
Nettuno aggiunse ai preziosi doni
Vago poi di piacerle , i duo tritoni.
Nè sol, come tu vedi , in acqua è nave ,
Ma carro, ov'ella il voglia, io aria e in terra.
Spinti talor da dolce aura soave
Per le piagge del inar trascorre ed erra.
Talor lasciando l' elemento grave,
Quand’ella il volo al terzo elei disserra,
Vi accoppia , c scioglie ai zeffiri benigni
I.C dipinte colomite , o i bianchi cigni.
Così ragiona, c intantoattorceestcnde
Contesti di fin or serici stami.
Onde ai figli deir acque ordisce e tende
Minuti c sottilissimi legami.
Ma mentre appresta il calamo , ed intende
Pcscatrice leggiadra , a trattar gli ami ,.
Amor con altro laccio, e con altr’esca
Di Ciprigna c d'Adon l' anime pesca.
In un scoglio approdò la pavicclla ,
Che quasi isola siede al lago in grembo.
Questo non osò mai ferir procella.
Teine ogni austro appressarlo, ed ogni
Nè sentir mai latrar fervida stella, [nembo.
Nè d’ algente pruina asperse il lembo ;
Ma sprezza , avvampi Sirlo, o tremi Cauro,
L’ inclcnienza del Cancro e del Centauro.
Sporge la curva riva in fuordue braccia,
Kforinaun scmicircolo capare, [ghiaccia
Dove quando il del arde , c quando ag-
Sempre ha lo stagno inalterabll pace.
Placido quivi , c con serena faccia
La Dea bella imitando, il vento tace,
K vi fan l’ acque a prova , e gli arboscelli
Ai pesci padiglion, speccliio agli augelli.
Fiori e conche un sol margineconfonde.
Erba c limo congiunge un sol confine.
Spiegano l’ alghe c spiegano le I ronde
In un sito comun il verde crine.
Tra smeraldi e zaflìr l’ ombre con l' onde
Scherzano gareggiando assai vicine ;
Kd han commercio in su le ripe estreme
Le verdi Dee con le cerulee I nsieme.
Oh quante volte allorflie rossoe biondo
Ride In braccio alla vite il lieto Dio,
Dall’arenoso suo gelido fondo
La vezzosa Nereida al lido uscio;
E sotto il velo, onde ricopre il mondo ,
La madre del silenzio e dell’obbllo,
don pampini asciugando 1 membri molli
Rapi l’uvc mature al dolci colli.
Quante cadder tra perle e tra coralli
I pomi che pendean poco lontani
E la vendemmia accolsero 1 cristalli ,
Già di vivo rtibin gravida i grani.
Spesso strisciando per gli ondosi calti
Sdrucciolaste neil’ acque, o Dei silvani.
Spesso, voi fauni, entro le chiare linfe
Correste ad abbracciar l’ umide Ninfe.
Loco sovvienimi aver veduto ancora
(Se non quanto è sul fiume] appunto tale,
1.1 dove trae la bella Polidora
Dalla Dora, e dal Po nome immortale.
Dell’angusto signor, che augusta onora
Delizia serenissima c reale ;
E vi vidi sovente in ricche scene
Celebrar liete danze e liete cene.
Su per la riva i Incidi secreti
Del bel lago spiando ignudi cori
Van di fanciulli lascivctti e lieti ,
Anzi di lieti e lascivctti amori.
Chi fuordcll'ondc trac con lacci ereti.
Chi con tremula canna il pesce fuori.
Altri con lunglie fila c ferri adunchi.
Altri con gabbie di contesti giunchi.
Qui venne a caricar l’onda tranquilla
Del suo Ilei peso la barchetta estrana.
Qui scesero a veder quella , che stilla
Dotto licor, si celebre fontana.
Viilcan divino artefice scolpilla,
E vinse in essa ogni scultura umana.
Cosi grato esser volse al biondo Dio
Quando I celesti adulteri scoprio.
Febo poi tanto di sna grazia infuse
In quel marmoreo e limpido lavacro,
Qic la virtù poetica vi chiuse
Del suo furor merav iglioso e sacro ;
K in compagnia delle canore Muse,
Di cui tutto v'è sculto il simulacro.
Sovente visitandole, con esso
Suol le rive cangiar ilei bel Permesso.
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L’ADONE. 145
L'onda inlauln RorRoglia, cdcrcoallora
Sirenella IpRgiadra in allo s'erge,
E veduta colei, cui Cipro adora,
Un’altra volta poi si risoninierge.
La man carca di perle indi > icn fora ,
E il bel lido vicin tutto n'asperge;
Per le rapite airostriclic native ,
Vie maggior, delle noci c dell' olive.
Disse la Dea; Se pur di perle mai
Fia , die avaro talento il cor ti tocchi ,
A tua voglia sbramar cpii ben potrai
L' appetito volgar degli altri sciocchi.
Pcrmcnon uccliiegR’io; ne hanpurassai
La tua bocca ridente c i miei tristi occhi.
E se nulla curiam fregi men belli,
Rcstiiisi cibo ai mici lascivi augelli.
Sappi , che di ricchissime rugiade
L’India, l’Arabia, Eritra cTaprnbaua
Tanta copia non hanno, o Paro, oGade,
Od' austro il mare, o il mar di tramontana.
Quanta in queste felici alme contrade
Ne versa egnor del Clel grazia sovrana.
Poscia in minuti globi il Sol le indura,
E soir de' miei colombi esca e pastura.
Quando l’Aurora il suo purpureo velo
Lava con I' onda, che I fioretti avviva,
Di mattutino umor piove dal ciclo
Pi( ciula stilla in temperala riva ,
E condcusala in rugiadoso gelo
L’accoglie in cavo sen conca lasciva,
Del cui seme gentil vien poi produlto,
l'ari alia madre sua, candido frullo.
Quel soave licor, che avida beve,
E seme, onde tal prole al mondo nasce,
Ed è latte in un punto, onde riceve
Virtù, che il parto suo nutrisca e pasce.
La propria spoglia delicata e lieve
1.’ avvolge quasi in argentate fasce,
E con la purlli de’ suoi splendori
Vince dell' alba 1 luminosi albori.
Pregiasi molto in lor Tesser sincere,
E d’iin condor di nulla macchia olTeso,
Nè la grossezza men, pur elle leggiere
Non abhian pari alla misura II peso.
Quella forma è miglior, che con le sfere
PIÙ si conforma,ondcogni lume hai) preso;
E quelle son tra lor le più lodale.
Che soglion per natura esser forate.
Le perle, perchè son d’egual hianchezza,
Ama la schiera immacolata e bianca.
Cosi quello splendor, quella finezza,
QTai lor primi natali in parte manea.
Con doppia luee e con maggior bellezza
Nel lor ventre s’ adempie, e si rinfranca ;
E le rimandati fuor con gli e.scrcmenti
Più pcrfclle, più pure c più lucenti.
Il coro poi, ch’è d’ adornarmi avvezzo,
Delle mie vaghe e leggiadretle ancelle.
Per fabbricar pendente , o conipor vezzo
.Sceglie tra lor le più polite e belle.
Ed io più eh' altra una tal pompa apprezzo.
Perchè la stirpe lor vien dalle stelle,
E del cielo e del mare hanno il colore ,
lA dove nacque c dove regna Amore.
Si per il generoso alto concetto.
La cui primiera origine è celeste,'
SI per la gran virtù del bell’ oggetto ,
Possente a confortar T anime meste,
SI perchè lo splendor reca diletto,
Sogllomi compiacer forte di queste.
Queste diero la cuna al nascer mio,
Queste per barca e carro ancor vols' io.
Ma però che ogni bella c ricca cosa
Con gran dilllcolia sempre s' acquista ,
Questa sì cara preda c preziosa
<’.on la fatica e col periglio è mista.
Stassene parte entro T albergo ascosa
La perla, e parte esposta alT altrui vista.
SiilTorlodel covii che la ricetta.
Alla rapina II pescatore allctta.
L’ ingordo pescalor che aperte scorge
Le fauci allor della cerulea bocca ,
Stendela destra (ahi tcmcrario)e sporge
Troppo.a si nobil furto incauta c sciocca.
Perocché come prima ella si accorge.
Che man rapace il suo tesor le tocca.
Comprimendo gelosa il proprio guscio.
Della casa d'argento appanna T uscio.
Con tanta forza T aflìlato dente
Stringe In un punto la mordace conca.
Che tanaglia, o coltei forte c tagliente
Men gagliardo, o men ratto afferra , o trOn-
Restan Taudaci dila immantinente [ca.'
Recise del meschin nella spelonca,
Den giusta pena allo sfrenato afdlK,
Del troppo avaro e cupido destre. V ^ >
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H6 marino.
Cosici perù clic u'anicchj rarcne.
Tulle sa di lai pesca e I’ ari! c I modi ,
E del pesce braiiculo apprese ba bene
Le scallrc insidie e I’ ingegnose frodi.
Quando il sasso Ira' niccbi a ntcllersienc.
Che SOI! dell' alimi viscere cuslodi,
Onde passa securo entro la scoria
La sua nemica a divorar |ter fona.
Quindi suole avvenir che la conchiglia,
Nel cui grembo si cria la margarila.
Quando vede la man, che giù la piglia.
Spesso il caslor perseguitato tmila,
E della bianca sua lucida figlia.
Che generata ba si, uon partorita.
Fa prodiga a colui, di cui ragiono.
Di spontaneo voler libero dono.
E se saver vuoi pur chi cosici sia.
Che è destinata ad abitar quest' acque.
Figlia fu di Aebeloo, che in couipagnia
Di due gemelle sue d' un parlo nacque.
Ma da fortuna ingiuriosa c ria [<|ue;
La coppia a lei congiunta oppressa glac-
E cb' ella sol giungesse a queste sponde.
Fu grazia mia che signoreggio I' onde.
GUallri duo delTlrren mostri guizzanti
Eran di qualità simili a questo.
Attrattivi negli atti e nei sembianti.
Donne il petto c la faccia, e coda il resto ;
Soavissimo rìschio a’ luviganti.
Doloroso piacer, scherzo funesto ;
Il cui cantar uc' salsi ondosi regni
Era morte al nocchicr, naufragioai legni.
Ma poiché ogni arte lor vinse e deluse
Di là passando il peregrin sagace.
Quando con cera impenetrabii chiuse
Le caute orecchie all' armonia tenace,
D’ ira arrabbiale, e di dolor confuse
Le disperse del mar I' onda rapace,
E (salvo quegta, che campò persorlc}
Per dispcraziou si dicr la morte.
Delle tre mezzo pesci e mezzo dive
Quella, che in questo mar gittata venne.
Qui, come vedi, immortalmente vive;
Ciò per pietà dal mio gran Nume ottenne.
L’ altre per varj lidi e varie rive
Corser, né so bcu dir ciò che n' avvenne.
So beo che una di lor dall' onde spinta
Presso Cunia c Puzzuol rimase estinta.
E trasportata a quella nobii sede.
Miglior cheli! vita, in morte ebbe ventura.
Perché de' Calci U popolo le diede
il paradiso mio per sepoltura.
Dico il lieto paese, ove si vede
Si di sé stessa innamorar Natura ,
A cui cinto 'di colli il mar fa piazza.
Che a Neltimo é teatro, a Bacco è lazza.
Dall' ossa ilella vergine canora.
Che in quel terrcn celeste ebbe l’avello.
Spirto di melodia pullula ancora.
Quasi d’ antico onor germe novello.
Più d' una lira vi ai sente ognora,
E più d'un bianco mio musico augello;
E che sia vero , un de’ suol figli ascolta,
A che dolce canzou la lingua ha sciòlta.
Volgesi a quella parte, ond' esce il canto
Adone , e vetle un pescator sul lito.
Di semplice duaggio ha gonna e manto.
Ed ha di polpo un cappero» sdruscito.
Ampio cappel, che si ripiega alquanto.
Gli adombra il crin, di sottil paglia ordito .
Tiene a piè la cistella, in man la canna.
Con cui dell’ acque il popol muto inganna.
Lilla, dicea, che si fastosa e lieta
Ognor ue vai del mio tormento acerbo.
Deh Vienne all’ombra ,or ch’il maggior |>ia-
Scaldaiileonferocee'l cansuperba ncta
Qua Vienne, ove leggiadra c mansueta
Un’ anguilla domestica li serbo.
Che di limo si nutre entro un forame
Di questo scoglio, e non ba spine, o si|uamc.
Più bel non vide, o più vezzoso pesce
Del Mincio mai la celebrala pesca.
Spesso qualora il mar si gonfia e cresce
Salta dal fondo in su la riva fresca.
Va per l’ erba seiqiendo, e tant' olir' esce ,
Che V leu fin nei mio grembo a prender l'e-
Di fin oro all'orcccbie ha due pendenti ' sca;
E mi vomita in man perle lucenti.
Ila lunga coda e larga testa o grossa.
Rocca allerta e viscosa ed ampie terga.
La schiena è di color tra bruna e rossa,
D auree macchie smaltata a verga a verga.
Si dibatte |ier I’ act|ua c per la fossa ,
Nè pur iu pace un sol momento alberga.
Lubrica scorre, entra per tutto e guizza ,
E se la tocca alcun , tosto si drizza.
Digilize*' : V ^OOgle
L’ ADONE. H7
Tua sari, se l' accetti e se ti piace
Deporre alquanto il dispieiato orgoglio.
Del tuo \ivaio entro I' umor vivace
io di mia iiiaiio imprigionar la voglio.
Oh di questo animai viepiù fugace ,
Più dura al mio pregar di questo scoglio.
Vieni a temprar dell vieni un doppio ardo-
E se il pesce non vuoi prenditi H core, [re.
Chiede a Venere Adon, dii sia coloi ,
Che si ben col cantar 1’ aure lusinga.
È de' nostri, risponde. Amor di lui
Non avri inai chi più fori’ arda, ostrlng*.
Fileno ha nome, e dall’ insìdie altrui
È qui giunto a menar vita solinga.
Nacque colà nella felice terra,
CJic la morta Sirena hi gren^io serra.
Ma se ti cal più oltre intender forse
Di sue fortune, aiidiaime ov’ egli stasai.
Cosi SCI! giro, ed eì quando s’ acroise
Ver lui drizur la bella coppia i passi ,
Di cotanta beltà stupido sorse
Per reverirla, da que’ rozzi sassi;
Ma con man gli accennò l' amica Dea,
Che di là non partisse, ove sedea.
Per romper, dice,o per turbar non regno
I tuoi dolci riposi, o i bei lavori.
Sai ben, clic quando del mio patrio regno
Prendesti in prima a celebrar gli onori.
Io diedi forza al tuo aDannato ingegno ,
Svegliandolo a cantar teucri amori ;
Onde il nome immortale ancor per tutto
Serbati di Lilla tua l’arena c il flutto.
Del foco tuo con mormorio sonoro
Farà il mar, dov’ io nacqui , eterna fede;
E come Apollo lì donò l’allòro.
Cosi l’alga Nettuno or ti concede.
Lodanti i muti pesci, e tu di loro
Fai dìlotlose c voluiitàric prede;
Anzi con soavissime rapine
Prendi l’ anime umane e le divine.
Fortunato cantor, la nobil arte
Quanto più gradirei del tuo concento.
Se I diletti c i dolor spiegassi in carte.
Che per costui, non più sentili , io sento;
Per costui, che è di me la miglior parte ,
Amaro mìo piacer, dolce tormento.
Mezzo dell’ alma mia, vita mia vera,
Anzi di questa vita anima intera.
Deh , te ne prego, cosi il Ciel secondo
Sempre, e benigno ai tuoi deslrsi mostri ,
Fa nell’ età futura udire al mondo
La bella istoria degi' iiieendj nostri.
So, che se (|uest’ ardor lieto e giocondo
Sarà materia ai tuoi vitali Incliiostri,
Passerà l’ onda oscura e chiara fia
Non senza giuria tua , la fiamma mia.
Farò, se ciò farai, per te colei
Languir, percui languisci, amante amala:
E quando U nodo, onde legato sei ,
Verrà poscia a troncar Parca spietata ,
Nel felice drappel de’ cigni miei
Ti porrò , candid’ ombra, alma beata ,
Dove l’Eternità, che sempre vive.
Nel libro suo l’ altrui memorie scrive.
Risponde, 0 degna Dea delia beliate.
Imperatrice d’ogni iiobii petto.
Canterò, scriverò, se voi mi date
Vena corrispondeule al bel suggello.
Da voi vieintiii lo stile, e voi levale
Sovra sò stesso il debile intelletto,
Poicliò la cetra mia rauca e discorde
Si ha.de’ lacci d’Amor fatte le corde.
Questo cor, che si struggeapocoapoco
Languendo di dolcissima ferita.
La mercè vostra, in ogni tempo e loco.
Sarà fonte d’ amor più che di vita;
Somministrando al suo celeste foco
Nelle pene locato, esca inflnita.
Con tal piacer per la beltà che adoro ,
Sperando vivo, e sospirando moro.
Nacque neinascermio, ni fia eh’ estinto
Manclii per volger d’ anni ardor si caro.
Quelle catene, ond’ io son preso e cinto.
Insieme con le fasce mi legaro.
Quei lini stessi, in eh’ io fui priniaavvinto.
La piaga del mio petto anco fasciaro.
Lavalo appena dai materno bagno.
Fui lavalo dai pianto, onde mi lagno.
Amor fu mio maestro, appred amando
A scriver poscia ed a cantar d’ Amore.
Di due furori acceso, arsì penando,
L’ un mi scaldò la mente e l’ altro il core ;
L’uno iusegnommi a lagrimar cantando.
L’altro a far le mie lagrime canore.
Amor fe’ con la doglia amaro il pianto ,
Febo con l’ armonia soave il canto.
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marino.
14$
N(^ar non voglio, uè negar poss’ io.
Che al dolci sludj , agli onorati alTannl ,
elio rapiscono i nomi al cicco olibllo,
E fanno al tempo ingordo eterni inganni.
Fatale elczion l'animo mio
Noti inclinasse assai fin da' prini' anni.
In quolumine inarlir grave c molesto,
llcfiigio unqiianon ebbi altro ebe (lucslo.
Ma da (|uesla di vezzi arte nutrice
Ecco le spoglie alfin che allri riporla.
Ecco qual fruito vien di tal radice ,
V'n guarnel ili zigrin, l'amo e ia sporla.
Trofei del nostro secolo infelice.
In cui di gloria ogni favilla i morta.
I.'età del ferro è scorsa , c sol di questa
La vilissima ruggine ne resta.
Tempo fu , elio ai cultor de' sacri rami
Favorevoli fur mollo i pianeti.
Or sol regnano in terra avare fami ,
E copia grande d' uomini indiscreti ,
De'qual se alcunoè pur ch'il canto n' a- |
Ama le poesie, non i poeti ; [mi.
Ni! fla poca mercè, quand’egli .applaude
Premiando talor laude con laude.
Di me non parlo, e se pur canto, oscrivo,
D’ Amor, non di Fortuna io mi lamento,
Chè non in lutto di ricchezze è privo
r.hi trae la vita povero e contento.
In tale stato volciiiier mi vivo.
Bastami sol, che d oro ho lo strumento.
Lo stromento, ch’io sono (a quell’ alloro
Vedilo lì sospeso) è di fin oro.
Ha di gigli dorali intorno i fregi ,
Ed ha gemmato il manico e le chiavi.
Dono ben degno del gran re de’ regi ,
Rege , amor de' soggetti , onor degli avi.
Si non indegni di cantar suoi pregi
Fossero i versi miei poco soavi,
Coni’ egli è tale infra gli eroi maggiori
Qual è. il suo giglio infra i più bassi fiori.
Ma questo è il men se non che il vulgo a cui
Fosco vel d’ ignoranza 1 lumi appanna ,
Prendendo a scherno i bei sudori altrui ,
Nel conoscere il meglio erra e s’ Inganna.
E sebben io tra que' miglior non fui ,
Sovente chi più vai biasnia e condanna.
Mlser, di colpi tali ognor fu segno
Il mio battuto e travagliato ingegno.
Più d'una volta il gcnitor severo.
In cui d’oro bollian desi ri ardenti ,
Stringendo il morso del paterno impero.
Studio iuiitil, mi disse, a che pur lenti?
Ed a forza piegò l’alto pensiero
A vender fole gì garruli clienti.
Dettando a questi supplicanti e quelli
Nel rauco foro i queruli libelli.
Ma perchè potè in noi Natura assai ,
La lusinga del Genio in me prevalse,
E la toga deposta , altrui lasciai
l’arolelle smaltir mendaci e false.
Nè duhbj testi inlerpelrar curai.
Nè discordi arcordar chiose mi calse.
Quella stimando sol perfetta legge.
Che de’ sensi sfrenati il freii corregge.
Legge ornai più non v’ ha la qual per dritto
Punisca il fallo, o ricompensi il merlò.
Sembra quanto è fin qui deciso e scritto
1)' opinion confuse abisso incerto.
Dalle calunnie il litigante atllitto
Somiglia in vasto mar legno inesperto.
Reggono il tutto con affetto ingordo
Passion cieca ed interesse sordo.
La rota eletta a terminar le liti
Qual nuova d’ Ission rota si volve,
E con giri perpetui ed iniinili
Traltien l’altrui ragion, nè la risolve.
Purqnc’lunghilutervallialliu spedili, [ve.
Spesso il buon si condanna e il reos’assol-
Dell’oro.al cui guadagno è il mondo inteso.
La bilancia d’ Astrea trabocca il peso.
Tcnnemi pur assai la patria bella
Dentro 1 confiti delle native soglie ,
Dico Napoli mìa , che la sorella
Della Sirena tua sepolta accoglie.
Ma perchè Puom nell’età sua novella
È pronto a variar pensieri c voglie ,
Vago desio mi spinse c mi dispose
A cercar nove terre c nove cose.
Mossemi ancor con falsi allettamenti
La persuasion della speranza.
Ed al sacro splendor degli ostri ardenti
Mi trasse pien di giovenii baldanza ,
Sicché all’altrice delle chiare genti
Chiesi mercè di riposala stanza ,
Credendo Amor vi soggiornasse , come
Par che prometta il suo fallace nome.
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L’
Parte colà dei più lici' anni io spesi ,
E dei colli ramosi all’ombra tissi,
E sotto stelle nobili e cortesi
Or i’ altrui lodi, or le mie pene scrissi.
Stelle, I cui raggi d’alta gloria accesi
Vinceano i maggior lumi in cielo affissi,
Ma r inllucnzc lor per tutto spar.se
Ad ogni altro benigne, a me Tur scarse.
Vidi la corte, e nella corte io vidi
Promesse lungbe e guiderdoni avari.
Favori ingiusti e pairneinj infidi ,
Speranze dolci e pcniimcnti amari.
Sorrisi tradilor, vezzi omicidi.
Ed acqui,sii dubbiosi e danni chiari ,
E voli vani ed idoli bugiardi ,
Onde il male è securoe il ben vien tardi.
Ma come può vero diletto, o come
Vera quiete altrui donar la corte 7
Le die la cortesia del proprio nome
Solo il principio, il fine ha dalla morte.
Io volsi dunque pria che cangiar chiome,
Terra e cielo cangiar, per cangiar sorte.
Ma lung’ora perù del loco in cui
Rlcovrar mi dovessi, in dubbio fid.
Sperai di tanti danni alcun ristoro
Trovar laddove ogni valor soggiorna ,
Nella città clic il nome ebbe dai toro ,
Siccome il fiume suo n’ebhe le corna.
Venni alla Dora , che di ferill oro
(Come il liiol risona] i campi adorna.
Ma in prigion dolorosa , ove mi scorse.
Lasso, che in vece d’or, ferro mi porse.
Di quel signor, che generoso c giusto
Regna colà dell’ Alpe alle radici.
Non mi dogl’io;cosl pur sempre Augusto
Goda al talor dovuti , anni felici.
3ol del Destino accuso il torlo ingiusto,
K il lituo amor de’ disleali amici.
Per la cui scelleraggine si vede
Laddove nasce il Po, morir la fede.
Venne sospinta da llvor maligno
Aiicor quivi rinvidia a saettarmi,
Ghè sua ragion con scellerato ordigno
Difender volse , e disputar con l’ armi ;
E ri.sponileiulo col focil sanguigno,
E col tuoi! delle palle al suon dei carmi ,
Mosse r ingiurie a vendicar non gravi
Delle penne innocenti i ferri cavi.
ADONE. 1 1!(
I Mi assalse insidiosa , e come avante
Lingua vibrò di fiele e di veleno,
Cosi poi vomitò foco sonante
Per la bocca d’ un fulmine terreno.
Con la canna forala e folgorante
Tentò ferirmi e lacerarmi il seno.
Come la fama mi trafisse c come
Mi lacerò con le parole il nome. .
Non meritava un lieve scherzo c vano
Di arguti risi c di faceti versi ,
Che altri doves.se armar l’ iniqua mano
Di si perfidi artigli c sì perversi ,
E scoccar contro me colpo villano ,
Che inerme il fianco alla percossa oITcrsi.
Che non fa, che non osa ira e furore
D’animo disparato e traditore?
Pensò forse il fellon quando m'olTcse
Per alto tal dì nilgllorar ventura,
E con la voce del ferrato arnese
Di acquistar grido appo l’età futura.
Sperò col lampo che la polve accese ,
Di rischiarar la sua memoria oscura,
E fatto dalla rabbia audace c forte
Si volse immortalar con la mia morte.
Girò l’infausta chiave, e le sue strane
Volgendo intorno c spaventose rote,
Abbassar fe’ la lesta al fiero cane ,
Che in bocca licn la formidabii cote ,
Sicché toccò le macchine inumane,
Ondeav vampa il balen, che altrui pcrcote,
E con fragore orribile e rimbombo
Avventò contro me globi di piombo.
Ma fussc pur del Ciel grazia seconda.
Che innocenza c bontà sovente aita,
0 pur virtù di quella sacra fronda,
Ole dal folgore mai non é ferita;
Fra gli ozj di quest’ antro e di quest’ onda,
Fid rìserbato a più tranquilla vita.
Forse come amator di sua bell’ arte,
Campommi Apollo da Vulcano e Marte.
Quindi l’Alpi varcando, il bel paese
Giunsi a veder della contrada franca ,
Dove i gran gigli d’oro ombra cortese
Prestaro un tenqvo alla mìa vita stanca.
La virtù vidi e la beltà francese;
V’abbonda onor, nè cortesia vi manca.
Terrei) si d' ogni ben ricco e fecondo ,
Ch’ io non so dir se sia provincia o mondo.
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J50 MARINO.
Ma perocché II fororsuole in gran parte
Di quel petti guerrieri esser tiranno ,
E le penne pacifiche e le carte
Con aste e spade conversar non sanno ,
E tra gli scoppi e timpani di Marte
I concenti d’ Amor voce non hanno ,
Questo scoglio romito e questo lido
Feci de’ miei pensier refugio e nido.
Qui mi vivo a me stesso, ein quest’arena
Che cosa sia felicltil comprendo,
E qui purgando la mia rozza vena ,
Da' tuoi candidi cigni il canto apprendo ,
Con cui sfogar del cor la dolce pena
La pescatrice mia m’ode ridendo.
Vena povera certo ed infeconda ,
Ma scliictta e naturai com’ é quesf onda.
Cosi vinto il rigor del iter Destino ,
Con cui vera virté sempre combatte,
Di Paiisilippo e Nisida e Pioppino
Risarcisco le perdite che ho fatte.
II puro stagna e il bel fonte vicino ,
Ix lor rive fiorite e fonde Intatte [nio,
Son mia corte ernia reggia ; altro non bra-
che I' erba e f acqua c la cannuccia e l’amo.
Vom cheanelante a vani acquisti aspira,
E in cose frali ogni suo studio ha messo ,
Fa quat turbo , o paleo , c he mentre gira ,
La sepoltura fabbrica a sé stesso ,
E dopo molte rote aifln si mira
Avere al moto li precipizio appresso.
Che vai tanto sudar, gente inquieta.
Se angusta fossa alle fatiche è meta 7
n meglio i dunque in questa vita breve
Procacciar contro Morte alcun riparo,
E poiché H corpo incenerir pur deve ,
Rendere almeno li nome eterno e chiaro.
Chi da Fortuna rea torto riceve
Specchisiln me.chc a disprezzarla imparo;
Sol beato é chi gode in ore liete
Trai modesti piacer bella quiete.
Virtù non monche Amordi sé s’ appaga,
Dice la Dea , che Intenta il parlar otle.
Siccome amor sol con amor si paga ,
Cosi virtù sol di virtù si gode.
Altro premio , altro prezzo ed altra paga
Non richiede , né vuol , che onore e lode.
Ella é mercé , e mercé soia a sé stessa.
Cosi dicendo , al bel fonte si appressa.
Nell’ isoletta un piccol pian ri tondo
Da siepe é cinto di fin oro eletto ,
Che coi metallo prezioso c biondo
Difende II praticcl die vi fa letto.
E di germi odoriferi fecondo
B’ aromatiche piante havvi nii boschetto.
Che fan con l’ ombre lor frondose e spesse
Il loco insuperbir di ricca messe.
Un Pamasctio d’hnmortal verdura
Noi centro dei pratei fa piazza ombrosa ,
In mezzo al cui quadrangolo a misura
La pianta della fabbrica si posa.
Fermansi a contemplar l'alta struttura
La vaga e il vago in sulla sponda erbosa ,
E van mirando i peregrini intagli ,
Oli nulla é sottollSole Opra che agguagli.
Di terreno scullor scarpelli industri
Formar non saprien mai si bella fonte ;
E ben fece molt’anni e molti lustri
Ai tre giganti etnei sudar la fronte.
Note dì marmo fin fignie illustri [monte,
Cerchiano nn sasso, e il sasso as%m lira un
E quel monte ha due dme , e in siAt diM
Alato corridor. la zampa imprime.
Deh perdontd'ilClel si grave fallo.
Per cui men caro il buon llcor si ttene,
Zoppo fabbricator del bel cavallo ,
Che ne venne ad aprir novo Ippocrene.
Bastar ben ti dovea , che il suo cristafio
Scaturisse Elicona in larghe vene,
Senza far di quell’ acque elette e rare
L’uso a pochi concesso, ornai volgare.
Qnantl da Indi in qua del nome Indegni
Poeti il -chiaro stadio han fatto vile? (gni
Quanti con labbra immonde aodad inge-
Vanno a contaminar T onda gemile?
Non si turbi il bel coro e non si sdegni ,
Se venale e plebeo diiien lo stile.
Poiché del mondo ogni contrada quasi
Di Caballhii abbonda e di Parnasi.
E si ben finto fi zappador destriero ,
Che allo spuntar del giorno hi oriente
I corsieri del Soi credcndol vero
Rhigbiaudo gii annitrirono sovente.
Piove dal sasso in un diluvio intero
l.a piena in pila concava c lucente,
E la pila, che acrnglie in sé la pioggia ,
Delle Mose su gii omeri s'appoggia.
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L’ADONE. I&l
Ha lo stromento mio daecona Musa ,
Ed a dascBB stromonlo in ogni parte
L’ onda canora in care piombo chiusa.
Per molle canne l’ anima coniparle.
Strangolala gorgoglia , indi dilbisa
Volge macchine e rote ordite ad arte,
E con tenor di melodia mentita
Della man, della bocca II suono Imita.
Sta sotto r ombra della cava pietra,
Cbe soltogiace al volator Pegaso ,
n bel signor della comma cetra ,
Il gran reuor di PIndo e di Parnaso.
In testa il lauro, al Ranco ha la faretra,
E versa l' acqua In più capace vaso.
L’ aoriua , che d’alto vien lucida e tersa ,
Per r armonico plettro in giù riversa.
Intorno al labbro spazioso e grande
Della conca , che copro 11 re di Deto ,
S’ intesse il fonte da tutte le bande
Di traslucido argento un sottll velo ,
E in tal guisa il suo giro allarga e spande.
Che vIen quasi a formar coppa di gelo ,
In guisa tal, che a chi per ber s’appressa.
Tazza insieme e bevanda è l’acqua istessa.
Par che quel chiaro velo inargentato ,
Cbe di liquidi slami ordì Nature ,
Abbia r Arte tessuto e lavorato
Per guardar dalla polve onda si pura ;
0 sia per asciugar forse filato
L’ acqua , cbe In sostener quella scultura
Le Dee del tempo e dell’ obblio nemiche
StiSan, quasi sudor delle fatiche.
Voigon le Mose, l’ una ali’ altra opposte
Le spalle al fonte , ed allo stagno il viso.
E in diverse attitudini composte
Fanno corona all’ annentier d' Anfriso.
In pih levate , e in vago ordin disposte
Grondan perle dal crin , In-ine dai viso ,
E scalzee mezzo ignudo accolte In cerchio
Della gran conca reggono il ooverebio.
Dalla conca più alla alla più bassa ,
Che in bacino maggior l’ acqua ricetta ,
Delle bell’ onde il precipizio passa ,
La qual pur le riceve e le rigetta.
Nel cerchio Inferior cader le lassa.
Dove r acqua divisa a bere alletta.
In quattro fonti piccioli è divisa ,
Ed og^i fonte ha la sua statua Incisa.
Quattro le statue son ; la Gloria' in nna.
La Fama in altra parte incise stanne.
La Virtù quindi, e quinci li Fortuna
Vaghi al vago lavor termini fanno;
E in cima a tre scagllon posta ciascuna ,
Cbe agiato all' aitnil sete adito danno ,
L’ acqua In vaso minor versa c ripone
0 per urna , o per tromba, o per cannone.
Chi può dir poi , siccome scherza, e in
Guise si varia la voluMI vena! [qnante
Or per torto senticr serpendo errante
Tesse di bei meandri ampia catena;
Or con dirotta aspergine saltante
Ragna lambendo II del l’ aura sereni ;
E polche quanto può s’ Inalza c poggia ,
Sparge I’ accolto nembo In lieta pioggia.
Piovuta si ringorga e si nasconde [ to.
L'acqua, ein cupo canal soppressa alqnan-
Sin ghiozzi si , che il mòrmorio dell’ onde
Sembra di rosignuol gemito e pianto.
Poi per seccete vie sboccando altronde ,
Esce con forza tal , con furor tanto ,
Che si disfiocca in argentata sptraia ,
E somiglia a veder candida piami.
Meraviglia lalor, mentre s’ estolle ,
Arco stampa nel del simile ad Iri.
Trasformarsi l’ umor liquido e rooRe,
Voltoin reggi , in comete , in stelle il miri.
Miri qui sgorgar globi, eruttar bolle.
Là girelle rotar con cento girl ,
Spuntar rampolli e pnllnlar zampilli ,
E guizzi « spruzzi e pIspIndH e spilli.
Nel lo spazio, che l'orlo a cerchiar rione ‘
Tra cornice e cornice al maggior vase ,
Havt i un fregio di scudi , il qual contiene
L’ Insegne in sò rIeHc più chiare case ,
E di cigni scherzanti e di Sirene
Varie trecce ogni setido ha nella base ,
Che distendendo van su I bianchi marmi
L’aH e le code, e fan cartiglio all’ armi.
Posto è in tal guisa intorno alta belT opra
L’ ordin deir armi più famose al mondo,
Cile delle Mose , die stan lor di sopra ,
Rrggon r incarco, compartite In tondo.
(;omc r una sostenga e I’ altra copre ,
Sonirelorinbdcambio appoggio e pon-
Ogni slatm imo scudo ha sollofl plede[do.
K in ogni scudo un simbolo si vede.
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J52 MARlMt.
Perdisdnguer l' imprese il fabro egregio
Dell’ ornamento nobile e sulilimc ,
Mischi (li più coior, ma d' cgual pregio
Scelse e poli con ingegnose iinie.
Talché d’ ogni divisa il vario fregio
Le differenze in color vario esprime ,
E con pielre diverse In un commesse
E scultura e pittura accbppia in esse.
Vedi marmi coli vivi e spiranti,
Disse al suo bell’ Adon Venere allora ,
Son famiglie d' eroi , de’ cui sembianti
Virtù si pregia e poesia s’ onora.
Hanno molto a girar gU anni rotanti
Pria die abbian vita, e non son nati anco-
Mosso Viilcan da spirilo presago , [ra.
Innanzi tempo ne adombri l’ imago.
Tu dei saper, che sotto H del secondo
Il giro di quel fuso adamantino ,
Che la Necessità rivolge a tondo.
Mossa però dal gran Motor divina ,
La serie delle cose al basso mondo
Muta Imniutabil sempre alto destino,
E fra questo licendc anco le lingue
L’ una nasce di lor, l’ altra s’ estingue.
La dotta cetra argiva udrassi pria
Sul Cefiso spiegar melati accenti,
E trarre alla dolcissima armonia
Del mare orientai sospesi i venti.
Privilegio fatai di questa Ila
Di sacre cose inebbriar le menti.
Sollevando ai secreti alti misteri
De’ Numi eterni i nobili pensieri.
Moverà non men dolco il Tebro poi
Sulle corde latine il plettro d’ oro ,
Onde dai cigni miei nei poggi suoi
Fia trapiantato il trionfale alloro.
Grave e ben alto a celebrare croi
Sarà del Lazio il pettine canoro,
Ed a sonar con bellicosi carmi
Di gucrrieri'c di duci imprese ed armi.
Succederà la tosca lira a queste ,
DI queste assai più delicata e pura ,
Che di tutti gli onor si adorna e veste ,
Onde r altre arricchirò arte c natura.
Intenerito dal cantar celeste
L’ Arno al corso porrà freno c misura ,
£ dai versi allettato c trattenuto
Porterà tardo al mare il suo tributo.
Questa con vagiti metri e dolci note ,
E con numeri molli accolti in rima
Fia che per propria e siiigolar sua dote
Meglio che altra non fa, gli amori esprima.
Or alle tosche Muse ( ancorché ignote )
Fu il nobii fonte dedicato in prima,
Né certo edificar si dovean cose
Nel paese d’ Amor, fuorché amorose.
Ma perchè é ver, che delie Muse afDitte
Sono Invidia e Fortuna emide antiche.
Dopo d’alte difese c d’armi invitte.
Avrai! contro si perfide nemiche.
Le case dunque die qui son descritte,
Sosterran l’onorate altrui fatiche;
E questi fien tra i prbtcipì più degni ,
Che darai! fida aita ai sacri ingegni.
Beato mondo allor, mondo beato ,
Cui tanto amico Ciel gloria dcslina:
Beatissima Italia, a cui fia dato
Per costor risarcir l’alta mina,
E tornar trionfante al primo stalo
Delle provincic univcrsal regina!
Si dice, e della schiera ivi scolpita
Le generose immagini gli addita.
Ferma, dicea , la vista in quella parte.
Dove il bianco corsier sul rosso splende.
Questo, .sebben feroce , il fiero Marte •
Ama , e foco guerrier nel petto accende.
Talor d’.àpollo a viepiù placid’arte
Inerme ancona c mansueto intende ;
Onde aprendo la vena a novi fonti
Fia clic novo Pegaso , il ciel sormonti.
Sappi .che fra qiie’inostri, onde s’adoma
Del sommo ciel la Incida testura,
Oltre il Pegaso, altro deslrler soggiorna,
Adombrato però di luce oscura.
Pur di segno iiiinor maggior ritorna
Sol per esser di questo ombra e figura ;
E le sue fosclic e tenebrose stelle
Tempo verrà, che saran chiare e belle.
Né speri alcun giammai con sprone o verga
Domarlo a forza , o maneggiarlo in corso,
Cam dura scila premergli le terga,
0 con tenace frcii stringergli il morso.
Spirilo in lui si generoso alberga.
Clic iiilollcranle lia di vii soma il dorso.
Chi crede averlo o soggiogato, o vinto.
Con fatai precipizio a terra é spinto.
L'ADONE.
Pur deposto talor l'impeto audace,
Che arri di sangue osti! versali rivi.
Chiuderà Giano, ed aprirà la Pace,
Ed ai cipressi innesterà gli olivi.
Germoglicran dal cenere, che ^iacc
De' cadaveri morti i lauri vivi,
E diverrai! sol per lodarlo allora
L'Alpi Parnaso, c Caballin la Dura.
Dal chiaro armento di Sassonia uscito
Carco ne andrà di scettri e di diademi ;
Neppur la bella Italia al fier nitrito.
Ma Ila che l’Asia sbigottisca c tremi.
Poi di spoglie e troCei tutto arriccliito
Verrà della mia Cipro ai lidi estremi.
Ma clic? fiero destin, perfido Trace!
E qui scioglie un sospiro, e pensa e tace.
Tu vedi , segue poi , l' aquila bianca ,
Che divide dell' aria i campi inmieivsi ,
E le nubi trascende, e lieve- c franca
Su i propri vanni in maestà sostiensi.
Quella in opre d' unor giammai non stanca
L'insegna ila de' gloriosi Estensi,
II cui volo m.-ignaniiiio c reale
Per vie dritte c sublimi aprirà l'ale.
Non tanto le verrà la bella insegna
Per la divina origine d’Ettoric,
Quanto perditi con lei Ila clic couvegna
L’inclita augella, clic vlltatc abborrc.
Quella però , clic ogni bassezza sdegna ,
Assai presso alle sfere il del trascorre.
Questa dal vulgo allontanando i passi
Non sia clic a vii jiensicr raiiiino abbassi.
Quella la spoglia dell' antldic piume
Dentro puro ruscel ringiovinita ,
Di rinnovar sò stessa lia per costume
A molli c inulti secoli di vita.
Questa purgala eiilro il caslalìo fiume-,
Quasi fenice del bel rogo uscita,
Verrà l’ire del Teinpo a curar poco.
Fatta imiiiortal dall’ acque, c non dal foco.
E come quella ognor con guardo fiso
Avvezzar alla luco I figli suole.
In quel modo , clic a’ i ni del tuo bel viso
Anch’io sempre mi volgo, o mio bel Sole ;
Così da (|licsla con accorte avviso
Imparerà la generosa prole
Di Febo amica , ed a' suoi raggi intesa
DI celeste splendor mostrarsi accesa.
153 ■
Beq s’afntitàgliaii tra lur, se non che quel'la
I cigni d’ oltraggiar prende diletto.
Uà da questa ch’ io dico, aquila bella
Avran ^ augei canori esca e ricetto.
I E se allr’ aquila in del conversa in stella .
U’ una cctera sola adorna il petto.
Questa ne avrà fra l'altrc in terra due
Possenti ad eternar le glorie sue.
Vedi quell’ altre poi quattro seguenti.
Emulo della prima, aquile nere.
Per accennar, che a lutti quattro i venti
Hanno il volo a spiegar dell’ ali altere.
A semplici colombe ed innocenti
Non saraii queste ingiuriose c fiere.
Ma spirti avrai! di guerreggiar sol vaghi
Con nibbi ed avoltoi., vipere e draghi.
Bapl cangialo In questi forme itileSM
II mio gran genltor vago garzone,
Beiichò , cred' io , se te veduto avesse ,
Preposto avrebbe a Ganimede Adone.
Ma se coslume è naturale in e.sse
Satollar di rapine il curvo unghione,
Quc.stc pronte a donar, non a rapire,
Sol di prede di cori aVran desire.
Predice a queste l’indovina Manto
II favor lutto ddraonle Dive.
Per questo Mincio con eterno vanto
Popolale dì cigni avrà le rive ,
Mornioranilo concorde al iiobil canto
De’ suoi Gonzaglii le memorie vive, [do.
Che vlvran sempre in più d’un sili facon-
E non inorran Qncbò non more il mondo. .
Sotto l' ali di questo il maggiurcigno.
Che darà vita al mio Troian pietoso,
Da molili-, da spezzar duro macigno
Formerà canto in ogni età famose.
E già da queste ancor destro c benigno
Giunto in Italia a procacciar riposo,
Eblie lo ste.sso Enea presagio c segno
Di felice vittoria e lieto regno.
Mira quel tronco, acni di fronde aurate
Fanno ponipo.so Ucrin germi felici.
E la ipiercia d’Urbin, che in altra date
Tali e tante aprirà rami e radici ,
Che poicli'avrà di spoglie a.ssai pregiate
Arricchiti di Boma i c dii aprici ,
II! riva porterà del bel Melaaro
Con suoi frùuì lucenti un sccol d’auro.
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JS4 MARITO.
Questa più di' altra pianta, Irrigar I* on-
Denno del fecondissimo Elicona. [de
DI questa Apollo alle sue chiome blonde
Di lauro inrece, inlesserà corona.
.\l mormorio delle soavi fronde
Il suono invidiar potrà Dodona.
Avranno all’ ombra sua tranquillo c fido
I miei candidi aiigei ricovro e nido.
La bella scorza, che seccar non potè
Ardor d’estate, ne rigor di verno.
Pollerà al del con mille incise note
De’ suol chiarì cultori il nome eterno.
II ceppo altìer, che fulmine non scote ,
Prendendo d'Aqnilon l’ ingiurie a scherno,
Sempre maggiore acquisterà fermezza.
Come fa nel mio cor la tua bellezza.
Or colà volgi gli orchi ai sci giacinti ,
Nel cui lieto ceruleo appunto miri
Queir azzurro sereno, onde son tinti
Delle; tue luci I lucidi zafilri.
Si chiaro ^ quel eolor, che gli ha dipinti.
Chea’ egli avvlcn, che inc.ssi il guardo giri.
Non sai! pensicr chedubhioallrnaeder-
Dir se sien gigli in deIo,o stelle in terra, [ra
Gigli celesti c fortunati , oh quale
Seme d'alte speranze in voi s’aceoglie!
Qual d'odori di gloria aura Immortale
Trarrà la Fama dalle vostre foglie !
E quanl’ api da voi porteran l' ale
Ricche di ricche e preziose spoglie.
Onde illustre lavor fia poi costrutto.
Ch’empierà di dolcezza il mondo tutto!
Voi piantati c nutriti in que’ begli orti ,
Dove non son da bruma I fiori offesi ,
Darete per sottrarle agli altrui torti
AUe sante sorelle ombre cortesi.
Per voi non men magnanimi che forti,
Cresccran tanto in pregio I gran Farnesi,
Che a qual fiume più celebre c più chiaro
La palma usurperai! la Parma e II Taro.
Quella colonna , il cui camlor lucente
Del suo seno as.somiglla il bel candore.
Sostegno fia della \irtù cadente,
StabiI come la fede è nel mio core.
E se tra le colonne in occidente
Ij gran lampa del Sol tramonta e more.
Da questa Invitta e salda ad ogni crollo
Rinascerà con la sua luce Apollo.
Quante volte quamf io [folle eh’ io ni* e-
Dì Gradlv o l’ amor gradir solla, [ra I)
Questa, diceami, la mia reggia altera,-
Questa de’ miei trionfi il trono sia.
Ca;sari e Mecenati in lunga schiera
Per lei rinnoverà la città mia ;
Nè figli mai tra' suoi famosi e chiarì
La gran-lupa latina avrà più cari.
L’altro scudo vicin, che per traversb
Di tre strisele vermiglie il bianco hiostra,
E di rose purpuree il rampo terso
(Simile al volto tuo) fregiato mostra;
Di stirpe fia , splendor dell’ universo ,
Pompa del Tebro, e meraviglia nostra ,
A cui , come a miglior fra le migliori ,
Ben converrassi il fior degli altri Bori.
Fior, che del sangue mio superbo vai.
Fior, pupilla d’Amor, tesordi Maggio,
Tu de' prati di Pindo onor sarai.
Nè dei d'ombra, o di Sol temer oltraggio.
Quella, ch’onora il elei romano, e mai
Non tuia In torbid' onda il chiaro raggio;
De’ fregi tuoi, non più di stelle inteste
Porterà le ghirlande orsa celeste.
Ecco del gran Tonante, ecco poi nero
Un altro egregio imperiale augello.
Del Daria, a cui di Dori il salso impero
Destinalo è dal Ciel, lo scudo è quello.
Fido ministro del gran Giove Ibero
Arderà, ferirà lo stuol rubello.
Siccome tu con tuoi pungenti sguardi
I ritrosi d’ Amor ferisci ed ardi.
Non ha cpieslo a vibrar del cielo in terra
II tripartito folgore vermìglio.
Ma deir altro infernaLcheinnovaguerra
Fia temprato di bronzo, armar l’artiglio.
Quanto il lembo del marcirconda e serra
Tremerà tulio, e correrà perìglio.
Solo 11 verde arbosccl , non che ferito ,
Fia difeso da questo e custodito.
Dcll.i progenie , eh’ io ti conto e mostro
Aquila peregrina alzerà <1 volo ,
Ohe Imporporala del più liicid’ ostro
Le brune penne, andrà da polo a polo.
Progenie degna di famoso inchiostro,
Del mondo onor, non di Liguria solo.
Degna più eh’ altra assai del favor mio ,
Che darà legge al mar, dove nacqn' io.
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L'ADONE. IbS
Ma deh poli mente alle purpuree palle,
Di que’ Medici illualri arme sovrana,
Per cui (se il chiaro antiveder non falle)
Le piaghe amiche ha da saldar Toscana.
Da Fortona battute, al del faralle
Balzar Virtù lovr’ ogni gloria umana.
Con case al gioco deir instabii Sorte
Vincermtno I ku- dud Invidia e Morte.
Non fia mai che di questa un più bel man-
Alma copra più saggia, o più pudica, [to
Ma delle lodi sue basti soltanto.
Uopo non è, ch’io più di ciò ti iHca, [to
Che qual proprioella siasi e come e qnan-
Vinca di pregio ogni memoria antica.
In parte, ov’ io comlnr tl voglio In breve,
Esserne l’occhio tuo giudice deve.
Palle d'alto valor fulniinatrld,
Onde tempesta uscir deve si fatta , "
Che de’ ruhelii eserciti nemid
Fia che ogni forza, ogni riparo abbatta.
Per cui non sol de’ Barbari infclid
La superbia cadrù rotta e disfatta ,
Ma dello scoppio il gran rimbombo aolo
Tutto de’ vizi altrrriri io stuolo.
Sono I bei globi slmili ai celesti ,
E simulacri delle sfere eterne;
E ben pari e coaforme io quelle e iu questi
(Tranne sol uno) il nomerò si scm’nc.
A dinotar, che agii onorati gesti
Tutte (|uante n’Iia H cid rote superne
Volgeranno propizie amico lame ,
Solo esdnso Satnnto, infausto Nume.
Cosi gli dice, ed alla bella il bello *
Le parole interrompe in tal maniera;
Deh dlmml,o fida mia, che scudo ^quello.
Lo qual posto non * con gli altri in schiera.
Ma nella base sta, che fa scahello
Al gran Motor della più ehiara sfera ì
In queir azznr, che al del parsi somigli,
Cile vogllon dir que’ tre dorati gigli T
»
Della casa di Francia i la divisa,
E tal loco a ragion Vulcan le diede.
Però che appunto a quella isteisa guisa *
Fla <11 Febo, risponde, alliergo t sede.
E siccome dal numero divisa
Starsi sola in disparte ivi si vede.
Cosi d’agni valor ricca e possente
- Se n'andrù singolar dall’altra geme.
Fiorir Farti più bébé, e rischiararsi
.\llor d’ Arno vedrem le lorhid' acque ;
E risorger la luce , e rinfracoarsi
IMI’ Italico onor, eh* attinta giacque ;
E molti Ingegni a nobii vaio alzarsi
Sull' ali di colui , che da me nacque ,
E con chiari concenti addoldr l’ aura
Diclro al cantor di Oeatriee c Lanm.
Ragion è ben, che dell'Italia aggiunga
Questa sola straniera onore ai fiegi ,
Ch’altragiammai,culV1rtùscal<li epunga.
Non lìa che i cigni snoi eotanto appregl.
Troppo fora a contar la serie lungi.
Che ne uscirù, de' gloriosi regi ,
E senza annoverar al follo stuolo
finta per tutti ad iltustrarU un solo.
E qui rapita ai secoli lontani
La bella Cllerea la mente aperse ,
Onde l’istoria de' successi nroani
Quasi in teatro, al tuo paosier s’oflerse,
E ne’ più cupi e più profondi arcani
Dell' eth da venir tutta a’ immerse.
O qual, «ficea, vegdf io, correndo I lustri ,
Nascer di ceppo tal germogli Hiustri!
CoM tutte nel cor raccolte sono
DeH’Mtre membra le vlrtndi Insieme,
CoM lotta H signor, di eoi ragiono.
Raccorrà in sù de’ suol F unica speme.
Nè meo materia a qual più cMaro suono
Darà da celebrar sue glorie estreme.
Che premfo a’ bel sudor, che I sacri monti
Stillar vedran dalle più dotte fronti.
lo veggio quinci dopo molto c molto
Volger di cid, girar di mesi e d’anni
Dd secol tristo In tenebre sepolto
Spuntar un Sole a ristorare I danni.
Sol , che avrà sol di «hmna H sesso e II voRo,
Ma il cor sempre vlrtl tra i reg] affanni.
Ogni nobU virtù sol da costei
Vsrrh che nasca , o sorgerà per Id.
Con man tenera ancor, legala c stretta
Terrà Fortona mobile e vagante ,
Skebè resa a Virtù serva e soggetta,
Faralla a suo favor tornar costante.
E il veglio alato, che con tanta fretta
Fugge.e fuggendo nfbipe anco il dianwme,
Perchè gli onori suoi non se ne porti.
Con groppi stringerà tenari e forti.
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ISO MARINO.
Oltre il buon zelo e la giustizia, a cui
Dritto è clic Gallia ogni speranza appoggi,
Fiache tra'gigii d’or sol per costui
Delle Musetoscanc il coro alloggi.
Il Tago c il Gange irriglicran per lui,
Invece del Gistaiio, i sacri poggi ,
Onde per fecondar l'arido alloro [d'oro.
L' acque, di’ or soii d'argento, allor flcn
Nasci, nasci, o Luigi ! Amica stella
Qiiaiil'oiior,qiiantopregio a te promette!
Vibri pur quanto .sa cruda c rubella
L’altrui perfidia in tc lance c saette.
Taccio l’ altre tuo glorie, e passo a quella.
Che le Muse da tc non fian neglette.
De’ dolci studj,c della sacra scliiera
Te rettore c tutore il mondo sjiera.
Ó
Cresci, cresci, o Luigi, inclita prole
D'alme eccelse c reali e giuste c pie.
Il tuo gran nome, ove l’altrui non suole
Si spargerà per disusate vie;
E dove sorge c dove cade il Sole
E dove nasce e dove more il die.
La Fama il porterà leggera e scarca,
E romperà le forbici alla l’arca.
Tra molte emolte cetre, onde rimbomba
Dd tuoi vanti immortali il chiaro grido.
Dal Sebeto traslala odo una tromba
Della tua Senna al fortunato lido.
Questa trar ti potrà d'oscura tomba,
E darti iiìfra le stelle eterno nido.
Ch’empiendo il del d’ infalicabii suono
.Sarà lira al conccnio e squilla al tuono.
E sebben chi la suona c dii la tocca
Sosterrà di fortuna oltraggi c scherni;
Quando l’ invidia altrui maligna c sciocca
Fia che in lui sparga i suoi veleni interni ;
Mentre avrà spirloln petto c fiato in boc-
Non però cesserà, che non li eterni; [ca.
Di tc narrando meraviglie tante.
Clic ne suoni Parnaso c tremi Atlante.
Allor Venere tace, c dove folta
Stcìidon la verde rliioma allori e faggi ,
Mille intorno al bel fonte, c mille ascolta
Poeti alali e musici selvaggi ,
Che con rime amorose a volta a volta,
E con infaticabili passaggi.
Intrecciando sen van per la verdura.
Di lasciva armonia dolce mistura.
Il vago stuol de’ litiganti augelli.
Per riportar de’ primi onori il fasto,
Innanzi a Citerea tra gli arboscelli
Cominciò gareggiando alto contrasto.
E concenti formò si novi elvelli,
Che a pareggiarli io col mio sili non basto.
Giurò Venere istcssain del avvezza,.
Che le sfere non lian tanta dolcezza.
0 perchè assai piacesse a questa Diva
Il canto, che in sul fine è più solenne,
0 perchè monda, c di sozzure scliiva
Amasse il bel candor di quelle penne •
Gregge di bianchi cigni ella nutriva
NeH’isolelta, ove quel giorno venne.
Che ambiziosi allor delle sue lodi
A cantar si sfidare in mille modi.
Infiniti , da strani ermi confini,
Gucrricr facondi c mu.sici campioni ,
E domestici a prova c peregrini
Vi concorsero insieme a far tenzoni.
Tra' frondosi s’udir mirti vicini
Vibraraccenti c saettar canzoni, '
E della pugna lor, che fu concento.
Fu steccato la selva q tromba il vento.
Varj di voce c nello stil diversi,
Tulli però del par leggiadri e vaghi,
E tulli alla gentil coppia conversi
Cantati come Amor arda c come impiaghi.
Cantati titolli il fitluro, e formati versi-
DeU'oprc altrui fatidici e presaghi.
Cito quel die ivi si bee furor divino.
Sveglia nc' petti lor spirto indovino.
Stiamo ad udir ( la Dea di Pafo disse)
Degli alati canlor le dolci gare.
Tener l’ orecchie atlentamonte afiis.se
Si donno a quell' insolito cantare.
Perchè si belle ed Olimaie risse
.Saranno in altra età famose e chiare.
Gli augelli autor di si soavi canti
Son di sacri poeti ombre volanti.
L’ anime di costor, poiché disciolle
Son da’ legami del corporeo velo, [volte
Passano in cigni, e che in tal forma in-
Vivan poi sempre, ha stabilito il Cielo.
E tra questi mirteti in pace accolte
Le fa beale il gran reltor di Deio,
Li dove ognor, siccome fer già (|iiando
Temicr corpo mortai, vivon cantando.
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1.’ ADONE.
Molte ve n’ ha che ancor rinchiuse e sirene
Nonson tra' sensi , e inieste pur son lail,
A cantar qui per mia delizia elette
Fiiicliè in career terreno inipiicliin I’ alt.
Adone il canto ad asenliar si stelle
Di qiic* felici spiriti immortali,
Che gii venian con voci invece d'anni,
Nel verde agone al paragon de' carmi.
Fu benigno favor, grazia cortese
Di lei, che è de' suol lumi unico Sole,
E Biiracol del del, che Adone intese
Di quel linguaggio i sensi e le parole ,
E ben distinto ogni concetto apprese
Espresso fuor delle canore gole.
.Nella scuola d’ Amor die non s' apprende.
Se il parlar degli augelli anco s’ intende?
Eran tra (|uesti augei l’ uni lira d’ Orfeo,
Clic fe de’ versi suoi seguace il liosco.
Pindaro v’ era, ederavi Museo,
E Teocrito era, c v’ era Mosco.
Bravi Anacreonic, oravi A loco,
E .Safo alto splendor del secol fosco,
Cile non portò di quanti io qui ne scrivo ,
Luce minore all’ idioma argivo.
V era lo sluol di quei Latini primi.
Clic in amoroso stil mi’glio cantaro.
Gallo, Orazio, Catullo, alme sublimi,
Tibullo,Accio, Properzio c Tucca c Varo,
Ed Ovidio, di cui non ò dii siimi
die altro cigno d’ Amor volasse al paro.
V era la scMcra-poi docili moderni
Dell’ italica lingua onori eterni.
E sebben gli altri che le liiaiiche piume
Per le piagge spiegar di Doma e d’Argo,
Fur lor maestri, ond’ ebber spirto'* lume,
Mercò, dicaqiHdliilCicl iie fu più largo,
(jucsli però die di Parnaso il Nujnc
Gli ha destinati a possetler (lud iiiargo,
Cantano soli alla gran Dea presenti;
Tacciono gli altri ad ascoltare intcìiliz.
Aristofane tu, che ornasti tanto
Là nei greci teatri il .socco d’ oro.
Tu, che d’ iiitrrpclr.ar ti desti vanto -
Il ragionar del popolo canoro,
E in scena il novo iiiesplicaliil canto
Spiegar sapesti c le favelle loro,
Tanta or dal biondo Dio mere* ni’ ìmpetta,
Cko distinguerlo insegni alla mia cetra.
I.’v?
l’n ve ne fu die anvra un verde lauro
Fece col suo cantar Laura immortale.
Ed illustrò dal Battrlaiio al Mauro
Quel foco , che d’ Apollo II fe’ rivale-;
Dicendo pur die alle qiiadrella d’ auro
falde la forza del fulmineo strale,
Poidiò nell’ arbor sacra al Cid diletta.
Dove Giove non potè , Amor saetta.
Altro il cui volo pareggiar non lice,
Ben sull’ ali leggier tre mondi canta,
E la beltà beata, e Beatrice,
Che da terra il r.apiscc esalta c vanta.
L'n suo vicin con stil non iiien felice
Seco s’ accorda in un istcssa pianta,
Pcrdiè Ccrtaldo ammiri, c il mondo scema
Lasiia fiamma e la fama a un punto eterna.
Ilav vi poi d' .\dria ancor canoro mostro,
Piirpiiren cigno c nobile e gentile ,
Clic la lingua ha di latte c il manto d’iistro.
Bussa la piuma e candido lo stile.
Apre unii luiige aiigcl d’ Etriiria il rostro
(Siilvo il capo di’ è verde) a lui simile ,
Appellando il suo amor sul verde stelo.
Scoglio In mar,seicc in tcrra,angdo in cielo
Accompagna coslor soavemente
Il sonalnr della sincera avena.
Clic le Muse calar fece sovente
Di Mergdiina alla nativa arena.
Le cui dolci seguir note si sente
Anco un altro figliuol della Sirena ,
Clic con i|ual arte I rami a spogliar veglia
Lo sfrondator della vcndciiinila insegna.
Donne insieme ed eroi , guerre ed amori
Quel che nac(|ue in sui Po, cantar s'iidia,
Inimnrtnlaiido di Buggier gli onori
Con pura vena , c semplice armonia ;
E di dolcezza Inebbriava i cori,
I circostanti tronchi inloiieria.
Arder facea d’ amor le pietre e 1’ onde ,
Sospirar l' aure c lagrimar le fronde.
Teslor di rime eccelse e numerose
Di Partenope un figlio a lui successe,
E prese a celebrar P Armi pietose ,
Liberatrici dello mura oppresse;
E i suo! pcnsicr si vivamente espose,
I versi suoi sì nobilmente espresse,
Che fc’ del nome di Goffredo e Guelfo
Sonar Cipro non sol , ma Deio e Ddfo. '
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MARffiO.
Ni ui con voce nwn gradita e cara
Favoleggiando U canto tuo scioglieatl.
Dico a le che di gloria oggi sì chiara
Il tuo fido (saMore adorni e vesti.
Seguir voleano e della nobii gara
Dubbia ancor la vittoria era tra questi,
Quand' ecco fuor d’ un cavernoso tufo
Sbucar dilToniie c rabbuffato un gulq.
Oh quanto, oh quanto meglio. Inranie
Ritorneresti all'inrelici grotte, [augello.
Nunzio d’infausti augurj, al Sol rubello,
E dell' ombre compagno c della notte!
Non disturbar l' angelico drappello.
Vanne tra cave piante c mura rotte
A celar quella tua fronte cornuta.
Quegli occhi biechi e quella barba irsuta.
Da qual profonda e tenebrosa buca
Nottula temeraria al giorno uscisti 7
Torna 11 dove Sol mai non riluca
Tra foschi orrori e lagrimosi e tristi;
Tu trionfl cantar d’invitto duca?
Tu di mondi novelli eccelsi acquisti ?
Tu deir Invidia rea figlio maligno
Di pipistrel vuoi trasformarli Incigno?
Cosi parla all’augel malvagio e brutto
\ji Dea, sdegnando un stil sì rauco udire,
E i chiari onor del domator del flutto,
Dov' ella ebbe il natal, tanto avvilire.
Spiacc del cigni al concistoro tutto
La villana sciocchezaa e il folle ardire.
Che r alle lodi ad abitassar si metta
Del colombo a lei sacro una elvella.
Mentre a garrirs’appresta, aceoocio in atto
Che della nobii turim il gioco accresce ,
E scote l'ali e in un medesmo tratto
Gli urli tra i canti ambizioso d mesce ;
Loquacissima pica II contraffatto
Uccellato ucccUone a ^dar esce,
E con strilli importuni in rozzi carmi [mi.
Dassi anefa’ ella a gracchiar d'amori e d’ar-
Ma che? non prima a balbettar si mise
Quel «IO, canto non già, strepito e strido.
Che allo levossi in mille e mille guise
Infra I volanti ascoltatori un grido.
Ed empit si, che Citerea ne rise.
Quasi di festa popola»^ U lido.
Tacque alfine, e fuggi non senza rischio.
Del volgo degli auge! favola e fischio.
Non i gran fatto, che l’audacia stolta
Di questa gazza, clic sì mal borbotta,
L’adunauza gentil, che è qui racooila,
Disse Venere bella, abbia interrotta.
Già volse in altra forma un’ altra volta
Con la schiera pugnar famosa e dotta ;
Ma con 11 altre Pieridi confuse
Vergogna accre^ihe a sé, gloria alle Mose.
Amor, che vede di quel canto lieto
La madre intesa alla pjacevoi guerra.
Volando intanto, ov’ è il vicin mirteto,
Insidiosa chiave asconde e serra;
Volge anelletto piccioto e secreto,
E con gagliardo piè batte la terra.
Ed ecco d’acqua uu repentino velo.
Che fa pelago al suolo e nube al cieio.
Appena il piede il pavimento tocca,
E l’ordigno volubile si move.
Che il fonte traditor subito scocca
Saette d’ acqua inaspetuie c nove,
E prorompe in più seberzi e mentre fiocca
Tempesta par quando è sereno e piove.
Spicciano l’ onde ed avventate in alto
Movono a chi noi sa furtivo assalto.
Come qualora a Roma il festo giorno
Del suo sommo pastor riporta l’ anno.
Le fusette volanti a mille Intorno
Col firmamento a gareggiar sen vanno,
Ma ne riedon poi vinte, e nel riteme
Lucida precipizio a terra fanno,
E fanno le cadenti auree fiammefle
Un diluvio di folgori e di stelle;
Cosi il bel fonte io più fonti si sparse.
Se non quanto diverso è relcmento.
Questo gioco bagnò, quel talor arse,
E r una pioggia è d’ or, l’ altra d’ argento.
Alcun non sa di ior come guardarne
Da quel furor che assale a tradimento.
Altrui persegue, e qnanlo più lo schiva,
Dov’uom erede salvarsi, ivi r arriva.
Ahi crudo Amor, versar fontaneedonii
Arte non è, che tu pur ora impari,
Avvezso già per soliti costumi
Le lue fiamme a spruzzar di umori amari.
E non U basta ognor dai nostri lumi
Lagrimosi stillar ruscelli e mari.
Ma spesso vuoi che gl’ infelici amanti
Spargano il sangue, ove son scarti i pianti.
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L’ADONE.
Ii9
Fugge la D«a di mille riti c mille
Dagnall il sen col suo bel Toco in braccio;
E queste, dice a lui, gelide stille.
Che m'han tutta di fuor sparsa di ghiaccio.
Tosto rasciugherò con le raville,
DI quei sospiri, ond’io per te mi sfaccio.
Va poi seco in disparte, e cosi lassa
In penoso piacer I’ ore trapassa.
Gli tramontar tolea la maggior stella,
B del giorno a\ ansava ancora poco.
Quando col bell’ Adon Venere bella
Parti da quel delizioso loco.
Dhnan, dolce mio ben, gli soggluns' ella.
Al pria! lampi del diurno fooh
Ne verrai meco a visitare indin»
Dei regni miei le meraviglie estreme.
B il mio carro immortai to' die li porti
Sui sereni del elei campi lucenti,
A più vaghi giardini, a più begli orti.
Dove invece di fiori ha stelle ardenti,
Magion d'tncorroMibili diporti.
Patria beata delle Hete genti.
Non deve a te mia gloria essere ascosa.
Che degna è ben del del celeste cosa.
Quivi data per me il fia licenza
Di contemplar con niorlall occhi impuri
Quante d' alta beltà somma eccellenza
Donne avran mai nel secoli fulnri ; [za.
Benché m’ingombri il corqualchc Icmcn-
E vo', che la tua fè me n'assicuri.
Non alcuna di lor, mentre la miri,
A me ti tolga, ed al suo amor ti tiri.
Sebben la Dea d’ amor cosi dicea.
Non n’ era la ragion solo il diletto.
Ma perchè dcsviarlo indi volea.
Non senza aver di Marte alto sospetto.
Sapendo licn, che la sua stella rea
Il risguardava con maligno aspetto,
E lemca non le fussc all' improvviso
Deutro le braccia un di colto edjp;iao.
Sorgea la notte intanto, «FoigÉge nera
Portava iatomc, c I pigri a^priìa Me.
Dell' immortali sue lucenti (ere
Tutto M rampo celeste era già pieno;
E di quelle stellanti e vaghe schiere
Per le piagge del ciel puro e sereno.
La catciatrice Dea, che fogge il giorno,
L'orme segida con argentato corno.
V
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IfiO
MARINO.
CANTO DECIMO.
LK MARAVIGLIE.
ALLEGORIA.
(’.hc Adone sotto la condotta di Mercurio c dì Venere salga in ciclo, ci disegna,
che con la favorevole costellazione di questi due pianeti può l’ intelletto umano solle-
varsi alle più alte S|)ecuiazioni , eziandio delle cose celesti. La grotta della Natura,
po.sta nel cielo della Luna con tutte I' altre cirrostanze, allude airantica opinione
eh* .slinava in (|uel cerchio ritrovarsi l' idee di tutte le cose. Ed essendo ella
còsi proaslma al inondo clcnicntarc, madre dell’ umidità, c concorrente insieme col
Sole alla generazione, meritamente le si attrihulsce la giurisdizione sopra le cose
naturali. L’isola dei Sogni, che nel medesimo luogo .si finge, esprime il dominio e
la forza che ha quel pianeta sopra 1' ombre notiurnc e sopra il cerehro umano. La
casa dell' Arto situala nella .sfora di Mercurio, e lo studio delle saiic scienze, la
biblioteca dei libri segnalati, I' oflirina dei primi inventori delle cose, il mappamondo
dove si scorgono tutti gli accidenti dell' universo, ed in particolare le moderne guerre
della Franria c dell’ Italia, -aono per darci ad intendere la qiialilà di quella stella,
potentissima (quando i b«0 disposta) ad inclinare gli uoniinì alla virtù e ad operare
eiTetli mirabili in coloro che sotto le nascono.
AnCOUESTO.
Dì sfera Ih sfera colaash salita
Venere con Adone in eiel sen viene.
A cui Mercurio poi quanto contiene
il maggior mondo in plccul mondo additu.
Musa, tu che del ciel per torli calli
Infaticahliuiente il corso roti,
E mentre de* volubili cristalli
Oliai veloce c qual pigro accordi 1 moti,
Oui armonico piede, in lieti halli
Dell'Olimpo stellante il suol percoli,
Onde di (|ncl concento il siion si forma,
Lhc è del nostro cantar misura c norma;
Tu, divina virtù, mente immortale,
Scorgi l'audace ingegno, Urania .saggia,
Cile oltre i propri conlin si leva c sale
A spaziar perla celeste piaggia.
Aura di tuo favor mi regga l’ale
Per si alto scntier sicch’ io non raggia.
Movi In penna mia, tu clic il elei movi,
E detta a novo siil concetti novi.
Tifi primìcr peri' acque alzò l’ antenne.
Con la cetra sotterra Orfeo discese.
Spiegò per l'aiire Dedalo le penne.
Prometeo al cerrlik) ardente il volo steso.
Ren conforme all’ ardir la pena venne
Per cosi stolte c temerarie imprese.
Ma più troppo ha di rischio c di spavento
La strada inacce.ssibìlc eli' io tento.
Tento insolite vie, dal nostro senso
E dal nostro intelletto assai Imitane,
Onde qiialor dì sollevarvi io penso
0 di questo, 0 di quel le voglie insane ;
Quasi dehil potenza a lume ininicnso.
Che abbacinata in cecità rimane, [po
L’ uno alibagliato, c l’ altro infermo c zop-
Si stanca al sommo e si confonde al troppo.
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• L’ADONE. 161
E se pur, die noi vinca c noi soverchi
L’ Uifinilo splendor, talvolta avviene^
. E che il pensier vi poggi e che ricerchi
Del non trito caminln le vie serene,
Immaginando tpiel superni cerchi.
Non sa, se non trovar forme terrene. -
So ben, che sema te toccar sì vieti
A si tardo cursor si eccelsa n>cU.
Quelle Innocenti e candide augellcllc.
Da' cui rostri si apprende amore e pace.
Non temoli già, d' amor ministre elette.
Lo smerlo ingordo, o il pcregriu rapace.
Con lor r aquila scherza, altre saette
Nel cor, che nell’ artiglio aver le piace.
I pili fieri dintorno augei grifagni
Son di nemici lor fatti compagni.
Tu, che di Beatrice il dotto amante
Già ra)dt||liàM di scanno In fcanno,
E il fe9Sb wrtitor, clic d’ActWianCe
Immortalò l’alta rulnm flì|^iilli.
Guidasti d, che sul destrian «piante
Seppe condurvi II paladìii bdtanno.
Passar per grazia, or anco a ine concedi
Del tuo gran tempio alle secrcte sedi. ^
Già per gli ampi del del spa^^f^||^
Dinanzi al Sol Lucifero fuggiva,
E quel scotcnclo i suol gemmati freni
L’uscio purpureo al novo giorno apriva.
Fendean le nebbie a guisa di baleni
Anelando i dcslrior di fiamma viva,
E vedeansi pian pian nel venir loro
Ceder l’ ombre notturne ai fiali d' oro.
Precorre, e Segue il carro ampia falange
(Parte il circonda) di valletti arcieri.
Ed altri a consolar l’ Alba che piange.
Col venir della Dea volan leggieri.
Altri al Sol, elle rotando esce di Gange,
Pereliè sgombri la via, vati messaggicri.
Ciascuno il primo alle fugaci stelle
Procura di annunziar l’alte boi
0 tu, che In novo e dlsu(MH^o
Saggia scorta mi giihli a queJ^|lM^egno,
Disse a Mercurio Adone, OTttnon odo.
Che altri di pervenir fusse mai degno,
Pria di’ io giunga lassù, solvimi un-nodo,
Che forte implica il mio dubbioso ingc-
È fors' egli corporeo ancora il cielo [gno.
Poiché può ricettar corporeo velo?
Dalle stalle di Cipro, ove si pasce
Gran famiglia d’aiigcl semplici c molli,
Sei ne scelse In tre coppie e In auree fasce
Al timon del bel carro Amor legolli.
Torcer lor vedi ìncontr’al di, che nasce,
Le vezzose cervici c 1 vaghi colli,
E le smaltate c colorite gole
Tutte abbellirsi e variarsi al Sole.
t ^
Vengon gemendo, e con giocondi passi
Novon citati al liol viaggio il [ilede, ,
Al bel^tagglo, ove appi cstamlo v.issi'
Venerecon colui che il «or |e ilieda.
Al governo del freii Merciirto slassi,
E dei corso sublime arbitro siede;
Sovra la prineipal poppa lunata
Posa la bella coppia innamorata.
Se corpo Ita il ciel,dilnque materia tiene.
Scegli è material, dunque è composto;
Se composto md dal, ne segue bene
Che è dei contrari alle discordie esposto ;
Se soggiace ai contrari, ancor conviene
Che alla corriizinn sia sottoposto.
Eppur ddciel parlando, udito ho sempre.
Ch’egli abbia Incorrottibili le tempre.
Tace, c in tal suono ai delti apre la via
Il dotto timonicr del carro aurato :
Negar non vo’, che corpo il ciel non sia
Dipalpabìl materia edificalo,
. Gilé far col molo suo quell’ armonia
Non potrebbe, ch'cl fa, mentre è girato.
È tutto corporal dòcile si move, (il dove.
E ciò che ha. Il qual e il quanto, il donde*
Sdol.scr d’un lancio le colombe a volo
Legate al giogo d'or. Tali d’ argento.
Si aprirò i cieli e screnossl il polo,
Sparver le nubi ed acqnelossi il vento.
Di canori augciietli un lungo stuolo
Le secondò con musico concento,
E sparser mille passere lascive
Di garriti d’amer voti festive.
.^a sappi, che non sempre t da Natura
La materia a tal fin temprala e mista,
Perchè abbia a generar colai mistura,
Quel che perde mutando iiiquclche acqui-
la perchèquantilà prenda c figura, [sta ;
E dd corpo alla forma ella sussista ;
Nè di material quanto è prodotto
Dee necessariamente esser corrotto.
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102 MARINO.
Materia dar questa materia suole
Al discorso mortai, cbe sovente erra.
Cbi fabbricata la celeste mole
Di foco e fumo tieo, chi d’acqua e terra.
Se arrivassero al ver si fatte iole,
Sarebbe quivi una perpetua guerra.
Così di quel die l' uom non sa vedere,
Favulcggiaiido va aiille cliiiiiere.
La materia del del, sebben sublima
Sovra l’ altre il suo grado in eiiiinenu.
Non però dalla vostra altra si stima;
Nulla Ira gl' iutlividui ha diflerenza.
Ogni materia parte i della prima.
Sol la forma si varia e non l' essenza.
Varietà tra le sue parti appare.
Secondo clic elle soii |ùù dense, o rare.
Bastiti di saper, cbe peregrina
Impressione in sè mai non l'ioeve
La perfetta natura adamantina
Di quel corpo lassù lubrico e lieve.
Paragonarsi (ancorebù pura e fina)
Qualità d’ demento a lei non deve.
Un fiore scdto, una sostanza quinta.
Da coi di pregio ogni materia è vinta.
La sua figura i circolare e tonda.
Periferia continua, e senza punto.
Terminnon ha, nu spazio rgual dreonda;
Il priiidpio col fin sempre ba congiunto.
Linea, die appien d' ogni eccedenza ab-
Alla divinità sìmile appunto, [bonda,
E la Jìv ina Elemllade imita,
Perpetua, iiidIssolulNle, infinita.
Or a questa del del materia eterna
L’aniiiia, die l'iiiforina,è sempie unita.
Questa è ifRclla virtù santa e su|>erna.
Spirto, che le dii molo c le dà vita.
Senza lei, che la volge e la governa.
Fora sua nobilUi troppo avvilita.
Miglior foran del del le pietre islesse.
Se la forma motrice ei non avesse.
Que.sta con lena ognor possente e franca
Della maccliina sua reggendo il pondo.
Le rote mai di moderar non manca
Di quel grand' oriuol, che gira a tondo.
Per questa in guisa tal, cbe non si stanca.
L’organo immenso, onde ha misura il
Con sonora vertighic si volvc, [mondo.
Ne si discorda mai, aù si dissolve.
Cosi diesa di dove il messaggtero,
Nè lasciava d'andar, perdi* d parlasse.
De’ campi intanto, ov’ha Giunone Impero,
Lasciale avea le region più basse,
E gii verso II più sttlvn e più leggiero
Elemento drizzava il lodifasse.
La cui sfera immorial mai sempre arcen
Passò senza periglio e senza oOesa.
Varcato il puro ed Innocente foco.
Che alla gelida Dea la faccia asdnga.
L’etra sormonta, ed a più nobii loco
Gli presso al primo del prende la fviga,
E II suo corpo incontrando a poco a poco.
Che par specchio ben terso e senza roga.
In queste note II favellar dtoliiigue
Il maestro dell' arti e delle lingue :
Adoi), so che saper di questo giro
Brami I secreti, ove slam quasi ascesi,
Con tanta atlenzion mirar ti miro
Nel volto della Dea, madre dei nteai ;
Cliè sebben tu mi taci il tuo destro,
E la dimanda tua non mi palesi,
Ti veggio in fronte ogni pensier dlpIiMo
Più che se per parlar ftisse distinto.
Questo, a cui slam vicini, è delU Luna
L' orbc,die Imbianca il del con suoi aplen-
Candlda guida della Nolte bruna, (dori.
Occhio de’ ciechi e tenebrosi orrori.
Genera le rugiade, i nembi aduna.
Ed è iiiiuislra de' fecondi umori.
Dagli altrui raggi Illuminata sptande.
Dal Sol toglie la luce, al Sol la rende.
Di questo corpo la grandezza vera
Minor sempre è dd Sol, iièiiiai l’adombra,
Cile della terra a misurarla intera
La trentesima parte appena ingombra.
Ma se s’accosta alla terrena sfera, (bra,
Egual gli sembra, egli può far qualch’oi»-
Sol per un sol momento allor si vede
Vincer il Sol, d’ogni altro tempo cede.
ila varie forine, e mol li aspetti c atolli,
Or è tonda, or bicorne, or piena, or soena.
E sempre tieii nel Sol gli occhi rivolti,
Cbe la percote dalla parte estremo.
Onde semprealnien può l’ un de’due volti
Partecipar di sua beltà suprema.
Fa ciascun mese II suo periodo intero,
E circnnd.vndo il del, engia emiapero.
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L’ADONE. 163
Perrliè s’appressa a Toi più che KlUllrì or-
Suol sopra i vostri corpi aver itran forza, [bi
Donna è de' sensi, e Dea di mai! e morbi.
Ella sol gii produce, eila gli ammorza.
Quanto, o padre Ocean, nel grembo assor-
Quanto in te vive sotto dura scorza, [bi,
E il moto istesso tuo cangiando inanza
Altera al moto tuo stato e sembianza.
Il (rntlo e H fior, la pianta e la radice.
Il mare. Il fonte, il flume e l' onda e il pc-
Prendon da questa ogni virtù motrice,[si:e,
E H moto ancor, quand* ella manca o cre-
Dei celebro ella è sol govematrice, [sce.
DI quanto il ventre chiude e quanto n’e-
E tutto ciù, che in sù parte ritiene [sce,
D'nniida qualità, con lei conviene.
Cosa, non dico sol Saturno, o Giove
Nel mondo Inferior propizia, o fella,
Ma qual altra o che posa, o che si move,
StahiI non versa, o vagabonda stella.
Che non passi per lei ; quante il del piove
InSuenze laggiù, scendon per qneHa,
Per quella chiara lampada d’ argento.
Che i dell’ombre notturne alto ornamento.
Onde se awien, che girl B bel semblan te
CoHocato e disposto in buono aspetto,
Aaeorchè variabile e vagante.
Partorisce talor felice effetto.
Ma Fortuna non mai, fuorché incostante.
Speri chhmque a lei nasce soggetto.
Che con perpetuo crror Ba che k> spinga
Fuor di patria a menar vita raminga.
Con più diffuso ancor lungo sermone
H tìsico divin volea seguire,
Quantio a mezzo ii discorso il bel garzone
La feveili gli tronca e prende a dire :
D' una cosa a spiar l’alta cagione
Caldo mi move e fervido desire.
Cosa, che da ehe pria l’oeehio la scorse.
Sempre ba la mente mia tenuta-in forse.
D’ airone ombrose macchie impressa lo
DeUatriforme Dea la guancia pura, [veggio
Dimmi il perchè; tra mille dubbj ondeg-
Nè so trovarne opinion secura. [glo,
Qual immondo contagio, io li richieggio,
DI brutte stampe H vago volto oscura ?
Cod ragiona , e I’ altro un’ altre volta
La parola ripiglia, e dice : Ascolta.
Poiché cotanto addentro Intender t uoi.
Al bel quesito soddisfar prometto.
Ma di ciò la ragion ti dirà poi
L’ occhio vie meglio assai, che l' intelletto.
Non mancan già fllosofl tra voi ,
Che notato hanno in lei questo difetto.
Studia ciascun d’ investigarlo a prova.
Ma chi si apponga al ver raro si trova.
Afferma alcun, che d’ altra cosa densa
Sia Ira Feho e Febea corpo framesso,
La qual dello splendor, eh' ci le dispensa.
In parte ad occupar venga il reflesso.
Il che se fusse pur, come altri pensa.
Non sempre il volto suo fora l’ istesso.
Nè sempre la vedria chi in lei si affisa
In un loco macchiata, e d’ una guisa.
Havvi chi crede, che per e.«cr tanto
Cinzia vicina agli clementi vostri.
Della natura elementare al(|uanlo
Convlen pur che partecipe si mostri.
C.OSÌ la gloria Immacolata e il vanto.
Cerca contaminar de’ regni nostri.
Come cosa del del sincera e scbieiu
Possa di vii mistura essere infetta.
Altri ri fu, che esser quel globo disse
Quasi opaco cristal, che il piombo badifr-
E che col suo reverbcro venisse [Irò,
L’ ombra delle montagne a farlo tefro.
Ma qual si terso mai fu, che ferisse
Per cotanta distanza, acciai», o vetro?
E qual vasta cerviera in specchio giunge
L’ immagine a mirar cosi da lunge?
Egli è dunque da dir, che più secreta
Colà s’ asconda, ed esplorata invano
Altra ragion, che penetrar si vieta
All’ ardimento dell’ ingegno umano.
Or io ti fo saper, clic quel pianeta
Non è, rom’ altri vuol, polito e piano,
Mane’ recessi suol profondi c cupi
ib non nien che la terra è valli e rupi.
La snperflde sua mal conosduta
Dico, che è pur come la terra istc&sa,
Aspra, Ineguale e tumida e scrignuta.
Concava in parte, In parte ancor convessa.
Qnhrl veder potrai ( ma la veduta
Noi pnù raffigurar, se non s’ appressa)
.Altri mari , altri fiumi ed altri fonti,
Qttà, regni, provincic e piani e monti.
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16', MARINO.
E questo è quel, che sa laggiù parere
Nel bel viso di Trivia I segni foschi, [dere
Benché altre macchie, che ornon puoi vc-
Vo’ che entro ancor v i scorga c vi conoscili ,
Che son più spesse c più minute e nere,
Eson pur scogli e colli c campi c boschi.
Son nel più puro delle bianche gole.
Ma da terra aOlssarlc occhio non potè.
Tempo verrà, che senza impedimento
Queste sue note ancor fien note e chiare,
Mercfc di un ammirabile stromenro.
Per cui ciò che è lontan, vicino appare;
E con un occhio chiuso e l' altro intento
Speculando ciascun Torbe lunare.
Scorciar potrà lunghissimi intervalli
Per un piccini cannone e due cristalli.
Del telescopio a questa etate ignoto
Per te fla , Galileo , T opra composta ,
L’opra,chcal senso altrui, benché remoto
Fatto molto maggior T oggetto accosta.
Tu solo osse.rvator d’ogni suo moto,
E dì qualunque baiti lei parte nascosta.
Potrai , senza che vel nulla le chiuda ,
Novello Endinduti , mirarla ignuda.
E col medesmo occhiai non solo in lei
Vedrai dappresso ogni atomo distinto,
Ma Giove ancor sotto gli auspirj mici
Scorgerai d’altri lumi intorbo cìnto.
Onde lassù dell’ Arno I Semidei
Il nome lasceran sellilo c dipinto.
Glie Giulio a Cosmo ceda allor fìa giusto,
E dal Medici tuo sia vinto Angusto.
Aprenilo il sen dell’ Ocean profondo,
Ma non senza periglio e senza guerra.
Il ligure Argonauta al basso mondo
.Scoprirà novo cielo, c nova terra.
Tu del del , non del mar Tìll secondo.
Quanto gira spiando, c quanto serra
Senza alcun rischio , ad ogni gente ascose
Scoprirai nove luci c nove cose.
Ben del tu molto al dei, che ti discopra
I.'invenzion dell’ organo celeste,.
Ma viepiù il cielo alla tua nobii opra ,
Che le bellezze sue fa manifeste.
Degna é Tiniiiiagin tua , che sia là sopra
Tra ì lumi accolta, onde si fregia c veste,
E delle tue lunette il vetro frale
Tra gli eterni zaOir resti inimorlale.
Non prima no , che delle stelle istesae
Estìngua il cielo I luminosi ral ,
Esser dee lo splendor, che al crin ti tesse
Onorala corona , estinto mai.
Chiara la gloria tua vivrà con esse ,
E tu per lama in ior chiaro vivrai ,
E con lingue di luce ardenti e belle
Favellerau dì te sempre le stelle.
Non avea ben quel ragionar fornito
Il secretarlo de’ celesti Numi,
Quando il carro immortal vide salilo
Sovra il lume minor de' due gran lumi.
Trovossi Adone, in altro mondo uscito.
In altri prati, in altri bo.schi c fiumi.
Quindi arrivò per non segnato calle
Presso un speco riposto in chiusa valle.
Circondala spelonca erma e remota
Verdeggiante le squame , angue custode ,
Angue, che attorce in flessuosa rota
Sue parli estreme e sé medesmo rode.
Donna canuta il crin , crespa la gota,
Del cui sembiante il del s’allegra e gode,
Dell’antro venerabile c divino
Siede sui limitare adamantino.
Pcndonle ognor da queste membra e
Mille pargoleggiando alme Volanti, [quelle
E tutta piena inlorno é di mammelle ,
Onde allattando va turba d'infanti.
Misurator de' cieli e delle stelle ,
E cancellicr de’suoi decreti santi.
Le leggi , al cui sol cenno il tutto vive.
Ne’ gran fasti del Fato un veglio scrive.
Calvo é il veglio c rugoso, e spande al
Della barba prolissa il bianco pelo, [petto
Severo in vista c di robusto aspetto,
E grande si, che quasi adombra il cielo.
È tutto ignudo c senza vesta, eccetto
Quanto il ricopre iin varìabìl velo.
Agii sembra nel corso, ha i piò calzati.
Ed a guisa di^augel , gii omeri alati.
Tien divisa in due vetri in sulla schiena
Lucida ampolla, onde traspar di foro
Sempre agitata e prigioniera arena,
Nunzia verace delle rapid’ore.
A filo a filo per angusta vena
Trapassa c riede al suo contìnuo errore,
E mentre ognor si volge e sorge c cade ,
Segna gli spazj dell’ timana ctade.
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L’ADONE.
Di soni c serro, ad ubbidirgli avvezza
Moltitudine intórno ha reverente,
Di quella maestà , che il tutto sprezza.
Provvida esecutrice e diligente.
Mostrava Adon desio d’aver contezza
Qua! si fosse quel loco e quella gente ;
Onde cosi di quei secreti iiiiiuensi
Il suo conducltor gli aperse I sensi.
Sacra a colei , che gii ordini fatali
Ministra al mon<ln,èquesla grotta annosa.
Non solo impenetrabile ai mortali,
•àgli occhi umani ed alle menti ascosa ,
Sicchó alzarvi giammai la vista, o l’ali
Intelletto non può, sguardo non osa;
Ma gl’ interni recessi anco di lei
Quasi appena spiar sanno gli Dei.
165
Di sua forma non So se t’ accorgesti ,
t'hè non è mai l’istessa alla veduta.
Faccia ed età di tre maniere ha questi ,
L’acerba , la virile c la canuta.
Tu vedi ben, come sembiante e gesti
Varia sovente c d’or in or si muta.
l-’olTigie, che pur or it’olTerse iiinanzì.
Altra ne sembra, c non è più qual dianzi.
Vedigli assiso al piedi un potentato.
Da cui tutte ic cose hall vita. e morte ,
Olii un gran libro, le cui carte è dato
Volger (com’ella viiol)sn|o alla Suite.
A questo Nume, che si appella Fato,
Detta quant’el determina in sua corte.
Quegli lo scrive, ed ordina al governo.
Primavera ed autunno , estate c inverno.
Natura univcrsal madre feconda
È la donna, che assisa ivi si mostra.
In quella cava ha sua inagion (irofonda.
Occulto allierg'i e solitaria chiostra.
Giusto è, che ognun di voi le corrisponda,
Vuoisi onorar qual genitrice vostra;
E ben lo devi tu , come creato [grato.
Più bel d’ogni altro. Adone, esser più
Qiiell’iiom anticoch’allespallc ha i vanni,
E quei, che ogni mortai cosa consuma,
Domator di monarclii e di tiranni.
Con cui non è dii contrastar presuma.
Parlo del Tempo dlspensier degli anhi.
Che scorre il del con si spedita piuma,
E si presto sen fugge e si leggiero.
Che è tardo a seguitarlo anco II pensiero.
Con l’ ali, che si grandi ha sulle terga ,
Vola tanto che il .Sol l’ adegua appena.
Sola però l’ Eternità , che alberga
Sovra le stelle, il giunge c l’incatena.
La penna ancor, che dotte carte verga ,
Passa il suo volo, e il suo furore alTrena.
Cosi (chi il crederebbe?) un fragii foglio
Può di chi tutto pnò Vincer l’orgoglio.
Comandati questi al secolo c palese
(ìli fan ciò che far dee di punto In punto.
Il secol poi che ha le sue voglie intese ,
Al lustro inipon che l’eseguiscaappiinto.
Il lustro all’ anno, e l’anno al mese, il mese
Al giorno, il giorno all’ora, c l’ora ai punto,
Così dispon gli alfari , e con tal legge
Signoreggia i mortali e il mondo regge.
Vedi que’ duo, l’un giovinetto adorno,
Candido e biohdo e con serene ciglia.
L’altra femmina cbruna.evanno intorno,
E si tengono in mezzo una lor figlia.
Son color, se noi sai, la Notte c il Giorno,
E l’Aurora ò tra lor bianca e vermiglia.
Or mira quelle tre, che tutto lian pieno
Di gomitoli d’accia il lembo c il seno.
Quelle le Parche son , per cui laggiiiso
E filata la vita a tutti voi^
Nel suo volto guardar sempre han per uso.
Tutte dtpendon sol dai cenni suoi.
Quella tien la conocchia e questa il fuse.
L’altra torre lo stame e il tronca poi.
Vedi la Verità figlia del vecchio , [diio.
Che innanzi agli occhi gli sostien lo spec-
Di duro acciaio ha temperati i denti ,
Infrangibili , eterni , adamantini.
Delle torri superbe ed eminenti
Rode e rompe con questi i sassi alpini ;
Dei gran teatri i porfidi lucenti ,
Degli eccelsi colossi i marmi fini.
Divoralor del tutto, alfln risolve
Le più salde materie in trita polve.
Quanto in terra si fa, là dentro ri mira,
E dell’altrui follie nota gli esempi.
Vede l’ umana ambizion che aspira
In mille modi a fargli oltraggi e .scempi.
Crede fiaccargli alcun la forza e l’ ira
Ergendo statue e fabbricando tempi.
Altri contro gli drizza archi e trofei ,
Piramidi , obelischi e mausolei.
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166 MARINO.
Ride egli allora, e si sei prende a gioco.
Scorgendo quanto l'uom s'ingaiinaed erra
E poiché in piedi lia pur tenute un poco
Quelle macchine altere, alfìn le atterra.
Dalle ili preda dell’ acqua , ovver del foco.
Or le dona alla peste , ora alla guerra.
I.e sparge in fumo in quella guisa oin que-
Sicché Testigioalcun non ve ne resta, [sta
E di ciò la ministra è sol quell* una,
Cile è cieca e d’ un delHn sul dorso siede,
Calva da tergo c il crine in fronte aduna.
Alata e tien sovra una palla il piede. -
Guarda se la conosci, è la Fortuna,
Che al paterno lerreii passar ti diede.
Mira quanti lesor dissipa al vento.
Mitre, scettri, corone , oro ed argento.
Quattro donne reali a pié le miri,
E son le monarchie dell* universo.
D’ or coronata é quella degli Assiri,
D’argento l'altra.clic ha l’impero perso;
La Grecia appresso con iiien ricchi giri
Porta cerchialo il crin di rame terso.
L* ultima, che di ferro orna la chioma,
£ la guerriera e bellicosa Roma.
Ma ciò che vai, so il tuttoé un sogno bre-
Stolto colui, che in vanita si lida. [vet
Dritto é ben, che d' un ben, che perir deve,
L’ un filosofo pianga e l’ altro rida.
Sola virtù del Tempo avaro c lieve
Può t’ ingorda sprezzar rabbia omicida.
Tutto il resto il crudel, mentre che fugge,
E rapace c vorace, invola c strugge. •
Guarda sull’ uscio pur della caverna,
E vedrai due gran donne assise quivi,
E quinci e quindi dalla foce interna.
Di qualità contraria uscir duo rivi.
Siede r una da destra e luce eterna
Le fregia il volto di bei raggi vivi.
Ridente in vista c di un aspetto santo.
In man lo scettro ed Ita stellalo il luanto.
£ la Felicita, de* cui vestigi
Cerca ciascun, né sa trovar la traccia.
Ma da larve deluso e da prestigi
Di quella Invece, la Miseria abbraccia.
Stanno molte donzelle a’ suoi servigi,
D’ occhio giocondo e di piacevol faccia.
Vita, abbondanza, c ben coiitcìitc c liete
Festa, gioia, alicgiia, pace c quiete.
Lungoilsuopièconlimpid'ondaevlva
Mormorando seti va soavemente.
Il destro flumicei , da cui deriva.
Di letizia immortai vena corrente.
Ella un lambicco in man sovra la riva
Colmo dell’ acqua tien di quel torrente,
E (come vedi ben) fuor della boccia
In terra le distilla a goccia a goccia.
A poco a poco ingiù versa il diletto,
Perché altri non può farne intero acquista.
Scarso é 1’ uman conforto ed imperfetto,
E qualche parte in sé sempre Ita di tristo.
Quel ben che qui nel ciclépuroeschietto.
Piove laggiù contaminato e misto.
Perocché pria che caggia, ci si confonde
Con qucll'altro rusccl che amare ha Tonde.
L’al tro ruscel , eh c mcn purgato e chiaro
Passa da manca, é tutto di veleno.
Viepiù che fiel, v iepiù die assenziuamaro,
E sol pianti e sciagure accoglie in seno.
Vedi colei, che il vaso, onde volaro
Le compagne d’Astrea, tutto iT ba pieno,
E con prodiga man sovra i mortali
Sparge quanti mai fur malori e mali.
Pandora é quella ; il bossolo di Giove
Folle audacia ad aprir le persuase.
Fuggi lu stuul delle VirUidi altrove.
Le Disgrazie restaro in fondo al vase.
Sol la Speranza in cima all' urlo, dove
Sempre accompagna i miseri, rimase ;
Ed é quella cuUi vestita a verde.
Che in del non cntra,e oelTentrar si perde.
Or vedi come fuor dell’ ampia bocca
Dell’ urna rea, che ogni difetto asconde.
In larga vena scaturisce e fiocca
Il sozzo umor di quelle perfid’ onde.
Dell’altro fiume, onde piacer trabocca,
Questo in copia maggior T acque diOonde.
Perché in quel nido di tormenti e guai
Sempre T amaro è più che il dolce as^i.
Vedi Morte, Penuria eGtierra e Peste,
Vecchiezza e Povertà con bassa fronte,
Pena, Angoscia, Fatica, afiliUc e meste
Figlie appo lei d’ Averno e d’ Acheronte.
Ve’ Temivia Ingratitudine tra queste.
Prima d’ ogni altro mal radice e fante.
E tutte uscite son del vaso immondo
I Per infestar, per infettare il mondo.
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L’ADONE.
Noeti maratrigliar, che affanni e doglie
In questo primo ciel facciali dimora.
Perchè la Diia, onde Usuo moto ei toglie,
E di ogni morbo e di ogni mal signora.
In lei dominio e potestà s’ accoglie
E sovra i corpi e sovra l' alme ancora.
Ma se di ogni bruttura iniqua e feila
Vuoi U schiuma veder, volgiti a quella.
Si disse, e gli mostrò mostro difforme
Con orecchie di Mida e man di Cacto.
Ai duoi volti parca Giano biforme.
Alla cresta Priapo, al ventre Bacco.
La gola al lupo avea forma conforme.
Artigli avea d' arpia, aanne di ciacco.
Era iena alla voce e volpe ai tratti.
Scorpione alla coda e siniia agli atU.
Chiese aUa guida Adon, di che natura
Kusse bestia si strana, e di che sorte.
Ed intese da lui, che era figura
Vera ed idea della moderna corte.
Portento orrendo dell' età futura,
Piaget dei mondo, assai peggior che Morte,
Deir Erinni infernali aborto espresso.
Vomito dell' inferno, inferno istesso.
Ma di questa, dicea, meglio è tacerne.
Poiché ogni pronto stil vi fora coppo.
Ben mille lingue e mille penne eterne
In mia vece di lei parlerau troppo.
Mira in quel tribunal, dove si sceme
Di gente intorno adulatrice un groppo.
Donna con torve luci e lunghe orecchie.
Che da' fianchi ai tiendue bruite veccliie.
L'Autorità tirannica dipigne
Quella superba e barbara sembianxa,
E r assislemi sue sciocche e maligne
Son la Sospizionc e l’Ignoranza, [gne.
Labbra baverdi e spumaiitieman sapgul-
Mostra rigor, furor, fasto, arroganza.
Porge la destra ad una donna ignuda.
Di cui non è la più perversa e cruda.
Questa tutta di sdegno, accesa e tinta,
E di dispetto e di fastidio è piena ;
E da turba crudel tirata e spiata
Giovinetta gentil dietro si mena.
Che l’ima et’ altra mano al tergo avvinta
Porta di dura e rigida catena.
Smarrita il viso e pallidetta alquanto^
Ed ha bianca la gtmna e biancoUmanto.
La Calunnia ècolei, che al trono angusto
Per man la tragge e par d’ astio si roda.
Delia la faccia ha si, ma dietro al busto
Le si attorce di serpe orrida coda.
L’ altra condotta nel giudizio ingiusto,
A cui le braccia Indegno ferro annoda,
È r Incorrotta e candida Innocenza,
Sovrallatta talor dall’ Insolenza.
Il LIvor l'è dincontra, il quale approva
La falsa accusa, e la risguarda in torlo.
Aconito infemal nel petto cova,
E di squallido bosso ha il viso smorto.
Simile ad uom, che afflitto ancor si trova
Da lungo morbo, onde guari di corto.
Coppia d'ancelle alla Calunnia applaude,
Testhnoni malvagi. Insidia e Kraude.
Segue costoro addolorala, e piange
Di tal perfidia il torto e la menzogna
La Penitenza, che si affligge ed auge
Presso la Verità, clie la rampogna.
E si sqiurtia la vesta, e il crin si frange,
E di diiol si dispera, o di vergogna,
E col llagel di una spinosa verga
Si balte il corpo, e macera le terga.
Oimè, non sliam più qui, lasciam per Dio
Di questi mostri abbominandl il nido.
Tacquesi, e lungo un tortuoso rio
Quindi sviolio il saggio duce e fido.
D’ ua’ oscura isoletia Adon scoprio
Non molto iunge, ancor inccriOj II lido.
L'aria avea d’ogn' intorno opaca c bruna
Qual fosca notte in maliosa Luna.
Giace in mezzo d’un fiume, ilqualsi reco
Dilaga r acque sue placide e chele,
E va si lento e mormora si poco,
Che provoca in altrui sonno e quiete.
Ecco, Mercurio alior soggiunse, il loco.
Dove discorre il sonnacchioso Lete,
Da cui la verga mia forte e possente
Prende virtù d’ addormentar la gente.
L’isola d’ogni parteabbracciaechiude,
Come scorger ben puoi, I’ onda klale.
Sembra oziusa e livida palude.
Onde caltgin densa in allo sale.
Vedi quante in quell' acque anime ignude'
Vanno a lavarsi ed a luibrv i I' ale
Pria che le copra ii corrotiibii velo, -
Per obhlUr ciò che han veduto In ciclo.
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l(iS MARINO.
Vedine molle, che a ba)^iar le piiimc
Vengoii pur nelle pigre onde infeliei,
E perdun pur dentro il incdesmo liiimc
La conoscenza de’ cortesi amici.
.Soli gl'ingrati color clic lian per costume
Dimenticar favori c bcneflci,
E scriver nelle foglie c dare ai venti
Gli obliliglii, le promesse c i giuranicnli.
Altre ne vedi ancor i|iiassù dal mondo
Salire ad or ad or macelliate e brutte.
Le qiiai non pur di ipicl licore immondo
Gorroiio a ber, ma vi s'immorgon tutte.
Genti SUI! quelle, die da basso fondo
Soti ]>er fortuna ad alto grado adilutte.
Dove ciascun divieti si smemorato.
Glie più non gli sovvieii del primo stato.
Oh dei terreni oiior perfida nsaiiz.v..
Con cui robblio di subito si beve,
Onde con repentina empia tnntanza
Viciisì ruoiiio a scordar di quanto deve!
E non solo d’altrui la riiiicmbraiiza
In lui s’offusca e si smarrisce in breve.
Ma si del tutto ogni memoria ba spenta ,
G.lie di si stesso pur npn si rammenta.
Il paese dei Sogni è questo, a cui
Pervenuti noi siamo a mano a mano.
Vedi che appunto nei sembianti sui
.Simile al sogni) , ha non su clic del vano ,
Clic apparisce c sparisce agli occhi altrui,
E visìbile appena è di lontaiin.
Qui da Giove scacciato il Sonno nero,
Camtuniaee del del, fondò l’ impero.
Ma per poter varcar l’ onda soave
Sarà buon , che alcun legno orsi prepari.
Ed ecco allora In pargoletta nave
Strania ciurma apparir di mai inari.
Itatonc c Tarassio il remo grave,
E Pliitocle c Morfeo inovcan del pari;
Era il vecchio Kantasìo il galeotto.
Al nieslier del timone esperto c dotto.
Presero un porlo, ove d’ elettro puro,
AH’augel vigilante un tempio è sacro.
Quindi scolpito sta l’ Èrebo oscuro.
Quinci d’Ecatc bella il siniiilacro.
In sull’ entrar, pria che si pa.ssi al muro,
V’ ba di duo fonti un gemino lavacro;
Che fan cadendo un mormorio secreto;
Pannicebia è detto l’ un , l’ altro Ncgrcto.
Fa cerchio alla città selva frondosa,
Che dà grato ristoro al corpo lasso.
La mandragora stupida e gravosa,
E II papavero v’ ha col capo basso.
L’orso Ira questi languido riposa,
E riposanvi all’ ombra il ghiro e il tasso.
Nò d’abitar quei rami osano augelli,
Fuor clic iiollolc-c gufi c pipistrelli.
D’ un iri a più color case e contrade
Statisi tra lumi tenebrosi occulte.
Quattro porle maestre ha la citlade,-
Due di terra c di ferro incise c scullc.
Le qiiai rispondoii per diritte strade
Della Pigrizia alle campagne incultc;
E per queste sovente o falsi , o veri
Escono I sogni «paventosi e fieri.
Dell'altrcdiie ciasriina il fiume guarda,
L’ una È d’ avorio e si illsserra allora,
Cli’c nel suo centro la stagion più larda ,
L’altra di corno c s’apre in sull' aurora.
Perqiiella ascheriiir l’uoni turba bugiarda
D’ ingannatrici immagini vicn fora.
Da questa soglion trar l’ anime vaghe
Visioni del ver spesso presaghe.
La bella coppia entrò per l’uscio ebiimo,
E fiir ipicll’ ombre da'snoi raggi rotte.
Il suo palagio ombroso e taciturno
Nella piazza maggior lenea la Notte.
Dall’altra parte di vapor notturno
Velato e cliiuso tra profonde grotte
L'albergo ancor del Sonno si vedea.
Che sovra un letto d’ebano giacca.
Oli di qiiaute fantastiche bugie
•Mostruose apparenze intorno vanno!
Sogni .schivi del Sol, nemici al die.
Fabbri d’ illusion, padri d’ inganno.
Minolauri, Centauri , Idre ed Arpie, -
E Geriotii e Rriarei vi stantio.
. Clil Sirena, chi Sfinge al corpo sembra.
Chi di Ciclopo c dii di Fauno ha membra.
Chi par bertuccia etj ò qual bue cornuto.
Chi tutto è capo c il capo poi senz’ ocelli.
Altri hanconi’liannu i iiicrgi il becco acuto,
Altri la barba a guisa degli aloccliì.
Altri con faccia umana è si orecchiuto ,
Clic conv icn eh’ ogni orccdiia il tcrreii loc-
Altri ba piò d'oca e di falcone artiglio, [chi.
L’occhio nel ventre c nel bellico il ciglio.
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L’ADONE. I(J9
Vedresti effigie angelica e sembiante,
Poi si termina IKpiedc in piedistallo.
Visi di can con trombe d’elclante.
Colli di grò con leste di camallo,
Busti di nano e braccia di gigante,
Ali di parpagllon, creste di gallo-.
Con rode di pavon grill e pogasi ,
FHisi per gambe e piOcri per nasi.
Alcun di lor, quasi spalmato legno ,
Vola a vela per l'aiire c scorre a nuotò.
Ma di due rote ha sotto un altro ingegno.
Onde corre qual carro e varia molo.
On un mantice alcun di vento pregno
Gonlla c sgonfia soffiando il corpo voto,
E tanti flati accumula nell' epa.
Che come rospo aifln ne scoppia e crepa.
r
E questi ed altri ancor più contrafatti
Ve n' ha, piccioli c grandi, interi e mozzi.
Quasi vive grottesche, o .spirti astratti.
Scherzi del caso e del pensiero abbozzi.
Parte alle spoglie « alle rattezze, agli atti
Son lieti e vaghi e parte immondi e sozzi.
Molli al gesto, al vestir sili e plei>ei.
Molti di regi in abito e di Dei,
Tra gli altri Adon vi riconobbe quello.
Che in Cipro già, quand’ei tra'lior dormiva
Rapprescntogli il simulacro bello
Della sua bella ed amorosa Diva.
E già quel pigro e lusinghier drappello
Dietro alla Notte, che volando usciva,
Cili s’accostava in mille rornie intorno
Per gravargli le ciglia, o torgli il giorno.
Deh perdoidml il ver, se altrui par Torse,
Eh' io qui del elei la di((nltale olTenda ,
Polche laddove Tempo vinqua non corse,
L’ore non spiegati mai notturna benda.
Farciol, perchè cosi quel che non scorstì
Il senso mai , l’ intendiincnto intenda,
Non sapendo trovar Tuor di natura
Agli spag) celesti altra misura.
In questo mezzo il condottier superno
Le sci vaglie corsiere al carro aggiunse.
Fece entrarvi gli amanti ed al governo
Assiso poi, ver l’altro del le punse.
Ed al bel tetto del suo albergo eterno.
In poche ore rotanilo, appresso giunse.
Intanto II parlator facondo e saggio
La noia alleggcria del gran vliggio.
Eccoci, gli diceva , eccoci a vista
Della mia stella, che più su si gira,
Candida no, ma variata e mista
Di un tal livor, che al pioni boalquanto tira;
Picclola si , che quasi ajvpena è vista,
E talor sembra estinta a chi la mira,
E nelle notti più serene c chiare
Dell' anno sol per pochi mesi appare.
Questo gli avvien non sol perchè minore
Deir altre erranti e delle fisse è molto,
Ma però che da luce assai maggiore
Gli è spesso il lume inerclissato e tolto.
Sotto I raggi del Sole il suo splendore
Nasconde si, che vi riiiian sepolto,
E tra que' lampi, onde si copre e vela.
Quasi in lucida nebbia , altrui si cela.
Ma il suo dottor si se n’accorse c presto
Gli Te' le luci alzar stupide e basse.
Vener sorrise ed ci poscia che desto
L’cbbi-, non volse più che ivi indugiasse.
Ma mostrandogli a dito or quello, or que-
All' altra riva un’altra volta il trasse, [sto,
Dimandavalo Adon di molte cose.
Ed a molte dimande egli rispose.
E giunta a mezzo di suo corso ornai
L’ umida Notte all’ncean srendea,
E con tremanti c pallidelti rai
Più d' un lume dal del seco cadoa.
Cinto di folte stelle è più che mai
Chiaro il pianeta inargentato artica ,
Vagheggiando con occhio intento c vago
In fresca valle addormentato il vago.
Ma dall’ essere al .Sol tanto vicina
Maggior forza e vigor prende sovente ,
Come ancor questa del tuo cor crina
Per ristessa cagione è più possente.
Seco e col Sole in compagnia cammina.
Seco la rota sua compie egualmente.
Benché Ira noi sia gran disuguaglianza,
Chè assai di lume c di beltà mi avanza.
La qualità di sua natura è bene
Mutabile, volubile, inquieta.
Si varia ognor, nè mai fermezza tiene.
Or infausta, or seconda, or trista, or lieta.
Ma questa tanta instalviltà le viene
Dalla congiunzion d’altro pianeta.
Perdi’ io son tal, che negli elTelti mici
Buon co’ buoni nd mostro, e reo co’ rei.
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170 HABINU.
Mascou per la virtù di questa luce
Luminosi intelletti, iogegui acuti.
Senno altrui dona ed iioiuini produce
Cauti agli aOari e nell' industrie astuti.
Vago desio di nuove cose induco ,
E d’ incognite al mondo arti e virttiU.
Per lei sol cliiaro e celebre divenne
Delle lingue lo studio c delle penne.
E quando questa tua dolce lumiera
VI applica il raggio suo lieto e benigno.
Quel fortunato, al cui nalaie impera,
Riesce in terra il più famoso cigno.
Cosi lo Dio della seconda sfera
Parla al vago fìgliuol del re Ciprigno,
E tuttavia, mentre cosi gli conta
Le proprie doti, il patrio del sormonta.
Avean l' aureo timon per la via torta
Drizzato già le mattutine ancelle.
Gii su I cuiiGn della dorata porla
Giunto era il Sole e fea sparir le stelle ;
La cui leggiadra messaggiera c scorta
Sgombrando intanto queste nubi e quelle,
Perle piagge spargea chiare ed ombrose
Della terra e del del rugiade e rose.
Quando vi giunse e con la coppia scese
Sovrra le soglie del lucente chiostro.
Come fu dentro Adon,vidc un paese [slro;
Con più bel giorno e più bel del, che il no-
Poi dietro alle sue scorte il cammìn prese
Per un ampio senlier, che gli fu mostro;
E in un gran pian si ritrovaro adagio,
Nei cui mezzo sorgea nobil palagio.
Palagio, che al modello, alla figura
Quasi d' anfiteatro avea semliiaiua.
Ogni edificio, ogni arllQzio oscura.
Ogni lavoro, ogni ricchezza avanza.
Vista nel primo giro bai di Natura,
Disse Cillenio, la secreta stanza.
Or ecco, o bell’ Aduli , sci giunto in parte.
Dove l'albergo ancor vedrai dell' Arte,
Dell'Arte emula sua la casa è questa.
Eccola la, se di vederla brami.
Di gemme in hi tirate è la sua vesta.
Trapunta di ricchissimi ricami.
Mira di che bei fregi orna la testa.
Come r intreccia de' più verdi rami.
Di stromeiiti e di macchine ancor vedi
Qual e quanto si tieii cumu|o a’ piedi.
Mira penne e pannelli, e mira quanti
Vi ba scarpelli e martelli, asce ed incudi,
Dolini e lime, circini e quadranti.
Subbi e spole, aghi e fusi e spade e scudi.
Cosi dlcoagli e procedendo avanti.
La gran maestra iralasdò suoi studi,
E riverente e con cortese inchino
L'miliossi al messaggicr divino.
Dal divin inessaggiero Adoii coudutto
La porta ciilrù della celeste mole.
Di diamante ogni muro avea costrutto.
Che lampeggiando abbarbagliai a il Sole;
E 1' immenso cortile era per lutto
Intorniato di diverse scule,
E molte donne in cattedra sedenti
Vedeansi quivi ammaestrar le genti.
Queste d' caie, o di bellezza eguali,
Mercurio ripigliò, vergini elette
Sono ancelle deli’ .Arte, e liberali,
Pcrocchò r noni fan libero, sou dette.
Fonti inesausti, oracoli immortali
Del saper vero c non son più che sette.
Fidate guide, illustratrici sante
Del senso cieco e dell' ingegno errante.
Colei di' è prima e tieii in man lecbiav i
Della sublime e spaziosa porta.
Di tutte le altre facoltà più gravi
Agli anni rozzi è foudamènto c scorta.
Quella, che con ragion belle e soavi
Loda, blasma, difende, accusa, esorta,
E la diletta mia, che dalla Imcca
Mentre che versa il mel, 1' aculeo scocca.
Ve’ r altra poi con la faretra a lato.
Sottile arciera a saettare intenta.
Che bene acuti ognor dall’ arco aurato
Di strali invece i sillogismi avventa.
Passa ogni petto d’ aspri diibbj armalo.
Nega, prova, conferma ed argomenta.
Scioglie, dichiara, c dalle cose vere
Distingue il falso, aliln concliiude e fere.
Vedi quell’ altre ancor quattro donzelle
Di sembiante e di volto alquanto oscure.
Tutte d’ un parlo sul iiacquer gemelle ,
E trallaii pesi e numeri e misure.
L’ una cuntcìnplatrice i delle stelle ,
E suol vaticinar cose future;
Vedi die ha in man la sfera, e dei pianeti
Si diletta di espor gli alti secreti.
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L'ADONE. 171
L’ altra, ché con la pertica disegna
E triangoli e tondi e cubi e (piadri,
Conlineeepumi II rerniostrando, insegna
Riglie e piombi adoprar, compassi c s<|ua-
La terza di sua man figura e segna [drì.
Tariffe egregie e calcoli leggiadri.
Sottrae la somma, la radice trova.
Moltiplica il parlilo, e fa la prova.
liistrulsce a compor I' ultima suora
E fughe e pause e sincope c battute ,
E temprar note all* armonia sonora
Or lente egrati, or rapide ed- acute.
Altre vederne non mcn sagge ancora
Oltre queste potrai fin qui vedute.
Benché le sctle,ch’ io l' ho conte e mostre,
Sien le prime a purgar le nienti vostre.
m
Ecco altre due sorelle, e ilei Disegno,
E della Simmetria pregiale figlie.
L’ una con bei colori in tela, o In legno
Sa di nulla formar gran meraviglie.
L' altra, che nell’ industria e nell' ingegno
Non ha (trattane lei] chi la soniiglie.
Sa dar col ferro al sasso anima vera.
Al metallo, allo Stucco ed alla cera.
Eccoti ancor col mappamondo arante,
E con la carta un’ altra giovinetta,
Che scoprendo i paesi e quali e quante
Regioni ha la terra, altrui dilutta.
Senteiue poi religiose e sante
Damigella celeste altrove detta.
Di Dio discorre, c dell' eterna vita
Ai discepoli' suoi la strada addita.
Mira coli quella matrona'augnsta,
Che per toga e per laurea è veneranda.
E la Legge civil, che santa e giusta
Sol cose oneste e lecite comanda.
Quella, che porge d' altrui febbre adusta
Amara e salutifera bevanda,
E di ogni morbo umaii medicalrice,
Che sua virtù non chiude erba, o radice.
Guarda or colei, che spirili divini
Spira, sebben fattezze alquanto Ifa brutte,
8 par, che ognun l’ onori, ognun r inchini.
Qual madre universal dell' altre tutte.
Quella i Sofia, che rabbuffala 1 crini ,
Magra, e con guance pallide e distrutte.
Con scalai piedi e con squarciati panni.
Pur di dotti scolari empie gU scanni.
Azione, passione, allo e potenza.
Qualità, quantità mostra in ogni ente.
Genere c specie, proprio e differenza ,
Relazione, sostanza ed arcidenle.
Con qual legge Natura c Providenza
Crea le co.se, e corrnuipe alternamente.
La materia, la fonila, il temiKi, il moto.
Dichiara e il silo e l'infinito e il voto.
Ticn due donne da' fianchi . t ua che siede
Sovra quel sasso Jicn (piadraio e sodo,
f; la Doiiriiiajclie a chiunque il chiede
Di ogni dinicollà discloglìe il nodo.
I.'’ altra che con la' libbra in man si vede
Pesarle cose, ed liu il martello c il chiodo,
È la Ragion, che con accorto ingegno
A ncsaqn crede, c vuol da lutti il pegno.
Ma quell’ altra colà, che ha si leggiere
Le penne, è Dea del mondo, anzi tiranna.
DI fallace cristallo ha due visiere,
Che r occhio illude, c il buon gindiclo ap-
E le fa guatar torto c travedere, [panna
SIcch’ altrui ipesso c sé nirdesma Inganna.
Di un tal cangiacolor la spoglia ha mista,
Che r apparenze ognor muta alla vista.
Né di tanti color gemmarfti e belle
Suol I’ augel di Giuiion rotar le piume,
Né di tanti arricchir I' ali novelle
Quel del Sole in Arabia ha per costume.
Né di tanti lidrir veggionsi quelle
Dell' alalo figliuol del tuo bel Nume,
DI quante eli’ ha le sue varie e diverse
Verdi, bianche, vermiglie e rance c perse.
Opinion s' appella, c molte ha seco
Ministre infami e meretrici infide,
Larve, che uscite del tartareo speco
V'eiigon dell' alme Incaute a farsi guide ,
Ed è lor capo un giovinetto cieco,
Cir Errore ha nome, c lusingando ride.
D' un licore incantato inebbrial sensi,
E lui seguendo a precipizio vicnsi.
Mira inlorno astrolabi rd almanacclil.
Trappole, lime sorde c grimaldelli.
Gabbie, bolge, giornee, bossoli c sacelli.
Labirinti, archipendoli c livelli,
Dadi, carte, pallon, tavole e scacchi,
E sonagli c carrucole c succhielli,
Naspi, arcolai, velllcchi c orhioii.
Lambicchi, bocce, mantici e crogiuoli.
<s
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172 MARINO.
Mira pieni di vento otri e vessiche,
E di gonfio sapon tiirgiile paile.
Torri di fumo, pampini d’ orticiic,
Fiori di zueciic c piume verdi e giailo,
Aragni, scarabei, griiii, formiche,
Vespe, zanzare, iucciolc e farfalie,
Topi, gatti, bigatti c cento taii
Stravaganze d’ ordigni e d' animaii.
Tutte queste, che vedi e d’altri estrani
Fantasmi ancor prodigiose schiere.
Sono i caprìcci degi’ ingegni umani ,
Fantasie, frenesie pazze e chimere.
V ha molinl e paiei mobili c vani,
Girelle, argani e rote in piu maniere.
Altri forma liaii di pesci, altri d'uccelli,
VarJ, siccome son varj i cervelli.
Or mira all’ombra della sacra pianta
Fregiala il crin dell’ onorate foglie
I. a Poesia, che mentre scrive c canta.
Il fiore di ogni scienza insieme accoglie.
La Favola ò con lei, che orna ed ainnianta
Le vaghe mhnibra di pompose .spoglie.
J. ’ accompagna l’ Istoria ignuda dtinna ,
Senza vcl , senza fregio e senza gonna.
Vedi la Gloria, che <iual .Sol risplende ,
Vedi I’ Applauso poi , vedi la Lode ,
Vedi r Onor, che a coronarla intende
Di luce eterna , onde trionfa e gode.
Ma vedi ancor coppia di furie orrende ,
Che di rabliia per lei tutta si roile.
La persegue l’ Invidia empia e crudele.
Gite Ita le vipere in itiatto, in bocca il fiele.
Iji maligna Censura ognor l’i dietro,
E quattt’ ella compone, entenda c ta.ssa.
Ca>l vaglio ogni snoacrcnto, ogni suo ttteiro
Crivella c poi per la trafila il passa, [irò.
Posticci ha gli ecciti in froitte e soti di ve-
Or se gli affigge , or li ripoitc e lassa.
Nola civtt qttesli gli altrui lievi errori,
Nè .scorge inlanto i suor moito tttaggiori.
Ciò detto, di diaspri c di alabastri
Gli mostra un arsettal capace e grande,
Gite sovr’ alte colonne e gran pilastri.
Le sue volle lucenti appoggia e .spattde.
Turba v’ ha dentro di diversi tttaslri ,
Ingegner d’opre illustri c memorande.
Qui di lavori ancor non titai più visti
Soggiornati, dice, i piti ramosi artisti.
Di quanto mai fu ritrovato in terra ,
0 si ritroverà degno di stima,
0 sia cosa da pace, o sia da guerra.
Qui ne fu l'esemplar gran tempo prima.
Qui pria per lunghi secoli si serra
Ignoto ad ogni gente, ad ogni clima ,
Poi si pubblica al mondo e si produce
Air umana notizia ed alla luce.
Vedi Prometeo figlio di lapeto ,
Cile di spirto celeste il fango informa.
E vedi Cadmo autor dell’ alfabeto.
Da cui prendoii le lingue ordine c norma.
Vedi il Sir.tcusan , clic il gran secreto
Trova, Olili’ un piccini cielo ha moto e for-
Eil Tarenlin, chela colomha imita, [ma,
E il grand’ Alberto, che al melai dà vita.
Ecco Tubai prittio inventor de’ suoni ,
Il Tebano Aniioiie c il Trace Orfeo. •
Ecco con altre corde ed altri tuoni
Litio, Inpa, Tamira e Timoteo.
Ecco con nove armoniche ragioni
Il niirabil Terpaiidro e il buon Tirteo,
Fabbri di nove lire e nove cetre,
.\nimatori d' arbori e di pietre.
Mira Tesibio, c mira Anassiiiienc
Su la mostra segnar l' ore correnti.
Mira Pirodc poi , che lialle vene
Trae della selce le scintille ardenti.
Anacarsi è colui, iiiiia che tiene
In mano il folle c dà misura ai venti.
Mira al(|uanto più in là metter in uso
Esculajiio lo specchio , e Giostro il fuso.
E Gigc v’ Ita, che la pittura inventa ,
Ed liavvi col pennello Apollodoro,
E Gorello è con lor, che rappresenta
Di lla plastica indtistre il bel lavoro,
E DcddI , che agguagliar non si contenta
Con sue penne nel volo eHorea e Coro;
.Ma niarrhinaiido va d' asse e dilegui
Ingegnoso archilclto alti disegni.
Epimenide, Furialo, Iperbio e Dosso
Templi e palagi ancor fondano a prova ,
E Trasoiic erge 11 muro, e cava il fosso
Danao, che il priiiio pozzo in terra trova.
Navi superbe edifica .Mitiosso ,
Tifi il timon, con cui 1' alfreni e mova,
liellorofontc è tra coslor eli’ io narro ,
Ed Eritonio co’ cavalli e il carro.
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L’ ADONE. I7J
Guarda Aristeo con quanto util fatica
Del mel , del latte alla cultura inteude,
Tritolemo a’ mortai mostra la spica ,
Bigc r aratro , che la terra fende.
Preio allo scudo , Midia alla lorica
Travaglia, EtoloiI dardo a lanciar prende.
Scile pon r arco In opra e la saetta,
V asta Tirren, Pantasilea I’ accetta.
Ravvi poi mille fabbricati e fatti
Da Creteosi , da Siri e da Fenici ,
Mossi da rote impetuose e tratti
Altri arnesi guerrieri , altri artifici.
Vedi arpagoni e scorpioni e gatti ,
Haccbiue di cittadi espugnatrici ,
E da cozzar con torri e con pareli
Catapulte , baliste ed arieti.
Bertoldo vedi lA , nato in sul Reno ,
Che per strage del mondo e per ruina
1,’ irreparabii fulmine terreno
Fonde , temprato all' infernal fucina.
Quegli è Giovanni (oh rortimalo appieno!)
Che le stampe introduce in Argentina;
E ben gli dee Magonza eterna gloria ,
Come eterna egli fa 1' altrui memoria.
Cosi parlando per eccelse scale
Sovr’ aureo palco Si trovar saliti ,
E quindi entraro in galleria reale ,
Cbe volumi accogliea quasi Infiniti.
Eran con bella serie in cento sale
Riposti in ricchi armari c compartiti ,
Legati in gemme , ed ogni classe loro
Dlstinguea la cornice in linee d’ oro.
Ceda Atene famosa , a cui già Scese
Rapi gli archivj d'ogni antico scritto.
Che poi dal buon Selcuco all’ anni perse
Ritolti , in Grecia fer nuovo tragitto.
Nè da’ suoi Toloniei d’ opre diverse
Cumulalo Musco celebri Egitto.
Ne di tal libri in quest’ ctatc, e tanti
Crlilii si pregi, o il Yatican si vanti.
Molti n'eran vergati in molle cera ,
Molti in sottili c candide membrane.
Parte in fronde di palma c parte n’ era
Di piombo in lame ben polite e piane.
In Caldeo ve n’ avea scritta una schiera ,
Altri in lettre fenicie c soriane ,
Altri in egizj simboli c ligure ,
Altri in note furtive e cifre oscure.
Questo è l’erario , In cui si fa conserva.
Segui Mercurio , de’ più scelti inchiostri.
Di quanti mai scrittor Febo e Minerva
Sapran meglio imitar tra’ saggi vostri.
I nomi , a cui non noce età proterva.
Vedi a carattcr d’ or scritti ne’ rostri.
Qui stai! le lor fatiche e qui son stale
Pria che composte sieno e che sicn nate.
Quanti d’ Illustri e celebrati autori
Si smarriscon per caso empio e sinistro
Degni di vita e nobili sudori ,
Ed or Nettuno, or n’ è Vulcan ministro?
Or qui di lutti quei ricchi tesori ,
Che si.perdon laggiù , si tien registro ;
Sacre memorie ed involate agli anni ,
Che Iraman morte agli onorati affanni.
Là libreria del dotto Stagirila ,
Che il fior contien d’ ugni scrittura eletta.
Di cui Teofrasto in sull’ uscir di vita
Lascerà successore , è qui perfetta.
D’ Empedocle, Pitlagora ed Archita
Vi ha le dottrine, c qualunque altra setta,
Di Tale le , Democrito e Solone,
Parmenide , Anassagora e Zenone.
Petronio vi ha, di cui gran parte ascose
Torbido Lete in nebbie oscure e cieche.
Di Tacito vi son l’ ultime prose.
Tutte di Livio le bramale Deche ,
La Medea di Nasone, ed altre cose
He’ Latini miglior, non meli che greche.
Cornelio Gallo con Lucrezio Caro ,
Ennio cd Accio e Pacuvio c Tucca e Varo.
D’ Andronico e di Nevio i drammi lieti.
Di Cecilio e Licinio anco vi stanno ,
F. di Pubblio Terenzio I più faceti [no.
Sali, elle alle salse acque in preda andran-
E non pur d’ altri istorici e poeti
l,e disperse reliquie albergo v’ hanno.
Ma gli oracoli ancor delle Sibille,
Scampati dal furor delle faville.
Tacque, e volgendo Adon l’occhio in dis-
Vide gran quantità di libri sciolti , [ parte
Che avean malconce c lacere le carte ,
Tutti sossopra in un gran muccliio accolti.
Giacean negletti al suol , la maggior parte
Rosi dal tarlo, e nella polve involti.
Or perchè, disse, esposti a tanto danno
Dai bell’ ordine questi esclusi stanno? -
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174 MARINO.
E pcrcbi senza onor, senza ornamento
Dì coverta, o di nastro io qui gli trovo?
Un fra gli altri gittato al pavinienlo
Ne veggo là fra Drusianu e Bovo,
Che ( se creder si deve all' argomento)
Porta un titolo illustre : Il Mondo Novo.
Ma si logoro |iar, s' io ben dlscerno,
(Ihc quasi II mondo vecchio è più moderno.
Di scusa certo c di pietà soii degni.
Sorridendo l’intorprtrc rispose.
Quei, che d'ognì valor poveri ingegni
Si sforzati d'emular l'opre famose;
Che ingordigia d’onor non ha ritegni
Nelle cupide menti anilrizlose ,
E quando alto volar nc veggìun uno,
A quel segno arrivar vorria ciascuno.
Non mica a tutti è di toccar concesso
DcUa gloria iiuiuorlal la cima alpina.
Chi volar vuol senz’ali , accoppia spesso
All’ audace salita alta ruina.
Ha quantunque avvenir soglia 1* istcsso
Quasi in ogni bell'arte e disciplina.
Non sì vedo però maggior tracollo ,
Che di chi segue iudegnamonte Apollo.
Dietro a' chiari scrittor di Sniirna e Manto,
Per cui sempre vivranno ì duci e rarmi.
Tentando invan di pareggiargli al canto.
Più d'uno arroterà lo stile c I carmi.
Oh quanti poi, con quanto studio e quanto
Dell’ italico stuol di veder parmi
Tracciar con poca lode i due migliori ,
Che io sul Po canteran guerre ed amori!
Ma più non dìmoriam, ch4 poiché a questi
Ti ho scorto eterni e luminosi mondi ,
-Converrà, che altro ancor ti manifesti
Dei .secreti del Fato ahi e profondi,
E vie molto maggior, che non vedesti.
Maraviglie vedrai, se mi secondi.
Qui tacque e in ricca higgia e spaziosa
Il condusse a mirar mirabil cosa.
Vasto edirizìo d' ingegnosa sfera
Reggea, quasi gran mappa, un piedistallo.
Che si appoggiava ad una base intera
Tutta Intagliata del miglior metallo.
Era d’ ampiezza assai ben grande , ed era
Fabbrieata d'acciaio c di cristallo.
La ccrchiavan per tutto In molti giri
F'asce di lucidissimi zaffiri.
Forma avead’ un grati pomoe risplendea
Pili clie lucculc e ben polito specchio,
E d’aurei seggi intorno intorno avea
Per risguardai'la un comodo apparecchio.
Quivi.^ mentre die intento Adon tenea
L’oediìo alla palla, al suo parlar l’orec*
Mercurio seco c con la Dea s’ affise , [chìo,
Indi da capo a ragionar si mise.
Questa, dìcoa, sovraniortal fattura.
La qual confonde ogni creato ingegno.
Opra mirabil é, ma di Natura,
E di diviu Maestro alto disegno.
L’artcnce di tanta architettura.
Clic d'ogni altro arlllicìo eccede il segno.
Fu questa mia del gran Fattor sovrano
(Bctiebé imperfetta) imitatrice mano.
Che di poemi in quella lingua cresca
Numerosa farragine e di rime ,
La facii troppo iiiveiiziou tedesca [me.
N'i cagloo, che per prezzo il lutto imprì-
Ma se alcuna sarà, che inai riesca ,
L’opra, clic tu dict'sti t tra le prime.
Cosi figliano i uioiiU e il topo nasce.
Ma poi nato ch’egli è si more in fasce.
Sudò molto la man, né l'intelletto.
Poco io si nobii macchina sofferse,
E lungo tempo inabile archileUo
Sue fatiche e suoi sludj invan disperse;
Ma ipiei, eh' é sol tra noi fabbro perfetto,
Del bel lavor l’iuveiizìon m’aperse,
E il secreto mi fc’ facile c lieve
Di raecoi re il gran mondo in spazio breve.
Poiché si falli parti un breve lume
Visto appena bau laggiù nel vostro mondo,
1 1 V ccctaiarel dalle v cloci piume ,
Quel ebe vedesti già iicH' altro tondo.
Qui ridurle in un monte lia per costume
Per seppellirle in tenebroso fando.
Alfio le porla ad altulTar nel rio,
Cbe copre il lutto di perpetua obivlio.
E die sia ver, rivolgi a questa mia
Adamauliiia fabbrica le ciglia.
Di se vedesti, 0 se cs.scrpuò, che sìa
Istroniuilo maggior di meraviglia 7
Composta ò con taiu’artc c macslria.
Che al gioirò universal si rassomiglia.
Mirar nel ccrebio puoi limpivto c terso
Quanto l’orbe contien dell' universo.
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V ADONE.
Fonner di «ito rame un cleloanitusto
Fla forse in aicnn tempo altrui roneesso,
Dove or sereno, or di vapori onusto
L’aere redrassi e il tuono e il lampo es-
E tener moto regolalo c giusto [presso ,
l.a bianca Dea con l’ altre stelle appresso,
E con perpetuo error per l’ alta mole
Di fera in fera Ir tra le sfere il Sole.
Ma dorè nn tal miracolo si lesse ,
0 chi senno ebbe mal tanto profondo,
Che compilar, compendiar sapesse
La gran rota del tutto In picclol tondo T
Al magistero mio soi si concesse
Fare un vero model del maggior mondo.
Lo qual-dcl mondo insieme elementare,
(Non dieso! del celeste) è l’esemplare.
Onde di quante cose o buone , o ree
Passate ha II mondo in qualsirogUa etade,
E di quante passar poscia ne dee
Per quante ha colaggi ù terre e contrade;
Qui son le prime originarie Idee ,
Dove scorger si può ciò che vi accade.
Riluce tutto in questo vetro puro
Col passato e II presente, anco il futuro.
Vedi lo ione fervide e l’ algenti ,
E dove bolle e dove agghiaccia l’anno.
Vedi con qual misura agli elementi
Tutti i corpi celesti in giro vanno.
Verli il sentier, laddove I duo lucenti
Passcggierl del del difetto fanno.
Vedi come veloce il moto gira
Del del , che ogni altro del dietro si tira.
Ecco I tropici poi , quindi discerni
Volgersi il Cancro e quinci il Capricorno,
Dove aggnaglian del pari i corsi alterni
La notte ai sonno, alla vigilia il giorno.
Ecco i colori , uniti ai poli eterni ,
Che sempre il del van discorrendo intorno.
Ecco con cinque linee I paralelli ,
E nel bel meno il principal tra quelli.
Eccoli li sotto il più basso cielo
Il foco , che sempr’ arde c mai non erra.
Mira dcll'acque II trasparente gelo.
Che il gran vaso del mar nel ventre serra.
Mira dell’aria molle il snttil velo.
Mira scabrosa e ruvida la terra.
Tutta librata nel suo proprio pondo «
Quasi centro del del , l>ase del mondo.
175
Rimira , e vi vedrai distinti , e chiari
Bosclii , colli , pianure c valli e monti.
Vedrai scogli ed arene, isole e mari ,
E laglil q numi e niscelletti c fonti ;
Provincie e regni , e di costumi vari
Genti diverse e d’abiti e di fronti.
Vedrai con peli esqiiammeepenneerostri
E fere e pesci ed aiigellelti e mostri.
Vedi la parte, ove l’Aurora al Tauro
Il capo Indora e l’oriente alluma.
Vedi l’altra, ove lava al vecchio mauro
Il piè di sasso I* alTricana spuma.
Vedi là dove spula il fiero t^uro
Sulle balze rifce gelida bruma.
Vedi ove il negro con la negra gente
Suda sotto r arder dell’ as.se ardente.
Ecco le rupi , onde trabocca II Nilo , *
Che la patria c II natal si ben nasconde.
Ecco r Eufrate che per dritto Alo
Le due gran region parte con l’onde. ,
L’Indo è colà, che per antico stilo
Fa di tempesto d’or ricche le sponde.
Queir è il terren, laddove sferza e scopa
Le sue fertili piagge il mar d’ Europa.
Vuol l’ Arabie veder per te famose.
La Pctrea, la Deserta e la Felice?
Eccoti il loco appunto ove t’ espose
La trasformata già tua genitrice.
Ve’ le rive di Cipro, anihiilose
DI ima tanta bellezza abitatrice.
Conosci il prato, ove perdesti II core;
È quello il tetto, ove t’accolse .Amore.
Grande è II teatro c nel suol spaz] ImmenM
Chi langiie in pena e chi gioisce In gioco.
Ma per non ti stancar la mente e I sensi
In cose ornai , che tl rllevan poco.
Tanto sol mostrerò, quanto appartlensi
Alla bell’esca del tuo dolce foco.
Sai pur, che protettrice è questa Dea
Della stirpe di Dardano c d’Enea.
Le diede sovra Pallade e Citinone
Paride già delle bellezze II vanto ,
Benché iragicn n’ebbeH gtilderdone,
Ecorser sangue il Simoenta e il Xante.
Questa ( ma non già sola ) è la ragione ,
Ch’ella il seme troiano ami cotanto.
Mirolla in questo dir Mercurio e rise.
L’altra arrossi col rimembrar d’ Anchise.
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176 MARINO.
Or mentre, segni poi , del caro fianco
Uscito del deslricr, che Insidie cliiiide,
Stuol di greci guerrieri il Frigio stanco
Assai con armi impetuose e crmle ,
Sotto la scorta del buon duce Tranco
Ricorra alla meotica palude
Una gran parte di reliquie rirc;
Esuli , peregrine e fuggitive.
Taccio II corso fatai di queste genti,
E de' suoi rarj casi il lungo giro;
Per quanti fortuneroli accidenti
In Germania passar con Marcomiro;
Come di Marcomiro i discendenti
Nel gallico terrcn si stabilirò ,
Dappoiclit Kerramondo al mondo renne,
Cile dello scettro il primo onor vi tenne.
Nè fia d’ uopo additarti ad uno ad uno
Di quest’ ampia miniera i gran monarchi,
E le palme e le spoglie e di ciascuno
L' eccelse imprese e gli onorati incarclil.
La folla selva degli eroi, che aduno
Consenti purché brevemente io rarcbi,
E scelga sol del niihiero ch’io dico.
Col degno figlio il valoroso Enrico.
Volgi la rista ore il min dito accenna,
E la Lega vedrai l’ insegne sciorrc ,
E quasi armata ed animata Ardenna,
Tre foreste di lance in un raccòrrò.
Ma d'altra parte il paladin di Senna
Vedile pochi c scelti a fronte opporre.
Vedi con quanto ardire oltre Garona
Fa le truppe marciar contro Pcrona.
Montagna , che del elei tocchi i confini ,
Selva d'antiche e condensate piante.
Fiume che d’alta rupe in giù mini.
Tempesta in nemlio rapido c sonante ,
Nere indurata in freddi giughi alpini ,
Fiamma eh’ Euro alle stelle erga fumante,
Mar, cielo, inferno all’animosa spada
Forano agerol guado e piana strada.
Gucrricr,dcstrieriatterra,armLstendardi
Spezza c sprezzandogli urti, apre lestrade.
Nembi di sassi , grandini di dardi ,
Turbini d’aste , fnimini di spade
Piovongli sopra ed ci dei più gagliardi
Sostien gl’ incontri, agl’impeti non cade.
Nè stanco posa, nè ferito langue.
Fatto scoglio di ferro in mar di sangue.
Tutto del sangue osili molle c vermiglio
Abbatte, impiaga, uccide, ovunque tocchi.
VediI V ibrando a prova li ferro e II ciglio ,
Ferir coibrandoe spaventar con gli occhi.
Se altri talor nell’orrido scompiglio
Si rivolge a mirar quai colpi ci scoccili ,
Dal guardo è pria, che dalla spada ucciso,
E chi fugge la man non campa il viso.
Chi gli contcnder.’i l’alto diadema.
Se nn oste tal d’ ogni' poter disarma?
Nè sol dappresso II Rodano ne trema ,
Ma fa da lunge impallidir la Parma.
Ecco del Tagu la speranza estrema.
Il signor degli Allobrogi che s’arma.
Ecco die in prov a al paragon concorre
Con l’italico Achille il gallo Ettorre.
Odi Parigi i fieri tuoni, c vedi
Quanti Tirala man fniniini avventa?
Dell cliepeiisi'loh che fai? percliè non cedi?
Giù co’ giganti suoi Fiegra paventa.
Stendi , .stendi le palme c pietà cliledi,
E Taurce chiavi al regio piè presenta.
Stolta sei ben se altro pensierti move;
Cosi si vince sol Tira di Giove.
Vedilo entrar nelle famose mura.
Ed occupar le mal difese porte.
Vai! con la fuga cicca c mal seciira
Declinando il furor del braccio forte ,
L’ignobiI pianto e la pleliea paura;
Chi non fugge da lui segue la morte.
Battuto dal timor cade il consiglio,
E l' ordine confuso è dal periglio.
Eccolo alfin, cITè con applauso eletto
De’ Galli alteri a governare II freno,
Nè studia quivi con tiranno affetto
Iteni iisur|iati accumularsi in seno.
Cam larga nian , con gioviale aspetto
Versa d' oro, ov ’èd'nopo, il grembo pieno,
E d’or in or regnando, altrui più scopre
Generosi pensier, magnanim’opre.
Non vi Ila più loco ambizione ingorda.
Non più stolto furor, discordia fiera.
Non vi ha prudenza cicca , o pietà sorda ,
Pace c giustizia in quell’ impero impera.
Sa far, si lien le repugnanze accorda ,
Autunno gerinogliar di primavera ,
Mentre fra gli aurei gigli a Senna in riva
Pianta dopo la palma anco T oliva.
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L'ADO^E.
Virtù quaMo è magKÌor,lan(o è più spcs-
Deir invidia maligna esposta ai danni, [so
La quai suol quasi a lei far quell’ Istesso,
Che il tarlo ai legni e la tignuola al panni.
Qual oml>ra,che va sempre al corpo appres-
La perseguita ognor con varj aflanni. [so,
Mason gli oltraggi suoi , che olTendon poco,
Lim»del ferro c mantici del foco.
Mira il Sorde’ migliori, al cui gran lume
L'altrui sciocco livor divien farfalla ,
Merci di quel valor, che per costume
Quanto si affonda più , più .sorge a galla ;
Malgrado di chi nócergli presume,
Al pesi è i>alma , alle percosse è palla ;
Onde di novo onor doppiando luce
È fatto inclito re d' inclito duce.
Del guerrier forte, i cui gran pregi esal lo
Kia tale e tanta la suhiime altezza ,
Che come Olimpo olirà le nubi in allo
Moti teme i venti c I fulmini disprezza.
Cosi d’invidia , oppur d’insidia assalto
Danneggiar non potrà tanta grandezza ;
Anzi ogni ofle.sa ed ogni Ingiuria loro
Sarà soffio alla Samma e llanima all’oro.
Se non eh’ io veggio di furor d’ inferno
Di una furia terrena il petto acceso,
E punto dalle vipere d’Averno
Un cor malvagio a perSd’opra inteso.
Non vedi là, come colui, che a scherno
Prese eserciti armati , a terra ha steso
Mosso da folle e temeraria mano,
Con un colpo crndel ferro villano?
Ma che? Se da colei, che vince il tutto,
È vinto alfine il sempre invitto Enrico ,
L’alto onor de’Borbon quasi distrutto
Tn parte a ristorar vicn Lodovico ,
Che da si degno stipite produtto ,
Aggiunge gloria al gran lignaggio antico,
E sotto r ombra del materno stelo
Alza felice i verdi rami al cielo.
Or mi volgo colà , dove Baiona
Smalta di gigli i fortunali lidi.
Veggio superbo il mar ches’ineorona
Di gemme e d’or, qual mai più ricco il vidi.
Già già l'arena sua tutta risona
Di lieti bombi e di festivi gridi.
Veggio per Tonde placide e tranquille
Sfavillar lampi e lampeggiar faville.
Nè T indico Oceano orientale
Tante dduna nel sen barltare spoglie :
Nè lo stellato cicl cumulo tale
Di bellezze e di lumi in fronte accoglie.
Oh spèltaeoi gentil , pompa reale ,
Oh ben nato consorte, oh degna moglie !
Qual concorso di regi e di reine
Scetide a felicitar Tacque marine!
RIsguarda in mezzo al fiume ov’ io li moalro
\ edrai colonne eburnee , aurei sostegni
Con un gran sovraciel di lucid’ òstro »
Par ricca temla a un’ i.sola di legni , [slro
Che fianco a fianco aggiunti e rostro a ro-
Porgojioll nohii cambio aiduo granregni.
Mentre prendono e dan Spagna a Parigi
Lisabetta a Filippo, Anna a Luigi.
Quando all’allespcranzc in sen concetto
Tenendo il mondo già tutto converso,
Cinto d’armi forbite e genti elette
Spaventa il Moro ed atterrisce il Perso,
E gli appresta Fortuna c gli promette
Lo scettro universa! dell’ universo.
Pria che egli vada a trionfar d’ altrui ,
Vieti Morte iniqua a trionfar di lui.
Vansi le Virtù tutte a seppellire
Nel sepolcro che chiude il Sol de’ Franchi,
Salvo la Fama, che non vuol morire,
Percliè alle glon'e sue vita non manchi ;
E come al caso orribile a ridire
I suoi tatù’ occhi lagrimaudo Ita stanchi.
Cosi per farlo ancor sempre immortale
Si apparecchia a stancar le lingue e T ale.
Ma vedi opporsi agl’imenei felici
Suddite al Gallo c ribellanti schiere,
E coprir di Guascogna i campi aprici
Quasi dense boscaglie , armi guerriere.
Quinci e qiiinili avversarle e protettrici
Spiegati Guisa c Condè bande e bandiere.
Ma del figlio d' Fìnrico il novo Enrico
SI mostra si , non è perù nemico.
• '
L’uiioècolui.che sotto ha quel destriero
Baio di pelo, italiaii di razza;
,Di tre vaghi aironi orna il cimiero,
F! di croci vermiglie elmo e corazza.
Benché misto di bigio alibia.il erin nero.
Gli agi abbandona, ed esce armatoinpiaiz-
E carco In un d’ esperienza e d’ anni , [za ;
Torna di Marte ai già dismessi aOannl.
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MARINO.
178
L'altro è quei più lonun ,cho la campagna
Scorre, di ferro e d’or gra'c lucente.
È sul ' crde degli anni , e l' accompagna
Fiera c di noviU cupida gente.
Ila nello scudo i gigli, e di Breuagna
Cavalca ubero un curridor possente,
E tien dal fianco allraversata al tergo
lina banda d’azzurro in sull’usbergo.
Già giù numero ini mcnso i ii gombra il pia-
lli tende armate c di trabacche tese, [no
Piagne disfatte il misero Aquilano
E le messi e le muli al bel paese.
Già timo il giglio d' òr di sangue umano ,
Che è pure (ahi ferità ) sangue francese ,
Sembra quel fior, che del suo re trafitto
Nelle foglie purpuree iinonielia scritto.
Gallia infelice, ahi qual s’appiglia, ahi
Nelle viscere tue morbo intestino! [quale
Rode il tuo sen profondo intorno male
Di domestico tosco e cittadino.
Pqgnan discordi umori in corpo frale
Si ch’io preveggio il tuo morir vicino;
Ed al tuo scampo ogni o|lra, ogni arte è v a-
Se medica pietà non (i risana. [na,
Pan colà men le alla gran donna d' Amo
Con qual valor la sua ragion difende.
Nè con petto tremante, o viso scarno
Fra tante cure sue posa mai prende.
• Vorrtibbe (e il leu ta ben, ma ilten la Hidar-
Senza ferro eslirjtar le teste orrende, [no)
Le teste di quell'idra empia ed immonda.
Di veleno Infernal sempre feconda.
Fissa dritto colà meco lo sguardo.
Dove l'ampia riviera il |>asso serra.
Quiv i campeggia ’l gran cainpìon Guisardo
Contro cui notisi tien torre, nè terra.
E par die dica intrepido e gagliardo.
Chi la pace ricusa, abbia la guerra.
E con prodezza alla baldanza eguale
Dell’ av versarlo i miglior forti assale,.
L’ esercito reai cauto provvede
Di gen li e d' armi , e non s’ allenta, o stane
Per eseguir quanto giovevol crede ,
0 necessario alla corona franca.
0 senza eseoipiu incomparabilfede!
Quando ai casi opportuni ognialtromanca
Sol questi a par delle più forti mura.
Mostra petto costante, almasecura.
Fa gran levate di c.vvalli e fanti;
Cile può contro costor l'oste nemica?
Gente miglior non vide il Sol Ira quanti
Cinser spada giammai, ve.slir lorica.
Non sanno in guerra indomiti e costanti
0 temer rischio, o ricusar fatica,
l'si in ogni stagion con l'armi grevi
Rere i sudori e calpestar le nevi.
Oh qual ferver di Marie, oh qual già tocca
Al re crescente il cor foco d’ardire I
Brama di girdra’ folgori, che scocca
Più d’un cavo metallo, a sfogar l’ire,
àia dappoldiè non può là dove fiocca
l.a tempesta del sangue, in pugna uscire,
Vasscne o caccia esercitando, o giostra.
Che una effigie di guerra almen gU mostra.
Clic non fa per troncarle lecco pospone
Alle pubbliche cose il ben privalo,
Ed all' impeto oslil la vita espone
Per salvar del gran pi glio il dubbio stato.
Ad accordo venir pur si dispone ,
E sospende tra l’ ire il brarcio armalo,
Purcliè il furor s' acqueti c ressi quella
D’orgoglio insano a(|iiiloiiar procella.
Cosi Icoii dalla mammella irsuta
Uso ancora a poppar cibi novelli ,
Tosto che r uiigliia al pièsenlc cresciuta,
.\IIa bocca le zanne, al collo 1. velli ,
Già la rupe Italia sdegna c rifiuta,
l.a tana augusta e le vivande imbelli ;
Già segue là tra le cornute squadre
Per le gettile selve il biondo padre.
Maquaiidoalfinla gran iriivivesiasrorge,
Clic l’ aria offusca, c il mar rontiirba e nie-
E clic l’ onda icrri iiile più sorge , [sec,
E che il vento implacabile piùcrosce.
Al ben saldo limon la destra porge,
Drizzasi al polo, c di caniiiiin non esce.
Or con forza reggendo, or con Ingegno
Tra tanti flutti il travagliato legno.
Ma q Ilei la Dea (di' al Irò clic Dea non deve
Dirsi colei, clic a divin’opre aspira)
Smorza iniaiiloquel foco enonl’è greve
Per la commi salute il placar l' ira.
I congiurali principi riceve ,
E l'accampalo esercito ritira ,
Ed al pepili fellone e contumace
Perdonando il fallir, dona la pace.
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L’ADONE. nn
Ecee d’astio (>rlTato ancor bollire
De'duci istessi gli aniini Inquieti ,
E in stretta lega ammutinati ordire
Di novelie congiure occulte reti.
Ecco r accorto re viene a scoprire
Di quel trattato i taciti secreti,
E da’ sospetti d’ogni oltraggio indegno
l'<on la prigione altrui libera li regno.
Poiehill pensierdel macchinato danno
Vano riesce e d’ogni cfletto roto,
Del capo afflitto le reliquie vanno'
Qual potvc sparsa allo spirar di Noto.
Ma per norc ragion ptir anco fanno
Novo tra lor sedizioso moto;
Eppur con nove forze e genti nove
La regia armala a’ danni lor si move.
Fuor de’ materni Impeij Intanto uscito
Passa il re novo a possedere il Irono ,
Da cui pria calcitrante e poi pentito
Chi pur dianzi rolTese, otiien perdipio.
Richiamata l> Virtù , Marte sbandito
Per qiieit’alto donzei , di cui ragiono; #
L’ alto donici , che sostener non pavé
Con si tenera man scettro si grave.
n Tamigi , il Danubio , il Reti , il Reno
l.’ama, il teme, l’ammira anco da iiinge,
Anzi fin nell' italico terreno
dar le leggi col gran nome giunge.
E se pur di vederne espresso appieno
Un degno esemplo alcun desio ti pimge,
Risgtiarda in riva al Po, come si face
Arbitro della guerra e della pace.
lodicd, ore Ira II Po, che non lontano
.Nasce, e la Dora e il Tanaro rìsle;le
Il bel paese, al cui fecondo plano
La montagna del ferro il nome diede.
Vedrai Savoia con armata mano.
Che due cose In un ponto a Manica chiede.
Il pegno della picclola nipote,
E de’ confin la patteggiata dote.
Vedi di Cadmo II snccessor, che viene
In campo a por le sue ragioni antiche ,
E perché l’ima nega e l’altra tiene ,
Case unite in amor tornan nemiche.
Forse nutrisci, o Mincio, entro le vene
Il seme ancor delle guerriere spiche,
Poiché veggio dal sen della tua terra
Pullular tuttavia germi di gtierra? ,
Veder puoi di Torin l’ Invitto duce.
Cui non ha Roma , o Macedonia eguale ,
.Che carriaggi e salmerie conduce ^
Con varie sovra lor macchine e scale.
Su lo spuntar della diurna luce
A Trino arriva, e la gran porta assale.
Vedi sttiol piemontese e savoiardo
Quivi attaccar r espugnalor petlardo.
«
Ecco rotto II rasici , passato il ponte.
Non perù senza sangue e senza morti ,
Le genti alloggia all’alta rocca a fronte,
Prende ì qiiartier piti vantaggiosi e forti.
Manda la valle ad appianar col monte,
I picconieri e i manovali aerarti.
Mette 1 passi a spedir scoscesi e scabri *
Con vanghe e zappe e guastadori c fabri.
Fa con gabbie c trincee steccar dintorno
De’ miglior posti I più securi siti.
Col sembiaiite'rcal vergogna e scorno
Accresce ai vili , ed animo agli arditi. ’
Par fiamma, o lampo, or parte, or fa ritor-
Cercanilo ove conforti , ed ore aiti , ino
Mentre il cannon, che fulminando scoppia
NdTlvellln la batteria raddoppia.
Ed egli In un co’ generosi figli
Studia , come lalor meglio si batta ,
Sempre occupandoinfrh i maggior perigli
La prima entrata e l’ ultima ritratta.
Convicn, che pur (R ceder si consigli
La terra alfin per non restar disfatta ,
Ed apre al vlncltor, che l’asseciira
Dalla preda , dal ferro e dall’ arsura.
[quisla;
Honcalvo a un tempoespugna anco e eoa-
Ma chi pn* qui vietar che non si rirbe?
Va il tutto a sacco. O qual confuso e mista
Scorgo di fumo e polve oscura nube !
E se pari l’ udir ftisse alla vista ,
Risonar v’ udirei timpani e tube.
Rendersi i difensor giù veder parmi ,
Salve le vite con gli arnesi c l’ armi.
Pur nell’ Alba medesma Alba ésorpresa,
Eppur dalle rapine oppressa langne.
II miser citladin non ha difesa
Per doglia afflitto e per paura «sangue.
Vali soldato, ove il trae fra Tire accesa
Fame, d’ or, sete d'or più che di sangue. ^
Suscita Toro, eh’ é sotterra accolto ,
E seppellisce poi chi l’ha sepolto.
*■
»
• •
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Ito MARINO.
Di buon presidio il gran guerrier fornisce
Le prese piazze ed ecco il cani po lia mosso.
Nova milizia assolda, e ingagliardisce
Di gente civezia c valesana il grosso.
Ecco della cittli , che Impaludisce
Là tra ilfielbo e la Nizza , il muro hascosso.
Ecco a difesa del signor di Manto
li vicino Spagnol moversi intanto.
Per reverenza dell’ Insegne Iberc
Toglie a Nizza I’ assedio, e si ritraggc ;
Quindi van di cavalli armate schiere
D' Incisa e d’ Acqui a disertar le piagge.
Tragedia miserabile a vedere
I.e culte vigne divenir selvagge,
E dal furor del foco c delle spade
Abbattuti I villaggi, aiae le biade.
Trema Casale ; a temprar armi intesi
Sudano i fabbri alle fucine ardenti.
L'acclarmanca a tant' uopo,onde son presi
Mille dagli ozj lor ferri innocenti.
Rozzi non solo e villarecci arnesi,
* Ma cittadini artefici stromenti
Forma cangiano ed uso e far ne vedi '
ElmicscudI, aste ed azzeespadeespìedk
Il vomere già curvo, or fatto acuto,
A Beliona donato, a Cercr tolto.
Su la sonante incudine battuto,
D* aratore in guerrier vedi rivolto.
L’ antico agricoltor rastro forcuto.
Nel fango e nella ruggine sepolto.
Vestendo di splendor la viltà prima,
Ringiovenisce al foco ed alla lima.
Intanto e quinci e quindi ecco spediti
Vanno, e vengono ognorcorrieri emessi.
Chi il buon re, eh* lo dicea, vuol che sopiti
Siano i contrasti, c la gran pugna cessi ;
Ed acciocchÈ gli aliar di tante liti
In non sospetta man restiti rimessi.
Ai deputati imperiali e regj
Fa consegnar della vittoria i preg].
S' induce alfm, capitolati i patti,
I.’ eroe dell' Alpi a disarmar la destra,
E dei delBnltor de’ gran contralti
Tra le mani il deposito sequestra.
Ma qual rio sacrilegio ò che non tratti
L’empia discordia d' ogni mal maestra?
■ Ecco da capo al rinnovar dell'anno
Novi interessi a nove risse il Iranno.
Tornano a scorrer Tarmi ove ancor stassi
La prateria si desolala o rasa, ’
Che ne stillano pianto e sangue i sassi,
PoichI' fabbrica in piè non v'è rlmatia.
Nè resta agli abitanti amilli e lassi
Villa, borgo, poder, castello, ocasa.
Già s' appresta la guerra, e già la tromba
Altri chiama alla gloria, altri alla tomba.
Colui di’ è primo e la divisa ha nera
E sull’ usbergo bruii bianca la croce,
(Reii il conosco alla sembianza altera)
È Carlo , il cor magnanimo c feroce.
Di corno in corno e d’ una in altra schiera
Il volo impenna al corridor veloce.
Per tutto a tutti assiste e il suo valore
Intelletto i del campo., anima e core.
Spoglia di grosso e malcuralo panno ,
Lacerata da lance e da quadrella ,
L’ armi gli copre c fregio altro non hanno.
Nè vuol tanto valor vesta più bella.
Spada , splendido don del re britanno ,’
Cii|ge, ni v’ha ricchezza eguale a quella.
Ricca , ma più talor suo pregio accresce ,
Chi i rubin tra i diamanti il sangue mesce.
Mira colà , dove distende c sporge
A$ti verso Aquiloii T antiche mura.
Poco lungo di fuor vedrai che sorge
Un piccioi colle In mezzo alla pianura.
Quindi (fuor che la testa} armato el scorge
Le classi tutte , e il suo poter misura.
Quindi del campo in generai rassegna
Rivede ogni guerrier, nota ogn’ insegna.
Quasi pastor, che le lanose gregge
Con la prov vida verga a pasco adduca ,
Con leggiadre ordinanze altrui dà legge
Il coraggioso, il bellicoso duca.
Per mostrar quivi a chi l'affreua e regge
Come di ferro e di valor riluca ,
Spiega ogni suini vessilli e gonfaloni.
Gonfia stendardi c sventola pennoni.
Quanto d’ Insubria il bel confin circonda
Fin sotto le ligustiche pendici ,
Quanto di Sesia e Bormla irriga Tonda,
Volo rimali di turbe abitatrici.
Quel , che nella vallea cupa e profmida
fvoggioriian del Monviso alle radici,
Vengnnvi , e di Provenza c di Narbona
Quei che bcron Diirenza, Isara e Sona.
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L’ ADONE.
Nè pur li' Augusta solo c di Lucerna
Le valli incuUe e le montagne algenti,
E dagli aspri cantoni Agauno e Berna
Mandanti copia di robuste genti ;
Ma giù dall’ Alpi, ove mai sempre verna,
V’inondan (|uasi rapidi torrenti,
Per le vie di Bernardo e di Gebcnna
Quei che lasciano ancor Ligeri e Senna.
Un che con armi d’or va seco al paro-,
È l’Aldighiera, il marescial temuto.
Che sotto giogo di pesante acciaro
Doma il corpo rugoso e il crin canuto. ,
Ecco di Damian l'eccidio amaro.
Da' due franclii gucrrier preso e battuto ,
Ed ecco d’ Alba la seconda scossa.
Chi fla , che impeto tanto arrenar possa?
Poi) mentea quel cimier che con tre ciiAe
Di bianca piuma si rincrespa al vento.
E di Vittorio, il principe sublime.
Del Piemonte alta speme, alto ornamento.
Ben l’interno valor negli alti esprime.
Ha di latte il destrier, l’armi d'argento.
Ed’ un aureo moiiil, che al petto scende,
Groppo misterioso al collo appende.
Vedi con quanto ardireein che fier alto
Inaspettato a Messcran s’ accampa ,
E giunto a Cravacor, quasi iu uu tratto
Di ruina mortai segni vi stampa.
Già questo c quel, poiché del giusto patto
Nonfurcontenti, in vive fiamme avvampa.
Già d’ ambedue con esterminio duro
Spianato è il Torte e smantellato il muro.
Vuoi veder un, che natoagrandi imprese.
D’emular il gran padre s’ alTatica? .
Mira Tommaso , il giovane cortese ,
Che tinta di sanguigno ha la lorica,
E il cuoio del leon sovra l’ arnese
Porta, dell’avo Alcide insegna antica.
Di seta ha 1 velli e con sotlil lavoro
Mostra il ceflh d' argento e l’ unghie d’ oro.
Vedilo in dubbia e perigliosa miscliia
Passar ^ra mille picche c mille spade.
Già dal volante fulmine , che fischia ,
Trafitto il corridor sotto gli cade.
Ma ne’ casi maggior viepiù s’arrischia
Quel cor, che col valor vince l’ctadc,
E pien'^ d’ ardir più generoso ed alto.
Preso novo destrier, torna all' assalto.
181
Miralo poi , mentre il maggior fratello
Con gran guasto di morti c di prigioni .
llompe il soccorso e il capitan di quello
Uccide , che confuso è tra’ pedoni ;
Della cavalleria giunto al drappello
Torre i regj stendardi a due campioni ,
Indi mandargli per eterno esempio «
D’alta prodezza ad appiccar nel tempio.
Solo il gran Filiberto altrove intanto
Dtibbioso spcttator, stassi in disparte.
Ma il buon Maurizio con purpureo manto
Regge il paterno scettro in altra parte,
E l’ alte leggi del governo santo
Con giusta lance ai popoli comparte.
Talor pio cacciatore al fidi cani
Del devoto Amedeo dispensa i pani.
Oh se mai prenderà Tifi celeste,.
Il gran tiinon della beata nave ,
Da qua! scogli secura , a quai tempeste
Sottratta , correrà calma soave! ^
Già la vegg’ io per quelle rive e queste
Portar, nov’ Argo, di gran merci grave ,
Scorta da divin '/elDro secondo ,
li vello d’oro a vestir d'oro il mondo.
Ma vedi or come freme e come ferve
Contro costoro il fior d’Italia tutta.
Genti all’ ibero o tributarie , o serve ,
Gioventù ben armata , e meglio instrulta.
Ben a tante e si fiere armi e caterve ,
Si oppon l'inclito Estense e le ributta.
Alfiii pur all’esercito, che passa,
Libcro.il cammin cede e il varco lassa.
Passan l’ ardite schiere e di Milano
li prefetto maggior tra’ suoi l’accoglie.
Eccolo là sovra un corrente ispano ,
Che l’ insegne reali all’aura scioglie.
Il baston generai di capitano
Ticn nella de.stra e veste oscure spoglie.
Mira poi come in un feroci e vaghi
S' armai! dall’altro lato i gran Gonzaghi.
Quei ch’had’un verde scuro a Roccoa floc-
La sopravesta , è di Niverse il pregio, [co
Vedi un cli’ha d’or lo scudo e d’or lo stocco.
Quegli è Vincenzo il giovinetto egregio.
L’altro, che splende di lucente cocco,
E In sembiante ne viene augusto e regio.
Riposato nel gesto e venerando ,
Quegli, s'to ben comprendo,è Ferdinando.
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182 MARINO.
Lascia i Iwi sludj c prende a guerra accin-
Uaì tranquilli pcusier nira diversa, [to
ManU) die il fior dei liidd’ ostri ha tinto,
Fa ricca pompa all’armatura tersa.
Oroppo di gemme in cima il tiene arrinto
Sicché l'omero e il petto gli attraversa;
Ma pur l’arclar con argentata luce
Sotto la fina porpora tralucc.
Vedi il Tolédo , che Vercelli affronta ,
Già r ha di stretto assedio incoronala.
La citti tutta alle difese pronta
Sta sulle mura e sulle torri armata.
Vedi lo scalator, che su vi monta ,
E il cittadino a custodir I' entrata ;
Ma poiché assai resiste e si difende,
Per difetto di polve alfin si rende.
In questo mezzo il capitano alpino
Di far giialdane e correrie non resta.
Filizzano ed Annone e il Monferrino
Con mille piaghe in mille guise infesta.
Oltre il frutto perduto, il contadino
Forza è che paghi or quella taglia or questa.
Corre I’ altrui licenza , ove l' alletta
Desire o di guadagno, o di vendetta.
Cosi divisa, e dell’ istorie Ignote
Svela il fosco tenor lo Dio d’Egitto,
Quando nel terso aeciar, tra le cui rote
Quanto creò Natura é circoscritto,
-Adone in parli alquanto Indi remote
Volgesi e vede un non minor confHito.
Dove la gente In gran diluvio inonda,
E diffuso in torrenti il sangue abbonda.
Onde rivolto ai messagger volante :
Della bella facondia arguto padre ,
Disse, 0 nunzio divin , tu che sai tante
Meraviglie formar nove e leggiadre,
L’altra guerra. Che fan quindi distante
L’altrech’altrove lo veggio armate squadre
Fam mi conto onde avvien poiché ancor qui-
Par si combatta e corra il sangue in rivi, [vi
Io ti dirò , risponde , altra cagione.
Austria in un tempo a guerreggiar sospin-
Con la donna reai del gran leone , [gè
Clic per Adria guardar la spada stringe.
Né pur del sangue di più d' un squadrone
l.a terra sola si colora e tinge ,
Ma il mare islesso in non men fioro assalto
Rosseggia ancor di sanguinoso smalto.
Se gola hai di vederlo , or meco affisa
Dritto le luci , ov’ io I’ affiso e giro.
Egli girolle , e in disusata guisa
Vide oudeggfar lo sferico zaffiro.
Già di Anlìlritea mano a man ravvisa
1 vasti alberghi entro l’angusto giro,
E di gran selve di spalmati legni
Popolati rimira i salsi regni.
DaHc rive adriatiche e dal porto
DI Parlcnope bella, alate travi
Già del ferro mordace II dente torto
Spiccano, onuste di metalli cavi.
Già quinci e quindi a para par s’é scorto
l'n naviglio compor di molte navi ,
Le cui veloci e volatrici antenne
Per non segnate vie hatton le penne.
Volati per l’ alto e de’ cerulei chiostri
Arano i molli solchi i curvi abeti.
Rompon co’ remi e co’ taglienti rostri
Delle prore ferrate II scn di Teli.
I fieri armenti dei marini mostri
Fuggono spaventati ai lor secreti.
Sotto r ombra degli arbori che aduna [na.
Qucst’armatae queir altra, il mar s’Imbm-
Appena omeri quasi ha 11 mar bastanti
II pc.so a sostener di tanti pini.
Appena II vento istes.so a gonfiar tanti
Può co’ fiati supplir, candidi lini.
Fugaci Olimpi e vagabondi Atlanti,
Alpi comuiti e mobili Appennini
Paioli, svelti da terra c sparsi a nuoto,
I gran vascelli alla grossezza , al moto.
Veder fra tanti affanni in tanta guerra
La vergin bella a Gilerea dispiacque.
La vergin bella , che s’ annida e serra
Tra i lucenti cristalli , ov’ ella nacque ;
Ond’ hanno insieme il mar lite e la terra.
L’ima gli offre le rive e l’altro l’ acque,
Piignan con belle ed ambiziose gare
Per averla Ira lor la terra e II mare.
Ecco che gorghi già di foco e polve
Vomita il bronzo concavo e forato.
Scoccando si , che i legni apre c dissolve.
Con fiero bombo il fulmine piombato.
Nebbia d’ orror caliginoso involvc
E mare e del da questo e da quel lato.
Sembra ogni canna ( tante fiamme spira)
La gola di Tifeo, quando si adira.
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L’ADONE. •- 183
Gii viensi ad afferrar poppa con poppa,
Già sproH con sprone impetuoso coirà ,
Già vota il fusoc il fil,che Clolo aggroppa
Di mille vite a un punto Atropo mozza, [pa,
Spada In spaùa.asta In asta urtando intup-
L’ acqua già ne divicn squallida e sozza ,
E del taiiguc coinun tinta, sonilglia
Del gran golfo Eritreo l' onda vemiiglia.
L’ una classe nell’ altra avventa e scaglia
Pregni d’occulto ardor globi e volumi ,
Onde, mentre più stretta è la battaglia,
Incendio repi nlin vienebe s’allumi.
Scoppiati le cave p.alle e fan che soglia
Turbo alle stelle di faville e fumi.
Tra H bitume e la pece e il nitro e il zolfo
Citi sbalzasi cici, chi sdrucciola nel golfo.
Scorre Vulcano e momorando nigge,
E tra i ruggiti suoi vibra la lingua.
Gabbie Intorno e castella arde e distrugge,
Ni sa .Nettuno ornai , coiue l'estingua.
L’esca del sangue, che divora e sugge,
AUuiento gli porge , onde s’ impingua.
Vince , trionfa e con la man rapace
Depreda il tutto imperioso e sfacc.
In ben mille piramidi vedresti
Sorger la fiamma dagli ondosi campi ,
Alzar le ponte, ed a quei venti e questi
Crollarle cornac scaturirne I lampi.
Tra si fieri spettacoli e funesti [pi.
Par che la liamma ondeggi e l’onda avvam-
par che torni alla lite, onde pria nacque.
Fatto abisso di foco , il cìci dell’ acque.
L’ eccelse poppe e le merlale rocclic
Soli cangiate in feretri c fatte tombe.
Con rauche voci e con tremende bocche
Romoreggian tamburi c stridon trombe.
Lanciansi i dardi c volansi le corche,
Vibransi Paste c rotatisi le Trombe ;
Clii niuor trafillo e chi malvivo langue,
Solcan laceri busti il proprio sangue.
Tremendi casi , la spietata zutfa
Mesce di ferro in un , d’acqua e di foco.
Chi nel fondo del pelago .s'attnOa,
Chi del sale spumante è fatto gioco.
Chi galleggia risorto c il flutto sbuffa,
Chi tenta risalir, ma gli vai poco ,
Chè ricade ferito, ed a versare
Vicn di tepido sangue un mar net mare.
Strepito di minacce e di querele, '
Di i>ereosse e di seoppj i lidi assorda.
.Altri con man delle squarciale vele
S'ailien sospeso in aria a qualche corda,
•Ma giunto dall'arsura empia e crudele
Vassi a precipitar nell’onda ingorda.
Onde con strana « ni i.si rabll sorte
Prova quattro elenienti in una morte.
Or quando più cnidel bolle la giwrra ,
E va baccando la Discordia stolta ,
Qnando di qua di là fonda e la terra
Tutta è nei sangue e nell’orrore involta;
là'co del fier Bifronte il tempio serra
Colui che anco il sevró la prima volta.
Placa gli animi alicri, c fa che rada
L’ Ira dai cori e dalla man la spada.
E per fermar con sempre staliil chiodo
La pace che ii gran tempo ila in esigilo,
Cristina bella in sacrosanto nodo
Strìnge del re dei moiui al maggior figlio.
VcdrassI il groppo, ondo si gloria Rodo,
Insieme incatenar la palma e il giglio.
E tu di gigli allor, non più di rose
Tesserai , Dea d’ amor , trecce amorose.
Già d’ età, già di senno, e già cresehito
Tanto è di forze H giovinetto Atignsto,
Clio ottico del pari amabile c temuto
Vanto di buono c titolo di giusta.
Ma l’orgoglio dei principi abbattuto
Sorge ancor più superbo c più robusto,
E il IveI regno da Inr straccialo a brani
Rassomiglia Atteon tra ì propri cani.
Movesi all’ armi , e ne va seco armalo
Enrico, il primo fior del regio .seme.
Quei, elle pur dianzi andò, quasi sdegnato.
Co’ mcn fedeli a collegarsi insieme.
Sdegno fu, ma fu lieve; or clic allo stato
Del gran cugino allo periglio el teme ,
Gli sovvien quanto è d’uopo in tanta im- ,
Di consiglio , d’ aiuto c di difesa, [presa
Va con poche armi ad assalir la fronte
Dei nemici dispersi , c li sorprende.
Non vedi Can, che volontarie c pronte
Gli disserra le porte c gii si rende 7
Vedi di Sci nel sanguinoso ponte
Quante squadre rubclle a terra stende.
Poi per domar la scellerata seti»
Ver l’ estrema Biarnc il campo affretta.
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Ifli MARINO.
Cede lo sforzo , e l’ impelo nemico,
Ingombra Navarrin terrore e gelo.
Gii v’eiitra,e nell’entrarvi il re ch'io dico,
Non men clic di \alor s’arma di zelo.
Rende ai dislrulti altari il cullo antico,
A si' stesso r onor, la gloria al Cielo.
Ogni passo è vittoria, ovunque ei vada,
K vince senza sangue e seiua spada.
Oual uont che pigro c sonnacchioso dorme
Giace col corpo in tulle piume molli ,
Con l'alma del pensicr seguendo Torme,
Varca fiumi e foreste c piani c colli ;
Tal rivolgendo Adon gli occhi alle forme,
Della cui vista ancor non son satolli ,
Non sa se vede , o pargli di vedere
Tra lumi ed ombre immagini e chimere.
Mentre ch’ei pur dei simulacri accolti
Nel mondo cristallin i'opre rimira.
Del silenzio in tal guisa i nodi ha sciolti
L'alto invchtor della celeste lira.
Sappi , che dietro a molti corsi e molti
Del gran pianeta che II quart’ orbe gira ,
Pria che alibia elTetto il ver staranno ascose
Le qui tante da te vedute cose.
Ma quei successi, chcancorchiudcii Fato,
1" ho voluto mostrar, come presenti, .
Acciocché miri alcun fatto onorato
Delle più degne c gloriose genti.
Fin qui Giove periiictte, « non m'é dato
Più in là scoprirti dei futuri eventi.
Or tempo é da fornir l'opra che resta.
Vedi il Sol , che nel mar china la lesta.
Vedi che armata di argentati lampi
Per le campagne del suo ciel serene
l.a stella inferlor, che ornai degli ampi
Spazj dell’orizzonte il mezzo tiene.
Mentre dell’ aria negli aperti campi
A combatter col di la notte viene.
Prende a schierar delle guerriere ardenti
I numerosi eserciti lucenti.
Lungo troppo il cammino, e breve è l'ora-.
Onde convien sollecitare il pas.so.
Per poter, raccorciala ogni dimora ,
Tornar per Torme nostre al mondo basso.
Perocché il suo bel lume ha già l’Aurora
Due volle acceso , ed altrettante casso
Da che partimmo, c qui (fuor che a felice
Gente immortale] il troppo star non lice.
Cosi Mercurio ; e T altro allor dintorno
Dove T occhio il traea , volgendo il piede.
Le ricche logge dell’albergo adorno.
Di parte in parte a contemplar si diede.
E da che prese a tramontare il giorno ,
Che ivi all’ombra perògiammai non cede, .
Non seppe mai da tal vista levarse
Finché Tallr’alba in oriente apparse.
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L’ADONE;
I8&
CANTO UNDEGIMO.
LE BELLEZZE.
ALLEGORIA.
Perla luce die circonda le ombre delle donne belle, s'inicnde la Bellezza, la
qual da’ platonici fu delta raggio di Dio. Nella Fama che seguita la reiiia Maria
de’ Medici , e parla delle sue grandezze, si compreude clic la lode va sempre dietro
alla virtù , c che le azioni generose ed illiistri non restano giammai senza la meritala
gloria. In Mercurio, che a’ prieghi d’ Adone calcolandogli la figura della nativitA, e
pronosticandogli la morte, vien confutato da Venere, si dinota quanto sia grande
1’ umana curiosità di volere Intendere le cose future , c quanto poco si debba credere
alla vanità dell’ astrologia giudiciaria.
ARGOMENTO.
Bellezze i contemplar d’alme divine
Sen pogala al terzo del la eoppl.v lieta;
E dagli eflclU di quel bel pianeta
Scopre lo Dio facondo alle dottrine.
0 già dell’Arno, or della Senna onore.
Maria più eh’ altra invitta e generosa.
Donna non già, ma nova Dea d’ amore ,
Che vinta col tuo giglio hai la sua rosa ,
E del gallico Marie il fiero core
Domar sapesti e trionfarne sposa , .
Prendi queste d’ onor novelle fronde ,
Nate colà su le castalie sponde.
Queste poche d’ onor fronde novelle.
Questi fior di Parnaso e di Permesso
La tua chioma reai degna di stelle
Non sprezzi, ond' io corona oggi le tesso;
Poiché anco II Sole, o Sol dell’ altre belle.
Che è della tua beltà ritratto espresso ,
Scorno non ha , che fra la luce e I' oro ,
Che gli fregiano il cria , serpa l’alloro.
Che tue lodi garrisca e di te canti
Stridula voce, IgnobiI cetra e vile.
Che I tuoi si chiari c si famosi vanti
Adombri oscuro inchiostro, oscuro stile;
Che I pregj tuoi si spaziosi c tanti
Raccolga angusto foglio, alma gentile,
Sdegnarnon dei ,ch’é gloria e non oltraggio
Illustrar l’ombre altrui col proprio raggio.
Sai, ebe pur rauco a salutar l'Aurora
Infra 1 cigni canori il corvo sorge.
In picciol onda, in piccini vetro ancora
Chiusa del del l’ immensità si scorge.
Nè suol celeste Dea quando talora
Simulacro votivo altri le porge.
Ricca di sua bellezza aver a sdegno
Rozzo liti , rozzo piombo c rozzo legno.
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186 MARINO.
Tii <ip|l’ Ingpgnn mio propizia sleiia ,
IVr quest’ arqiia ,di’ io corro, esser ben
Poiché i divini amor canlo di quella, [dei,
Della cui stirpe originata sei;
K di volto e di cor benigna e bella •>
Ileo la somigli c ti pareggi a lei,
A cui per farsi a te del tutto eguale
Oliamo sol nianra , e l' oiiesLt reale.
Troppo atidace lalor lento ben io
Oantando .alzarmi al tuo celeste foco.
Ma le penne all’ ardir, l’ aure al desio
Mancano, e raggio augel tarpato e roco.
Pur se d''ll’opre tue nel cantar mio
Il pili sì tace, e quel eh’ io scrivo è poco,
(ìran fiamma secondar breve favilla
Suole, cflunic talor siiecotle a stilla.
Pscila col canestro era e con l’ urna
La condottricc de’ novelli albori ,
Dall’ aureo vaso e dalla mano eburna
Versando perle e seminando fiori.
(zia la caliginosa aria notturna
Spogliava r ombre e rivestia I colori,
E precorreano e prediceano il giorno
La stella innanzi e gli augelletli intorno.
Quando I’ angelfe querule e lascive
Il carro della Dea levando in alto,
Dal cerchio di quel Nume, a cui s’ ascrìve
L’eloquenza e il saver, spiccaroii salto.
K in breve acceso di fianinicllc vive ,
Vive, ma non cocenti, un puro smalto
Quasi di sebietto azzurro oltramarino ,
.Mia vista d’ Adon si fé’ vicino.
Vassi al del di costei, che II cor ti sfate,
Disse Merctirio allor, dal dei secondo.
Mira cola della sua bella face
Il dolce signorii lume fecondo.
0 letizia, otlelizìa , o vita, o pace
Univcrsal dell’ un e l’ altro mondo !
(>)me secco, qual non pili mai si vide,
Della lampa felice il lampo ride!
Di questa stella, a cui slam presso ornai.
La grandezza non i qnant’ altri crede,
C.hè è del globo terren minore assai ,
Pur tanta in ogni modo esser si vede ,
E tanti sparge , e si vivaci rai ,
Che Giove ìste.ssoiii qiialclie parte eccede;
Kd a lei cede ogni altra luce intonio ,
Salvo le due , che fan la notte e il giorno.
Nò di tutto r esercito stellante,
I cui splendor col suo bel volto Imbruna , '
Kiamnia si luminosa arde tra quante
Ferme ne ha il cielo, o peregrine, alcuna.
Quinci quando talor spunt^ln Levante
Piazza intorno si fa, come la Luna;
E talvolta addiiicn, die splender suole
In faccia al giorno, al paragon del Sole.
Qualor gli .sguardi avventurosi gira,
K spiega in sul ba'con le chiome bionde.
Tal di grazia , c d’ amor faville spira.
Tanti dì cortesìa raggi diffonde,
Che può gli occhi invaghir di chi la mira,
E la notte fugar, che si nasconde.
Dando stiipor dal suo lucente albergo
Al mio gran zio , che la soslien sul tergo,
Lurc del mondo ed ultima e primiera,
Ella il giorno dischiude ed ellail serra.
Sorge la prima a rischiarar la sera.
Tosto che II carro d’ or gira sotterra.
Poi quando tutta la fugace schiera
Delle stelle minor nel mar si serra ,
Riman nell’ aria d’ogni luce priva
'Sola invece del Sol finché egli arriva. •
Sempre accompagna il Sol, nò mai da lui
Per brevissimo spazio si disgiunge.
Come ancor fa la mia , sicchò ambodul
Nonsappiam l'un dall'altro andarne lunge,
Siam suoi seguaci , e seco ognun di nui
Quasi in un tempo, al fin del corso giunge.
Terminando di par con la sua scorta
Del gran calle vital la linea torta.
Ben (come vetterptioi) di stia sembianza
Grande veracemente ò la chiarezza ,
Ma sua virtude e sua fatai possanza
Sappi ancor , che risponde alla bellezza.
Di piacevnl natura ogni altra avanza.
Tutta ò benignità , tutta ò dolcezza.
Tu per lei sola appien fatto contento
Saprai per prova dir, se adulo, o mento.
Egli è ben ver che se Saturno, o Marte
A lea si accosta con obliquo aspetto ,
Le contamina il lume, e le comparte
Di sua rea qualità qualche difetto.
Ma quando av vien , che in elevata parte
Lunge lo sguardo infausto abivfa ricetto.
Non si può dir con (pianti effclti e quali
Fortunati suol far gli alimi natali.
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1/ ADONE. IS'^
Gli agi del Ietto , e con diletto e riso
Seberai , giochi, trastulli , ozj promette.
Bellezza dona, e leggiadria di viso ,
Ma fa molli le genti e laselvette.
E se quaiid’io le son incontro assiso,
Meco amico e concorde i rai riflette ,
Produco in terra con anspicj lieti
ObUri oratori e celebri poeti.
Se Febo poscia a visitar si move ,
E in sito Principal la casa tiene ,
0 vietisi a vagheggiar cui padre Giove ,
De’ suoi tesori prodiga diviene.
Il grembo appieno allarga, e laggiù piove
Ogni grazia , ogni onore ed ogni bene ,
K col favor dell ’ una e I' altra luce
A gran fortune i suoi soggetti adduce.
Con questo dir per entro il lucid' arco
Dei cerchio adamaniin drizza il sentiero,
Cbe al conosciuto carro aprendo il varco.
La Diva ammette al suo celeste impero.
Loco, die di piacer, di gioia carco.
Paradiso del cici può dirsi invero ;
E tanta luce c tanta gloria serra ,
Cheappoquel cielo ogni altro cieloè terra.
Aurette molli , zelSri lascivi , ,
Fonti d’ argento e nettare sonanti ,
Di corrente zaflir placidi rivi ,
Rive smaltale a perle ed a diamanti ,
Rupi gemoiale di smeraldi vivi ,
Selve d' incenso e Ivalsauio stillanti ,
Prati sempre di porjiora floriti ,
Hagge deliziose , antri romiti ;
Vaghi per terra di grottesche erbose.
Di pastini ben culti ainp} giardini ,
Rei padiglioni di viole e rose ,
. Di garofani liiaiichi e piirpuriui ,
Dolci concordie e ninsiclie amorose
Di Sirene, di cigni e d’ augeUini ,
Boschi di folli allori e folli mirti,
Tranquilli alberglii di felici spirti ;
Freschi ninfei di limpidi cristalli ,
Puri canali di dorate arene ,
Siepi di cedri , cespi di coraili ,
Scogli muscosi e colliiieltc amene ,
Ombre srerete di solinghe valli ,
E di verdi teatri opaclie scene ,
lòrtorelle c colombe innamorate.
Fanno gioir le regìon beale.
Ravvi riposte c rristaHine sténze
Di scelti unguenti e d' odorali fumi ,
Che sngllon ricettar belle adunanze
Di Ninfe no , ma di celesti Numi.
Altra liete canzoni c liete danze
Accorda all' armonia de' sacri Oumi.
Altra nuota in imrio,clieha Tonde intatte
Di maniu e mele e di rugiada e latte.
Siccome suol triangolar «ristailo
Ripercosso talor da raggio avverso,
Mostrar rosso ed .vzznrro e vervlee giallo
Quasi noritfl un bel giardiii. diverso;
Onde chi mira I bei colori , ed hallo
Del gran pianeta al lampeggiar converso,
Veggendo Iride fallo iin puro gelo ,
Non sa se 11 Sol sia In terra ,0 il vetro in clehv
rosi volgendo ai dilettosi oggetti ,
Novi ài suo senso , attonito le ciglia ,
Entrato il bell' Adon Ira que’ ricetti,
.Non senza allo piacersi meraviglia.
Sul coBo ai volatori aniorosetll
L’ uccisor d’ Argo alibandonò la briglia,
E gli lasciò su per la riva fresca
Pascer d’ambrosia incorruttibilesca.
Nel drìtlo mezzo vaneggiava un pianò
Cinto di colli e spazioso in giro,
Qie portando lo sguardo assai lontano.
Tutto d’ or mattonalo e di zaffiro.
Era in un piazza e prato, e quivi in strano
lavor composti a risguardare uscirò
Varj orlicelli di Ivel liur dipbiti ,
Clic di larghi sentieri craii distinti.
Dietro la pesta Adon , sotto la cura
Della sua bella ed amorosa duce ,
Si mise per la florida pianura ,
La cui via dritta in ver la costa adduce.
Quando rasserenossi oltre misura
Queir cmispero di beala luce.
Ed erro un lustro lampeggiar dintorno.
Clic Sole a Sole aggiunse e giorno a giorno.
A guisa di carbon , che si ravviva
DI Borea ai soflj c doppio vampo acquista.
Novo splendor sovra .splendore arriva.
Clic riga l'aria di vermiglia lista.
Qnasi anqvia sfora, il boi cliiaror s'apriva.
Nel cui centro il garzon ficcò la vista,
E vide entro quel circolo lucente
Gran tratta spaziar di lieta gente.
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188 MARINO.
Come aiigellinl , che talor satolli
A stormo a stormo levansi dal flume,
Quasi congratulanti , ai vicin colli
Scoton cantando le bagnate piume ;
0 come pecchie, che da’ campi molli
Rapirle care prede han per costume,
Tra' purpurei fioretti e tra gli azzurri
Alternando scn van dolci susurri. '
Cosi meiiavan tra festivi cjjnti
L’ anime fortunate allegra vita.
Lucide a maraviglia e folgoranti.
Tutte in età di gioventù fiorita.
Vive persone no, paioli sembianti
Specchiati in bel cristal, che II vero imita.
Ciascuna lor immagine rassembra [bra.
VaniU, che abbia corpo ed abbia mciu-
Trcniolavan per entro i rai sereni
Quelle fulgide fiamme a mille a mille
Non altrimenti , che atomi , o baleni
Soglian per le snebbiate aure tranijUille,
0 lucciolclle , che iic’ prati ameni -
Con vicende di iampi e di sciiilillc
Vibrano, quasi fiaccole animate.
Il focH delie piume inargentate.
Deh per quel dolce ardor, disse il don-
Alla sua Dea, che per te dolce m'arse [zcllo
Dammi , ch’io sappia; che folgore i quello.
Che repentino agli occhi nostri apparse?
E quelle luci , che in più d’ un drappello
Vanno per mezzo I raggi erranti c sparse.
Dimmi che son, pnichù a beltà si rara
La chiarezza del del più si rischiara?
La luce , che tu miri , è quella istessa ,
Che arde ne’ tuoi begli occhi, ella rispose.
Specchio di Dio, che si vagheggia in essa.
Fior delle più perfette e rare cose , [sa.
Stampa immortal da quel suggello impres-
Dove il l'altor la sua sembianza pose,
Proporzion d’ogni mortai fattura.
Pregio del mondo e gloria di Natura.
Esca dolec dell' occhio e dolce rete
Del cor, che dolcemente il fa languire, '
Vero piacer delfaliira, alma quiete'
De’ sensi , ulliinn fin d’ ogni desirc ,
Fonte, che solo aitnii può trar la sete,
E sol render amabile il martire.
Se udito hai nominar giammai bellezza.
Qui ne vedi l’essenza e la pienezza.
L’anima nata Infra l’ eterne forme.
Ed avvezza a quel bel, che a sé la chiama,
Della beltà celeste in. terra Torme
Cerca e ciò che Talletta c segue e brama ;
E quando oggetto ai suoi pensier conforme
Trova , vi corre ingordamente e T ama.
Fior, fronde, gemme estelle e Sole ammira
Ma viepiù ’l Sol ch’in due begli occhi gira.
Bel lezza i Sole c lampo e fiamma e strale.
Fere ov’ arriva e ciò che tocca accende.
Sua forza è tanta c sua virtude è tale.
Che inebbria sì, ma senza offesa offende.
Nulla senza beltà diletta , o vale ,
Il tutto annoia ove beltà non splende.
E qual cosa si può fra le create
Più bella ritrovar della beliate?
(coglia
Perde appo questo (ancorché in un s’ac-
Quanlo il mondo ha di buonojogni altro be-
Ognl altro ben, che a desiare invoglia, [ne,
Allin sazia il desio quando s' ottiene.
Sol quel desio, che di beltà germoglia.
Cresce in godendo, e vie maggior diviene.
Sempre amor novo a novo bel succede,
Tàuto più cerca, quanto più possiede.
Giogo caro c leggier, leggiera salma ,
Prigionia grata c tirannia soave.
In qualuhqnc altro affar perder la palma
Altrui rincresce e Tesser vìnto è grave.
A quest’ Impero sol qual più grand’ alma
Soggiace, e d’ubbidir sdegno non bave.
Non è cor sì superbo, o si rubcllo.
Che ngn sì pieghi c non s’ inchini al bello.
Violenza gentil, che opprime, aSfena,
Tira, sforza, rapisce, eppnr non noce.
Tosco vital , che nutre ed avvelena,
E senza danno al cor passa veloce ,
Magìa del del che incanta ed incatena,
E non ha mano e non ha lingua, o voce.
Voce, che muta persuade e prega ,
Man , che senza legami annoda e lega.
Un sol guardo cortese , un atto pio
Di bella donna, mille strazj appaga.
Fa subito ogni mal porre in obblìo.
Lodar T incendio e benedir la piaga,
r.iipido di penar rende 11 desio ,
E del proprio dolòr T anima vaga ,
Ed noni dì vita c di conforto privo
È possente a tornar beato e vivo.
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L’ADONE.
Queste è quel lume, che innamora e
E fa corona all' anime contente, [piace,
Nè foco In damma, nè fatilla in face.
Nè stella in ciel , nè Sole in oriente
Arde in si puro incendio c si vivace,
Che agguagli il dolce arder che <|uì si seme.
Sono astratte sostanze e lucìd’ ombro,
DI ogni Impaccio terreti libere c sgombre.
Son delle donne più famose e belle
Tutte raccolte qui l’alme beate.
Perocché per fatai legge di stelle
Quante giammai ne sicno, o ne son state,
Quelie che nacquer gii mill'anni, e quelle
Che nasceran nella futura etalc,
.Son (come qui le vedi} a schiera a schiena
Tutte quante dovute alla mia sfera.
E se vago sei pur di mirar come
Liete sen van per questa piaggia aperta,
E vuoi, che alcuna io ne disegni a nome.
Meco non ti rincresca ascender l-’erta.
Quivi di quante' scorgi aurate chiome
Contezza avrai più manifesta e certa,
Chè meglio apparirà ; benché remota)
Qualunque fia tra lor degna di nota.
Ciò detto, ad un poggiiiol poggjaro in
Delle rupi più basse e più vicine, [cima
Ma qoal, segui Ciprigna, elegger prima
Del bel nunier degg’ io, che è senza line 7
0 qiiai più stimerò degne di stima?
Le Barbare, le Greche, o le Latine
Fra tante le più belle e nobii donne,
(.he abbia il (’Jel destinate a vestir gonne ?
Tu vedi ben colei , che tanta luce
Fra r altre tutte di bellezza ha seco.
R la famosa suora di Polluce ,
Flebil materia al gran poeta cieco.
Vedi Briseida^che il più forte duce
Fe’ sdegnoso appartar dal campo greco.
Polissena la segue c va contenta, [ta.
Chè l’ ira ostil col proprio sangue ha spen-
L’altra, che alquanto ha turbatetto il cl-
E la vezzosa vedova alTric.ina , [gito.
Del mio ramingo ed agitalo figlio
Fiamma quasi maggior della troiana.
Tien nella destra i| ferro ancor vermiglio.
Nè la piaga del petto in tutto è sana;
E in tanta gioia pur mostra la vista
D' il a, d’ odio, d’ amor,^di aOTanuo mista.
Quellache ha in man dite serpi, c tanta do-
Lussiiria trae di barbaresche spoglie, [pò
E pende nel color dell’Etiopo,
.Ma col suo bruno all'Alba il pregio toglie,
E il nero crine all’uso di Canopo
Sotto un diadema a più colori accoglie;
Del grande Antonio amica, è Cleopatra,
Che l'ha di sua beltà fatto idolatra.
Danae è colei, che semplicetta accolse
.Nel grembo virgiiial l'oro impudico.
Quella è l' incauta Semele, che volse
Mirare in Irono il non ben nolo amico.
Ecco Europa colà , da cui già tolse
La più nobii provincia il nome antico.
Eccoti Leda qui, che si compiacque
Del bianco augello, ond'Elenapoi nacque.
Vi è Dianira, che si duul delusa
Di avere ucciso l' iiccisor di .Anteo.
Havvi Arianna, che l'inganno accusa
Del troppo ingrato e perfido Teseo,
Guarda Andromeda poi che non ricusa
Il lido suo liberator Perseo.
Ed Ero guarda, che da lido a lido
Trasse più volte il nuotator di Abido.
A edi una turba di progenie ebrea
Tutta in un gro|)po, che laggiù cammlila?
In queste sol, die il fior son di Giudea,
Arde di santo amor fiamma divina.
V ha Uebecca c liachele c Betsabea,
Havvi Susanna, Ester, Dalila e Dina*
E Giuditta è Ira lor la vedovella
Feroce e formidabile, ma bella.
Mira il tragico ardor del pria crinlele.
Poi ripentito, anzi arrabbiato Erode,
Marianne gentil, che le querelo
Del fiero amante di quas.sù non ode.
L’altra che d’aver tolto al suo fedele
Il bel trionfo insuperbisce e gode.
Io dico a Tito il buono, è Berenice,
Che del gran vincitore è vincitrice.
Or ti addilo di beile un altro coro.
Non meno accese in amoroso rogo.
La gran donna del Lazio è madre loro.
Cui por s’aspetta all' universo il giogo.
Livia d' Augusto è prima infra costoro.
Messalina di Claudio ha l’altro luogo,
Senza niill' altre ancor, chè ne tralascio
Per restringer gran massa in piccol fascio.
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190
LaMÌar però non voglio una che solto
La manca poppa insanguinata c guasta
Ha (li punta mortale il fianco rotto ,
Lucrezia, ancorché fama abbia di casta.
^on so se ha come il corpo, il cor corrotto.
So, ehc. alla forza altrui poco contrasta ;
, E so, che col pugnai non s’ apre il petto ,
(^e gustar pria non voglia il mio diletto.
No no, non già per ira il sen si fiede ,
Che abbia (li so ben dir) contro il tiranno.
Per vendicar, siccome il volgo crede,
Con un colpo il suo torlo c il enraun dan-
Fallo sol per dolor, perchè s* avvede [no.
Pur troppo tardi del suo sciocco Inganno,
Che n'ha passata per follia d’onore
Senza tanto piacer l'età migliore.
%
Volgili a Fausta , che di foco infausto
Percagion del ligliaslrohailcorlant’arso,
Che convten , che di Amor fatto olocausto
Crispo l’estingua col suo sangue sparso.
Il tempo a dime lame è troppo esausto ,
L’ occhio a segnarle tutto è troppo scarso.
Lascio l’ aniirs schiera e passo a quella ,
Che dee nobilitar l’ età novella.
Tra i più chiari splendor delle moderne
Vedi là scintillar Ciidia Gonzaga,
bell’ immensa beltà che in lei si scerne ,
Potrà far solo il grido incendio e piaga ,
Ed al fler Soliman le fibre interne
Strugger dell’ alma innamorala c vaga ,
Onde per adempir gli alti desiri
Verrà lo Scita a ber Tonde di Liri.
Vedi duo rami del medesmo stelo ,
Una coppia reai di Margherite ,
Sol per bear la terra elette in cielo,
E far di casto amor dolci ferite.
Quella che è prima e di purpureo velo
Le scbicltc membra c candide ha vestile.
Indorerà con luce ardente e rbiara
E del secolo il ferro e di Ferrara.
L’ altra, che inanoa man sccocongiunge,
Di Lorena felice i |voggi onora.
Folgoreggia il bel volto ancor da lunge ,
E di lume divin tutto s’infiora.
Amor non cura, eppur saetta e punge.
Ed altrui non volendo, uccide ancora.
Mira con che ridente aria soave
Tempra il rigor del portamento grave.
♦ ■
Ecco d’ogni beltà , per cui beata
Eia Novellara, un novo mostro e strano.
Per immagin formar si ben formala
Dei gran pittor s’avvantaggiò la mano.
Di Amor guerriera e di faville armata
Fa piaghe ardenti, onde si fugge invano.
Ogni sna parulctla, ogni suo sguardo
Fulmina una facella, avventa un leardo.
Isabella la bella è costei detta.
Che dalle prime due non si dilunga.
Disponi il cure, o gran Vincenzo , aspetta
Cile un suo raggio per gli occhi al cor ti
Saprai di quale ardor di qual saelta[giunga.
Dolcemente mortai riscaldi e punga.
Venga a mirar costei , chi non intende
Come si possa amar cosa che oflende.
Che lume è quel che trae di lampi un neiii-
Checandid'ombra? c di che rai si veste?[bo-
Porta nel volto Amor, leGrazie in grembo,
E nulla ha di tcrrcn, tutta è celeste.
SI sì, tien scritlo nelT aurato lembo.
La fenice del Po, Giulia da Este.
0 del mondo cadente ultima S|>CDie,
Prole gentil dell’ onoralo seme I
Oh pome la vegg’io folgor divino
Tra mille balenar luci lombarde!
Fincli’uom degno di lei trovi il destino.
Scompagnala trarrà Tore più tarde.
Quasi tra perle lucido rubino,
Da lin or circoscrlllo, avvampa ed arde.
Quasi rosa Ira i fior, che in fresca sponda
Fonila llSol,niolcc l’aura e nutre Tonda.
Ecco del Tebro una pregiata figlia.
Onde la gloria Aldobrandina Irraggia,
Idolo della terra e meraviglia
Di qiiesu lieta c fortnnata piaggia.
Volge T arciere e sagittarie ciglia
Bella, nè inen che bella, onesta e saggia.
Ride il bel volto, e quasi un elei si ammira.
Che le stelle paterne intorno gira.
AKre due ne van seco in una schiera ,
Che le scDibran compagne, c son sorelle.
Colei, elle più si accosta alla primiera ,
Apre al verno maggior rose novelle.
L’altra iiicontraiido la più chiara sfera.
Fa quel del Sol,clTei fa dell’ altre stelle.
Farà la prima il Taro adorno c lieto,
Dell’ altre due si arricchirà Sebeto.
MARINO.
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* L’ADONE. 191
Ornai Savoia agli oiior suoi mi appella,
E quaUro Dive a rimirar m'invila,
Caterina e Maria con isabella ,
E Ja maggior di tulle è Margherita.
Qual Paride, che scelga or la più bella?
Qual lingua fia di giudlcariu ardita?
Per queste, onde risona c Tile e Dallro,
Le Graiie, die son tre, divcrraii quattro.
^ L’Aurora ti parrà, se quella vedi, [iia.
Quaod'elia il pigro suo tecciiioabbando-
Se questa prendi a risguordar, la credi
La bella o bianca Gglia di Laiona.
Se dell’altra di lor notizia chiedi,
E miri lo splendor die l'incorona.
Dirai , che a mezzo giorno, a mezza state
Ha minor lume il luminoso frale.
Mala perla, eh’ io dico, ai cui gran pregi
L’ Indo stupisce e l' Oriente ha scorno.
Dagli antidii tcsor di cento regi
Uacila a risdiiarar d’ Europa il giorno;
Quella, che dee di preziosi fregi
Far del gran figlio mio l’erario adorno,
E tal, che mai non ne produsse alcuna
La conca, ove nascendo ebbi la cuna.
Amor dirà, che il paragone è vile,
A cui tanto di questa il caiidor piacque,
Che al suo povero sen ne fe’ monile,
E nel foco alhnolla e non nell’ acque.
Dirà, che questa sua perla gentile
Tzà l’ onde no, ma tra le stelle nacque.
Eche il del, perchè vince ogni altra stella.
Vuoisi Invece del Soie, ornar di quella.
Il più lucido fli del vello aurato
Per porla innohii filza, ha Cloto attorto ;
E per legarla il più flit or pregiato
UaScelto Amor die abbia l' occaso o l’ orlo.
Ma legge vuol d'irreparabii fato.
Che in breve il suo signor rimanga morto ;
Nè potendo ella distemprarsi io (lianto.
Piangali sangue per lei Torino e Manto.
Quell' altra che somiglia altera e sola
L' unica verginella peregrina,
Qualor le piume ha rinnovale e vola
A visitar la region vicina ,
Matilda è poi, d' Emanuel figliuola,
Ne' cui begli occhi Amor gli strali aUhia;
Ed a cui diè di sua beltà superna
Quanto pub dar Itiunipoteoza etenia.
Quegli occhi vaghi e di doicezzaardenli.
Per cui fia più del del bella la terra.
Struggerai! , non che I cor, le nevi algenti,
Che dell' Alpi canute il cerchio serra.
Moveran cou tal armi e sì pungenti
Contro Palme ritrose assalto e guerra,
Che torran lor lidi' amorosa impresa
E r ingegno e la fuga e la difesa.
Vedi un rivaggio, che dell'erba fresca
Ripiegando le cime, il prato bagna.
Quivi agli amori Amore istesso adesca
Quanto avran mai di bello Italia e Spagna.
Quivi fiorisce ogni beltà donnesca ,
Ma forz'è, ebe di dirne io mi rimagna,
Cliè all'occhio, che non ben tante n'aceo-
La lontananza e lo splendor le toghe, [gilè
Pur non conv icn, die con silenzio io passi
Quelle che soo Ira l' Alpi e I Pirenei.
E prima alla mia vista incontro fassi
Alma, che co’ suoi lumi abbaglia i miei.
Sola degna , a cui ceda è il pomo lassi ,
Cile 011011111 dal paslor de' boschi idei.
Margherita Valesia, il cui valore
E tesor di virtù, pompa d'onore.
Qucsl’allra pcriadie qual Sol fiammeggia.
Ragion non è eh’ io del mio dir. defraudo.
Benché di ini tal soggetto io benmiavveg-
Con le parole estenuar la laude. [già
Oh con qual grazia e maestà passeggia.
Come stupido il Cicl tutto l’ applaude-!
Tanti spirti reali intorno piove.
Che par la sfera mia sfera di Giove.
Ma par negli alti si contristi c dolga,
E va turbala c disdegnosa alquanto
. Che senza morte si rallenti e sciolga
Quel nudo , onde la strinse Imeneo santo ;
K che altra a un punto le rapisca e tolga
Di Gallia il regno e di heltade il vanto.
Onde perdere in un deggia per quella
E di reina il titolo e di bella.
Più oltre , oh che divin volto vegg’io.
Il cui grave rigor modera e molce
Di benigna letizia un raggio pio,
E d'onesto sorriso un lampo dolce!
EU’ è Carlotta , ardor del regno mio ,
Cile gli onor di Coiidè sostiene e folce;
Nume degno di altari e che si adori
Con sacrifici d’aiiiiiic c di curi.
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MARINO.
192
Dal ciclo, 011(1’ esce il gran fanal di Deio,
Alla riva che è meta a sua fatica,
E dai pigri Trioni , ove di gelo
La Tana il piede incristallito implica.
Fin dove «otto II più cocente cielo
Ferve dì Libia la pianura aprica;
Beltà non v’ha, che più siaintniriepregi,.
Possente ad infianimar l’ alme dei regi.
Aguzza il guardo pur, se pur da tante
Luci esser può, che non languisca offeso;
E guarda , che a (|uel .Sol che avrai davan te.
Non resti o l’occhio cieco, o il core acceso.
Vedrai Maria Borbon , dal cui senibianto
Il modello del bel .Natura ha preso.
Beltà , che far potrebbe In forme nove ^
Spuntar le cornac nascer l’ali a Giove.
V
Questa degli avi suoi degna nipote ,
Farà di Monpensier più chiari i figli.' -
Hanno ancor mollo a volger ipiestc role
Pria che nasca laggiù chi la somigli.
Bella onestà le impor|)ora le gole ,
Ma confonde alle rose I patrj gigli.
Fa bealo l’ inferno il suo bel viso,
E poh le pene eterne in paradiso. '
Risguarda or (piella iii'iimiltà superba
Sotto càndido vel fronte serena
Qiianl’ aspetto reai ritiene e serba ,
E la vaga Luigia di Lorena.
Dell’ angelica vista aUpianto acerba ,
E del bel guardo la licenza alTrena;
Ma la forza del foco c dello strale.
Che passa i cori , ad alTrcnar non vale.
Per questa il mio reame, il suo lignaggio
Non mgn d’onor, che di beltà florisce.
Vince parlando ogni rigor selvaggio.
Le tigri umilia e gli aspidi addolcisce.
Tempra gli smalli col benìgiiQ raggio.
Scaldai ghiacci , apre i marmi, icorrapi-
.\mor, questi miracoli soii tuoi, [sce.
Gilè in virtù de’ begli occhi il tutto puoi.
Mira quell’aura, che con schivi gesti
Dal commercio eomnn sen va lontana.
Agli atti gravi, agli andamenti onesti
Sfaretrala talor sembra Diana.
Ma per qiiaulo comprendo ai rai celesti ,
È la Dea Gaterina, alma sovrana,
fihc in sé romita e dallo stuol divisa
Fa di si sol gioir Gioiosa c Guisa.
Anna obbliar dISuesson non deggio,
Ornamento eislupor della'mia corte.
Languir per lei d’ amor mill’ alme veggio,
E veggio al nascer suo nascer la morte.
0 delle glorie mìe colonna e seggio ,
0 maniere leggiadre , o luci accorte'!
Dove di quelle luci il Sol non giri ,
Altro eh’ ombre non vede, occhio che miri.
Fisa la vista e era’ più densi rai
Enrichelta Vandoma intento mira ,
E due d’amor luciferi vedrai ,
Glie invece d’occhi la sua fronte gira.
Due giardini di fior non secchi mai
Veston le guance , onde dolce aura spira.
Ride la bocca, onde puoi ben vederle
In osici di rubili chiostri di jiCrle.
E che dirò di quella nobil ombra.
In cui tanto di lume Apollo Infuse,
Che di Safo e Gorinna i raggi adombra,
E gloria accresce c numero alle Muse ?
Anna lloana, che d’un lauro all’ ombra
Le suore seco a gareggiar ben use
Sfida a c.vnlar con que’ celesti accenti.
Che dei fogo d' amor son sì cocenti.
Tacerò poi fra tante lampe eccelse
Quella, onde Boccaforte arde c sfavilla 7
Per crear (|uesla luce , il GicI sì svelse
bel destro lume runica pupiHa.
Se ancor verde ed acerba Amor la scelse
Per arder Palme e sol d’ardor nutrillà.
Deh che fia poscia e qual trarranne arsura
Quando alle liamiiie sue sarà matura?
Ma dove lascio un altro lume chiaro 7
Maria, de’ Monbasoni egregia prole?
Grazia, che .stia di tanta grazia al paro.
Non mira in quanto mondo alluma il Sole.
Le doti illustri dello .spirto raro
Raccontar non si lasciano a parole.
Dir di lei non si può , che non s’ onori ,
Onorar non si può, che non s’adori.
Incoinposla bellezza e semplicctla
Parte si scopre in lei , parle sl chiude.
Ignudo Amor nel vago viso alletta ,
Le Grazie nel bel sen scherzano igiinde.
(àirtese orgoglio e maestà negletta , . ,
Maniere insieme e mansuete e crude ,
Gravità dolce e gentilezza onesta
Bella la fan , ma in sua beltà modesta.
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193
L’ ADONE.
A queste teorie aggiunti, a queste lodi
I pregi del magnaniuio marito ,
lo dico Carlo , che con saldi nodi
D’yinor santo e pudico è seco unito ,
E Pun Tassi dell'altro in dolci modi
Di scambievole onor fregio gradito ,
(^n quel lume reciproco fra loro, [oro.
Cbf oro a gemma raddoppia e gemma ad
0 dei Rodano altero , inclito figlio ,
Per cui di gloria il Gallo impenna l’ali.
Signor degno di scettro, il cui consiglio
Volge la chiave de’ pensicr reali;
II cui sommo valor farà dal giglio
Sovente pullular palme immortali ;
Dritto fia ben, che d’ ogni gioia colmo
Stringa si bella vite un si degn’ olmo.
E qui Venero tace , indi gli addita
In disparte un drappel di donne elette ;
E fra lor, come capo , è reverila
Una , che trae per man tre pargolette.
Tien composta negli atti, a bruii vestila
l.e bionde trecce In fosco vel ristrette;
E diadema reale ha sulla chioma
Di tre gigli fregiato e di sei poma.
Son le fanciulle alla beltà materna
E nel volto e nel gesto assai sembianti ;
E in fronte alla maggior par si discerna
Cerchio dì gemme illustri e scintillanti ,
. Sicché d’ Apollo la corona eterna
Tempestata non è di raggi tanti ,
Onde nel tutto à lei si rassomiglia
Di si gran genitrice emula flgiia.
Tal dove l’ ombre trionfali spande
La-pianta amica a Giove e cdra al Sole ,
Sotto il suo tronco verdeggiante e grande
Tenera sorge e gioviiKtta pro.le;
Tal rosa ancor non atta alle glilrlande
Non aperta e non chiusa in orto, suole
Spiegando all’aura i suoi novelli onori.
Dalla madre imparar come s’ inSori.
Parve (pa le più degne c più leggiadre
Questa ad Adun la più leggiadra e degna ;
Onde rivolto alla benigna madre
Del piccioi Dio, che nel suo petto regna;
Chi è colei, che fra si belle squadro.
Disse, d' ogni beltà porta l' insegna 7
Colei, che in vista alTabihiienle altera
Guida l’illustre ed onorata schiera?
IBen reina mi par delle reine ,
Cotanta in lei d’onor luce risplende,
I Ed ha tre fanciullette a sè vicine,
I In cui l’efligie sua ben si comprende.
E coronata d’ or l’ oro del crine ,
Vasscnc avvolta in tenebrose bende,
E sotto oscuro manto e bruno velo
Può d’ ogni lume impoverire il cielo.
Adone, ella risponde , io ben vorrei
Spegner la sete al bel desir, che mostri,
Ma scarsi sono a favellar di lei [stri.
Non che gli accenti,! più facondi lncbio>
Non han luce più chiara I regni mici ,
Non vedran più bel Sul mai gli occhi vostrL
Con voce di diamante e stil di foco.
Cento lingue d'acciarne dlrian poco.
Altre volte sovvicmmi aver narrato
Qual d'eccellenze in lei cumul si serra.
Oh quante palme, oh quanti allori il Fato,
Nella futura età le serba in terra!
àia di quanti travagli il mondo armato
Per maggior gloria sua le farà guerra !
Che non può l'alta grazia e il buon consiglio
E del provvido ingegno e del bel ciglio?
Ma di sue lodi, a cui di par non m’ergo,
Dar ti potrà colei miglior novelle ,
Dico colei , che tu le vedi a tergo
Tra il lido siiiol delle seguaci ancelle.
Fama si appella e tien sublime albergo
Là nell'ultimo del sovra le stelle.
Dove sorge fondata immobilmente
Di diamante immortai , torre eminente.
Olimpo a Giove ingiurioso monte.
Atlante delle stelle alto sostegno,
Pelia, che altrui fu scala, Ossa, che ponte
Per assalir questo superno regno,
L’ Emo, il Libano, il Tauro, o qual lafronte
Erge a più eccelso Inaccessibil segno.
Fora a questa d’altezza ancor secondo,-
Che passa il ciel, clic signoreggia il mondo.
Entrale iiinumcrabili ha la rocca ,
E il tetto e il muro in molte parti rotto,
DI bronzo usci c balconi , e non gli tocca
(Che gran romor non faccia) aura di molto.
Tosto che esce il parlar fuor d’ una bocca ,
A lei per queste vie passa introdotto,
E forma quivi un indistinto suono,
I Come suol di lontan tempesta , o tuono.
»
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194 MARINO.
QuWi la pose 11 gran Rctlor de’ cieli,
Quasi guardia fedel, cauta custode.
Pecchi ciò che si fa scopra c riveli,
Nunzia di quanto mira c di quant'ode.
Cosa occulta non i , che a lei si celi ,
E dì confomie all' opre o biasino, o lode.
Se si move aura in ramo, in ramo fronda,
Esser non può , che da costei s’ asconda.
Dell' umane memorie ombra seguace
Sctìipre avvisa, riporla c parte e riede,
Ni riposa giammai , ni giammai tace,
E piò, quanto più cresce , acquista fede.
Garrulo Nume c spirilo loquace ,
Vita de’ nomi e di si stessa crede ,
Possente ad eternar gli eroi pregiati ,
E far presenti i secoli passati.
Generolla la terra c co’ giganti
Nacque in un parto orriliili c feroci.
Dea, che quant’ occhi intorno lia vigilanti.
Tanti ha vanni ai volar presti c veloci ,
E quante penne ha volatrici c quanti
Luòii,lanteaiicohaiingue c tante ha voci
E tante boccile e tante orecclilc , ond’ ella
Tutto spia, tutto sa, tutto favella.
Picciola sorge c debile da prima.
Poi s’ avanza volando e forza prende.
Passa l’aria c la terra c su la cima
Poggia de' letti e fra le nubi ascende.
E per varj idiomi in ogni clima
Pari al guardo ed al volo il grido stende.
Di ciò che altri mai fa , di ciò che dice
0 di buono, o di reo pubblicalricc.
La sollecita Dea , cui del desio
Del bellissimo Adon nulla è nascosto,
E che quando l'alato e cieco Dio
Il congiunse alla madre, il seppe tosto;
Ben di lontan la sua dimanda udio,
E quanto Citerca gli avea risposto;
Ond’ una ailor delle sue cento lingue
Sciogliendo, il ragionar cosi distingue i
Volgi, o mortale, ov e quel Sol lampeggia
Di bellezze e di grazie'uuico c solo.
Gli ocelli felici, c la liciti vaglwggia ,
Che alza i più pigri ingegni a nobii volo.
Dico quel Sul , per cui dolce fiammeggia
La terra e il ciclo e l' un e l' altro polo ;
Quel vivo Sole, alla cui chiara lampa
Senna senno nou ha, se non avvampa.
Questa è l’ eccelsa e gloriosa donna ,
Che accoppia a regio scettro animo regie.
Gran rciiia de’ Galli , c delia gonna,
E del sesso imperfetto eterno pregio.
Dell' inferma Virtù stabil colonna ,
Dell’ eli rugginosa unico pregio;
Esempio di belli, nido d' Amore,
Specchio di caslilì , fonte d’ onore.
Dal gran centro del elei lunga catena
Di bel diamante inanellata pende.
Con questa Amor, che l’ universo affreDa,
Annoda altrui soavemente e prende.
Per questa l'uom dalla beltà terrena
D'un grado in altro alla coleste ascende,
E di questa quel bel , che in lei s’ammira.
Un amo è d'or, die qui l’ anime lira.
Questa , che deve a tulli quattro i venti
Far poi la gloria sua chiara c solenne,
Soddisfaralli In più dilTusi accenti.
Cosi detto chiamnila ed ella venne.
Battca per le serene aure ridenti
Con moto infaticabile le penne.
L’occhiuto augel rassomigliava aH’ali,
Che (S varie floriaii gemme immortali.
Quest’ amo ascose infra suoi strali Amore
In quel divino e maestoso aspetto ,
In cui di due bellezze un «loppio ardore
Abbaglia ogni pensier, scalda ogqi affetto,
L'una di nubii .fiamma accende il core.
L’altra è degli occhi un reverito oggetto;
E quel gemino bel si ben si mesce ,
Che qual foco per foco incendio cresco.
Di tersa luce e folgorante accesa
Brando, a’ cui lampi il Sol perdea di molto,
Stringea nell’ una man, l’altra .sospeso
Reggca dal busto esangue un capo sciolto.
Per la squallida chioma avvinto e preso,
Foko nel ciglio c pallido nel volto ,
Spirava nebbia ; e seppe Adon , che questa
DeU’Obbliu smeiiiuralo era la testa.
L’ una il cupido senso alletta ia gnisa
Con vivi lampi di serena luce.
Che empie d’alto piacer chi in lei s’aflìsa,
Sebben casti desir seiivprc produce.
L’altra dal career suo l’alma divisa
Di raggio in raggioal sommo Sol conduoe,
Mostrandole laggiù sotto uman velo
Quella beltà, che si contempla in ciclo.
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L’ ADONE. 195
Den tu prrqnoita scaia ancor le phime
Del tuo basso intelletto alzar potrai ,
E nello specchio del creato lume
Ocirincreato Investigar I rai ;
E del corporeo e naturai costume
L’Impiira qualilì vinta d’assai.
Di quel bei cIkIìo alla beata sfera
Tornar d' iimil farfalla aquila altera.
Laggiù nel arando a soggiornar ben lardi
Verrà, ma carca di raduta salma.
E benché la gentil . per citi tu ardi ,
Pnasegga di betta la prima palma.
Si nobili però non son que’ darli ,
(Con pace sna' rite ti saeltan l' alma.
L’ una è lasciva Dea , r altra pudica ,
L’una madre d’ Amor, l’altra nemica.
£ tl so dir, elle allin, poiché avrà mollo
Vestile hi terra le terrene spoglie ,
Quando il ikkI» vital le sarà sciolto
Dalla falce crudel , che II tolto scioglie ,
Lo suo spino resi fìa qui raccniio
In questo istcsso ch i, dove or s' accoglie;
E (come é legge di destino demo)
8i usurperà di Venere il governo.
A lei di questo giro il grave pondo
Dal sovrano Motor sarà commesso ,
E d'influir laggiù nel vostro monde
Quanto Uiflùisce il suo bel Nume istcsso.
E ben contenta dcU'onor secondo
Bramerà la tua Dea di starle appresso ;
Nè ben possente ad emularla appieno ,
Una delle sue Grazie essere almeno.
Potrebbon forse per cessar le gare
Delle vicende lor partir le cure.
Quella le notti aildur icrene e chiare,
Questa portar le torbide ed oscure.
Crederò ben , che per Invidia amare
Tal cose , ed a solTrirle saran dure ,
Ma perché il corso deireteme rote
Porta questo tenore, altro non potè.
Senno farà , se voientier le cede ,
E porta iu pace il vergognoso oltraggio.
Poiché pur di sua stirpe è degna erede ,
E di sua luce un segnalalo raggio.
Sai ben di qual origine procede
Del famoso Quirin l’ alto legnaggto.
Sai , che d' ogni suo raato é ceppo Enea,
Che fu figliuol della medesma Dea.
Tu del dunque saver, che a nascer hanno
Del iHion sangue trolan Palme Ialine,
Onde il Tebro ornerà dopo qualch'anno
Prosapia di prupagini divine.
Quindi gli AiricJ c 1 Pier Leon verranno.
Poi d’ Austria i regi , Indi d' Etniiia alfine
A dilatar nel secolo più fosco
Il romano splendor, Pansltiacn e il tosco.
Veggio dell' Austro l’onorata pianta
Si fatti partorir germi felici ,
Clic nell’arbor dell'or non fu mat tanta
Ricca copia di rami c di radici.
Ma tra’ primi virgulti , onde si vanta,
Quelcheavràplùd’ognialtrol Clell amid.
Sarà Filippo , onor di sua famiglia ,
Dico colui , che reggerà Castiglla.
Seguirà Carlo, al fortunato Impero
Promosso poi con titolo di Quinto,
Che di trionfi laureati altero,
E d’illustri trofei fregiaro e cinto.
Poiché partito dal paterno Ibero
Avrà l’ Affrica corsa c il mondo vinto.
Romito abltator (T enni rieettl ,
Di porrà il fascio de’ terreni affetti.
Sottentrerà l' altro Filippo al peso
Quasi d’ un novo .\llante un novo Ale! Jc.
Ré tanto a pare ed a virtiite inteso
Giammai da polo a polo II Sul non vi le.
Questi lo scettro In Lnsitania steso
(Cotanto il Fato a’ bel pensieri arride)
In regione aneor non nota, o vista,
Di là rial mondo un altro mondo acquista.
Cattcrìna vicn poi con Isabella,
Qui le vedi ambedue starsene in gioia.
Onesta va Belgia a far beata , c quella
Di sne bellezze ad ahbelHr Savoia.
Ecco il terzo Filippo; oh degna, oh bdla
Progenie del gnerrier, che nsci di Troia!
Spagna, costui con l'arme c col consiglio
TI fia principe e padre c padre c figlio.
Non fia dima remoto, estrema zona,
Dove lo scettro suo l’ ombra non stenda.
Ma l’ampia monarchia della corona
È la luce minor, che In lui risplenda.
Qud che sovramortal gloria gli dona,
E quella coppia amabile e tremenda ,
Pietà, che con Giustizia insicinc alberga ;
Oh di tronco bennato inclita verga!
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19< MARINO.
Oh come a propagar di stelo in stelo
Viensi la stirpe del gran rege ispano !
Ecco novo Filippo innanzi II pelo
Già di novo spavento empie Ottomano.
Destina alni (piell’angcletla il Cielo,
Che la donna reai si tìen per mano,
10 dico delle tre la meno acerba ,
Quella, che ha la corona a lui si serba.
Ma del regio Ironcon , che si dirama ,
11 secondo gerntoglio ecco discerno.
Fernando il buon , la cui temuta fama
Fia del Turco crndel terrore eterno, [ma,
E perchè, fuorché il giusto, altro nonbra-
Sempre rivolto ai rai ilei Sol superno,
Spiegherà nel vessillo altero e bello
Del sommo Giove Io scudiero augello.
Lascio Massimo poi , trapasso Ernesto,
E Ridolfo e Mattia , del gran cultore
Di quel più che altro avventuroso innesto
Successori all’ impero ed al valore.
E taccio Alberto, il qual non lia di questo
(Quantunque ultimo di anni) ultimo onore,
Chè all' indomito Reti quel giogo grave.
Che si duro gli fu , sarà soave,
L’ altra è Giovanna, c ben scorger la puoi
Dolci balli menar per questi campi ,
Lieta, die al del per lei di tanti eroi [pi.
Si aggiunga un Sul che più del Sole avi am-
Stupisce i’Islr.o, e dei cristalli suoi
Stemprar sente lo smalto a si bei lampi ,
Mentre passando in braccio al gran Fran-
Con r italico cici cangia il tedesco, [cesco
Ecosi fla, che un stretto groppo incalme
D’Austria e d’ Etruria ambe le piante insie-
Etruria,acui non già mennobil alme [me.
De’ gran Medici ancor promette il seme ,
Che per tante, che aduna e spoglie epalnie.
Fin di Bisanzio il ficr Soldan ne teme.
Ma quando ogni altro pur venga mancando
Basta a supplir per tutti un sol Fernando.
Questi non pur con ben armati legni
Tremar fa in guerra i più lontani mari.
Di (iorinlo c di Ponto i lidi c i regni
Purgando ognor di barbari corsari ;
Ma in pace ancor dei più famosi ingegni,
E di cigni nutrisce incliti c chiari.
Schiere felici, onde per lui diviene
L’Arno Meaiidro e la Toscana .Atene.
Cosmo, di Caismo ancb’ ei degno nipote,
I.ascerà dopo lui memorie illustri ,
E le genti rubelle e le devote
Domerà, reggerà per molti lustri.
L’ oro fla il men della sua ricca dote ,
Quando con degne nozze Europa illustri.
Copulando I’ Esperie e novi onori
Traendo d’ Austro la Città dei fiori.
Mira colei, che alluma e rasserena
Tutto di questo ciel l’ ampio orizzonte.
Quella fla sua consorte , e Maddalena
(Leggilo in lettre d’oro) ha scritto in fronte.
Del gran fiume german limpida vena ,
Pur scaturita dall'austriaco fonte.
Rosa giammai non vagheggiò l’Aurora
PIÙ modesta, o più bella in grembo a Flora.
Lunga istoria sareblve, o bell’ Adone,
Della srhialta, eh’ iodico, a contar gliavl.
Giulio, Clemente, Ippolito, Leone,
E I lor sommi maneggi e i pesi gravi. .
Ostri, mitre, diademi, elmi, corone,
E stocchi e scettri e pastorali e chiav i ;
E la linea non mai rotta dagli anni
De’ Lorenzi , de’ Pieri e de’ Giovanni.
Ma sovra questi e sovr’ ogni altro frutto.
Che si nobii giammai ceppo produca ,
Un rampollo gentil sarà prodotto.
In cui taiito valor fia che riluca.
Che allo splendor del suo lignaggio tutto
Par che tenebre e lume a un punto adduca.
Siccome Sol , che ilinfflina le stelle ,
Ma sorgendo tra lor, le fa men beile.
Vi è quel cerchio lucente , ove raccolte
Quasi I II aureo epickln, al tr’ombre stanno.
Quivi in gran nelibia di splendore involte
Le miglior di sua stirpe insieme vanno ,
E follissimo stuol di molte e molte
Stelle terrene e Dee «iietro si tranno j
Ma di tutte è colei , che le conduce.
La lumiera maggior, I’ unica luce.
Quella, che seco parla c che si asside
Sovra la rugiadosa erba vicina,
E d' esser del bel numero sorride,
Pur con regio diadema, è Catterina,
E rintuzzar saprà Tarmi omicide, ,na.
Che hall col tempo a sbranar Gallia nicsclll-
E saprà del gran corpo in sè diviso
Saldar le piaghe , onde sia (|uasi ucciso.
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L’ADONE. IBT
CoDgiiingerassi in nobll giogo e degno
L’ una al secondoe l’altra al quarto Enrico.
Non si turbi però , nè prenda a sdegno
Di restar vinta da costei , eh’ lo dico ,
E di cedere a lei non pur del regno
Lo scettro sol , ma d' ogni pregio antico ;
Non pur della reai giuria e grandeua ,
Ma la corona ancor della bellezza.
Dell’ Istessa brigala eccoten una ,
Ohe come singoiar fra l’ altre io sceglio,
Qie l’Arno e il Mincio Illustra c in sè raguna
Del fior d’ogni beltò la cima e il meglio;
Gemma d' Amore , c senza menda alcuna
Di grazia c di virtù limpido speglio,
Leonora, che onora ogni alto stile,
E desta amore In ogni cor gentile.
Un’ altra Catterina ha in compagnia ,
Che come il volto , ha l’ abito vermiglio.
Quella c questa del par sposata Ila
Del sangue d’Ocno a genitore e Aglio.
Ma vedi come alla gran suora e zia
Reverenti ambedue volgono il ciglio.
Dico a costei, che senza spada, o lancia
Ha sol coD gli occhi a trionfar di Francia.
Dal mare il nome avrò , di cui fu prole
L’ istessa Dea , che ha del tuo core il freno ;
E come è di bellezza un chiaro Sole,
Cosi Aa un inar di mille grazie pieno.
Raccorrà in sò quanto raccoglier suole
Di ricco il mare e di pregiato in seno.
Anzi al mar darà perle il suo bel riso.
Oro il bel crine e porpora II bel viso.
In ({ucslu sol dal mar fla dlfrerente ;
Ricetta ei scogli e mostri , ira e furore ,
Ma costei sosterrà scettro innocente ,
Pien di clemenza e privo di rigore.
In lei due vivi Sull lianno Oriente ,
Nel mare il Sol tramonta c il giorno more.
Agli assalti de’ venti il mar soggiace,
L’ animo suo tranquillo ha sempre pace.
Non Oa giammai fra le più degne e conte
Dovunque il volo mio stenda i suoi tratti.
Altra die la pareggi , o la sormonle
In leggiadre fattezze, o in chiari fatti.
Prudenza in grembo c pudicizia in fronte.
Senno ne' detti e maestà negli alti
Nova As|>asia la fan, nova Mammea,
Anzi degna del del, novella Astrea.
FIen magnanime imprese , opre virili
Del suo nobll pensier le cure prime.
All’ ago, all’ aspo , a’ rozzi studj e vili
Non piegherà giammai I’ alma sublime.
Ma dalle basse valli erger gli umili ,
I superbi abbassar dall' alte cime ,
Maneggiar scettri e dispensar tesori ,
Questi Aen di sua man degni lavori
Uopo, che molle amomo unga il bel crine,
0 che barbaro nastro unqua lo stringa
Non avrà già , chè gli ori e I’ ambra One
Fla che col suo biond’ or d’ invidia tinga.
Non della guancia I’ animale brine
ArteAce color Aa che dipinga.
Altro che quel color di Aamme e rose.
Che beltà sol con onestà vi pose.
Non 1n terso cristallo avrà costume
De’ begli occhi arrotar lo strai pungente.
Ha le Aa solo il cliiaro antico lume
Del suo sangue reai specchio lucente.
Sangue reai, che quasi altero Aume,
Di grandezza immortai colmo e possente.
Verrà dal fonte di si ricche vene
Le belle a fecondar galliche arene.
Tenteran Morte rea , Fortuna avara ,
Ambe d’ Amor nemiche e di Natura ,
Di quest’ indilo Sol la luce chiara
Con benda vedovi! render Oscura.
Ma nel manto funesto assai più cara
Fla de’ begli occhi suol la dolce arsura;
E come Aamma di notturna sfera.
Coprirà doppio lume in spoglia ocra.
Barbara man con sacrilegio infame ,
Ferro crudcl con perAda ferita
Dell’ Alcide dì Calila il lùglo slame
Troncando [ahi stolta in ciò viepiù che ar*
Oserà di spezzar r aureo legame [dila) ■
Della più degna e gloriosa vita.
Cosi talvolta avvien , che chi di spada
Cader non può , di tradimento cada.
Ma come a questa Venere novella
Quando il velo mortai squarcerà Morte ,
Per esser più dell’ altra onesta e bella ,
II terzo cielo è destinato in sorte ;
Cosi costui , che la guerriera stella
Vincerà di valor, Marte pù forte ,
Dei suo giorno vitale a sera giunto,
Fla del quint'orbe al gran dominio assunto.
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»
198 MARINO.
Ahi yual allor , qual esser (leve e quanto
OMiise, il vostro affanno, il vostro lutto?
Dritto , che resti , abhamloiiando il can-
Da'sos|)ir vostri il sacro feote asciutto, [to.
Dritto È, die tonti poi cui largo pianto
De’ vostri lumi a ricolmarsi tutto.
Degno u’ i il caso; e se mortai non siote,
Esser aimcu passibili dovete.
Ma die fia di costei , veduto estinto
Sotto un colpo felloii l’Ercol noveiJo?
E di sangue reai bagnato e liuto
Cbiudcrc il corpo augusto angusto avello?
Languirà, piangeri , nò phró vinto
Eia il decoro dal duolo, o il duol nien bello.
Mcn bello il duol uon Ila nel suo bel v iso ,
Che il festivo screii del dolce riso.
Nè, sebben sola c sconsolata resta
Dopo r orrendo c scellerato scempio ,
Tedova lagrimosa in bruna vesta.
Cede il fren del discorso al dolor empio;
Anzi qual buon noccliieroiii ria tempesta,
Di bontà Sole c di giustizia esempio.
Mar di prudenza e di fortezza scoglio.
Degli scogli c del mar rompe l’ orgogUo,
Ma strano caso avvien, meotre, per Ton-
L’ edilìzio mirabile cammini , [de
Però clic tra le cupe acque profonde
L’ assorbe la voragine marina.
Ciprigna istessa , die nel niar a’ asconde,
E dal mar naotpie , ed è dei mar ndna ,
Crodendol Marte, in quel pamaggio il preti-
Perabbracciarlo, aUin delusa il rende. [4e
Dal divino scullar veggio snhnato
L’altodcstrier.che sembra un piccioi mon-
Veggiol, quasi da Pallado intagliato, [te.
Far con la vasta imago ombra al gran pon*
E meuire quivi in cutalatto annata [te.
Sè medesmo a miiar clihia la fronte,
I.’ Istesso rree, del elei fatto guctriere.
Non sa dal liuto suo scegliere il vero.
Ella, ebe dell' artefice, che avanza
Natura istessa, il gran prodigio ammira,
Sente dall’ insensibile sembianza
Uscir live faville, onde sospira;
E temprando il uiartir eoa la ueinbranza.
Dalla seuUura, che si move c spira ;
Pende immobile, e tace, e cosi intanto
Inganna gli ocelli , e disacerba il pianto.
E del vero sembiante essendo priva |
( Benché l'abbia nel cor ) del gran marito, j
Procura pur , se non l’ effigie viva ,
D' averne almeno un idolo mentito.
Qutuido venir dalla toscana riva,
Per man d’ altro Lisippo a sè scolpito.
Fa di pesante c concavo metalio
Il colosso rea! sul gran cavalku
Ma come quella , a cui non d’ altro cale,
Cbe in vera pane euecurar Parigi ,
Per rkinirsi alla corona australe
Stringe con esso lei la Fiordiligi.
Figlia del gran monarca occidentale
l.’ alla sposa sarà del buon Luigi.
Anna, che ne’ verd’ anni ed immaturi
Fia, cbe agli amii rapaci il nome furi.
E onder di bronzo ornai più non bisogna
Canne tonanti, o fulmini guerrieri..
Anzi couvicii,
lormenti ha Marte orridi c fieri.
Tempo é, clic abbiano a far srorno e vergo-
Lc statue illustri e isiuiulacri alteri [ gna
Al crudi ordigni, agli organi da guerra ,
Poiché mercè d’ Enrico , é |iace in terra.
S’jjèWfWil, Ltiilnlangi hoViOriente,
Aprii di puri gigli il sen le infiera,
r.h’ ella porta negli occhi il Sol nascente,
E nelle guance la vermiglia Aurora ;
Poro direi , scldien vcracemenie
Quanto dir ne saprei , iiieiuir non fora.
Ma il più s’asconde c ilmeii che inleis'ap-
E la terrena csterìur bellezza. [ prezza ,
Edie quando per lui bombarde cdnrmi
In aratri c in trofei vedrò cangiale ,
Poicliè ficu tulli i bronzi e lutti i marmi
Rosi dal dente doli’ ingorda elate,
Per eternar con gloriosi carmi
Del magnanimo re l'oprc ounrate.
Non già d’altra materia, od’ altre tempre
l.e trombe mie vo' fabbricar per sempre.
Vedila là , rhe per sulingtie strade
Spoglia il prato de’ fregi, oiid’ è vestito ,
F. per crescer bellezza alla briiadc
Intrecciando ne va serto fiorilo.
Dall’ Iben), ove il Sol tramonta e cade ,
Nascerà 1’ altro Sol, che or io t’ addilo.
Vedi che del crin biondo il bel tesoro
Come il fiume paterno , ha I’ onde d’ oro.
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*
L’ADONE. >99
0 foce di bcItA gemina e doppia,
A cui taiilc il desilo glorie predice.
Là dove Amor con nnbii laccio accoppia
D’ Iberla e Calila il Sole e la fenice !
Leggiadra , augusta, avventurata coppia.
Nasca da. voi succcssion felice ,
Che con sempre fecondo ordin d’ eroi
Susciti in terra II prisco onor de’ tuoi.
Esca sien queste nozze , onde pugnaci
Verrà poi Marte ad eccitar faville,
Sicché d’ Amore c d’imeneo le faci
Fiamme saran di saccheggiate ville.
Dal letto al campo andrassl e'I siion de’baci
Turbato Ila da mille trombe e mille.
Hagionarti di ciò pamii soverchio,
Che già mostro ti fu nell’ altro cerchio.
Altri accidenti ancor volger si denno
Pria clic cresciuto il pargoletto giglio.
Ella deponga (e deporrallo a un cenno ]
Lo scettro franco , c ceda il trono al figlio;
E la costanza accompagnando al senno ,
Dimostri animo invitto e lido ciglio.
Costanza tal, che si può far ritratto
D’ ogni altra sua virtù sòl da quest’ atto.
Ordì qual più bei lauro ornarle chiome?
DI qual fregio miglior vergar le carte
Speran gl' Illustri spirti ? o i|uale al nome
Trarmagglor luce altronde, o gloria all'ar-
Machc? forano lor troppo gran some [te?
A segnarne pur l’ ombra, a dirne parie ,
Ancorché dalle Dee del verde monte
Tutto in lei si versasse il sacro fonte.
Sembra penna mortai , die osi talora
Ritrae dc’suoi splendor gli abissi inmieosi,
Pennel , che bella immagine colora ,
Ma non le dà però spirti , nè sensi.
Onde se non I’ esalta e non I’ onora
Il mio roco parlar quanto conviensi.
Scusimi il Sol de’ begli ocelli sereno ,
Che quanto splende più , si vede meno.
Sveller però per celebrarla io voglio
Dalle mie piume I più spediti vanni.
Con cui più d’ uno stile in più d’ un foglio
Farà scrivendo a Morte illustri inganni ;
E con queir armi , ond' io trionfar soglia ,
Torrà l’ ira a|l' obblio, la forza agli anni ;
Fra’ quali un oc verrà, che Austro e Boote
Risonar ne farà con chiare note.
Dal mare ancor costui fia che s' a|ipelli.
Per in parte adeguar I’ alto suggello ,
Ma presso al mar |i’ onor si grandi c belli
Fia piccini fiume il suo rozzo intelletto.
Pur come ( benclié poveri ) 1 ruscelli
Corrono al mare, ed lian dal mar ricetti);
Cosi .sprezzalo ancor non fia il suo slilq.
Di mar si vasto tributario umile.
0 fortunato, o ben felice Ingegno,
Destinato a cantar divini amori ,
Si dal del favorito e fatto degno
Di tanti e tanto invidiali onori !
Tu sarai di quel uomc alto sostegno,
Che fia ricca mercede ai tuoi sudori ,
DI cui fia che risoni e Sona c Senna ,
Ornamento immortai della tua penna.
Io quanto a me non poserò volando.
Benché sia ’l mondo a tanta gloria angustq.
Finché le lodi sue non spiego e spando
Dall' Aliante nevoso all’ Indo adusto.
E con bi.vbiglio annooico esaltando
In petto femminil pensiero augusto,
Sebbene il falso al ver mescer mi pUC*i
Sarò lodando lei sempre verace.
E giuro ancor di quest’ aurata tromba
Il sonoro metallo enfiar si forte ,
Cile a quell’ alto roqior, che ne rimbómbi»
L’ ali aITcmpo cadran, l’ armi alla Morta,
Nè vietar potrà mai letargo, o tomlw,
Perfida invidia, ingiuriosa sorte.
Che dovunque virtù la scorge e cbiama
Non la segua per tutto anco la Fama.
Cosi parlò , poi fuggitive s preste
Le penne dispiegò l’alata Dea,
E il cavo bronzo acrompagaando a quasta
Voci , gli atrj del del fremer face|.
E da più d' un vidno antro celesti;
Più d’ un eco Iniiuortal le rispondeg.
Allor rEternilà quant’ ella disse
Col suo scarpello in bel diamante scrisse.
La vista intanto Inusitata e strana
Di quella vaghe e peregrine! arve,
Che qual si fusse , o sussistente, o Tana,
Basta che grata e dilcttosa apparre ,
Divenuta o più chiara, o più lontana,
Non so dir come, in un momento sparve.
Parve pesce fugace In cupo fiume ,
Non so se fusse o la distanza, o il lume.
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200 MARINO.
Come In superba e luminosa scena
Al dispiegar della veloce tela ,
Ogni pompa e splendore ond’ellai piena,
Ai riguardanti subito si cela ;
Cosi repente in men che non balena
Ciascuna imago agli occhi lor si vela ,
E nelle più seccete e più profonde
Viscere della luce si nasconde.
Sccndon la balza , e dal poggetto ameno ■
Tornano al piano, onde partirò avanti;
Ma di stupore inebbriato e pieno
Spesso sospende Adon tra via le piante;
E perch’ alto desio gli bolle in seno
Di saper qual destin gii è sovrastante ,
Che gliel voglia scoprir Mercurio prega,
E in $1 fatto parlar la lingua slega :
Or che di tante meraviglie ascose
L' ordin m’ è nolo, ai secoli prescritto ,
Molto vago sarei con l' altre cose
Di udir quanto di me nei Fato è scritto.
Tu , per cui ciò che san , san le famose
Scole di Arcadia e i gran musei d'Egitto ,
Deh qual di mie fortune in del si cela
Fausto, o misero evento , a me rivela.
Risponde il divin messo: Uom pernatura
Ad oraeoi fatidico ricorre ,
Perchè qualunque o buona, o rea ventura
Sia per lui flssa In Ciel, gli dcggla esporre.
Ma sovente addivien , che egli procura
D’intender quel che poscia inteso aborre ;
E so infortunio alcun gli si predice ,
Vive vita dubbiosa ed infelice.
E v’ba talun, che da gran rabbia mosso,
Senza guardar,chell mai viendi qua sopra,
Qual can, che morde il sasso, ond'è percos-
Odia colui , che la bell'arte adopra. [so,
Tacer non vo’ pertanto e far non posso,
Che'l gran rischioiniminenic non ti scopra,
Chèsebben contro il Ciel forza non hanno.
Pur giova a molti antivedere il danno.
Quando il pianeta, che dei ccrchj nostri
Regge il minor, concorse al tuo natale.
Feri, varcando il gran sentier de' mostri
Il più bravo e magnanimo animale,
E il settimo occupò di tutti I chiostri ,
Angolo, che è fra gii altri occidentale.
Talché nel lume suo trovossi unito
Ferino il segno e violento il sito.
Era Saturno in su quel segno anch'esso,
E nel niedesmo albergo avea ricetto ,
Ed all’umida Dea giunto dappresso.
La risguardava di quartile aspetto;
Evibrando il suo raggioaun tempo istesso
D'impression contagiosa infetto.
Opposto al chiaro Dio, che il di conduce,
II percotea con la maligna luce.
Intanto Marte era nel Toro entrato.
Casa, dove abitar suol Cilerea,
E già dopo il ventesimo passato
Tutto sdegnoso il quarto grado avea;
E mandava